Borchia (Lega): “Decarbonizzare senza colpire le imprese si può, ma dando più tempo”

Quella che si pone l’Unione Europea, se non è una missione impossibile, resta “la transizione difficile”. Tra obiettivi che non sembrano realistici nei modi e nei tempi di raggiungimento e resto del mondo non intenzionato a seguire il Vecchio continente, Paolo Borchia (Lega/Id), membro della commissione Industria del Parlamento europeo, nutre dubbi e perplessità sull’agenda di sostenibilità dell’Unione europea. Perché da una prospettiva globale, spiega nell’intervista concessa a GEA, “senza l’impegno dei grandi inquinatori siamo di fronte ad un bagno di sangue che produce risultati limitati rispetto alla totalità del problema”. Il riferimento è in particolare a Cina e India, Paesi che possono assestare un duro colpo al tessuto produttivo dell’Unione e dei suoi Stati membri, Italia compresa.

Tra normative Ue e loro impatto sull’economia come si realizzano gli obiettivi di decarbonizzazione senza mettere in crisi l’industria, europea e italiana?

“Rifondando il Fit for 55. A fronte della condivisibilità di un obiettivo riteniamo che sia stata impostata una tabella di marcia che a livello dei tempi è insostenibile, e contestualmente a livello di strumenti è discutibile. Per contestualizzare su un dossier arrivato all’opinione pubblica, quello dell’efficienza energetica dell’edilizia e volgarmente detto ‘case green’, solo in Veneto andrebbero aperti 300 cantieri in un giorno. Questo determina un problema di numeri per quanto riguarda le imprese disponibili e di disponibilità dei materiali. Non vorremmo trovarci un’Italia popolata di imprese edili improvvisate”.

Quindi decarbonizzare tutelando le imprese si può?

“E’ possibile. Se guardiamo all’Italia, l’industria italiana negli ultimi anni è molto impegnata negli investimenti per la sostenibilità di impresa. Gli obiettivi europei sono raggiungibili a patto che si rispetti la neutralità tecnologica e che si dia la possibilità alla tecnologia di maturare, e consentirci così di emettere meno CO2 a prezzi sostenibili”.

Questa CO2 a prezzi sostenibili come si raggiunge? Con incentivi?

“Non possiamo pensare di fare spesa pubblica ad libitum. La risposta è economia di scala e più tempo. Solo sulle ‘case green’, se sulla direttiva si cambia qualche scadenza magari determinati prodotti una volta che passano da prodotti di nicchia a prodotti di alto consumo danno la possibilità di spendere meno”.

A proposito di spendere, il prezzo della carbonizzazione chi lo paga? Se le imprese lo scaricano sul consumatore ce la facciamo?

“La transizione ecologica sta diventando un affari per ricchi. Timmermans rappresenta quella sinistra di facciata che non si preoccupa della fasce meno abbienti della popolazione. Pensare che questa fascia di popolazione riesca, di tasca propria, a farsi carico di queste spese, io lo trovo inverosimile”.

L’Inflation reduction act è una minaccia in più per le nostre imprese, europee ed italiane?

“Nell’ambito della competizione globale, alcuni attori saranno aiutati e altri dovranno fare i conti con la disciplina sugli aiuti di Stato che viene strenuamente difeso da Vestager. E’ inutile nascondere che le preoccupazioni ci sono eccome. Un aspetto chiave sarà la direzione del nuovo patto di stabilità e crescita, se si chiuderà un occhio sugli investimenti per la decarbonizzazione”.

Più che dell’Ira degli Stati Uniti il problema è dunque la legislazione di casa nostra?

“Sulla decarbonizzazione mi sembra ci sia un’Europa che corre senza avere dei mezzi e degli strumenti, con un resto del mondo che vivacchia. Mi sembra paradossale, perché se guardiamo ai pesi in termini di emissioni non giustificano un impianto che sia un impianto così restrittivo e pericoloso per quanto riguarda la competitività delle nostre imprese. Già ci si lamenta per i costi dell’energia, se poi si crea un elemento di ulteriore criticità sulla base normativa… Io non nascondo che sono molto preoccupato perché non vorrei che questo impianto fosse il colpo di grazia per la competitività dell’industria europea. Senza dimenticare che le zelanti politiche europee in materia di clima ed energia sono tra le cause principali dell’aumento dei prezzi dei prezzi energetici”.

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