Musi (ad Landi Renzo): “Dal 2035 non solo auto elettriche ma spazio anche a idrogeno e biometano”

Dal 2035, in base al voto dell’Europarlamento, non si potranno più vendere auto a combustione. Tutti parlano dell’elettrico però in teoria c’è spazio per i veicoli ad idrogeno. Cristiano Musi è amministratore delegato di Landi Renzo, una società presente in oltre 50 Paesi, una eccellenza italiana nei settori della mobilità sostenibile e delle infrastrutture per il gas naturale, biometano e appunto idrogeno.

Dottor Musi, come vede questa svolta?

“C’è un tema di fondo, ovvero è necessario rendere il nostro pianeta più sostenibile, quindi bisogna ridurre gli agenti inquinanti e decarbonizzare, soprattutto pensando alle generazioni future. Questo obiettivo però si può perseguire in diversi modi, io ritengo che il modo migliore per ottenere risultati veri, in una logica di neutralità tecnologica, sia affrontare pro e contro delle diverse strade e tecnologie, senza farsi guidare da una ideologia. E su questo serve uno sforzo globale. Noi abbiamo la fortuna di essere un operatore internazionale attivo lungo tutta la catena del valore della transizione energetica, dal business infrastrutturale a quello dell’automotive, e questo ci permette di avere una visione ad ampio spettro. Ritengo sia necessario sfatare un messaggio che è passato,: non è vero che si potranno vendere solo auto a batteria, perché il fuel cell electric vehicle è elettrico quanto uno a batteria”.

Che differenza c’è tra elettrico a batteria e fuel cell electric vehicle?

“La differenza è che nel Bev a motore elettrico l’energia viene stoccata a bordo veicolo nella batteria, mentre in un fuel cell electric vehicle l’energia elettrica viene generata a bordo veicolo. Stoccato nella bombola, l’idrogeno viene mixato all’interno della fuel cell con l’ossigeno che il veicolo prende dall’aria esterna, tramite un processo chimico di elettrolisi inversa che genera energia elettrica che alimenta un motore elettrico e vapore. Si potranno quindi vendere fuel cell electric vehicle. Secondo noi c’è spazio per entrambe le tecnologie e infatti i carmaker, i produttori, le stanno studiando entrambe, dipenderà poi tipo dal tipo di applicazione. Il veicolo a batteria è pesante, con lunghi tempi di ricarica, senza contare il tema dello smaltimento della batteria. Tutte tematiche che si presentano con un fuel cell electric vehicle”.

In Europa però si parla poco di metano o idrogeno per le auto. Visto che fatturate oltre l’80% all’estero, com’è la posizione nel resto del mondo?

“In Cina nel segmento trasporto pesante e nei bus, idrogeno e gas naturale hanno un ruolo sempre più importante. In India il governo ha deciso di puntare su gas naturale e biometano e ora sull’idrogeno. E poi c’è l’esempio Usa dove si ragiona in termini di neutralità tecnologica e viene fatta una valutazione sulle emissioni, per cui il biometano viene considerato addirittura carbon negative. Anche l’IRA di Biden prevede grandi investimenti nella decarbonizzazione. Però la fonte energetica viene sussidiata sulla base della riduzione di emissioni, quindi anche l’idrogeno blu prodotto attraverso la carbon capture dal metano”.

State tornando a casa da Egyps 2023, la fiera più importante del bacino mediterraneo dedicata alle fonti di energia sostenibili ed ai carburanti per trazione. Che aria avete respirato?

“C’è una grande attenzione per il biofuel soprattutto per il segmento dei veicoli commerciali o bus. Proprio l’Egitto è un Paese che ha puntato molto su gas naturale ma ha anche l’aspirazione di essere hub di produzione idrogeno: è ricco di gas naturale e sta studiando la carbon capture dall’idrogeno blu. Inoltre, vista l’importante esposizione solare del Paese, è naturale pensare di produrre energia elettrica dal solare e utilizzarla per arrivare all’idrogeno verde”.

L’idrogeno può essere una alternativa concreta all’elettrico? Che costi ha?

“Ad oggi è ancora caro, ma lo stesso vale anche per i veicoli a batteria rispetto a quelli a benzina o diesel. E’ chiaro che le fonti energetiche convenienti sono quelle fossili. Noi lavoriamo sull’idrogeno dal 2007 con Hyundai e Gm a livello americano, in Europa se ne parla molto dal 2019-2020. Oggi vediamo centinaia di miliardi di dollari di investimento a livello globale per la produzione di idrogeno, il che porterà a una riduzione dei costi”.

C’è una data prevista per un idrogeno conveniente?

“E’ sempre difficile dare delle date però è previsto che l’idrogeno arrivi intorno al 2027 a 1,5 al kg, prezzo che può essere più conveniente del diesel”.

C’è un tema infrastrutture importante legato all’elettrificazione. Colonnine, batterie, etc… Con l’idrogeno sarebbe più facile la transizione?

“Assolutamente. Basta che la stazione di rifornimento a benzina, diesel e gas naturale/biometano aggiunga un sistema di compressione idrogeno”.

Sicurezza e tempi di rifornimento dell’idrogeno?

“Servono 3 minuti per rifornire un veicolo per 700 km, mentre la sicurezza è uguale a mezzi a benzina, diesel o gas, sia per il rifornimento che per eventuali incidenti”.

La Ue comunque è disposta ad aprire ai biocarburanti, se ne riparlerà nei prossimi anni. Che spazio c’è per il biometano?

“Quello che crediamo è che la mobilità del passato dipendeva da benzina e diesel. La mobilità del futuro, anche per arrivare a ridurre le emissioni, dovrà invece dipendere da diverse fonti energetiche, utilizzabili in base agli usi… La city car a batteria ha assolutamente senso. Ma in altri ambiti, biocarburanti o idrogeno devono avere spazio. C’è spazio per tutti, sempre nell’ottica di arrivare a zero emissioni. Bisogna essere pratici. L’Europa nell’ultimo anno ha dibattuto sul tema del gas, però la siccità ha mandato in crisi le centrali idroelettriche. Ragionare in termini di neutralità tecnologica è secondo noi la via da perseguire”.

Olbia va a 30 km all’ora ed è un esempio per le altre città italiane

Milano punta a diventare tutta, o più probabilmente solo in buona parte, città a 30 km/h a partire dal 2024. Ma in Italia c’è già chi ha scelto di moderare la velocità dei veicoli, per tutelare la popolazione e ridurre l’inquinamento atmosferico. Ed è Olbia. Qui infatti il limite massimo di velocità è in vigore già dal 1° giugno 2021. “Si tratta della prima città italiana ad aver fatto questo importante passo, particolarmente coraggioso e inizialmente contestato dai cittadini, come spesso accade quando si attuano grandi cambiamenti nelle abitudini radicate”, dicono dal Comune sardo. E a un anno e mezzo dall’adozione della norma nella città sarda, sono diverse le realtà italiane che annunciano il provvedimento: Bologna a partire da giugno dell’anno prossimo, ad esempio, ma anche Milano e Parma entro il 2024.

La delibera di giunta di Olbia è la n. 83 del 2021 e impone che nelle strade comunali, in città e nelle frazioni, il limite massimo di velocità sia di 30 chilometri orari. “La disposizione ha il duplice obiettivo di aumentare la sicurezza per le persone e di consolidare un nuovo concetto di mobilità urbana sempre più ecosostenibile e ci fa piacere che adesso altre città italiane ci abbiano preso come esempio.afferma il sindaco Settimo Nizzi –. La nostra è stata una scelta allineata ad altre realtà importanti a livello europeo. Un altro passo avanti per rendere la nostra città sempre più bella, fruibile e a dimensione di cittadino”.

L’amministrazione olbiese si è mossa dunque in linea con altre città europee, consapevole che il futuro non può prescindere da una mobilità sempre più attiva e sostenibile. A un anno e mezzo dal provvedimento, Nizzi conferma che i risultati sono quelli sperati: “Per il primo anno abbiamo accompagnato i nostri cittadini affinché si abituassero al cambiamento, lasciando da parte le sanzioni. Dopo le contestazioni iniziali, la situazione si è capovolta. Adesso sono le persone a chiamarci per sollecitare controlli e interventi per chi non rispetta la norma. Finora sono poche decine i casi di automobilisti fermati e puniti dopo la rilevazione del telelaser”. Insomma, la popolazione sta capendo quanto sia importante rallentare la circolazione “e questo ci dimostra che quella che abbiamo cominciato a percorrere sia la strada giusta”. La scelta, spiega il primo cittadino, “non è stata fatta soltanto per garantire una maggior sicurezza sulle strade e ridurre gli incidenti, ma ha significato innescare un circolo virtuoso di miglioramento degli spazi comuni, ponendo sempre l’essere umano al centro del focus consapevoli che non sono soltanto le infrastrutture, che pur ci vogliono, a modificare le abitudini”.

Insomma, se le auto rallentano, le biciclette si usano più volentieri, i pedoni sono più liberi, i bambini si muovono in autonomia e sono tanti i vantaggi anche per gli esercizi commerciali. “Senza dimenticare – ricorda Nizzi – che c’è un costante miglioramento della qualità della vita, anche per la riduzione dell’inquinamento da gas di scarico ed acustico”. Sul fronte delle infrastrutture, a ottobre è stato inaugurato l’ultimo tratto del lungomare olbiese completamente riqualificato, con la pista ciclabile, gli spazi verdi e fioriti, la palestra all’aperto, i jungle trees e i giochi per i bambini. “Un vero gioiello – dice il sindaco – per i nostri concittadini e per le tante persone che scelgono la nostra città come meta delle loro vacanze”.

Olbia ha anche un altro primato: è la prima città italiana ad aver adottato il Pediplan, oltre che il Biciplan, entrambi facilitati proprio dalla “città 30”. I due piani, adottati a marzo 2022, hanno lo scopo di favorire e sviluppare gli spostamenti a piedi e in bicicletta nella vita di ogni giorno, per andare al lavoro o a scuola, ad esempio. Inoltre, è già stata indetta la gara per redigere il Piano urbano della mobilità sostenibile, quale strumento fondamentale per definire l’assetto trasportistico della città in un orizzonte di medio e lungo periodo. Contestualmente, sarà redatto il Piano generale del traffico urbano per la modellizzazione della mobilità in uno scenario di breve periodo.

“Aver partecipato al progetto europeo Cyclewalk, dove abbiamo potuto apprendere buone pratiche da realtà come Amsterdam, che ha fatto della mobilità sostenibile il suo biglietto da visita, ha radicato in noi la consapevolezza che solo una cultura volta a questo tipo di mobilità può migliorare sensibilmente la qualità della vita dei cittadini, rendendo la comunità più vivace e sana. E questa è la strada che continueremo a percorrere con convinzione e fermezza con le tante iniziative che stiamo portando avanti. La strada scolastica in via Nanni è un altro esempio: anche in questo caso siamo stati inizialmente criticati, mentre adesso sono i cittadini a chiederci di replicarla in tutte le scuole della città”, conclude Nizzi.

Amazon, un miliardo per elettrificazione in Europa. In Italia ecco i micro-hub

La rete di trasporto è una delle nostre aree più impegnative da decarbonizzare e per azzerare le emissioni nette di Co2 sarà necessario un investimento sostanziale e prolungato“, spiega Andy Jassy, Ceo di Amazon.L’utilizzo di migliaia di van elettrici, camion a lungo raggio e biciclette ci aiuterà ad allontanarci ulteriormente dai combustibili fossili tradizionali e, si spera, incoraggerà ulteriormente i trasporti e le industrie automobilistiche in Europa e nel mondo a continuare a crescere e innovare, poiché dovremo lavorare insieme per raggiungere i nostri obiettivi climatici“. Per arrivare a questo obiettivo il colosso della distribuzione mondiale ha così deciso di investire oltre un miliardo di euro nei prossimi cinque anni. Amazon sta già utilizzando migliaia di veicoli a zero emissioni allo scarico nelle sue operazioni in Europa e l’investimento annunciato pochi mesi fa ne aggiungerà altre migliaia, accelerando i progressi del gruppo fondato da Jeff Bezos verso il raggiungimento di zero emissioni nette di Co2 entro il 2040, cioè 10 anni prima di quanto stabilito dall’accordo di Parigi.
Nel dettaglio Amazon ora ha più di 3.000 furgoni elettrici che consegnano pacchi ai clienti in tutta Europa, ma l’obiettivo è quello di arrivare a superare le 10.000 unità entro il 2025. E parallelamente la società investirà anche in migliaia di stazioni di ricarica nei suoi siti logistici in Europa.

Per rivoluzionare le consegne in città Amazon ha poi lanciato hub di micro-mobilità elettrici in più di 20 centri in tutta Europa e prevede di raddoppiarne il numero nel giro di tre anni. Gli hub di micro-mobilità sono in pratica stazioni di consegna più piccole, depositi di dimensioni contenute, che si trovano in posizioni centrali. Questi hub permettono ad Amazon di modificare i metodi di consegna, utilizzando ad esempio le cargo bike elettriche o, più semplicemente, intensificando le consegne a piedi. Con i micro hub spariscono infatti parecchi furgoni dalla strada, il che significa alleggerire il traffico urbano e abbattere le emissioni. In Italia da fine novembre sono 4 le città interessate da questi nuovi hub di micro-mobilità: Milano, Napoli, Genova e Bologna. A Milano, oltre il 25% dei pacchi in Area C viene consegnato dai fornitori di servizi di consegna di Amazon Logistics con cargo scooter elettrici a zero emissioni allo scarico grazie all’hub di Rogoredo, e la quota continuerà a crescere nel 2023. A Napoli, il 60% dei pacchi nella zona a traffico limitato viene consegnato attraverso cargo scooter elettrici. L’hub di micromobilità di Genova permette ai fornitori di servizi di consegna di Amazon Logistics di consegnare il 100% dei pacchi con cargo scooter elettrici nella zona a traffico limitato. Il più recente hub di micromobilità di Amazon di Bologna consentirà di consegnare quest’anno il 100% dei pacchi nella zona a traffico limitato della città utilizzando cargo scooter elettrici a tre ruote al posto dei van.

Prima di arrivare al cosiddetto ultimo miglio ce n’è però di strada. Si comincia dai grandi centri di smistamento, fino a considerare le lunghe percorrenze che sono necessarie per consegnare un pacco al cliente. La transizione in questi ultimi due ambiti sta mobilitando il gruppo attraverso due percorsi.
La società alimenta già l’85% delle sue attività con energia rinnovabile, con obiettivo 100 per cento entro il 2025. Stiamo parlando di data center, negozi fisici, uffici aziendali e strutture logistiche, compresi i punti di ricarica in loco. Amazon ora ha oltre 100 progetti di energia rinnovabile in tutta Europa, inclusi 30 progetti di parchi solari o eolici off-site su scala industriale.
Più impervia è la decarbonizzazione dei mezzi pesanti per via delle loro dimensioni e del peso di camion e rimorchi. Il colosso dell’e-commerce oggi ha cinque eHGV (veicoli pesanti per il trasporto merci elettrici) in circolazione nel Regno Unito e 20 in Germania. Per una svolta elettrica serve che tutto il sistema compia la transizione, che può avvenire se produttori e indotto sono sicuri di avere commesse. In questo senso il gigante con sede a Seattle prevede di acquistare e distribuire più di 1.500 veicoli pesanti per il trasporto merci elettrici nella sua flotta europea nei prossimi anni. E per alimentare i suoi eHGV costruirà centinaia di stazioni di ricarica rapida specializzate nei suoi siti logistici in Europa, consentendo all’azienda la ricarica dei veicoli in circa due ore.

inquinamento

Ecco i Pums per esigenze di mobilità sostenibile e pianificazione urbana

La mobilità di domani passa dalla pianificazione integrata, dal dialogo tra infrastrutture e da un approccio fortemente orientato verso la sostenibilità, in cui all’utilizzo dell’automobile si preferisce la bicicletta o il trasporto pubblico. In questa direzione si inseriscono i Piani Urbani per la Mobilità Sostenibile (Pums), documenti strategici finalizzati a migliorare gli spostamenti di persone e di merci. Per capire meglio di che cosa si tratta GEA ha intervistato Matteo Colleoni, professore ordinario all’università di Milano-Bicocca, dove svolge anche l’incarico di mobility manager universitario, presidente del tavolo tecnico del Mims per i Mobility Manager d’area e delegato rettorale presso la Rete delle Università per lo sviluppo sostenibile (RUS).
Si tratta di un piano di grande importanza – racconta Colleoni – che fa dialogare le esigenze di mobilità con la pianificazione degli insediamenti umani. Il suo tratto distintivo consiste, appunto, nell’integrare il coordinamento delle attività edilizie con gli interventi infrastrutturali e gli esercizi di trasporto pubblico e privato, evitando di ripetere gli errori del passato, quando chi pianificava a livello urbano non predisponeva parallelamente un servizio di trasporti adeguato”.
Mettere in atto un Pums, che prevede anche il coinvolgimento attivo dei cittadini, porta con sé numerosi benefici: dal miglioramento della qualità di vita e dell’attrattività dell’ambiente urbano all’incremento dell’accessibilità e alla riduzione dell’inquinamento atmosferico e acustico. Questa tipologia di piani urbani è presente anche all’estero, dove si parla, ad esempio, di Sustainable Urban Mobility Plans (SUMPs). L’attuazione di questi documenti dimostra un’attenzione crescente delle altre città europee verso questi temi, permette di effettuare una comparazione tra le politiche proposte in altri contesti e di mettere a confronto i risultati per valutare gli interventi più efficaci da applicare.

Ma come si concretizza una transizione verso una mobilità più sostenibile? “Per attuare questo cambiamento importante – continua Colleoni – è necessario migliorare tutti i segmenti, quello pubblico e quello privato, favorendone l’integrazione. L’obiettivo sarebbe dunque quello di fare dialogare i diversi sistemi di mobilità (stradale, ferrato, aereo, marittimo) e renderli più equilibrati. Oggi, invece, siamo di fronte ad un forte sbilanciamento sul versante stradale, che riguarda la totalità dei flussi (il 90%), mentre le altre quote sono molto più contenute”.
Nelle nostre città c’è ancora molta timidezza – racconta Colleoni – e molti assessori non riescono a mettere in pratica azioni di forte riequilibrio modale delle infrastrutture e dei servizi. Nonostante questo, non mancano alcune testimonianze virtuose. Milano ne è un esempio: vanta un ottimo reparto modale, vede un utilizzo molto alto del trasporto pubblico e limitato di quello privato. Buoni risultati arrivano anche dall’Emilia-Romagna, con alti tassi di mobilità attiva soprattutto nelle città medio-grandi. Interessante anche il caso di Brescia, la cui metropolitana è stata recentemente rinnovata, o di Bari, in cui l’utilizzo di mezzi pubblici è aumentato notevolmente. In molti casi i Pums sono stati avviati recentemente ed è ancora presto per valutarne i risultati”.

A ridurre l’impatto ambientale di una delle tipologie di spostamento che più incidono nella quotidianità, quella casa – lavoro, potrebbe contribuire l’apporto del mobility manager, una figura obbligatoria per tutte quelle aziende o gli enti pubblici che hanno più di 100 dipendenti e si trovano in un capoluogo di regione, in una città metropolitana, un capoluogo di provincia o un comune con più di 50mila abitanti. Per favorire una svolta green degli spostamenti servirebbe un maggiore impegno per aumentare l’autonomia di queste figure, chiamate ad accompagnare le persone nella loro mobilità, che deve essere il più sostenibile possibile per l’ambiente.
Qualsiasi azione pubblica – conclude Colleoni – ha delle conseguenze su di noi e sugli altri anche in termini di equità sociale e benessere ambientale. Vivere in un modo più sostenibile significa fare un uso intelligente delle risorse che abbiamo a disposizione, migliorando la vita di tutti, compresi noi stessi”.

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Mobilità, progetti pronti per tre gigafactory in Italia

Sono tre i progetti, ormai in stato avanzato, per la realizzazione di gigafactory in Italia, per la produzione di batterie da destinare anche alla mobilità elettrica. In Europa sono 38. Oltre allo stabilimento FIB Teverola 2, nel casertano, che dovrebbe aggiungersi all’omonima centrale dalla capacità produttiva di 350 MWh, sono in sviluppo i progetti di Italvolt, che a regime ospiterà circa 3mila dipendenti e sorgerà nell’ex Olivetti di Scarmagno, nella provincia di Torino, e quello di Automotive Cells Company (ACC), joint-venture tra Stellantis, Mercedes e TotalEnergies, che mira ad una produzione di almeno 120 GWh entro il 2030 con una nuova gigafactory negli ex stabilimenti Stellantis in provincia di Campobasso, a Termoli. E’ quanto emerge dal rapporto ‘100 italian e-mobility stories’ di Fondazione Symbola ed Enel.
In questo campo l’Italia vanta poi un centro di eccellenza europeo nello studio delle batterie, il Battery Hub di Torino dedicato all’assemblaggio, oltre ad aziende del settore meccanico, in cui l’Italia vanta la quarta posizione al mondo, la seconda in Europa, per valore delle esportazioni, con nuovi macchinari per l’assemblaggio delle batterie e dei relativi battery pack. Quello delle batterie è un mercato che vale 250 miliardi di dollari di fatturato annuo.

Elettrica, piccola, leggera e green: la sharing mobility continua a crescere

La sharing mobility è in continua crescita nelle città italiane. Tra il 2021 e il 2022 i livelli di utilizzo dei servizi di vehiclesharing (carsharing, scootersharing, bikesharing, monopattino-sharing) tornano a salire come nel periodo pre-pandemia: i viaggi realizzati in sharing mobility sono stati in tutto 35 milioni circa, + 61% rispetto al 2020 e il 25% in più del 2019 e l’83% dei noleggi avviene su un veicolo di micromobilità. Continuano a crescere anche le flotte di sharing mobility che diventano sempre più ‘leggere’, piccole ed elettriche, passando dagli 84,6 mila veicoli del 2020 ai circa 89 mila veicoli nel 2021, ripartiti tra monopattini (51%), bici (31%), scooter (10%) e auto (7%) e i veicoli elettrici passano dal 63% al 77% nell’ultimo anno. La sharing diventa sempre più green con il 94,5% dei veicoli in condivisione a zero emissioni. Cresce anche il fatturato del settore, arrivato a 130 milioni + 52% rispetto al 2020. Le città simbolo della sharing mobility continuano ad essere Milano e Roma, ma anche Palermo e Napoli stanno risalendo la classifica, confermando quindi una crescita del settore nel centro-sud. La fotografia dell’Italia l’ha scattata a ottobre il ‘Rapporto sulla sharing mobility‘, presentato in occasione della 6° Conferenza Nazionale della Sharing Mobility, ‘Lesscars: drive the revolution’, organizzata dall’Osservatorio Nazionale sulla Sharing Mobility, promosso dal ministero della Transizione Ecologica, dal ministero delle Infrastrutture e delle mobilitá sostenibili e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, che quest’anno analizza anche per la prima volta l’incidentalità nella micromobilità e la dimensione economica della sharing mobility. Il Rapporto anticipa anche le tendenze positive del 2022, che si prepara ad essere un anno ancora migliore del 2021, visto che l’insieme dei noleggi registrati dai servizi di sharing mobility cresce tra gennaio e giugno del 113% a Milano e dell’83% a Roma.

Dal rapporto si evidenzia infatti come i noleggi del carsharing free-floating si assestano anche nel 2021 ad un valore pari alla metà di quello registrato nel 2019 (5,7 milioni contro i quasi 12milioni) dunque ancora lontani dal livello pre-pandemia. Anche le percorrenze restano inferiori di un terzo circa rispetto ai km totalizzati due anni prima, sostenute però da noleggi mediamente più lunghi; Nel 2021, i servizi a flusso libero registrano l’8% di noleggi in meno del 2020, ma aumenta la durata dei noleggi arrivata a 43,7 minuti e superiore di 11 minuti circa rispetto al 2019. Vanno meglio invece i servizi di carsharing con stazione che segnano un +22,2% di viaggi rispetto al 2020. Il 32% delle auto è elettrico o ibrido e l’elettrico è aumentato del 12% rispetto al 2020.

L’offerta di bikesharing in Italia nel 2021 retrocede rispetto all’anno precedente a causa di una ricalibrazione delle flotte nelle grandi città e la transizione verso nuovi bandi. Ma tra la fine dell’anno e l’inizio del 2022, in particolare nelle grandi città dove gli stessi operatori dei servizi di monopattino-sharing arricchiscono la loro flotta con migliaia di bici elettriche, il bikesharing fa un rimbalzo rispetto al 2020 sul fronte della domanda: +56% per il bikesharing free-floating con 4,6 milioni di noleggi e + 22% con 3,4 milioni di noleggi per il bikesharing station-based. Un trend particolarmente visibile a Roma e Milano, dove i noleggi rispettivamente aumentano del 90% e del 157% da gennaio a giugno del 2022.

Il 2021 certifica la forte diffusione dei servizi di monopattino-sharing, segmento che da solo ha registrato la metà dei noleggi totali fatti in Italia (17,9milioni), più che raddoppiando la performance dell’anno precedente con un’offerta di oltre 35 mila monopattini. Alle 24 città dove il servizio era attivo nel 2020 se ne sono aggiunte altre 15 nel 2021 (Benevento, Brindisi, Cagliari, Catania, Frosinone, Grosseto, Imperia, Novara, Padova, Palermo, Piacenza, Prato, Ragusa, Reggio Emilia, Teramo).
In forte espansione anche l’uso degli scooter in condivisione, che nel 2021 sono tornati ai livelli di domanda del 2019 (+5%) con un’offerta di circa 9.000 scooter. Anche qui nel 2021 si sono aggiunte nuove città in cui è disponibile il servizio (Benevento, Bergamo, Grosseto, La Spezia, Lago di Garda, Lecce, Pescara, Taranto). La flotta italiana di scooter in sharing è quasi completamente elettrificata.

In generale, negli ultimi anni, i servizi di mobilità condivisa hanno integrato l’offerta di TPL, mettendo a disposizione nuove alternative all’uso del mezzo privato per gli spostamenti in città. Il car sharing è presente in 37 comuni capoluogo (di cui solo 8 nel Mezzogiorno). Come si evidenzia nel rapporto del Mims, pubblicato a maggio di quest’anno, ‘Verso un nuovo modello di mobilità locale sostenibile’ Il numero di veicoli ogni 10.000 abitanti era pari a 4,6, un valore che è quasi raddoppiato nel corso degli ultimi cinque anni. Tale valore è più elevato al Centro-Nord (oltre 6) e più basso nel Mezzogiorno (0,8). Il fenomeno, inoltre, è concentrato nei comuni capoluogo di città metropolitane (8,4), mentre è sostanzialmente assente nelle altre città (0,4). Evidenze simili si ottengono dall’analisi dei dati dello scooter sharing, sebbene su livelli più contenuti (2,7 mezzi ogni 10.000).

I capoluoghi con servizi di bike sharing sono 53 (di cui solo 8 nel Mezzogiorno). L’offerta pro capite è più che triplicata nel corso degli ultimi anni, da 6 a 19 biciclette ogni 10.000 abitanti tra il 2015 e il 2019. Anche in questo caso l’offerta è più elevata nei comuni capoluogo di provincia del Centro (17) e del Nord (32), a fronte di valori modesti nel Mezzogiorno (2). Il fenomeno è concentrato prevalentemente nei comuni capoluogo delle città metropolitane come Firenze (109 biciclette ogni 10.000 abitanti), Milano (96), Bologna (68) e Torino (35). L’estensione complessiva delle piste ciclabili supera i 4.700 km (in crescita di oltre il 15 per cento dal 2015). La densità è molto maggiore nelle città del Nord (57,9 km per 100 km2, contro 15,7 del Centro e 5,4 del Mezzogiorno). Tra i capoluoghi metropolitani, Torino e Milano presentano i valori più elevati (166,1 e 123,3 km per 100 km2), seguiti da Bologna e Firenze (poco meno di 100). L’infrastruttura ciclabile resta carente, invece, nel Mezzogiorno

Le uniche regioni che a fine 2021 non hanno servizi significativi, sono l’Umbria, il Molise, e la Basilicata. Nella classifica delle prime migliori 10 città della sharing mobility, Milano e Roma si confermano ai vertici per flotte disponibili, noleggi e km percorsi. In particolare, Milano evidenzia ancora un’offerta e una domanda (noleggi) ripartite in maniera molto equilibrata tra i diversi servizi. Nella top ten dell’offerta di servizi di sharing ci sono, nell’ ordine: Milano, Roma, Torino, Firenze, Palermo, Napoli, Verona, Bologna, Rimini e Bari.
Per quanto riguarda la sicurezza, la prima indagine dell’Osservatorio dimostra che il monopattino in sharing registra un livello di incidentalità di poco superiore a quello dello scooter sharing, esattamente 2,07 incidenti ogni 100 mila km contro 1,72 del ciclomotore, distanti entrambi dalla bicicletta con il valore di 0,74. Addirittura rapportando gli incidenti al numero di viaggi la classifica si inverte e lo scooter sharing precede tutti con 7,77 incidenti ogni 100 mila spostamenti, con il monopattino che segue con 5,01 incidenti, e infine la bicicletta con 1,35 incidenti ogni 100 mila spostamenti.

Mobilità, Bologna è la città più ‘eco-mobile’ d’Italia, Catania la meno sostenibile

Bologna conquista il primo posto del podio per la mobilità sostenibile, a seguire Torino e Firenze, al quarto posto Milano seguita da Parma. Roma soltanto al diciassettesimo posto. Le più insostenibili sono Catania, Potenza e Sassari. Sono questi i risultati del sedicesimo rapporto di Euromobility sulla mobilità sostenibile nelle principali 50 città italiane, che premia le azioni messe in campo nelle città, come i sempre più diffusi sistemi di sharing, in particolare la quantità di auto, bici, scooter e monopattini a disposizione dei cittadini. Prato si conferma la città con più auto di recente immatricolazione, mentre ad Ancona sono quasi il 26% le auto a basso impatto (gpl, metano, ibride o elettriche).

PISTE CICLABILI. In crescita le ciclabili, con Reggio Emilia che si mantiene saldamente al primo posto e L’Aquila che si conferma maglia nera, mentre Aosta e Catanzaro, con zero vittime, sono le città più sicure d’Italia. Prendendo in considerazione come parametro di riferimento il numero di km di piste ciclabili ogni 10mila abitanti, nelle prime 10 città della classifica di Euromobility troviamo ben otto città capoluogo di provincia su nove dell’Emilia-Romagna. Reggio Emilia al primo posto con oltre 15 km/10.000 abitanti, segue Ferrara (2° posto), Modena (3° posto), Forlì (4° posto), Ravenna (5° posto), Rimini (8° posto), Piacenza (9° posto) e Parma (10° posto). Bologna è al 18° posto della classifica.

SERVIZI DI SHARING. Milano con circa 2.500 auto è al primo posto della classifica in termini di servizio Car Sharing. Seguono Roma, Torino e Bologna. Primo e secondo posto per Milano e Roma anche per ciò che riguarda i servizi di scooter e bike sharing. Anche se Firenze risulta essere la città italiana con il maggior numero di biciclette sharing ogni 10mila abitanti. La città con più monopattini in servizio sharing è Roma con ben oltre 14mila monopattini oggi in servizio. Segue Milano con circa 5mila unità. In rapporto al numero di abitanti è però Rimini la città con maggior unità per abitante, nello specifico circa 88 monopattini ogni 10mila abitanti.

IL PRIMATO DI BOLOGNA. Bologna conquista, appunto, il primo posto nella classifica delle città più sostenibili in termini di mobilità. Il primato di Bologna arriva grazie a diverse componenti. Dalla campagna di rilievi annuale effettuata nel settembre 2022 dalla società TPS – Transport Planning Service di Perugia per conto del Comune di Bologna emerge che i ciclisti sono in aumento anche nel 2022 a Bologna (fino al 6% in più sul 2021) con un vero e proprio boom per la Tangenziale delle Biciclette (+41% in Viale Pepoli, +27% in Filopanti e +25% in Silvani) e in altri punti della città: via San Donato +53%, Zanardi +30%, Casarini +26%. In dieci anni i flussi di biciclette hanno registrato un aumento del 62,4% e negli ultimi cinque anni del 20,3 %. La crescita dell’ultimo anno è confermata con aumento medio del 4% e alcuni picchi di incremento nei punti di misura ubicati sulla Tangenziale delle Biciclette (Silvani +25%, Pepoli +41%, Filopanti 27%), ma anche in altri punti (Zanardi +30%, Casarini +26%, cavalcavia Stalingrado +34%). “Questo riconoscimento – spiega l’assessora alla Nuova mobilità del Comune di Bologna, Valentina Orioli – è certamente motivo di orgoglio per il Comune ma non ci rende appagati. Soddisfatti perché anche a livello nazionale vengono riconosciuti i nostri sforzi per avere una mobilità sempre più sostenibile in città, siamo consapevoli che ancora molto c’è da fare ed anche per questo abbiamo lanciato Bologna città 30. Un grande progetto che non porterà solo nuovi limiti di velocità ma renderà la città più a misura delle persone con più spazi per muoversi in sicurezza, una città meno inquinata e rumorosa e sempre più sostenibile”.

autostrada

Oltre 25 mld per infrastrutture e mobilità moderni e sostenibili entro il 2026: se ne parlerà all’evento ‘How can we govern Europe?’ a Roma

L’obiettivo della Missione 3 ‘Infrastrutture per una mobilità sostenibile’ è quello di “rendere, entro il 2026, il sistema infrastrutturale più moderno, digitale e sostenibile, in grado di rispondere alla sfida della decarbonizzazione indicata dall’Ue”. Per questa milestone il Pnrr assegna 25,40 miliardi di euro, di cui 24,77 dedicati agli investimenti sulla rete ferroviaria e 0,63 alla intermodalità e logistica integrata. Di questo tema parlerà una delle tavole rotonde dell’evento ‘How can we govern Europe?’, organizzato da Eunews e GEA, che si terrà il 29 e 30 novembre a Roma, all’Europa Experience David Sassoli. Il titolo del panel, che si svolgerà martedì 29 novembre, sarà ‘Mobilità sostenibile: i nuovi paradigmi del trasporto e della
logistica e il ruolo del PNRR nell’adeguamento delle infrastrutture‘.

La base di partenza è nei numeri: allo stato attuale il 90% del traffico passeggeri in Italia avviene su strada, con una media di 860 miliardi di passeggeri/km all’anno. Su ferro, invece, viaggia soltanto il 6% dei cittadini, mentre in Europa la media è 7,9 percento. Questo comporta che il trasporto sia tra i settori maggiormente responsabili delle emissioni climalteranti, con un contributo pari al 23,3% delle emissioni totali di gas serra, nonostante la riduzione del 2,7% dal 1990 al 2017, secondo i dati dell’Annuario Ispra 2020. La Commissione Ue ha fissato come obiettivo di raddoppiare gli spostamenti ferroviari ad alta velocità entro il 2030, per poi triplicarli entro il 2050. Inoltre, entro il 2030 il trasporto intermodale su rotaia e su vie navigabili interne dovrà essere in grado di competere in condizioni di parità con il trasporto esclusivamente su strada.

Nel Pnrr italiano, la voce relativa alle proposte di interventi infrastrutturali e tecnologici nel settore ferroviario prevedono lo sviluppo dell’alta velocità/capacità e la velocizzazione della rete ferroviaria per passeggeri e merci, il completamento dei corridoi ferroviari Ten-T, il completamento delle tratte di valico, il potenziamento di nodi, direttrici ferroviarie e reti regionali e la riduzione del gap infrastrutturale tra Nord e Sud del Paese. In particolare, al Nord si potenzieranno le tratte ferroviarie MilanoVenezia, Verona-Brennero e Liguria-Alpi, migliorando i collegamenti d’Oltralpe con i porti di Genova e Trieste; al Centro si rafforzeranno due assi Est-Ovest (Roma-Pescara e Orte-Falconara), riducendo significativamente i tempi di percorrenza e aumentando le capacità; inoltre, verrà potenziata e velocizzata la linea adriatica da Nord a Sud.

L’Alta Velocità sarà poi al Sud, con la conclusione della direttrice Napoli-Bari, l’avanzamento ulteriore della Palermo-Catania-Messina e la realizzazione dei primi lotti funzionali delle direttrici Salerno-Reggio Calabria e Taranto-Potenza-Battipaglia. Un’attenzione particolare è riservata alle ferrovie regionali, per le quali saranno realizzati interventi di upgrading, elettrificazione e investimenti per aumentarne la resilienza, in particolare nel Mezzogiorno, per omogeneizzare ed elevare gli standard prestazionali delle infrastrutture esistenti sia per il traffico viaggiatori che per quello merci. Gli interventi prevedono l’adeguamento di alcune linee regionali (tra cui Canavesana, Torino-Ceres, Bari-Bitritto, Rosarno-San Ferdinando, Sansepolcro-Terni, Benevento-Cancello, la rete gestita da Ferrovie del Sud-Est, Ferrovie Appulo Lucane) agli standard tecnici della rete nazionale, sia dal punto di vista infrastrutturale che tecnologico di sicurezza. Ulteriori interventi (tra cui Circumvesuviana e Cumana, Circumetnea, CosenzaCatanzaro, Raddoppio Andria-Barletta) sono finanziati a valere su risorse nazionali.

Per centrare l’obiettivo sono necessarie alcune riforme, però. Come l’accelerazione dell’iter di approvazione del Contratto tra il Mit (ex Mims) e Rfi; l’accelerazione dell’iter di approvazione dei progetti ferroviari, dunque “sono anticipate al Pfte tutte le osservazioni/prescrizioni delle varie Amministrazioni/Enti, consentendo quindi di recepirle, con evidenti economie di tempi e risorse, nella successiva fase di Progettazione Definitiva, viene vincolato sotto il profilo urbanistico il territorio interessato dall’opera (contenuto nel corridoio), inibendo di conseguenza l’attività edificatoria da parte dei terzi con un risparmio economico per espropri nella fase realizzativa, viene ridotto il tempo complessivo per l’iter autorizzativo dei progetti (Pfte e Pd o Pe) dagli attuali 11 mesi a 6 mesi (pari al 45% del tempo complessivo)”.

Ci sono poi gli investimenti sull’Alta velocità. Al Sud la Napoli-Bari (al completamento del progetto la tratta sarà percorribile in 2 ore, rispetto alle attuali 3 ore e 30 minuti), la Palermo-Catania-Messina e la Salerno-Reggio Calabria, che avrà una riduzione totale di percorrenza di 80 minuti. Al Nord il Piano prevede i collegamenti con il resto d’Europa: la Brescia-Verona-Vicenza, la Liguria-Alpi e la Verona-Brennero. Nel Centro-Sud, inoltre, è essenziale anche migliorare la connettività trasversale attraverso linee diagonali ad alta velocità (Roma-Pescara; rafforzamento Orte-Falconara; Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia). Senza dimenticare lo sviluppo del sistema europeo di gestione del trasporto ferroviario (Ertms), il potenziamento dei nodi ferroviari metropolitani e dei collegamenti nazionali chiave, il potenziamento delle linee regionali, il potenziamento, elettrificazione e aumento della resilienza delle ferrovie nel Sud, dove è in programma anche il miglioramento delle stazioni ferroviarie.

Per la messa in sicurezza, il contrasto e l’adattamento al cambiamento climatico della rete stradale, con una forte componente di ammodernamento tecnologico attraverso un sistema di monitoraggio digitale avanzato, poi, sono previste alcune riforme: l’attuazione delle Linee guida per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza e il monitoraggio dei ponti esistenti e il Trasferimento della titolarità delle opere d’arte (ponti, viadotti e cavalcavia) relative alle strade di secondo livello ai titolari delle strade di primo livello (autostrade e strade extraurbane principali).

Per l’altro obiettivo della Missione 3, ovvero l’Intermodalità e la logistica integrata, ci sono sono il potenziamento della competitività del sistema portuale italiano in una dimensione di sostenibilità e sviluppo delle Infrastrutture intermodali sulla base di una pianificazione integrata; il miglioramento della sostenibilità ambientale, la resilienza ai cambiamenti climatici ed efficientamento energetico dei porti; la digitalizzazione della Catena logistica e del traffico aereo; la riduzione delle emissioni connesse all’attività di movimentazione delle merci. Per quanto concerne gli ambiti di intervento e le misure, per lo sviluppo del sistema portuale sono previsti investimenti per interventi mirati alla sostenibilità ambientale dei porti, i cosiddetti ‘Green ports’, e tre riforme: semplificazione delle procedure per il processo di pianificazione strategica; attuazione del regolamento che definisce l’aggiudicazione competitiva delle concessioni nelle aree portuali: semplificazione delle procedure di autorizzazione per gli impianti di ‘cold ironing’.

Per raggiungere l’obiettivo della intermodalità e logistica integrata sono previste tre riforme: semplificazione delle transazioni di importazione/esportazione attraverso l’effettiva implementazione dello Sportello unico dei controlli; l’interoperabilità della Piattaforma logistica nazionale (Pnl) per la rete dei porti, al fine di introdurre la digitalizzazione dei servizi di trasporto passeggeri e merci; la semplificazione delle procedure logistiche e digitalizzazione dei documenti, con particolare riferimento all’adozione della Cmr elettronica, alla modernizzazione della normativa sulla spedizione delle merci, all’individuazione dei laboratori di analisi accreditati per i controlli sulle merci. Infine, sono previsti anche due investimenti, il primo sulla digitalizzazione della catena logistica, e il secondo sull’innovazione digitale dei sistemi aeroportuali.

Crescono i numeri dello sharing in Italia: trainano i monopattini

La mobilità è sempre più condivisa. La sharing mobility sta infatti registrando ottimi numeri nel nostro Paese (seppur con alcune eccezioni), trainata in particolare dal ‘fenomeno monopattino’: un tema caldo, anche a causa delle notizie di incidenti presenti spesso nelle cronache. Eppure i vantaggi sono numerosi. Ma qual è la situazione nel nostro Paese? Secondo il sesto Rapporto nazionale sul tema elaborato dall’Osservatorio nazionale Sharing Mobility i dati sono in crescita: i viaggi effettuati nel 2021 con questa modalità sono stati circa 35 milioni, con un aumento del 61% rispetto al 2020 e del 25% sul 2019 (ultimo anno pre-pandemia). Questa soluzione, inoltre, è sempre più diffusa anche a livello di città interessate: in Italia si contano 62 capoluoghi di provincia con almeno un servizio di sharing (46, invece, quelle senza). Infine, sono stati oltre 130 milioni i chilometri percorsi in condivisione, con un incremento del 30% sul 2020.
Quanto alla tipologia, la micromobilità svolge un ruolo determinante: biciclette, scooter e monopattini rappresentano il 93% della flotta totale, contro il 77% del 2020. In questo contesto, va sottolineata l’importanza dei monopattini: la metà dei noleggi effettuati in Italia (17,9 milioni) ha coinvolto questi mezzi. Una tendenza in decisa crescita: i numeri sono raddoppiati rispetto all’anno precedente. Negative, invece, le cifre del car sharing free floating (-52% sul 2019).

Le ragioni di questo successo sono strettamente legate ai vantaggi apportati dalla mobilità condivisa. Secondo il report ‘Social benefits of shared mobility’ elaborato da Acea (Automobile Manufacturers’ Association), organizzazione europea che riunisce alcuni dei principali produttori di auto, van e bus, questa opzione è particolarmente valida per coprire il primo e ultimo miglio. Inoltre molti di questi servizi sono accessibili 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana. È dunque utile nella fasce orarie in cui non sono presenti i mezzi pubblici, ad esempio di notte.
Infine, è possibile ridurre il traffico e limitare l’inquinamento. A questo proposito, il rapporto dell’osservatorio sulla Sharing Mobility sottolinea come “il 94,5% dei veicoli in condivisione è già a zero emissioni perché o composta da veicoli completamente elettrici (dunque senza emissioni locali) o perché si tratta di veicoli senza motore, come la grande parte delle biciclette in sharing”.

Ma non mancano i problemi, in particolare per quanto riguarda i monopattini. La loro diffusione improvvisa ha suscitato polemiche e numerosi dibattiti sulla loro pericolosità. C’è infatti chi chiede ulteriori limitazioni, oltre a quelle già previste dalla legge. Ma qual è il loro reale impatto? Tra i 935 incidenti registrati nell’ambito della micromobilità (pari allo 0,5% dei sinistri complessivi), questi mezzi rappresentano il 68% del totale, ovvero i due terzi. Tuttavia, questo dato deve essere inquadrato con maggiore precisione. In base ai chilometri percorsi, il monopattino risulta ancora il più ‘pericoloso’, con 2,07 sinistri ogni 100mila km (1,72 per gli scooter e 0,74 per le e-bike). È invece al secondo posto se si valuta il numero di noleggi: 5,01 incidenti ogni 100mila spostamenti, preceduti dagli scooter (7,77).

Uno dei fattori correlati alla maggiore incidentalità dei monopattini è l’età: questi mezzi vengono usati dagli under 30 in quasi il 60% dei casi. Talvolta, infatti, i ragazzi non hanno ancora sviluppato quelle attitudini – quali la prudenza e l’adozione di comportamenti corretti alla guida – che in genere si radicano con l’esperienza sulla strada (dopo aver preso la patente). Inoltre bisogna considerare che questi mezzi sono una novità e quindi richiedono una maggiore dimestichezza. Di solito gli incidenti avvengono infatti soprattutto in occasione dei primi utilizzi.

Trasporti, in bici 25 italiani su 100. Boom Torino e Milano

L’Italia è un Paese che ama le due ruote, anche se le infrastrutture non sempre sono adeguate. Gli utenti regolari della bicicletta rappresentano quasi il 25% della popolazione, poco meno di chi utilizza la due ruote meno di una volta alla settimana (25,9%). L’estensione complessiva delle piste ciclabili supera i 4.700 km (in crescita di oltre il 15% dal 2015). I dati, contenuti nel rapporto del Mims ‘Verso un nuovo modello di mobilità locale sostenibile’, pubblicato a maggio, raccontano che la densità è molto maggiore nelle città del nord (57,9 km per 100 km2, contro 15,7 del centro e 5,4 del Mezzogiorno). Tra i capoluoghi metropolitani, Torino e Milano presentano i valori più elevati (166,1 e 123,3 km per 100 km2), seguiti da Bologna e Firenze (poco meno di 100).

A ottobre, è diventato legge il Piano Generale della Mobilità Ciclistica, varato dal governo Draghi. Si tratta di un documento fondamentale per lo sviluppo delle azioni per la promozione della ciclabilità a tutti i livelli, che fissa le linee guida generali da seguire per la realizzazione delle infrastrutture e l’adozione delle politiche di mobilità collegate alle due ruote a pedali. Nel dettaglio, il Piano è suddiviso in diversi capitoli che affrontano tutti i temi inerenti alla ciclabilità in Italia: dal quadro delle risorse disponibili all’analisi del sistema della mobilità ciclistica turistica ed urbana, dagli obiettivi – strategici, generali e specifici – del PGMC agli strumenti e alle azioni per la loro realizzazione nonché agli indicatori per le performance realizzative, per verificare il loro raggiungimento. Molteplici i target del Piano da raggiungere entro il 2024: tra queste, aumentare del 20% della quota modale di spostamenti in bicicletta nei capoluoghi di Provincia o Città metropolitane; incrementare la densità delle infrastrutture ciclabili sino a raggiungere il valore medio nazionale di 32 km/100kmq (23,4 km/100kmq nel 2019); sviluppare infrastrutture ciclabili negli ambiti urbani soprattutto nella vicinanza di scuole e sedi universitarie e dove si registrano i maggiori flussi ciclabili; ricavare almeno 30 posti biciclette coperti e sicuri e 30 posti nelle sedi di attività pubbliche (scuole, sedi universitarie, ospedali, ambulatori, uffici amministrativi, tribunali, sedi comunali, parchi pubblici, strutture sportive, aree produttive, commerciali e logistiche, ecc.), adeguando almeno il 25% del totale degli edifici ogni anno e prevedendo almeno il 50% dei capoluoghi di Provincia/Città metropolitana di parcheggi dedicati e/o velostazioni; dotare di rastrelliere almeno il 50% delle principali fermate del trasporto pubblico locale su gomma in ambito urbano ed extraurbano; dotare di un ricovero coperto e custodito per biciclette il 50% delle stazioni di ferrovie , metro pesante e metro leggera e prevedere dispositivi/spazi per il trasporto a bordo delle biciclette il 25% del parco mezzi del trasporto pubblico locale urbano e metropolitano e almeno il 50% quello regionale e interregionale; incrementare la densità dei percorsi ciclabili ricreativi, affinché questi rappresentino il 20% delle infrastrutture ciclabili ovvero il valore medio nazionale di 6 km/100 kmq.

LA DIFFUSIONE DEL BIKE SHARING. I capoluoghi con servizi di bike sharing sono 53 (di cui solo 8 nel Mezzogiorno). L’offerta pro capite è più che triplicata nel corso degli ultimi anni, passando da 6 a 19 biciclette ogni 10.000 abitanti tra il 2015 e il 2019. Anche in questo caso l’offerta è più elevata nei comuni capoluogo di provincia del Centro (17) e del Nord (32), a fronte di valori modesti nel Mezzogiorno (2). Il fenomeno è concentrato prevalentemente nei comuni capoluogo delle città metropolitane come Firenze (109 biciclette ogni 10.000 abitanti), Milano (96), Bologna (68) e Torino (35).