Cop15, raggiunto accordo storico sulla biodiversità: “Proteggere il 30% del pianeta entro il 2030”

Nella notte canadese, la mattina di lunedì in Italia, a Montréal i Paesi di tutto il mondo hanno raggiunto un accordo storico nel tentativo di fermare la distruzione della biodiversità e delle sue risorse, essenziali per l’umanità. Dopo quattro anni di difficili negoziati, dieci giorni e una notte di maratona diplomatica, più di 190 Stati hanno raggiunto un accordo sotto l’egida della Cina, presidente della Cop15, nonostante l’opposizione della Repubblica Democratica del Congo. Questo “patto di pace con la natura”, noto come accordo di Kunming-Montreal, include l’obiettivo di proteggere il 30% della terra e del mare del pianeta entro il 2030. Questo obiettivo, il più noto tra la ventina di misure, è stato presentato come l’equivalente in termini di biodiversità dell’obiettivo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Ad oggi, il 17% della terra e l’8% del mare sono protetti. Ma il testo prevede anche garanzie per i popoli indigeni, custodi dell’80% della biodiversità residua della Terra, proponendo di ripristinare il 30% delle terre degradate e di dimezzare il rischio di pesticidi. E nel tentativo di risolvere l’ancora scottante questione finanziaria tra Nord e Sud, la Cina propone anche di raggiungere “almeno 20 miliardi di dollari” di aiuti internazionali annuali per la biodiversità entro il 2025 e “almeno 30 miliardi entro il 2030”.

“L’accordo è stato adottato”, ha dichiarato Huang Runqiu, presidente cinese della Cop15, durante una sessione plenaria nella tarda notte canadese, la mattinata italiana, prima di far cadere il martelletto tra gli applausi dei delegati dall’aria stanca. “Insieme abbiamo fatto un passo avanti storico”, ha dichiarato Steven Guilbeault, ministro dell’Ambiente del Canada, Paese ospitante del vertice.

“La maggior parte delle persone dice che è meglio di quanto ci aspettassimo da entrambe le parti, per i Paesi ricchi e per quelli in via di sviluppo. Questo è il segno di un buon testo”, ha dichiarato all’Afp Lee White, ministro dell’Ambiente del Gabon. Per Masha Kalinina del Pew Charitable Trusts, “proteggere almeno il 30% della terra e del mare entro il 2030 è la nuova stella polare che useremo per navigare verso il recupero della natura”. “Alci, tartarughe marine, pappagalli, rinoceronti, felci rare sono tra i milioni di specie le cui prospettive future saranno notevolmente migliorate” da questo accordo, ha aggiunto Brian O’Donnell, della Ong Campaign for Nature. Questo testo è “un significativo passo avanti nella lotta per la protezione della vita sulla Terra, ma non sarà sufficiente”, ha dichiarato all’Afp Bert Wander dell’OngAvaaz. “I governi dovrebbero ascoltare la scienza e aumentare rapidamente le loro ambizioni di proteggere metà della Terra entro il 2030”, ha aggiunto.

Le Ong sono divise su questo tema. Brian O’Donnell della Ong Campaign for Nature ha affermato che il testo “dà alla natura una possibilità“: le prospettive per i leopardi, le farfalle, le tartarughe marine, le foreste e le persone potranno migliorare drasticamente. Ma An Lambrechts di Greenpeace International si è detta preoccupata per una “bozza di accordo debole” che “non fermerà, e tanto meno invertirà, la perdita di biodiversità“. Potrebbe anche essere un “invito aperto al greenwashing“, ha detto. Altri temono che le scadenze siano troppo lontane rispetto all’attuale urgenza. Il 75% degli ecosistemi mondiali è stato alterato dall’attività umana, più di un milione di specie sono minacciate di estinzione e la prosperità del mondo è a rischio: più della metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai suoi servizi. Inoltre, il precedente piano decennale firmato in Giappone nel 2010 non ha raggiunto quasi nessuno dei suoi obiettivi, in parte a causa della mancanza di meccanismi di applicazione efficaci. Il capo delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto un “patto di pace con la natura“, affermando che l’umanità è diventata una “arma di estinzione di massa“.

La questione del finanziamento ha rappresentato un punto di stallo nei colloqui degli ultimi dieci giorni ed è rimasta al centro dei dibattiti anche durante la sessione plenaria di adozione, registrando l’obiezione di diversi Paesi africani. In cambio dei loro sforzi, i Paesi meno sviluppati hanno chiesto ai Paesi ricchi 100 miliardi di dollari all’anno. Si tratta di una cifra pari ad almeno 10 volte gli attuali aiuti internazionali per la biodiversità. Braulio Dias, che rappresenta il futuro governo brasiliano di Luiz Inacio Lula da Silva, domenica aveva chiesto ancora una volta “una migliore mobilitazione delle risorse” – in altre parole, un aumento degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, una preoccupazione ripresa in particolare dal Congo. Oltre ai sussidi, i Paesi del Sud hanno spinto con forza per la creazione di un fondo globale dedicato alla biodiversità – una questione di principio – simile a quello ottenuto a novembre per aiutarli a far fronte ai danni climatici. Su questo punto, la Cina propone come compromesso di creare un ramo dedicato alla biodiversità all’interno dell’attuale Fondo mondiale per l’ambiente (Gef), il cui funzionamento attuale è considerato molto carente dai Paesi meno sviluppati.

Photo credits: Twitter @UNBiodiversity

Cop15, negoziati ancora in corso: vicino accordo per biodiversità

I Paesi di tutto il mondo, riuniti da 10 giorni a Montreal (Canada) per la Cop15, si sono avvicinati domenica, a un giorno dalla conclusione del vertice, a un accordo per proteggere meglio la biodiversità del pianeta, dopo i progressi compiuti sulle aree protette e lo sblocco di nuove risorse finanziarie. Ma diversi punti sono ancora in discussione, con alcuni Paesi del Sud che continuano a chiedere maggiori finanziamenti e i Paesi ricchi che negoziano per aumentare alcune ambizioni. Questo “patto di pace con la natura“, di cui il pianeta ha estremo bisogno per fermare la distruzione della biodiversità e delle sue risorse essenziali per l’umanità, deve essere concluso entro martedì. I Paesi stanno lavorando da domenica mattina su una bozza di accordo presentata dalla presidenza cinese della Cop15. Il testo, che potrebbe diventare l’accordo di Kunming-Montreal, include l’obiettivo di proteggere il 30% della terra e del mare del pianeta entro il 2030. Questo obiettivo, il più noto tra la ventina di misure, è stato presentato come l’equivalente in termini di biodiversità dell’obiettivo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Ad oggi, il 17% della terra e l’8% del mare sono protetti. Ma il testo prevede anche garanzie per i popoli indigeni, custodi dell’80% della biodiversità residua della Terra.

E nel tentativo di risolvere l’ancora scottante questione finanziaria tra Nord e Sud, la Cina propone anche di raggiungere “almeno 20 miliardi di dollari” di aiuti internazionali annuali per la biodiversità entro il 2025 e “almeno 30 miliardi entro il 2030“. “Penso che siamo molto vicini a un accordo“, ha dichiarato Steven Guilbeault, ministro dell’Ambiente del Canada, Paese ospitante del vertice, affermando che ci sono solo “ritocchi” da fare nelle prossime ore. Ma il commissario europeo per l’ambiente Virginijus Sinkevicius è stato più cauto, avvertendo che le cifre dei finanziamenti in discussione potrebbero essere difficili da raggiungere. “Se altri Paesi si impegnano a raggiungere questi obiettivi, come la Cina, penso che possa essere realistico“, ha detto, invitando anche gli Stati arabi a fare la loro parte.

La questione del finanziamento, che è stata un punto di stallo nei colloqui degli ultimi 10 giorni, rimane cruciale. In cambio dei loro sforzi, i Paesi meno sviluppati chiedono ai Paesi ricchi 100 miliardi di dollari all’anno. Si tratta di una cifra pari ad almeno 10 volte gli attuali aiuti internazionali per la biodiversità. Braulio Dias, che rappresenta il futuro governo brasiliano di Luiz Inacio Lula da Silva, domenica ha chiesto ancora una volta “una migliore mobilitazione delle risorse” – in altre parole, un aumento degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, una preoccupazione ripresa in particolare dal Congo. Oltre ai sussidi, i Paesi del Sud stanno spingendo con forza per la creazione di un fondo globale dedicato alla biodiversità – una questione di principio – simile a quello ottenuto a novembre per aiutarli a far fronte ai danni climatici. Su questo punto, la Cina propone come compromesso di creare un ramo dedicato alla biodiversità all’interno dell’attuale Fondo mondiale per l’ambiente (GEF), il cui funzionamento attuale è considerato molto carente dai Paesi meno sviluppati.

Le ONG sono divise su questo tema. Brian O’Donnell della ONG Campaign for Nature ha affermato che il testo “dà alla natura una possibilità“. Se verrà approvato, le prospettive per i leopardi, le farfalle, le tartarughe marine, le foreste e le persone miglioreranno drasticamente. Ma An Lambrechts di Greenpeace International si è detta preoccupata per una “bozza di accordo debole” che “non fermerà, e tanto meno invertirà, la perdita di biodiversità“. Potrebbe anche essere un “invito aperto al greenwashing“, ha detto. Altri temono che le scadenze siano troppo lontane rispetto all’attuale urgenza. Il 75% degli ecosistemi mondiali è stato alterato dall’attività umana, più di un milione di specie sono minacciate di estinzione e la prosperità del mondo è a rischio: più della metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai suoi servizi. Inoltre, il precedente piano decennale firmato in Giappone nel 2010 non ha raggiunto quasi nessuno dei suoi obiettivi, in parte a causa della mancanza di meccanismi di applicazione efficaci. Il capo delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto un “patto di pace con la natura“, affermando che l’umanità è diventata una “arma di estinzione di massa“.

scarsità acqua

Allarme Onu: Accesso all’acqua negato a miliardi di persone

Lo scorso anno, tutte le regioni del mondo sono state colpite da eventi meteorologici estremi legati all’acqua, il cui accesso è negato a miliardi di persone. L’allarme arriva dall’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite, nel suo primo rapporto annuale sullo stato delle risorse idriche mondiali che ha lo scopo di aiutare a monitorare, gestire le limitate risorse mondiali di acqua dolce e soddisfare la crescente domanda.

Nel 2021, segnala il dossier dell’Omm, vaste aree del mondo hanno registrato condizioni più secche del normale, sotto l’influenza del cambiamento climatico e della ‘Nina’.
Gli effetti del cambiamento climatico si fanno spesso sentire attraverso l’acqua. Tra questi, siccità più intense e frequenti, alluvioni più estreme, scioglimento accelerato dei ghiacciai, che hanno effetti a cascata sulle economie, sugli ecosistemi e su tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana. Eppure non abbiamo una comprensione sufficiente dei cambiamenti nella distribuzione, nella quantità e nella qualità delle risorse di acqua dolce“, spiega il segretario generale dell’Omm, Petteri Taalas.

Attualmente, 3,6 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua per almeno un mese all’anno. Secondo il rapporto, questa cifra è destinata a salire a più di cinque miliardi entro il 2050. Tra il 2001 e il 2018 il 74% di tutti i disastri naturali è stato legato all’acqua. “Nel 2021, tutte le regioni hanno sperimentato eventi idrologici estremi sotto forma di inondazioni e siccità, che hanno avuto un impatto significativo sulle comunità e hanno causato molti morti“, si legge nel rapporto.

Rispetto alla media idrologica trentennale, nel 2021 gran parte del mondo ha registrato condizioni più secche del normale. È il caso del Rio de la Plata in Sud America, che sta vivendo una siccità persistente dal 2019, dell’Amazzonia meridionale e sudorientale e dei bacini in Nord America, tra cui i fiumi Colorado, Missouri e Mississippi.

In Africa, fiumi come il Niger, il Volta, il Nilo e il Congo hanno registrato una portata inferiore alla norma nel 2021. Lo stesso vale per alcune zone della Federazione Russa, della Siberia occidentale e dell’Asia centrale. Etiopia, Kenya e Somalia stanno vivendo una grave siccità dopo diversi anni consecutivi di precipitazioni inferiori alla media.
Al contrario, gravi inondazioni hanno causato molte vittime, in particolare nella provincia cinese di Henan, nell’India settentrionale, nell’Europa occidentale e nei Paesi colpiti da cicloni tropicali, come Mozambico, Filippine e Indonesia.

Il rapporto sottolinea che la criosfera – ghiacciai, manti nevosi, calotte di ghiaccio e permafrost – è la più grande riserva naturale di acqua dolce al mondo.
Circa 1,9 miliardi di persone vivono in aree in cui l’acqua è fornita dai ghiacciai e dallo scioglimento delle nevi. Di conseguenza, i cambiamenti nella criosfera hanno un impatto importante sulla sicurezza alimentare, sulla salute umana, sugli ecosistemi e sullo sviluppo umano. A livello globale, lo scioglimento dei ghiacciai è proseguito nel 2021 e sta accelerando.

Siamo 8 miliardi sulla Terra. L’Onu: “Dobbiamo prenderci cura del nostro Pianeta”

Da oggi la popolazione mondiale ha ufficialmente superato gli 8 miliardi. La stima ufficiale è dell’Onu che richiama alla “nostra responsabilità condivisa di prenderci cura del nostro Pianeta”. Per le Nazioni Unite, “questa crescita senza precedenti” – nel 1950 si contavano 2,5 miliardi di abitanti – è il risultato “di un progressivo aumento della durata della vita grazie ai progressi compiuti in termini di salute, alimentazione, igiene personale e medicina”.

Ma la crescita della popolazione ci pone di fronte a enormi sfide, soprattutto nei Paesi più poveri, in cui esiste un problema di sovrappopolazione. La soglia degli 8 miliardi viene superata nel bel mezzo della conferenza mondiale sul clima, Cop27, a Sharm el-Sheikh, dove è stata ribadita più volte la necessità che i Paesi ricchi – i maggiori responsabili del riscaldamento globale – supportino i Paesi più poveri nella strada verso la transizione ecologica. Infatti, ricorda l’Onu, “se la crescita demografica amplifica l’impatto ambientale dello sviluppo economico”, “i Paesi dove il consumo di risorse materiali e le emissioni di gas serra per abitante sono più elevati, sono in genere quelli dove il reddito pro capite è il più alto e non quelli in cui la popolazione sta crescendo rapidamente”.

“Il nostro impatto sul pianeta è determinato molto più dal nostro comportamento che dai nostri numeri”, riassume Jennifer Sciubba, ricercatrice presso il think tank del Wilson Center. Ma è proprio nei Paesi più poveri che la crescita della popolazione pone sfide importanti. “La persistenza di alti livelli di fertilità, che guidano una rapida crescita della popolazione, è sia un sintomo sia una causa del lento progresso dello sviluppo”, scrive l’Onu.

Così l’India, che conta 1,4 miliardi di abitanti e che diventerà il Paese più popoloso del mondo nel 2023, superando la Cina, andrà incontro a un sovraffollamento urbano e alla scarsità di risorse. A Bombay, circa il 40% della popolazione vive in baraccopoli, la maggior parte delle quali prive di acqua corrente, elettricità e servizi igienici. I numeri forniti dall’Onu evidenziano un’immensa diversità demografica. Pertanto, più della metà della crescita della popolazione entro il 2050 proverrà da soli 8 Paesi: Repubblica Democratica del Congo, Egitto, Etiopia, India, Nigeria, Pakistan, Filippine e Tanzania. Ed entro la fine del secolo, le tre città più popolose del mondo saranno africane: Lagos in Nigeria, Kinshasa nella Repubblica Democratica del Congo e Dar Es Salaam in Tanzania.

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L’Onu lancia un sistema di allerta satellitare sulle emissioni di metano

Un sistema di rilevamento e di allerta dallo spazio per arginare le emissioni di metano è stato presentato dall’agenzia ambientale dell’Onu a Sharm-el Sheikh, in Egitto, dove è in corso la 27esima conferenza sul clima. Il programma satellitare, che si chiama ‘Methane alert and response system (Mars)’, sarà “il primo sistema globale e pubblico in grado di collegare in modo trasparente il rilevamento del metano a un processo di notifica”, spiega l’agenzia delle Nazioni Unite. Il metano è un potente gas serra, che contribuisce per almeno un quarto al riscaldamento climatico. Anche se è più potente della Co2, la sua durata nell’atmosfera è molto più breve – 12 anni contro secoli – quindi la riduzione delle sue emissioni potrebbe portare a risultati rapidi. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change, è necessario ridurre le emissioni di almeno il 30% entro il 2030 per evitare di superare il limite di temperatura di 1,5°C. Circa la metà delle emissioni di metano sono legate all’attività umana, in particolare all’industria petrolifera e del gas e all’agricoltura.

Ma come funzionerà il sistema dell’Onu? I satelliti saranno in grado di identificare grandi perdite di questo gas e i governi e le aziende saranno avvisati immediatamente in modo da poter agire subito. Potranno inoltre beneficiare di consigli su come risolvere il problema. “La trasparenza è una parte vitale della soluzione per risolvere il problema del metano e questo nuovo sistema aiuterà i produttori a rilevare le perdite e a fermarle senza indugio se e quando si verificano”, ha spiegato Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia.

Le Ong si aspettano una dichiarazione congiunta dell’Unione Europea e degli Stati Uniti durante la Cop27 per lanciare un’iniziativa finalizzata a ridurre le emissioni di metano da parte dei principali Paesi importatori ed esportatori di petrolio e gas. “Tagliare il metano è l’opportunità più rapida per ridurre il riscaldamento e mantenere a portata di mano 1,5°C, e questo nuovo sistema di allerta e risposta sarà uno strumento fondamentale per aiutare tutti noi a rispettare il Global Methane Pledge”, ha affermato John Kerry, inviato Usa per il clima.

Nada Al-Nashif

Allarme Onu su ritorno a combustibili fossili: “Crisi climatica irreversibile”

Limitare l’impatto dell’attuale crisi energetica sul pianeta. È quanto si è ripromessa di fare l’Onu, esortando gli Stati europei a evitare un ritorno all’utilizzo dei combustibili fossili per far fronte al caro-bollette. “Mentre i prezzi dell’energia salgono, minacciando di colpire i più vulnerabili con l’avvicinarsi dell’inverno, alcuni Stati membri dell’Ue si stanno rivolgendo a investimenti in infrastrutture e fornitura di combustibili fossili. Sebbene questo impulso sia comprensibile, esorto l’Ue e i suoi Stati membri a considerare le conseguenze a lungo termine della costruzione di infrastrutture per i combustibili fossili“, ha dichiarato l’Alto Commissario ad interim, Nada Al-Nashif, nel suo discorso di apertura alla 51esima sessione del Consiglio per i diritti umani, invitando gli Stati europei ad accelerare lo sviluppo di progetti di efficienza energetica e di energie rinnovabili. “Non c’è spazio per tornare indietro di fronte all’attuale crisi climatica“, ha ricordato loro.

Il 28 luglio scorso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione che riconosce il diritto degli esseri umani a un ambiente pulito, sano e sostenibile. Il voto ha fatto seguito all’adozione nel 2021 da parte del Consiglio dei diritti umani di una risoluzione per il riconoscimento universale del diritto umano a un ambiente sano.

L’Europa è duramente colpita dall’aumento dei prezzi mondiali dell’energia. Alimentata prima dalla ripresa post-covid, ora è la guerra in Ucraina a far temere carenze con la graduale cessazione delle consegne di gas russo. Nel 2021, circa il 40% delle importazioni di gas dell’Ue proveniva dalla Russia: ora rappresentano il 9%. In vista dell’inverno, alcuni paesi, tra cui la Germania, hanno annunciato un maggiore utilizzo del carbone. Se il cancelliere Olaf Scholz ha assicurato di non rinunciare al suo obiettivo di abbandonare questo tipo di energia inquinante nel 2030, e ha escluso “una rinascita dei combustibili fossili, in particolare del carbone“, tuttavia il suo utilizzo sembra più che mai un’alternativa necessaria per riscaldare le popolazioni europee. La neo premier britannica, Liz Truss, ha infatti annunciato una revisione della politica ‘green’ attuata dal predecessore Boris Johnson: nel maxi piano per contenere il forte aumento delle bollette e del costo della vita la prima ministra ha previsto anche la riapertura di centrali a carbone e la fine del divieto di fracking (la modalità di estrazione del gas dal sottosuolo). Non solo. Ha anche annunciato che il piano di emissioni zero entro il 2050 sarà rivalutato in linea con gli obiettivi energetici e di crescita.

Rivalutato anche il nucleare: sempre Berlino ha deciso di ‘congelare’ il progetto di chiusura degli ultimi impianti nucleari ancora in funzione, mettendo in standby due dei tre reattori. Almeno fino alla primavera, come si è trovato costretto ad accettare il ministro ‘verde’ all’Economia Robert Habeck, in modo che possano essere disponibili come riserve all’occorrenza.

Pakistan

Pakistan sotto scacco dei monsoni. Da Onu aiuti per 160 mln

Sono stati intensificati gli sforzi per aiutare decine di milioni di pakistani colpiti dalle incessanti piogge monsoniche che da giugno hanno sommerso un terzo del Paese e ucciso più di 1.100 persone. Il primo ministro Shehbaz Sharif l’ha definita “la peggiore alluvione della storia del Pakistan” e ha stimato che saranno necessari almeno 10 miliardi di dollari per riparare i danni nel Paese. “Prometto solennemente che ogni centesimo (degli aiuti internazionali, ndr) sarà speso in modo trasparente. Ogni centesimo andrà a chi ne ha bisogno“, ha aggiunto.

Da parte sua, il ministro della Pianificazione e dello Sviluppo Ahsan Iqbal ha dichiarato all’Afp che “sono stati causati ingenti danni alle infrastrutture, soprattutto nei settori delle telecomunicazioni, delle strade, dell’agricoltura e dei mezzi di sussistenza“. Le piogge hanno distrutto o gravemente danneggiato più di un milione di case e devastato vaste aree agricole vitali per l’economia del Paese.

Le alluvioni sono arrivate nel momento peggiore per il Pakistan, che aveva già chiesto aiuto internazionale per la sua economia in difficoltà. Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza e ha chiesto il sostegno della comunità internazionale. Intanto le Nazioni Unite e il governo pakistano hanno lanciato un piano di risposta urgente per 160 milioni di dollari per aiutare le vittime delle catastrofiche inondazioni che hanno colpito il Paese. Il denaro finanzierà un piano d’emergenza per i prossimi sei mesi per fornire servizi sanitari di base, cibo, acqua e alloggi ai 5,2 milioni di persone più colpite dalle storiche piogge monsoniche, ha dichiarato Jens Laerke, portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA), durante il regolare briefing delle Nazioni Unite a Ginevra. Gli aiuti dovrebbero anche contribuire a prevenire le epidemie di colera, ad esempio, e fornire pacchi alimentari alle madri e ai loro bambini. Lunedì il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha approvato la ripresa di un programma di sostegno finanziario a lungo negoziato e vitale per il Paese, annunciando l’erogazione di un pacchetto di 1,1 miliardi di dollari.

Le autorità e le agenzie umanitarie stanno lottando per accelerare la consegna degli aiuti agli oltre 33 milioni di persone, ovvero un pakistano su sette, colpiti dalle inondazioni. Il compito è difficile, perché le acque alluvionali hanno spazzato via molte strade e ponti, lasciando alcune aree completamente isolate. Nel sud e nell’ovest non è quasi rimasta terra asciutta e gli sfollati sono costretti ad accalcarsi sulle strade principali o sulle ferrovie per sfuggire alle pianure alluvionali. Nelle aree montuose settentrionali, le autorità stanno ancora cercando di raggiungere i villaggi più remoti, dove potrebbe aumentare il bilancio delle vittime.

I funzionari pakistani attribuiscono la colpa del tempo devastante al cambiamento climatico, affermando che il loro Paese sta subendo le conseguenze di pratiche ambientali irresponsabili in altre parti del mondo. “Vedere la devastazione sul terreno è davvero sconvolgente“, ha dichiarato lunedì all’Afp il ministro per i Cambiamenti climatici Sherry Rehman, riferendosi a una “crisi di proporzioni inimmaginabili“.

(Photo credits: Asif HASSAN / AFP)

Firmato accordo Kiev-Mosca per sblocco grano, Onu e Turchia garanti

Mosca e Kiev firmano a Istanbul l’accordo per lo sblocco di circa 25 milioni di tonnellate di grano e cereali, bloccati da mesi nei porti del Mar Nero a causa della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. L’intesa, duramente negoziata da aprile, arriva a cinque mesi dall’inizio del conflitto e porta la firma del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, dei ministri della Difesa turco e russo, Hulusi Akar e Sergei Shoigu, e del ministro delle Infrastrutture ucraino, Oleksandr Kubrakov.

Si tratta di due testi perfettamente identici ma separati, su richiesta proprio degli ucraini, che si sono rifiutati di siglare qualsiasi documento con i russi. Con l’intesa raggiunta grazie alla mediazione di Ankara, e il sostegno di tutta la comunità internazionale, si risolve una situazione che rischia pericolosamente di creare una crisi alimentare a livello mondiale.

L’accordo prevede un centro di coordinamento a Istanbul gestito da delegati delle parti coinvolte: un rappresentante ucraino, uno russo, uno turco e uno delle Nazioni Unite, assistiti dai rispettivi team. Questa ‘cabina di regia’, secondo Guterres, sarà costituita entro pochi giorni e sarà responsabile della programmazione della rotazione delle navi nel Mar Nero. “Non posso darvi una data precisa. Ma al massimo tra quindici giorni“, ha fatto sapere il segretario generale. Inoltre, ci saranno ispezioni (in mare) delle navi che trasportano il grano alla partenza e all’arrivo in Turchia, come richiesto da Mosca, per garantire che non vengano contemporaneamente consegnate armi all’Ucraina. Altro punto è la garanzia di un corridoio di navigazione sicuro attraverso il Mar Nero, libero da attività militari.

Le navi partiranno da tre porti ucraini: Odessa, Pivdenny (Yuzhne) e Chornomorsk, e i ‘piloti ucraini’ apriranno la strada alle navi da carico nelle acque territoriali.

L’accordo è valido per 120 giorni. Le circa 25 milioni di tonnellate di grano attualmente ferme nei silos dei porti ucraini, saranno portate a destinazione con cadenza di otto milioni di tonnellate al mese, dunque quattro mesi dovrebbero essere sufficiente a smaltire le scorte, anche se praticamente a ridosso del nuovo raccolto. È stato poi raggiunto un’intesa per facilitare l’esportazione di prodotti agricoli e fertilizzanti russi, su richiesta di Mosca, che voleva proteggerli dalle sanzioni occidentali. Conditio sine qua non del Cremlino per dare il via libera al documento. Nel dossier c’è anche il capitolo dedicato allo sminamento delle acque che proteggono i porti, operazione per la quale la Turchia si è offerta di dare il proprio contributo come soggetto terzo, “se necessario“.

La notizia, ovviamente, ha fatto il giro del mondo. “Milioni di tonnellate di grano disperatamente necessarie bloccate dalla guerra russa lasceranno finalmente il Mar Nero per aiutare a sfamare le persone in tutto il mondo“, twitta la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ringrazia Guterres per gli “instancabili sforzi” profusi nella trattativa. Breve ma incisivo il commento di Paolo Gentiloni: “Finalmente una buona notizia“. Anche per l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, “l’accordo di Istanbul è un passo nella giusta direzione, chiediamo la sua rapida attuazione“.

In Italia è il premier, Mario Draghi, a far sentire la sua voce: “Un’ottima notizia per tutta la comunità internazionale“, dichiara in una nota. Sottolineando che “lo sblocco è essenziale per permettere a questi carichi di raggiungere i cittadini di molti Paesi a medio e basso reddito e evitare una crisi alimentare mondiale“. Avvertendo, allo stesso tempo, che “il successo di questo piano dipenderà dalla rapida e piena attuazione” delle intese. Auspicando che siano “un primo passo verso concrete prospettive di pace” ma “in termini accettabili per l’Ucraina“.

Kiev, però, continua a credere poco nelle buone intenzioni della Russia. “Contiamo sull’Onu per l’attuazione dell’accordo per le esportazioni, perché di Mosca “non ci si può fidare della Russia“. Il ministro della Difesa di Putin, però, assicura: “Non approfitteremo del fatto che questi porti ucraini siano stati liberati dalle mine e aperti, abbiamo preso l’impegno“. La situazione, dunque, resta sempre complicata, ma il passo avanti di oggi fa tirare almeno un piccolo sospiro di sollievo. Senza illusioni, la convinzione generale è che la strada sia ancora molto lunga prima che le armi finalmente tacciano.

Jason Momoa

Jason Momoa nominato inviato speciale Onu per gli Oceani

Jason Momoa, che al cinema interpreta il supereroe Aquaman, ha invitato all’azione a favore della conservazione delle risorse marine, perché “gli oceani hanno bisogno di noi“. L’attore si trova a Lisbona, in Portogallo, dove si svolge la conferenza dell’Onu sulla difesa degli oceani e dove è stato investito del ruolo di ‘Special Envoy of the Ocean’ per il suo impegno.

Dobbiamo cercare di riparare ai torti che abbiamo causato“, perché “senza un oceano sano, il nostro pianeta come lo conosciamo non esisterebbe“, ha ricordato Momoa parlando di fronte a un centinaio di giovani provenienti da tutto il mondo per discutere le azioni da intraprendere per amplificare e accelerare l’azione delle nuove generazioni a favore degli oceani.

Jason Momoa, divenuto famoso grazie al suo ruolo di supereroe dei mari, ha preso parte alla sessione di chiusura del forum della gioventù e dell’innovazione, che si è tenuta domenica sulla spiaggia di Carcavelos, a una ventina di chilometri da Lisbona.

All’attore e a un centinaio di giovani delegati da tutto il mondo si sono aggiunti poco dopo il presidente portoghese, Marcelo Rebelo de Sousa, e il segretario generale delle Nazioni Unite, il portoghese Antonio Guterres, che hanno condannato la lentezza delle decisioni politiche per preservare gli oceani.

Non è la prima volta che l’attore si schiera a favore dell’ambiente. Nato a Honolulu, alle Hawaii, da tempi si mette a disposizione delle grandi battaglie ecologiste, da quelle contro l’uso di plastiche monouso alla sostenibilità dei packaging.

(Photo credits: CARLOS COSTA / AFP)

Mattarella

Mattarella: “Condividere obiettivi per superare emergenza climatica”

Per uscire dalle crisi in atto, ‘condivisione’ deve essere la parola d’ordine. Aprendo la Conferenza nazionale della Cooperazione allo sviluppo, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è stato chirurgico nell’affrontare i temi che tormentano il mondo intero. In cima alla lista delle priorità c’è la necessità di una condivisione degli obiettivi da parte della comunità internazionale: “La pandemia ha reso evidente che non esistono risposte locali a sfide globali come quelle dell’emergenza sanitaria, dei cambiamenti climatici, della povertà estrema, dell’insicurezza alimentare”, ha affermato Mattarella, riflettendo in seguito sulle strategie presenti e future del nostro Paese nel campo della cooperazione allo sviluppo.

Se a monte, l’approccio da seguire deve essere condiviso a livello internazionale, a valle, i partenariati territoriali non possono permettersi di trascurarlo: “Le nostre Regioni e le nostre città promuovono buone pratiche di sviluppo locale. Alcuni obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite sarebbero irraggiungibili senza il contributo delle comunità locali“, ha ricordato il presidente della Repubblica.

Il conflitto in Ucraina, oltre ad aver provocato enormi difficoltà sul piano economico e alimentare, ha anche reso “più difficile la collaborazione internazionale in materia climatica e ambientale”, ha avvertito il capo dello Stato. “L’azione per gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite – ha aggiunto – ne esce indebolita, si riaprono scenari che apparivano definitamente superati o in via di superamento. La guerra genera effetti gravissimi”.