caro prezzi

INFOGRAFICA INTERATTIVA Inflazione, i prezzi al consumo per settori

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, gli indici dei prezzi al consumo per divisione di spesa. Secondo Istat, ad aprile la dinamica tendenziale dell’indice generale dei prezzi al consumo torna a +0,8% (come a inizio anno), principalmente a causa dell’ampliarsi della flessione dei prezzi della divisione di spesa Abitazione, acqua, elettricità e combustibili (da -6,9% a -9%) e della decelerazione dei prezzi di Mobili, articoli e servizi per la casa (da +1,5% a +1,0%), di Altri beni e servizi (da +3,1% a +2,6%), di Trasporti (da +2,4% a +2,0%) e di Prodotti alimentari e bevande analcoliche (da +2,9% a +2,5%). Un sostegno all’inflazione si deve, invece, all’accelerazione su base tendenziale dei prezzi di altre divisioni, tra cui Bevande alcoliche e tabacchi (da +1,5% a +2,7%) e Servizi ricettivi e di ristorazione (da +4% a +4,4%).

INFOGRAFICA INTERATTIVA Il rischio di povertà in Italia: Regioni del Sud ai primi posti

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, gli indicatori di povertà o esclusione sociale per regione. Secondo Istat, nel 2023, il 22,8% della popolazione era a rischio di povertà o esclusione sociale: valore in calo rispetto al 2022 (24,4%) a fronte di una riduzione della quota di popolazione a rischio di povertà, che si attesta al 18,9% (da 20,1% dell’anno precedente). Rispetto al 2022 si osserva un aumento delle condizioni di grave deprivazione (la quota era del 4,5%) in particolare al Centro e al Sud e nelle Isole. A livello regionale, si osserva una riduzione del rischio di povertà o esclusione sociale in particolare in Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, e Campania, dovuto alla diminuzione di tutti e tre gli indicatori (rischio di povertà, grave deprivazione e bassa intensità di lavoro). Inoltre, il rischio di povertà o esclusione sociale diminuisce in Lombardia con una riduzione marcata degli individui in famiglie a bassa intensità di lavoro ma con un aumento della grave deprivazione. In Calabria, invece, peggiorano i tre indicatori e aumenta soprattutto la grave deprivazione.

Record storico famiglie in povertà assoluta: cresce al Nord. Inflazione spinge spesa

Sono 5,7 milioni gli italiani in povertà assoluta nel 2023, pari all’8,5% delle famiglie residenti. Un aumento rispetto al 2022 (8,3%), toccando così il massimo storico. È quanto mette in evidenza l’Istat nelle sue stime preliminari che mettono in luce un peggioramento rispetto al 2022 della condizione delle famiglie che hanno come persona di riferimento un lavoratore dipendente: l’incidenza di povertà assoluta raggiunge il 9,1%, dall’8,3% del 2022, e riguarda oltre 944mila famiglie. A pesare sulle famiglie è anche l’inflazione che spinge la spesa: la spesa media delle famiglie è cresciuta da 2.519 a 2.728 euro mensili, con un aumento in valori correnti dell’8,3%.
In generale, secondo l’Istat, la presenza di figli minori continua a essere un fattore che espone maggiormente le famiglie al disagio nel 2023, e dunque l’incidenza di povertà assoluta si conferma più marcata per le famiglie con almeno un figlio minore (12%), mentre per quelle con anziani si attesta al 6,4%. I minori che appartengono a famiglie in povertà assoluta, nel 2023, sono pari a 1,3 milioni.

Nel Nord, dove le persone povere sono quasi 136mila in più rispetto al 2022, l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare è sostanzialmente stabile (8,0%), mentre si osserva una crescita dell’incidenza individuale (9,0%, dall’8,5% del 2022). Il Mezzogiorno mostra anch’esso valori stabili e più elevati delle altre ripartizioni (10,3%, dal 10,7 del 2022), anche a livello individuale (12,1%, dal 12,7% del 2022). Rispetto al 2022, le incidenze di povertà sono stabili tra i giovani di 18-34 anni (11,9%) e tra gli over65 (6,2%), che restano la fascia di popolazione a minore disagio economico.

In totale, secondo la Coldiretti sulla base dei dati del Fondo per l’aiuto europeo agli indigenti (Fead), sono 3,1 milioni le persone che in Italia sono costrette a chiedere aiuto per mangiare facendo ricorso alle mense per i poveri o ai pacchi alimentari. L’emergenza riguarda ben 630mila bambini sotto i 15 anni – rileva Coldiretti -, praticamente un quinto del totale degli assistiti, ai quali vanno aggiunti 356 mila anziani sopra i 65 anni.

Per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori si tratta di “dati drammatici e vergognosi, non degni di un Paese civile”. “Un dato che dipende in primo luogo dal caro bollette e dall’inflazione che hanno fatto decollare i prezzi di beni necessari ed essenziali, dalla pasta all’olio, dal riso al latte, rincari contro i quali il Governo Meloni non solo non ha fatto nulla, inventandosi solo la sceneggiata del Trimestre Anti-inflazione, ma ha peggiorato le cose, togliendo gli sconti su luce, gas e carburanti sia alle famiglie che alle imprese”, spiega. Secondo il presidente del Codacons Carlo Rienzi “le misure attuate dal Governo per mitigare gli effetti dell’inflazione, a partire dal paniere salva-spesa, non hanno prodotto gli effetti sperati”. Per questo, i rincari “vanno contrastati con misure efficaci e strutturali e non con provvedimenti spot inadeguati a tutelare le tasche delle famiglie”, conclude Rienzi.

Per quanto riguarda la spesa delle famiglie, il dato cresce in termini correnti del 3,9% rispetto all’anno precedente. In termini reali invece si riduce dell’1,8% per effetto dell’inflazione (+5,9% la variazione su base annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo), senza particolari differenze tra le famiglie più o meno abbienti. L’aumento è stato più accentuato nel Mezzogiorno (+14,3%), dove la spesa è salita da 1.955 a 2.234 euro mensili, e nel Centro (+11,4%), dove è cresciuta da 2.651 a 2.953 euro mensili. Nel Nord, invece, l’incremento è stato del 4,5% (dai 2.837 euro mensili del 2014 ai 2.965 del 2023), ben al di sotto del dato nazionale. Al netto dell’inflazione, nel 2023, la spesa delle famiglie diminuisce in termini reali del 10,5% rispetto al 2014.

Le reti idriche perdono il 42,4% dell’acqua potabile. In Basilicata record negativo

Nel 2022 circa 3,4 miliardi di metri cubi di acqua – pari al 42,4% di quella immessa in rete – è andata persa. E il dato è in crescita rispetto al 42,2% del 2020, “a conferma del persistente stato d’inefficienza” di molte reti di distribuzione. A scattare la fotografia è l’Istat in occasione della Giornata mondiale dell’acqua.  Ma qual è la causa di questo enorme spreco di risorse? Per l’Istituto nazionale di statistica le ragioni vanno ricercate in fattori fisiologici, presenti in tutte le infrastrutture idriche, in quanto non esiste un sistema a perdite zero. E, ancora, a rotture nelle condotte e vetustà degli impianti, prevalente soprattutto in alcune aree del territorio, a fattori amministrativi, dovuti a errori di misura dei contatori, e agli allacci abusivi.

PERSI 157 LITRI PER ABITANTE OGNI GIORNO. “Nonostante negli ultimi anni molti gestori del servizio idrico abbiano avviato iniziative per garantire una maggiore capacità di misurazione dei consumi e il contenimento delle perdite di rete”, spiega l’Istat, la quantità di acqua dispersa in distribuzione “continua a rappresentare un volume considerevole”, quantificabile in 157 litri al giorno per abitante. 

IN BASILICATA LE PERDITE MAGGIORI.  In nove regioni le perdite idriche totali in distribuzione sono superiori al dato nazionale, con i valori più alti in Basilicata (65,5%), Abruzzo (62,5%), Molise (53,9%), Sardegna (52,8%) e Sicilia (51,6%). Di contro, tutte le regioni del Nord hanno un livello di perdite inferiore, con Veneto (42,2%) e Friuli-Venezia Giulia (42,3%) in linea col dato nazionale. Nella provincia autonoma di Bolzano (28,8%), in Emilia-Romagna (29,7%) e Valle d’Aosta (29,8%) si registrano le perdite minori.

Guardando ai capoluoghi regionali, in più di uno su tre si registrano perdite totali in distribuzione superiori al 45%. Le condizioni di massima criticità, con valori pari ad almeno il 65%, sono a Potenza (71,0%), Chieti (70,4%), L’Aquila (68,9%), Latina (67,7%), Cosenza (66,5%), Campobasso (66,4%), Massa (65,3%), Siracusa (65,2%) e Vibo Valentia (65,0%). Una situazione infrastrutturale più favorevole, con perdite inferiori al 25%, si verifica in circa un capoluogo su quattro. Perdite inferiori al 15% si rilevano in sette città: Como (9,2%), Pavia (9,4%), Monza (11,0%), Lecce (12,0%), Pordenone (12,1%), Milano (13,4%) e Macerata (13,9%).

POCA FIDUCIA NELL’ACQUA DEL RUBINETTO. Nel 2023, le famiglie che dichiarano di non fidarsi a bere l’acqua di rubinetto sono il 28,8%. Il dato è stabile rispetto al 2022, anche se riflette una preoccupazione decisamente minore rispetto a 20 anni fa (erano il 40,1% nel 2002). Permangono invece notevoli differenze sul piano territoriale: si passa dal 18,9% nel Nord-est al 53,4% nelle Isole. A livello regionale, le percentuali più alte si riscontrano in Sicilia (56,3%), Sardegna (45,3%), Calabria (41,4%) e Abruzzo (35,1%).

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INFOGRAFICA INTERATTIVA Agricoltura, in Italia oltre 3 mln di ettari coltivati a cereali

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA è illustrato il censimento agricoltura 2020, per quanto riguarda le coltivazioni, diffuso oggi da Istat. Come si vede nel grafico sono state riportate le superfici per principale tipo di coltivazione: in testa ci sono i cereali con oltre 3 milioni di ettari coltivati; seguono foraggere permanenti (prati e pascoli); quelle avvicendate e le coltivazioni legnose agrarie.

Inflazione, cala ricchezza netta famiglie in rapporto a reddito: a livelli del 2005

L’inflazione fa scendere la ricchezza netta delle famiglie italiane indietro di quasi 20 anni. Secondo l’indagine di Istat/Banca d’Italia su ‘La ricchezza dei settori istituzionali in Italia’, alla fine del 2022 la ricchezza netta delle famiglie italiane, misurata come somma delle attività non finanziarie (abitazioni, terreni, ecc.) e delle attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.) al netto delle passività (prestiti a breve termine, a medio e lungo termine, ecc.), è stata pari a 10.421 miliardi di euro (177 mila euro pro capite. Rispetto al 2021, la ricchezza netta nominale è diminuita dell’1,7%, dopo tre anni di crescita, ma in termini reali la riduzione è stata molto più marcata (-12,5%), per via della forte pressione inflazionistica, iniziata nel 2021 e proseguita nel 2022. La ricchezza netta è scesa anche in rapporto al reddito disponibile, da 8,7 a 8,1, raggiungendo il livello del 2005.

In particolare, secondo Istat e Bankitalia, “le attività non finanziarie (6.317 miliardi di euro) sono aumentate del 2,1% a prezzi correnti (+131 miliardi), riflettendo soprattutto la crescita del valore delle abitazioni, che ha riportato l’incremento più elevato dal 2009 (+2,4% pari a +125 miliardi). Ciò è stato determinato in prevalenza dall’aumento dei prezzi medi del patrimonio abitativo a fine 2022, in un contesto di crescita del numero di compravendite registrato sul mercato residenziale negli ultimi anni nonché di riqualificazione degli immobili trainata dai bonus edilizi”. Al contrario, le attività finanziarie (5.135 miliardi) “si sono ridotte del 5,2%, trainate dal calo del valore delle riserve assicurative (-146 miliardi), delle azioni (-101 miliardi) e delle quote di fondi comuni (-94 miliardi)”. Inoltre la crescita dei depositi è sensibilmente diminuita (+15 miliardi, era stata di quasi +80 miliardi nella media del triennio precedente), mentre “per la prima volta dal 2012 hanno ripreso ad aumentare le detenzioni di titoli di debito (+22 miliardi), principalmente emessi dalle amministrazioni pubbliche”.

Le famiglie, nel 2022, hanno anche iniziato a subire l’effetto tassi. Infatti le passività finanziarie sono cresciute del 2,8%, “in particolare per l’incremento dei prestiti (+23 miliardi)”, benché sia stato leggermente inferiore rispetto al 2021 (+28 miliardi). “Gli andamenti negativi dei mercati finanziari hanno determinato una riduzione dei valori delle attività finanziarie, che è stata solo in parte controbilanciata dagli acquisti netti di nuovi strumenti finanziari. Le famiglie hanno riportato perdite in conto capitale, derivanti principalmente dalla svalutazione di riserve assicurative, quote di fondi comuni, azioni e titoli”, prosegue l’indagine.

In un confronto internazionale, “le attività finanziarie hanno largamente contribuito alla riduzione del rapporto, soprattutto nel Regno Unito. In Germania l’impatto negativo delle attività finanziarie è stato controbilanciato dalla crescita delle attività non finanziarie. In Canada, invece, il calo è stato notevole, principalmente per la riduzione delle attività reali. Misurata in rapporto alla popolazione, la ricchezza netta delle famiglie alla fine del 2022 in Italia era pari a 176 mila euro (escluse le scorte), il valore più basso nel confronto internazionale, a eccezione della Spagna, per la quale però l’ultimo dato disponibile si riferisce al 2021. L’indicatore è cresciuto solo per le famiglie tedesche (+5,5%), allargando ulteriormente il divario con quelle italiane”, conclude l’analisi di Istat e Bankitalia.

L’inflazione cala ancora a dicembre: +0,6 su base annua. Carrello della spesa rallenta a +5,3%

Nel mese di dicembre 2023, si stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, aumenti dello 0,2% su base mensile e dello 0,6% su base annua (da +0,7% del mese precedente), confermando la stima preliminare. In media, nel 2023 i prezzi al consumo registrano una crescita del 5,7% (+8,1% nel 2022). Al netto degli energetici e degli alimentari freschi (l’Inflazione di fondo), i prezzi al consumo crescono del 5,1% (+3,8% nell’anno precedente) e al netto dei soli energetici del 5,3% (+4,1% nel 2022).

Il rallentamento su base tendenziale dell’inflazione, spiega Istat, è dovuto per lo più ai prezzi dei beni energetici regolamentati (che accentuano la loro flessione da -34,9% a -41,6%), dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +4,6% a +3,6%) e degli alimentari lavorati (da +5,8% a +4,9%); un sostegno alla dinamica dell’inflazione invece deriva dall’attenuarsi del calo dei prezzi degli energetici non regolamentati (da -22,5% a -21,1%) e dall’accelerazione di quelli degli alimentari non lavorati (da +5,6% a +7,0%).

L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto, per lo più, alla crescita dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+1,4% anche a causa di fattori stagionali), dei beni alimentari non lavorati (+0,7%) e dei beni non durevoli (+0,5%); gli effetti di questi aumenti sono stati solo in parte compensati dalla diminuzione dei prezzi degli energetici, sia regolamentati (-3,2%) sia non regolamentati (-2,1%).

A dicembre, secondo quanto comunica l’Istat, i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona – il cosiddetto ‘carrello della spesa’ – rallentano lievemente su base tendenziale da +5,4% a +5,3%, come anche quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +4,6% a +4,4%).

Complessivamente, nel 2023 i prezzi dei beni energetici non regolamentati aumentano in media d’anno del 7,5% (da +44,7% nel 2022), con una decelerazione della dinamica tendenziale nei quattro i trimestri del 2023, arrivando a -20,4% nell’ultimo trimestre, dal +38,6% del primo. In rallentamento quasi tutte le componenti: i prezzi dell’energia elettrica mercato libero (che frenano da +132,1% a +1,8%), quelli del Gasolio per riscaldamento (da +38,4% a -8,2%), degli altri carburanti (da +33,3% a -11,1%), del gasolio per mezzi di trasporto (da +22,1% a -2,0%), quelli della Benzina (da +11,8% a +1,9%) e quelli dei combustibili solidi (da +12,2% a +11,5%); i prezzi del gas di città e gas naturale mercato libero, prodotto introdotto nel paniere dei prezzi al consumo nel 2022, registrano una variazione in media d’anno nel 2023 pari a +6,7%”.

“Nel 2023 i prezzi dei Beni alimentari accelerano del 9,8% (da +8,8% nel 2022), per effetto principalmente di quelli degli Alimentari lavorati (da +8,5% a +10,9%), nonostante il progressivo rallentamento evidenziato dal secondo trimestre (+12,9%, da +15,2% del primo trimestre, finendo a +6,0% del quarto)”, sottolinea l’istituto di statistica. “Gli alimentari non lavorati, invece, ridimensionano la loro variazione media annua, da +9,1% nel 2022 a +8,1%, grazie alla decelerazione osservata nell’ultimo trimestre (+5,9%, dal +9,1% raggiunto nel terzo trimestre)”.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Commercio, a novembre vendite dettaglio +0,4% mensile e +1,5% su 2022

Nell’infografica interattiva di GEA, l’andamento dell’indice del commercio al dettaglio. L’Istat stima per novembre 2023 una crescita congiunturale dello 0,4% in valore su ottobre. Su base tendenziale, le vendite al dettaglio aumentano dell’1,5% in valore.

Italia quasi in deflazione, ma prezzi su nell’eurozona: il taglio dei tassi della Bce non è vicino

L’Italia è quasi in deflazione, ma l’eurozona no. Per questo il taglio dei tassi da parte della Bce potrebbe non essere così imminente, soprattutto se l’economia non entrerà in una profonda recessione. A frenare sull’allentamento monetario sono anche i dati americani sul lavoro. A dicembre negli Usa il salario orario medio è aumentato dello 0,4% mensile, leggermente sopra le attese che stimavano un +0,3%, e la retribuzione oraria è cresciuta del 4,1% annuale, una percentuale superiore alle previsioni di mercato (3,9%) e al dato di novembre (4%). Lo scorso mese l’economia americana ha poi creato 216mila nuovi posti di lavoro, battendo le stime di +170mila e superando il dato di novembre di 173mila. Il tasso di disoccupazione è sceso a dicembre al 3,7%, stabile rispetto a novembre, e di uno 0,1% sotto le previsioni degli analisti. Numeri che potrebbero spingere la Federal Reserve a mantenere il costo del denaro al 5,5% per un periodo prolungato, visto che l’economia resta robusta.

In Europa invece, oltre a rallentare l’economia come è emerso dagli ultimi indici Pmi relativi alla manifattura e al settore terziario, frena anche il calo dei prezzi. In Francia e Germania il carovita a dicembre ha segnato un +3,7% annuale, percentuale nettamente superiore al +2,9% dell’eurozona, che pure risulta in aumento dal 2,4% di novembre, secondo una stima flash di Eurostat: il tasso annuo più elevato a dicembre è quello dei prodotti alimentari, alcolici e tabacco (6,1%, rispetto al 6,9% di novembre), seguito dai servizi (4,0%, stabile rispetto a novembre), dai beni industriali non energetici (2,5%, rispetto al 2,9% di novembre) e dall’energia (-6,7%, rispetto al -11,5% di novembre). L’inflazione core – che non include i prezzi di energia, cibo, alcol e tabacco – è comunque scesa al 3,4% dal 3,6% di novembre. I dati riferiti a gennaio saranno dunque cruciali per stabilire se la discesa dei prezzi continua o se invece ci sarà un rimbalzo del carovita. E da quelli si intuirà se la Bce taglierà i tassi nel breve periodo o in estate.

Se fosse per l’Italia, la banca centrale dovrebbe già iniziare a ridurre il costo del denaro. A dicembre l’inflazione è “scesa a 0,6% dall’11,6% del dicembre 2022. Nella media 2023 i prezzi al consumo risultano accresciuti del 5,7% rispetto all’anno precedente, in netto rallentamento dall’8,1% del 2022. Tale andamento risente principalmente del venir meno delle tensioni sui prezzi dei Beni energetici (+1,2%, dal +50,9% del 2022)”, sottolinea l’Istat. “I prezzi nel comparto alimentare evidenziano invece un’accelerazione della crescita media annua (+9,8%, da +8,8% del 2022), nonostante l’attenuazione della loro dinamica tendenziale, evidenziata nella seconda metà dell’anno. Nel 2023, la crescita dei prezzi al netto delle componenti volatili (inflazione di fondo) è pari a 5,1% (da +3,8% del 2022). Sulla base delle stime preliminari, il trascinamento dell’inflazione al 2024 è pari a +0,1%”, conclude l’istituto di statistica.

A livello globale, intanto, l’Indice Fao dei prezzi alimentari è sceso a 118,5 lo scorso mese, il più basso da febbraio 2021, da un 120,3 rivisto al ribasso di novembre. Il costo degli oli vegetali è sceso dell’1,4% per il calo dei prezzi degli oli di palma, soia, colza e girasole. Lo zucchero è crollato del 16,6% al livello più basso in nove mesi, spinto dalla forte produzione in Brasile. Inoltre, i prezzi della carne sono scesi dell’1% al livello più basso da maggio 2021, poiché quelli della carne suina sono diminuiti causa la persistente debolezza della domanda di importazioni dall’Asia. D’altro canto, il costo dei cereali è aumentato dell’1,5% poiché i prezzi all’esportazione del grano sono aumentati per la prima volta in cinque mesi, sostenuti da interruzioni logistiche legate alle condizioni meteorologiche e dalle tensioni nel Mar Nero. Inoltre, i prezzi dei prodotti lattiero-caseari sono saliti dell’1,6% a causa delle quotazioni più elevate del burro, del latte intero in polvere e del formaggio. Considerando l’intero 2023, l’indice dei prezzi alimentari è sceso del 13,7%.

Inflazione, Urso: “Italia al minimo in Ue grazie a carrello tricolore”. Ira opposizioni

L’Eurostat comunica che a dicembre l’inflazione in Italia è scesa ancora allo 0,5%, mentre in Ue è cresciuta al 2,9%, con Francia al 4,1%, Germania al 3,8% e Spagna al 3,3%. “Un’ottima notizia per le famiglie italiane“, festeggia il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che rivendica il “pieno successo” del ‘carrello tricolore’. “Smentiti i profeti di sventura!”, chiosa su X.

Di “profeti di sventura” smentiti parla anche il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti: “La sinistra anti-Meloni e che gioca contro l’Italia cambi disco perché quello che da un anno manda in onda è rotto“, ironizza.

Una lettura che scatena le ire delle opposizioni. Daniela Torto, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Bilancio della Camera, giudica le parole di Urso “abominevoli“: “Dire che il merito del calo dell’inflazione italiana sia da ascrivere al ‘carrello tricolore’ è una pagliacciata di proporzioni mai viste”, tuona. Per l’esponente pentastellata il calo dell’inflazione di deve solo alla discesa dei prezzi dei beni energetici. “Purtroppo ad aumentare in modo clamoroso sono i prezzi dei beni alimentari non lavorati, ovvero carne fresca, frutta fresca, pesce fresco, la cui dinamica a dicembre è passata dal +5,6 al +7%, secondo quanto riportato da Istat“, evidenzia, additando il ‘Carrello Tricolore’ come una “buffonata di centrodestra“.

Di “parodia” parla Stefano Patuanelli, presidente dei senatori del M5S, per cui il trimestre salva-spesa è stato una delle “tante misure spot del Governo Meloni, bellissime sul piano comunicativo ma decisamente inutili sul piano dell’economia reale“. Un “fallimento totale – accusa -, ma annunciato e rivendicato dal Governo come un provvedimento che ha fatto scendere l’inflazione“.

Si chiede “dove vivano e quali negozi frequentino” il ministro Urso, gli altri esponenti del Governo e della destra che “esultano per dati Istat che confermano il salasso subito dalle famiglie italiane” la deputata del Pd Debora Serracchiani.Uno zero-virgola in meno di inflazione viene spacciato come un successo mentre l’esperienza quotidiana delle persone è fatta di prezzi che aumentano, di rinunce e di sacrifici“, scandisce. Fa riferimento a beni di consumo essenziali, come i trasporti o gli alimentari, “contro cui è stato ininfluente il ‘carrello tricolore’ della Meloni. C’è una questione sociale ed economica – sostiene – che va affrontata“.