Greenpeace bacchetta la Norvegia: “Conseguenze irreversibili con estrazione mineraria sottomarina”

Greenpeace ha messo in guardia la Norvegia dalle conseguenze “irreversibili” della prevista apertura dei fondali marini all’estrazione mineraria, che secondo l’organizzazione interesserà l’intero ecosistema marino. Nonostante le obiezioni di scienziati, Ong e altri governi, il Paese scandinavo prevede di assegnare le prime licenze di esplorazione nel 2025 e potrebbe diventare uno dei primi al mondo a sfruttare i fondali marini.

“I progetti norvegesi di estrazione in acque profonde nell’Artico causeranno danni irreversibili alla biodiversità”, ha contestato Greenpeace, pubblicando un rapporto intitolato ‘Underwater mining in the Arctic: living treasures at risk’. Per l’organizzazione, questa attività rappresenta un’ulteriore minaccia per un ecosistema poco conosciuto e già indebolito dal riscaldamento globale.

Tra i pericoli individuati nel rapporto vi sono la distruzione diretta degli habitat e degli organismi del fondale marino, l’inquinamento acustico e luminoso, il rischio di perdite chimiche dai macchinari e lo spostamento accidentale delle specie. “L’estrazione mineraria causerà danni permanenti a questi ecosistemi e sarà sempre impossibile valutare la piena portata di questi impatti, per non parlare del loro controllo”, ha dichiarato Kirsten Young, responsabile della ricerca di Greenpeace.
“I piani della Norvegia non solo minacciano direttamente le specie e gli habitat dei fondali marini, ma anche l’intero ecosistema marino, dal plancton più piccolo alle balene più grandi”, ha aggiunto l’autrice.

Le autorità norvegesi, da parte loro, sottolineano l’importanza di non dipendere da Paesi come la Cina per l’approvvigionamento di minerali essenziali per la transizione verde e assicurano che le prospezioni permetteranno di raccogliere le conoscenze che attualmente mancano. “La transizione globale verso una società a basse emissioni di carbonio richiederà enormi quantità di minerali e metalli”, ha dichiarato Astrid Bergmål, Segretario di Stato presso il Ministero dell’Energia norvegese, in un’e-mail all’AFP.

“Oggi l’estrazione dei minerali è in gran parte concentrata in un piccolo numero di Paesi o di aziende. Questo può contribuire a rendere vulnerabili le forniture, il che è particolarmente problematico nell’attuale contesto geopolitico”, ha aggiunto.
Alcuni di questi minerali sono utilizzati in batterie, turbine eoliche, computer e telefoni cellulari. La Norvegia afferma che qualsiasi sfruttamento sarà soggetto all’introduzione di metodi “responsabili e sostenibili” e che i primi progetti dovranno essere approvati dal governo e dal parlamento.
Oslo prevede di aprire all’esplorazione un’area di 281.000 km2 nei mari di Norvegia e Groenlandia, un’area grande la metà della Francia, con l’obiettivo di assegnare le prime licenze nella prima metà del 2025.

Trenta artisti all’Onu: fare di più contro la plastica

Alla vigilia dell’apertura dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che si terrà a New York, circa 30 personalità del mondo dello spettacolo, dello sport e dell’attivismo internazionale hanno sottoscritto una lettera aperta rivolta ai leader mondiali per chiedere loro di sostenere un ambizioso Trattato globale sulla plastica, basato su una drastica riduzione della produzione e sul divieto dell’usa e getta. Tra i firmatari figurano il premio Oscar Lupita Nyong’o, la pluripremiata attrice e cantante Bette Midler, la cantautrice Anggun e anche l’italiano Carlo Cudicini, Club Ambassador del Chelsea. L’appello segue la pubblicazione di un sondaggio commissionato da Greenpeace International secondo cui l’80% della popolazione interpellata in 19 Paesi è a favore di una riduzione della produzione di plastica.

“Come cittadini interessati al problema, sosteniamo gli sforzi per ridurre l’impiego di plastica monouso, ripulire le nostre spiagge e fare la raccolta differenziata. Ma tutto questo non è abbastanza, non lo è da molto tempo”, si legge nella lettera pubblicata oggi. “Viviamo in un sistema insostenibile, dominato dalla plastica usa e getta, e nessuna soluzione o politica pubblica sarà sufficiente, a meno che non riduciamo a monte la quantità di materiale plastico prodotto e consumato”.

L’appello arriva poche settimane prima del round finale dei negoziati ONU per definire un Trattato globale sulla plastica, in programma a Busan (Corea del Sud) dal 25 novembre al 1° dicembre: in quell’occasione, i leader mondiali dovranno arrivare a un accordo legalmente vincolante in grado di arginare la crisi globale della plastica.

“I governi non possono perdere tempo ad ascoltare l’industria petrolchimica e dei combustibili fossili che antepone il profitto al nostro futuro”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. “I leader mondiali devono, piuttosto, ascoltare le persone e definire un Trattato globale sulla plastica che riduca a monte la produzione e ponga fine all’era del monouso: ne va della nostra salute e del nostro clima”.

Greenpeace chiede che il Trattato riduca di almeno il 75% la produzione totale di plastica entro il 2040, per proteggere la biodiversità e garantire che l’aumento delle temperature globali rimanga al di sotto della soglia di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Oltre il 99% della plastica, ricorda l’organizzazione ambientalista, è ricavato da idrocarburi come petrolio e gas fossile, e il vertiginoso aumento nella produzione contribuisce in maniera significativa alla crisi climatica.

Ecologisti francesi plaudono a sconfitta Le Pen: “Avanti con transizione green”

Il mondo ecologista francese “non può che rallegrarsi del fatto che il fuoco di sbarramento dei repubblicani abbia funzionato: l’estrema destra non è neanche lontanamente potente come previsto”. Alla luce dei risultati elettorali – che di fatto hanno spezzato i sogni di gloria di Marine Le Pen e del giovane Jordan Bardella – la Rete di azione per il clima, la principale alleanza di associazioni ambientaliste, guarda con favore alla sconfitta della destra, ma accusa comunque la maggioranza presidenziale uscente di essere “ancora troppo poco ambiziosa sulla transizione ecologica”.

La Rete, che riunisce 37 associazioni tra cui Greenpeace, Oxfam Francia, Azione contro la fame e Lega per la protezione degli uccelli (LPO), avverte: “la ‘tregua’ non deve cancellare la necessità di un ripensamento completo del dibattito pubblico democratico e del modo di fare politica”. Molte delle associazioni aderenti fanno parte di numerosi organi consultivi, come il Conseil national de la transition écologique (CNTE).

Queste associazioni hanno più volte criticato l’esecutivo uscente per essersi seduto sui compromessi adottati in queste istituzioni di “democrazia ecologica”. “Tutto resta da costruire: qualunque sia il governo che emergerà da queste elezioni”, la dovrà “rafforzare l’ambizione della pianificazione ecologica e collegarla a politiche sociali, di bilancio e territoriali commisurate alle questioni in gioco”. Con l’auspicio, quindi, di una transizione ecologica “efficace e pienamente equa dal punto di vista sociale”.

“Questo è un enorme sollievo e una vittoria per la democrazia, i diritti umani e il pianeta (…), possiamo respirare di nuovo”, ha dichiarato Jean-François Julliard, direttore generale di Greenpeace Francia, in una nota. Greenpeace assicura che sarà “presente per garantire che le promesse del programma del Nuovo Fronte Popolare”, che ha vinto, “non siano solo parole vuote”. Tra queste, la cosiddetta tassa sulla ‘ricchezza verde’ (ISF), la riduzione dell’Iva sui trasporti pubblici, la riapertura delle piccole linee ferroviarie, il ripristino del piano Ecophyto, il divieto di glifosato, neonicotinoidi e Pfas, il sostegno all’agroecologia.

Greenpeace contro premier britannico Sunak: la sua casa coperta di tessuti ‘nero petrolio

Photo credit: Profilo Twitter Greenpeace UK

Giovedì gli attivisti di Greenpeace hanno ricoperto una casa di proprietà del Primo ministro britannico Rishi Sunak, nel nord dell’Inghilterra, con teli nero petrolio per protestare contro la frenesia” del governo conservatore nel promettere nuove licenze per petrolio e gas. Una foto pubblicata sui social network di Greenpeace mostra l’imponente casa coperta da teli neri con quattro persone sul tetto. Greenpeace spiega che il tessuto “nero petrolio” serve a “evidenziare le pericolose conseguenze di una nuova frenesia di trivellazione“.

Lunedì il primo ministro Rishi Sunak, in vacanza con la famiglia in California, ha promesso “centinaia” di nuove licenze per l’esplorazione e la produzione di petrolio e gas nel Mare del Nord. Lungi dal considerarla una contraddizione, Sunak ha affermato che lo sfruttamento di queste risorse fossili britanniche aiuterebbe il Paese nel suo percorso verso la neutralità delle emissioni di carbonio, promessa per il 2050. L’annuncio ha provocato un tumulto nel Regno Unito ed è stato universalmente criticato dai gruppi ambientalisti.

Abbiamo un disperato bisogno che il nostro Primo Ministro sia un leader del clima, non un piromane“, ha dichiarato Philip Evans di Greenpeace UK. “In un momento in cui gli incendi boschivi e le inondazioni distruggono case e vite in tutto il mondo, il signor Sunak è impegnato in una massiccia espansione delle trivellazioni di petrolio e gas“, ha aggiunto, denunciando il “cinismo senza precedenti” del Primo ministro. “Non ci scusiamo per aver adottato il giusto approccio alla nostra sicurezza energetica, utilizzando le risorse che abbiamo in casa per non dipendere mai da aggressori come (Vladimir) Putin per la nostra energia“, ha dichiarato una fonte di Downing Street.

Bus sempre più green

In Europa si diffonde il ‘biglietto climatico’ per il Tpl. Greenpeace: “Introdurlo anche in Italia”

Dal primo maggio Germania e Ungheria, seguendo l’esempio di altri Paesi europei, hanno introdotto il ‘biglietto climatico’, un titolo di viaggio a basso costo per il trasporto pubblico cittadino, gli autobus e i treni regionali su tutto il territorio nazionale. Una misura che, secondo Greenpeace, ha enormi vantaggi economici e climatici. Per questo motivo l’associazione ambientalista pubblica un’analisi del costo e dell’accessibilità dei biglietti del trasporto pubblico in tutta Europa.

Il rapporto di Greenpeace Europa centro-orientale (CEE) classifica trenta Paesi europei e le rispettive capitali sulla base di quattro criteri: disponibilità del biglietto climatico o multimodale e semplicità del sistema di biglietteria; costo del biglietto; presenza di riduzioni per alcune categorie di persone; ammontare dell’Iva sul trasporto pubblico. Nonostante ci siano differenze sostanziali fra i diversi Paesi, l’analisi mostra come il biglietto climatico perfetto ancora non esista in Europa. Oltre al Lussemburgo e a Malta, che hanno reso il trasporto pubblico gratuito, solo Austria, Germania e Ungheria hanno introdotto biglietti relativamente economici utilizzabili su tutto il territorio nazionale, con un costo medio inferiore ai 3 euro al giorno. In fondo alla classifica si trovano Bulgaria, Croazia e Grecia. L’Italia si colloca al ventunesimo posto, dato che non ha un sistema di biglietti unico e ogni azienda del trasporto pubblico ha il proprio. In Italia, finora solo la città di Bari ha sperimentato un abbonamento annuale per il trasporto pubblico cittadino a 20 euro l’anno. La situazione cambia nelle singole capitali europee dato che tutte offrono biglietti mensili o annuali validi per quasi tutti i mezzi pubblici e anche riduzioni per determinate categorie di persone (anche se con differenze significative). Roma si colloca al settimo posto nella classifica: il costo del biglietto annuale è al momento fra i più bassi in Europa, ma ci sono alcune limitazioni rispetto all’accessibilità alle riduzioni.

La mobilità è la seconda spesa delle famiglie europee dopo l’abitazione. I trasporti sono responsabili del 25% delle emissioni di gas serra dell’Ue e del consumo di quasi il 70% di tutto il petrolio utilizzato nell’Ue. “Incentivare il treno e il trasporto pubblico per ridurre i viaggi in auto e in aereo è fondamentale per ridurre le emissioni di gas serra e la domanda di petrolio, garantendo al contempo un risparmio economico per le famiglie. Insieme alla qualità e all’efficienza del trasporto pubblico, il costo del biglietto è un elemento decisivo nel convincere le persone a spostarsi in treno e con i mezzi pubblici”, spiega Greenpeace.

Il trasporto pubblico è una necessità vitale per milioni di persone, che contano ogni giorno su autobus, tram, metro e treni per spostarsi. Eppure l’Europa è ancora molto lontana dall’avere un sistema di trasporto pubblico integrato, economico e accessibile a tutte le persone”, dice Federico Spadini, della campagna Trasporti di Greenpeace Italia. “Anche il governo italiano e gli altri governi europei potrebbero introdurre il biglietto climatico nel giro di qualche settimana se ci fosse la volontà politica, riducendo sia le spese delle famiglie che le emissioni di gas serra dannose per il clima”, conclude. Ecco perché Greenpeace chiede ai governi e alle istituzioni dell’Unione Europea di impegnarsi per la diffusione di biglietti climatici accessibili, semplici, convenienti e inclusivi, validi a livello nazionale e sul lungo termine in tutta l’Ue. Greenpeace chiede anche di ridurre l’Iva sul trasporto pubblico e di assicurare investimenti significativi sulla rete ferroviaria e sul trasporto pubblico locale, favorendo l’intermodalità e garantendo copertura a chi vive nelle aree remote. Con una petizione rivolta al governo italiano Greenpeace chiede di introdurre il biglietto climatico e di promuovere misure concrete contro la crisi energetica e climatica.

Greenpeace

Swg-Greenpeace: Italiani bocciano spese militari e vogliono un futuro più green

Gli italiani e le italiane hanno le idee chiare sulla direzione da percorrere per il futuro: investire nella transizione energetica, fermare la corsa al riarmo, tassare gli extra profitti delle aziende fossili e dell’industria militare. E’ la fotografia scattata dall’11 al 16 gennaio da un sondaggio Swg per Greenpeace Italia, i cui risultati vengono diffusi poche ore dopo la presentazione delle linee programmatiche del ministro della Difesa Crosetto.

La maggioranza degli italiani si schiera contro l’aumento della spesa militare: il 55% degli intervistati boccia la proposta del Governo di portare il budget della Difesa al 2% del Pil entro il 2028. Solo il 23% è favorevole ad aumentare la spesa militare. Tra i più contrari ci sono i residenti nel Nord-Ovest e nel Centro e i laureati. Per contro, invece, il 53% delle persone intervistate ritiene che “alla luce dell’attuale situazione internazionale politica ed energetica” l’Italia debba investire “esclusivamente” (27%) o “in gran parte” (26%) nella transizione energetica. Solo il 22% ritiene che il Paese debba puntare “in egual misura tra fonti fossili e transizione energetica”. Marginali le percentuali di chi vuole che l’Italia investa “in gran parte” (6%) o “esclusivamente” (3%) nelle fonti fossili.

Maggioranza schiacciante anche sulla proposta di tassare al 100% gli extra profitti delle aziende del gas e del petrolio e utilizzare il ricavato per contrastare il caro bollette (80%) e investire in energie rinnovabili (76%). Più di due italiani su tre (69%), inoltre, vorrebbero tassare anche gli extra profitti delle aziende della difesa. Solo il 12% è contrario.

Questo sondaggio conferma che per la maggioranza degli italiani la priorità è fermare il caro bollette e potenziare le energie rinnovabili. I risultati ci danno indicazioni inequivocabili anche su come finanziare questo cambio di rotta, ovvero tassando gli extra profitti di chi sta guadagnando da questo periodo di crisi: non solo le aziende fossili, ma anche quelle della difesa”, dice Simona Abbate, campaigner Energia e Clima di Greenpeace Italia. “Il nostro Paese deve smettere di investire nelle infrastrutture fossili e nelle armi. Cittadine e cittadini lo hanno capito, quando lo capirà anche il Ministro Crosetto ed il governo?”, conclude.

microplastiche

Greenpeace, la petizione contro il greenwashing tra i traguardi 2022

La fine di ogni anno porta in sé, quasi in maniera fisiologica, il tempo dei bilanci. Così è anche per l’associazione Greenpeace che, alla vigilia del 2023, rende note “quattro importanti vittorie per il Pianeta ottenute negli ultimi dodici mesi”, delle quali si è fatta – insieme con altri movimenti e organizzazioni ambientaliste – promotrice.
Il primo traguardo raggiunto è datato 6 dicembre, quando i rappresentanti del Parlamento europeo e dei governi nazionali hanno finalizzato la nuova legge che impone alle aziende di controllare che la filiera di produzione – partendo dal singolo appezzamento di terra – non causi deforestazione, pena l’applicazione di multe. In altre parole, per la prima volta al mondo, le aziende che vendono soia, carne bovina, olio di palma, legno, gomma, cacao e caffè, e derivati come cuoio, cioccolato e mobili dovranno dimostrare che la produzione di materie prime e derivati non ha contribuito alla deforestazione.

La seconda vittoria, seppur parziale, è legata alla Coca-Cola. Il colosso – che produce oltre 120 miliardi di bottiglie di plastica all’anno – ha infatti annunciato che renderà riutilizzabile il 25% degli imballaggi per bevande entro il 2030. Greenpeace lo ritiene un “obiettivo ancora troppo basso: è necessario andare oltre e arrivare all’obiettivo del 50% di packaging ricaricabile e riutilizzabile entro il 2030”. E ricorda che la multinazionale da anni si trova al primo posto della classifica stilata dalla coalizione Break Free From Plastic (di cui Greenpeace fa parte), che monitora i rifiuti di plastica che invadono città, coste, mari e ogni angolo del Pianeta.

Il terzo obiettivo raggiunto affonda le proprie radici nel 2015, quando la Commissione per i diritti umani delle Filippine ha avviato un’indagine condotta su 47 società, accusate di provocare cambiamenti climatici catastrofici rei di violare i diritti umani. L’indagine – che ha dimostrato il nesso – è stata avviata su impulso dei sopravvissuti ai violentissimi tifoni che si erano abbattuti sull’arcipelago delle Filippine, i quali avevano presentato, insieme a diversi esponenti della società civile (tra cui, appunto, Greenpeace South Asia), una denuncia alla CHR contro i grandi inquinatori.

Infine, la petizione lanciata da Greenpeace e altre realtà ambientaliste per vietare le pubblicità delle aziende dell’industria fossile ha registrato, in un anno, l’adesione di 353.103 firme in tutta Europa. Non è stato raggiunto il milione di firme, ma le 54.369 firme raccolte in Italia dimostrano invece che il Paese è pronto per un divieto delle pubblicità inquinanti, cosiddette ‘finte green’.

 

 

Greenpeace mappa allevamenti: soldi anche a chi inquina troppo

Quasi novecento allevamenti intensivi in Italia inquinano emettendo molta più ammoniaca degli altri, pur ricevendo fondi pubblici. La mappa la traccia Greenpeace, che rivela dove si trovino gli allevamenti segnalati nel Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR) che emettono maggiori quantitativi di ammoniaca (NH3), un inquinante dannoso per l’ambiente e la salute umana, e quanti soldi pubblici ricevono.

Nel complesso, l’associazione ambientalista ha geolocalizzato 894 allevamenti inquinanti appartenenti a 722 aziende, alcune delle quali fanno capo a gruppi finanziari come il colosso assicurativo Generali, a nomi noti del food come Veronesi SpA, holding che comprende i marchi Aia e Negroni, o a grandi aziende della zootecnia come il gruppo Cascone.

Le regioni della Pianura Padana sono quelle maggiormente a rischio. Qui, infatti, ha sede il 90% degli allevamenti italiani che nel 2020 hanno emesso più ammoniaca. Capofila è la Lombardia, dove si trova oltre la metà degli stabilimenti che emettono grandi quantità di ammoniaca, una sostanza che concorre in maniera importante a formare lo smog che respiriamo: combinandosi con altre componenti atmosferiche (ossidi di azoto e di zolfo), l’ammoniaca genera infatti le pericolose polveri fini.

Dati alla mano, in Italia gli allevamenti sono la seconda causa di formazione del particolato fine (responsabili di quasi il 17% del PM2,5), più dei trasporti (14%) e preceduti solo dagli impianti di riscaldamento (37%). Mappare dove si trovano i maggiori emettitori di ammoniaca è quindi cruciale per sapere quanto è compromesso l’ambiente in cui viviamo, visto che l’elevata presenza di polveri fini comporta pesanti ricadute per la salute, come Greenpeace ha segnalato in un precedente studio condotto con ISPRA.

Aggiornando i dati pubblicati nel 2018, l’inchiesta di Greenpeace mostra come quasi 9 aziende su 10, tra quelle che possiedono allevamenti segnalati nel Registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR), abbiano ricevuto finanziamenti nell’ambito della Politica Agricola Comune (PAC): un totale di 32 milioni di euro nel 2020, per una media di 50.000 euro ad azienda.

Le polveri fini (PM2,5) sono responsabili di decine di migliaia di morti premature ogni anno: l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato quasi 50.000 vittime in Italia nel solo 2019. Com’è possibile ridurre drasticamente la diffusione di queste sostanze, se, parallelamente, si continuano a finanziare i modelli zootecnici intensivi e inquinanti che le producono?”, tuona Simona Savini, campagna Agricoltura di Greenpeace Italia.

L’inquinamento segnalato però è solo la punta dell’iceberg. Infatti, il Registro europeo E-PRTR riporta solo una parte delle emissioni della zootecnia, tanto che nel 2020 il 92% delle emissioni di ammoniaca prodotte dagli allevamenti non ha trovato “responsabili” nell’E-PRTR, perché non monitorato. Questa dannosa lacuna segnala l’urgenza di monitorare e regolamentare un maggior numero di allevamenti, come previsto dalla proposta della Commissione UE di modifica della direttiva europea sulle emissioni industriali. Una proposta, però, che ha già scatenato violente reazioni da parte di esponenti politici e di alcune organizzazioni di categoria. “Sembra che si faccia finta di ignorare che gli allevamenti intensivi sono già da anni considerati attività insalubri di prima classe, e che pertanto servono misure per proteggere la salute delle persone e l’ambiente dalle loro pericolose emissioni. Per farlo in modo efficace, occorre pianificare una riduzione del numero degli animali allevati, come sta già accadendo in altri Paesi europei – sostiene Savini –. Rimandare questi provvedimenti, significa ignorare gli impatti su salute e ambiente legati all’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi“.

 

(Photo credits: DENIS CHARLET / AFP)

ambiente

Ambiente e animali stanno a cuore agli italiani: a loro il 5XMille 2020

In pieno periodo di dichiarazione dei redditi e possibilità dei destinare il 5XMille a enti di volontariato, il sito del ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha pubblicato l’elenco dei beneficiari del 5XMille del 2020 (i fondi sono già stati pagati, mentre quelli del 2021 sono ancora in via di definizione). La parte del leone la fanno associazioni e Ong impegnate nel sostegno delle persone in difficoltà, degli anziani o enti di ricerca contro le malattie. Ma c’è anche una buona quota di enti impegnati sul fronte ambientale e della tutela degli animali che hanno ricevuto importanti finanziamenti decisi dai contribuenti al momento della compilazione del proprio 730.

Gli italiani, oltre a sostenere le persone in difficoltà, non si dimenticano quindi degli amici animali e dell’ambiente, la ‘casa’ di tutti. Sono infatti questi due i settori che assorbono i maggiori finanziamenti derivanti dalla destinazione del 5XMille. Nell’elenco dei beneficiari di quote superiori a 500mila euro ci sono, ad esempio, l’Enpa, ente nazionale per la protezione degli animali, con oltre un milione e 800mila euro, la Lav, Lega anti vivisezione, con quasi un milione e 400mila euro, e il Fai, fondo ambiente italiano, con un milione e 159mila euro. Poco sotto il milione di euro, invece, ci sono il Wwf (999.181) e Greenpeace (942mila euro). All’Oipa (Organizzazione internazionale protezione animali) sono andati 581mila euro, mentre a Fondazione Campagna Amica sono stati corrisposti 574mila euro. A chiudere l’elenco dei beneficiari over500mila euro c’è la Lipu, lega italiana protezione uccelli, con 515mila euro.

COS’È IL 5XMILLE

Il 5xMille è una misura fiscale, introdotta in via sperimentale con la legge finanziaria del 2006 e poi successivamente prorogata di anno in anno, che permette ad ogni contribuente di devolvere una quota della propria Irpef (pari appunto al 5 per mille del totale) per sostenere le realtà del terzo settore, il cosiddetto no-profit, che svolgono attività di volontariato, assistenza, e tutela di animali e territorio che non perseguono fini di lucro. E’ quindi una forma di sostentamento diretto agli enti che stanno più a cuore agli italiani e anche un modo di partecipazione sociale al bene comune.

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Come tagliare import di petrolio dalla Russia agendo sui trasporti

Ecco le proposte di Greenpeace per ridurre il consumo di petrolio di 40 milioni di tonnellate all’anno e tagliare le importazioni Ue di greggio dalla Russia del 28%, risparmiando circa 19,7 miliardi di euro. Secondo l’organizzazione ambientalista, queste misure ridurrebbero inoltre le emissioni di gas serra dell’Ue di 144 milioni di tonnellate all’anno, pari a quelle prodotte da 93 milioni di automobili, accelerando la decarbonizzazione del settore dei trasporti, responsabile di più di un quarto delle emissioni climalteranti europee.

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