Accelera la corsa alla sovranità su metalli e terre rare: ora si punta sul riciclo

Rame, cobalto, nichel, litio: i metalli essenziali per la transizione energetica sono sempre più richiesti e, si spera, anche sempre più riciclati. Dal Perù alla Francia, passando per gli Stati Uniti, la sovranità sull’accesso a questi materiali sta scatenando il panico in tutto il mondo, a causa dell’egemonia della Cina sia sulle forniture sia sulla loro lavorazione. “Tra il 35% e il 70% della capacità di raffinazione è nelle mani della Cina”, scrive l’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi nel suo recente rapporto sulla competitività, delineando possibili modi per ottenere una maggiore sovranità.

A metà maggio, l’Agenzia internazionale per l’energia (AIE) ha avvertito del rischio di tensioni sulle forniture, o addirittura di possibili carenze di rame o litio, essenziali per la diffusione di tecnologie a basse emissioni di carbonio come le auto elettriche e le turbine eoliche. Il motivo principale è che il calo dei prezzi di litio, nichel e cobalto potrebbe frenare gli investimenti minerari necessari.

Durante la conferenza annuale delle Nazioni Unite sul clima (COP29), che si aprirà lunedì in Azerbaigian, l’International Council on Mining and Metals (ICMM) ha programmato non meno di sei diverse presentazioni sul rilancio dell’industria mineraria. Un settore che “sta affrontando un vero e proprio problema di finanziamento”, spiega Moez Ajmi, specialista di energia per l’Europa presso la società di consulenza EY. Il fabbisogno è enorme: in una miniera tradizionale si ottengono in media solo 3 grammi di rame per tonnellata di terra scavata nella Repubblica democratica del Congo, e 0,5 grammi per tonnellata in Cile, sottolinea Christian Mion, responsabile dell’estrazione mineraria di EY.

Eppure tutti i governi stanno incoraggiando l’attività estrattiva: gli Stati Uniti, con la loro legge Inflation Reduction Act, stanno cercando di assicurarsi le forniture di metalli critici, e anche l’Europa ha varato una legge ad hoc, che entrerà in vigore quest’anno. E anche il nostro Paese sta lavorando a un ‘censimento’ dei siti estrattivi per riaprire le miniere. L’Arabia Saudita ha stanziato 500 milioni di dollari per creare il suo catasto minerario.

Solo un anno fa, il gigante petrolifero ExxonMobil ha annunciato l’intenzione di diventare il principale produttore di litio degli Stati Uniti, utilizzando le sue tecniche di estrazione di petrolio e gas per sfruttare una vena sotterranea di salamoia di litio in Arkansas.
Ma a causa della notevole quantità di investimenti in attrezzature, stipendi e trasporti, e dei decenni necessari per portare a termine i progetti, si stanno valutando altre soluzioni. “Per me la soluzione più realistica è il riciclo”, afferma Ajmi.

Secondo Draghi, la circolarità dei metalli da sola potrebbe soddisfare il 50% della domanda globale. E per Ajmi, l’industria del riciclo potrebbe rappresentare il 10-15% del Pil dei Paesi sviluppati nei prossimi quindici anni, “a condizione che le banche e i governi sostengano i progetti”. Ma serve anche che si sviluppino ecosistemi che riuniscano piani di formazione, ricerca e investitori, come ha fatto la Francia negli anni ’60 nei settori del petrolio e del nucleare, quando ha creato l’istituto di ricerca IFP Energies nouvelles, ad esempio.

In un recente articolo intitolato ‘Batteries, the mineral loop’, il think-tank americano specializzato RMI stima addirittura che il picco dell’estrazione dei minerali strategici utilizzati nelle batterie dovrebbe verificarsi a metà degli anni 2030. Con il miglioramento delle tecniche di ricico e l’allungamento della vita delle batterie, la domanda di minerali vergini potrebbe essere pari a zero entro il 2040, sottolinea RMI. La cosiddetta miniera “urbana” del riciclaggio potrebbe allora essere sufficiente a soddisfare le esigenze del mercato delle batterie elettriche. Il mondo non avrebbe più bisogno di scavare.

Green ma non troppo: ecco come la transizione energetica mette a rischio uccelli e pesci

Oltre 4600 specie di vertebrati sono minacciate dall’estrazione di minerali in tutto il mondo attraverso le miniere e le cave e dalle trivellazioni per la ricerca di petrolio e gas. L’attività mineraria coincide con gli hotspot di biodiversità più preziosi al mondo, che contengono un’iper-diversità di specie e habitat unici che non si trovano in nessun altro luogo della Terra. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Current Biology.

Il rischio maggiore per le specie deriva dall’estrazione di materiali fondamentali per la nostra transizione verso l’energia pulita, come il litio e il cobalto, entrambi componenti essenziali dei pannelli solari, delle turbine eoliche e delle auto elettriche. Anche l’estrazione del calcare, richiesto in grandi quantità per il cemento come materiale da costruzione, mette a rischio molte specie.

La minaccia per la natura non si limita ai luoghi fisici delle miniere: anche le specie che vivono a grande distanza possono subire un impatto, ad esempio a causa dell’inquinamento dei corsi d’acqua o della deforestazione per la costruzione di nuove strade di accesso e infrastrutture. Secondo i ricercatori, i governi e l’industria mineraria dovrebbero concentrarsi sulla riduzione dell’inquinamento provocato dalle miniere come “vittoria facile” per limitare la perdita di biodiversità associata all’estrazione mineraria. La ricerca è la più completa valutazione globale della minaccia alla biodiversità derivante dall’estrazione mineraria mai realizzata.

“Non saremo in grado di fornire l’energia pulita di cui abbiamo bisogno per ridurre il nostro impatto sul clima senza estrarre i materiali che ci servono e questo crea un problema perché stiamo estraendo in luoghi che spesso hanno livelli molto elevati di biodiversità”, spiega David Edwards del Dipartimento di Scienze Vegetali e dell’Istituto di Ricerca sulla Conservazione dell’Università di Cambridge, autore senior del rapporto. I pesci, dice, sono tra le specie più a rischio (2.053 specie), seguiti da rettili, anfibi, uccelli e mammiferi. In particolare, le specie che vivono in habitat d’acqua dolce e quelle con un areale ridotto sono particolarmente a rischio. Il geco dalle zampe ricurve, ad esempio, è minacciato dall’estrazione del calcare in Malesia: esiste solo su un’unica catena montuosa che l’attività estrattiva prevista distruggerà completamente.

Per condurre lo studio, i ricercatori hanno utilizzato i dati dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) per vedere quali specie di vertebrati sono minacciate dalle attività estrattive. Mappando la posizione di queste specie, hanno potuto indagare sui tipi di estrazione mineraria che mettono a rischio le specie e vedere dove sono particolarmente elevati.

L’estrazione mineraria minaccia le popolazioni di specie vertebrate in tutti i tropici, con punti caldi nelle Ande, nell’Africa occidentale e centrale costiera e nel Sud-est asiatico, che coincidono con un’alta densità di miniere. Ad esempio, l’estrazione artigianale di oro su piccola scala in Ghana minaccia importanti aree ornitologiche a causa dell’inquinamento ambientale da mercurio.

La domanda globale di minerali metallici, combustibili fossili e materiali da costruzione è in forte crescita e le attività estrattive si stanno espandendo rapidamente per soddisfare questa domanda. Nel 2022 il fatturato dell’industria nel suo complesso è stato stimato in 943 miliardi di dollari.

Lo studio si è concentrato solo sulle specie vertebrate, ma i ricercatori affermano che l’attività estrattiva può rappresentare un rischio sostanziale anche per le piante e gli invertebrati.

Materie critiche, arriva hub per il riciclo. Urso: “Dl convertito prima della pausa estiva”

Da qui al 2040 il riciclo delle materie prime critiche darà un fortissimo slancio per il fabbisogno del Paese. Ma serviranno gli impianti giusti. Per questo, Iren lancia ‘RigeneRare‘, il nuovo Hub per il recupero di metalli preziosi. Lo presenta alla Camera dei Deputati per dare impulso a un settore che sarà strategico per i prossimi decenni.

L’autonomia strategica è “fondamentale” per l’Europa, sottolinea il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. E’ qualcosa che ha a che fare anche con la libertà e l’indipendenza del Vecchio continente: “La dipendenza dall’estero sulle materie prime critiche è dura, ce lo ha dimostrato il caso della Russia“, ricorda, garantendo che non si finirà “dalla padella alla brace“.

Ovvero, dalla dipendenza al carbon fossile, alle fonti energetiche fossili, gas, petrolio e ad una dipendenza “ancora maggiore e più grave” nei confronti della Cina o comunque di altri attori internazionali. Per questo, insiste il ministro, è “importante che l’Europa si muova in maniera coesa e unita nel raggiungere via via una maggiore autonomia sulle materie prime critiche, sulla lavorazione e certamente anche sul riciclo“.

Il fabbisogno di materie prime critiche strategiche in Italia crescerà. Prevedibilmente, entro il 2040, tra le 5 e le 11 volte in funzione del grado di specializzazione produttiva. Una fornitura sicura e stabile è essenziale per il raggiungimento degli obiettivi al 2030 della transizione energetica.

Il Parlamento ha all’esame un decreto legge in materia che “sarà convertito entro i primi giorni di agosto, prima della pausa estiva“, fa sapere Urso. Nel provvedimento, viene indirizzato parte del fondo strategico sul Made in Italy alla filiera e all’approvvigionamento delle materie prime critiche da realizzarsi anche in paesi terzi, “tra questi in molti casi sono proprio paesi africani e quindi in sintonia anche col Piano Mattei“, scandisce il ministro.

Il tema inizia a essere costante nel dibattito pubblico, “anche grazie all’interesse che il Governo ha riservato al tema in questi mesi”, rileva Luca Dal Fabbro, presidente esecutivo del Gruppo Iren. A maggio 2023 il gruppo ha promosso un primo studio sulle potenzialità di questo tema nell’ambito dell’economia circolare mentre, nelle scorse settimane, ha seguito l’iter del Decreto. “Come operatore leader nell’economia circolare intendiamo proporci come apripista di una filiera che va costruita e implementata: è per questo che, insieme ad altre associazioni, ci siamo fatti promotori di questo hub“, spiega Dal Fabbro.

RigeneRare nasce quindi per aggregare competenze e visioni delle imprese e istituzioni per supportare la duplice transizione verde e digitale, oltre alla competitività delle aziende e agli interessi nazionali in settori quali quelli dell’energia, della difesa e dell’aerospazio. Per Dal Fabbro una delle leve su cui agire per diversificare è proprio il riciclo, che “permette di superare le difficoltà legate alla ripresa dell’attività estrattiva, e nello stesso tempo necessita investimenti minori e porta benefici ambientali ed economici”.

Ad oggi, la filiera impiantistica nazionale è ancora poco sviluppata, con un contributo del riciclo al soddisfacimento della domanda molto basso. La piattaforma vuole raccogliere e organizzare dati sulla filiera, promuovendo l’integrazione tra gli attori coinvolti. L’obiettivo è sviluppare una solida filiera nazionale per il riciclo, promuovendo la collaborazione tra mondo accademico e industriale, per garantire una sostenibilità a lungo termine attraverso partnership tra operatori dell’industria del recupero e industrie utilizzatrici di materie prime seconde.

Nello specifico, attivando un tavolo permanente sul riciclo delle materie prime critiche e dei metalli preziosi, RigeneRare si concentrerà sul monitoraggio della filiera in Italia, sull’identificazione delle criticità e sull’implementazione di azioni ed iniziative di sviluppo dei processi industriali, nonché sulla promozione delle migliori pratiche e dei nuovi modelli imprenditoriali.

Inoltre, saranno condotti studi, anche in collaborazione con think tank, università e centri di ricerca, per analizzare il potenziale dell’economia circolare e il fabbisogno impiantistico correlato, e si promuoverà il dialogo con le istituzioni per portare all’attenzione temi di interesse e monitorare le fasi di proposta, definizione e approvazione di nuove normative e policy di interesse per il settore: i risultati degli studi saranno resi pubblici attraverso un Rapporto Strategico Annuale e saranno presentati in occasione di eventi istituzionali.

Infine, verranno organizzate attività di networking per favorire partnership industriali e progetti strategici. Le attività sviluppate dall’hub seguiranno l’indirizzo strategico di un Comitato Direttivo, composto dai rappresentanti dei soggetti promotori, supportato da un Advisory Board formato da personalità accademiche ed istituzionali. Le attività operative verranno sviluppate attraverso l’istituzione di appositi gruppi di lavoro costituiti dai referenti tecnici indicati dagli aderenti.

Il governo rilancia settore minerario italiano e space economy. Urso: “Più autonomia”

Dal sottosuolo al cielo, per avere più autonomia e non restare indietro nella corsa allo spazio. Questo è l’obiettivo del decreto legge e del disegno di legge licenziati in Consiglio dei ministri, “due provvedimenti fondamentali per lo sviluppo e l’indipendenza del nostro sistema produttivo”, rivendica il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.

Il dl sulle materie critiche rilancia il settore minerario ed è anche un passo in direzione dell’Europa, per consentire non solo al Paese ma a tutto il Continente di “vincere la sfida della duplice transizione”, spiega. Il regolamento europeo individua 34 materie prime critiche fondamentali e, dalle vecchie mappe, in Italia ne sono già state individuate 15 “particolarmente importanti e significative”.

Viene quindi avviato un Programma nazionale di esplorazione, vengono semplificate le procedure autorizzative e rafforzato il Fondo Nazionale del Made in Italy. Infine, il decreto si pone l’obiettivo di elaborare sistemi di monitoraggio in caso di perturbazioni dell’approvvigionamento.

Oggi in Europa è importante “puntare ad essere anche un Paese estrattore” di materie prime critiche, sottolinea l’inquilino di Palazzo Piacentini: “Non possiamo diventare dipendenti dall’estero, altrimenti cadremmo dalla padella alla brace, dalla dipendenza dal fossile russo che abbiamo tanto pagato e che pagano purtroppo gli ucraini con la loro vita, alla dipendenza dalla tecnologia e delle materie prime critiche lavorate in altri continenti e poi importate in Europa”.

Nella carta nazionale, ci sono anche miniere chiuse, alcune per esaurimento, dove ci sono solo i materiali di risulta che, viste le condizioni attuali dei prezzi, “possono essere convenienti”, evidenzia il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto. Al momento nel Paese ci sono anche dei grandi giacimenti, “si tratterà di verificare le condizioni di detraibilità, che sono da valutare caso per caso”, precisa il responsabile del Mase, portando l’esempio del cobalto presente in buona quantità al confine tra Piemonte e Liguria.

Sulla pericolosità delle estrazioni, Urso tranquillizza: “Rispetto a 30-40 anni fa la tecnologia è del tutto cambiata. Oggi esistono dei programmi e progetti spaziali, attraverso satelliti o droni, che sono in grado di analizzare il suolo per centinaia di metri senza bucare. Questo vale anche per la tecnologia estrattiva”.

Il servizio geologico dell’Ispra si occuperà di portare avanti il programma di esplorazione, che include “mappatura dei minerali, campagne geochimiche, indagini geoscientifiche, elaborazione dei dati”. “Al momento il finanziamento, e che riguarda Ispra, è di 3,5 milioni: è la copertura nell’immediato, poi in sede di legge di Bilancio si vedranno le necessità, perché si tratta dell’aggiornamento della Carta mineraria”, scandisce Pichetto.

La misura consentirà di accorciare i tempi delle autorizzazioni: “Oggi la media per l’attività estrattiva in Europa è 9-12 anni. In Cina è 3 mesi. Questo regolamento ci renderà competitivi con altri grandi attori”, fa sapere il ministro.

Con le materie prime critiche, il Cdm ha dato il via libera anche al ddl sulla Space Economy, per consentire alle imprese di “essere protagoniste nella colonizzazione dello spazio”, scandisce Urso. Un settore per il quale, nel complesso, sono stati collocati 7 miliardi e 300 milioni di euro tra fondi Pnrr, fondi nazionali, fondi attribuiti all’agenzia spaziale europea e all’Agenzia spaziale italiana da qui al 2026. Con la legge quadro sullo spazio l’Italia dà, prima in Europa, un quadro normativo che consentirà al paese e alle nostre imprese di diventare “protagonisti in questa nuova avventura”.

Il disegno di legge, per il Mimit, “pone l’Italia all’avanguardia tra i grandi player globali e anticipa le intenzioni dell’Unione europea in merito a un regolamento per il settore”. Il provvedimento, collegato alla legge di bilancio, colma un vuoto nell’ordinamento. Frutto di mesi di concertazione con i principali attori pubblici e privati del settore, il ddl regolamenta l’accesso allo spazio da parte dei privati. Viene prevista la necessità di un’autorizzazione sia per gli operatori stranieri che intendono condurre attività spaziali dal territorio italiano, sia per quelli nazionali che operano da un territorio estero.

Oltre allo spazio, a settembre arriverà la legge quadro sulla Blu economy, prevista nell’ultima Manovra. “Quindi da una parte lo spazio dall’altro il mare, settori in cui l’Italia da sempre riesce a svolgere un ruolo di traino un ruolo protagonista”.

Dal nichel al litio: continua caduta prezzi dei metalli preferiti per l’auto elettrica

Litio al livello più basso degli ultimi due anni, cobalto al punto più basso in quattro anni, nichel al minimo da tre anni, così come il rame. I metalli e le materie prime necessarie per le auto elettriche, segnalate in alcuni casi come carenti nel futuro, in realtà stanno inanellando ribassi su ribassi nei mercati.

L’aumento dell’offerta, principalmente guidato dalla riapertura delle economie in Cina e Australia, ha innescato un flusso di nuove forniture sul mercato. Tuttavia, questa crescita dell’offerta non è stata accompagnata da una domanda proporzionalmente robusta, a causa di una serie di fattori economici globali, tra cui la crescita economica più lenta del previsto nella stessa Cina e una domanda inferiore alle attese di auto elettriche, nonché l’aumento dei tassi di interesse. Questi fattori hanno creato un surplus di metalli per batterie sul mercato, portando a una diminuzione dei prezzi.

Secondo i dati di Benchmark Mineral Intelligence, quest’anno il prezzo del carbonato di litio, una materia prima utilizzata nelle batterie, è sceso del 70%, quello del cobalto del 25%, mentre il nichel ha perso oltre il 40% al London Metal Exchange.

Per Fastmarkets, nel 2023 sono state aperte più di 20 miniere di litio. I minatori stanno inoltre espandendo la produzione con un obiettivo di lungo termine perché le nuove miniere impiegano in media dai 10 ai 15 anni per entrare in funzione. “Pre-Covid c’erano problemi di approvvigionamento”, ha affermato Kwasi Ampofo, responsabile dei metalli e dell’estrazione mineraria presso Bloomberg NEF al Wall Street Journal. I produttori in Cina e Australia hanno aumentato le loro forniture con la riapertura delle economie, ma la domanda non ha tenuto il passo. “Non siamo usciti dal Covid col botto come previsto”, ha aggiunto. E si prevede che l’offerta di tutti e tre i metalli per batterie supererà la domanda nel prossimo anno. “Le prospettive sono piuttosto ribassiste”, ha aggiunto Ampofo.

Uno dei fattori chiave del crollo del nichel è stata l’impennata dell’offerta dall’Indonesia, da quando il governo ha imposto un divieto permanente sulle esportazioni di minerale di nichel nel gennaio 2020, nel tentativo di attirare investitori stranieri, incoraggiare la lavorazione interna e l’ulteriore utilizzo a valle delle sue materie prime. Il divieto ha indotto gli investitori stranieri, soprattutto dalla Cina, a costruire fonderie locali e ha contribuito ad aumentare il valore delle esportazioni indonesiane. Così la produzione indonesiana di nichel è cresciuta di oltre due volte e mezzo in soli tre anni. Ciò ha già costretto diverse miniere a chiudere, ad esempio in Australia, interessando colossi come il gruppo Bhp o Glencore.

La riduzione dei margini potrebbe portare anche a una riduzione degli investimenti in nuove fonti di materie prime, complicando ulteriormente la catena di approvvigionamento a lungo termine. C’è però ovviamente un aspetto positivo. Si prevede che i prezzi delle batterie scenderanno ulteriormente nel 2024, a 133 dollari per kilowattora, dopo essere scesi a 139 dollari per kWh lo scorso anno da 161 dollari per kWh nel 2022, secondo Bloomberg NEF. Livelli nettamente inferiori ai 780 dollari per kWh di dieci anni fa.

Batteria ‘litio-aria’: sarà il futuro della mobilità elettrica?

Lo ha detto anche il Papa a febbraio durante il suo ultimo viaggio in Africa (“Giù le mani dal Congo”) per denunciare lo sfruttamento minerario nel paese. In condizioni umanitarie e ambientali critiche si estrae di tutto: in particolare cobalto, ingrediente fondamentale delle batterie al litio. E così anche il sogno di una mobilità elettrica e sostenibile in Europa finisce per passare da strade molto poco ‘green’. Dalla Repubblica democratica del Congo provengono oltre due terzi del cobalto mondiale, e oltre il 70% viene spedito in Cina per essere lavorato. Inquinamento delle falde acquifere a monte, consumo di idrocarburi a valle.

Ora, se esiste una soluzione, è forse da cercare in un difficile processo di regolamentazione. Ma anche intervenire sulla domanda rappresenterebbe una buona leva. In altre parole: se vogliamo batterie sostenibili da produrre e da smaltire (per automobili, ma non solo), dovremo dire addio a componenti come nichel e cobalto.

Su questo punto siamo indietro, va detto. Ma sempre meno. Uno studio, curato da un gruppo di ricerca internazionale di cui fa parte l’università di Pisa, ha appena individuato a livello ingegneristico e chimico i punti deboli di una delle potenziali alternative alla classica batteria agli ioni di litio: la batteria ‘litio-aria’.

Le litio-aria sono batterie che sfruttano l’ossigeno come elettrodo positivo abbinato a un elettrodo negativo metallico, ed evitano quindi l’impiego di nichel e cobalto. Non sono una novità in sé. Si studiano da tempo, in particolare da quanto, 10 anni fa, la tecnologia è diventata interessante grazie all’individuazione di catalizzatori detti ‘mediatori redox’, rivoluzionando lo scenario. Hanno però un difetto che le esclude ancora dal mercato: la fase di ricarica è infatti troppo lenta.

Da cosa è causata questa inefficienza? È il tema della ricerca pubblicata su ‘Nature Chemistry’ a cui hanno partecipato per l’università di Pisa Marco Lagnoni e Antonio Bertei, rispettivamente ricercatore e professore in ingegneria chimica. In un lavoro durato 3 anni, hanno sviluppato modelli numerici per prevedere le prestazioni energetiche degli elettrodi e simulare il processo di ricarica con mediatori redox.

In particolare i ricercatori hanno osservato che anche per i catalizzatori delle batterie litio-aria la velocità di ricarica è determinata dal potenziale elettrico. “Significa che, per poterli migliorare, è necessario che facciano un percorso reattivo diverso da quello pensato fino ad ora” spiega Antonio Bertei. Inoltre, la ricerca ha evidenziato gli altri fenomeni – oltre al processo chimico all’interno della batteria – che ne rallentano l’efficienza. E che sono quindi da affrontare: “In una visione d’insieme – continua Bertei – dobbiamo considerare, ad esempio, il processo di trasporto della carica elettrica, oppure il trasporto di specie chimiche fra cui l’ossigeno (disciolto in un liquido), tutti fenomeni ugualmente importanti”.

I risultati permetteranno di indirizzare la ricerca verso la creazione di nuove classi di mediatori redox e l’impiego di materiali diversi da quelli utilizzati finora. Non significa che siamo al traguardo (“Non credo che nei prossimi dieci anni vedremo già un prototipo commerciale di batteria litio-aria”, ha precisato Antonio Bertei), ma è un passo importante verso un futuro meno bisognoso di materiali critici per la mobilità elettrica. Anche – perché no – riuscendo a evitare lo stesso litio, altro materiale che porta con sé effetti indesiderati per l’ambiente: “I nostri risultati – conclude Bertei – si applicano a tutte le batterie metallo-aria, dove al posto del litio può essere impiegato il ferro o altri elementi più reperibili”.