Innovazione e tecnologia protagoniste alla Borsa della Ricerca

La gestione di una serra da remoto e la conseguente riduzione delle risorse idriche ed energetiche. Una capsula per il trasporto con droni di prodotti biomedicali come sangue e organi e ancora, l’utilizzo di tecniche 3D per ricostruire i tessuti biologici e ottenere un’indagine più accurata sui tumori e risultati certi.  Sono solo alcune delle attività di ricerca presentate a oltre 100 aziende di tutti i settori, durante il XV Forum Borsa della Ricerca a Catania, organizzato dalla Fondazione Emblema, in collaborazione con la Regione Siciliana e l’Università degli Studi di Catania.

Durante i tre giorni si sono svolti più di 1200 appuntamenti per promuovere il trasferimento tecnologico e l’innovazione. L’evento rappresenta un’opportunità per le startup e Pmi siciliane di crescere e stringere collaborazioni con attori nazionali e internazionali.

“La Borsa della Ricerca – ha sottolineato Tommaso Aiello, presidente della Fondazione Emblema – è un evento unico in Italia che vuole creare un ponte diretto tra chi ha un prodotto, una soluzione di immediato utilizzo sul mercato e le imprese e gli investitori interessati a farne una produzione su larga scala.

Il rettore dell’Università di Catania, Francesco Priolo, ha sottolineato il ruolo centrale dell’Ateneo nei progetti PNRR e nell’ecosistema dell’innovazione siciliano, evidenziando l’importanza della ricerca e dello sviluppo industriale.

Secondo Edy Tamajo, assessore delle Attività Produttive della Regione Siciliana, la Borsa della Ricerca è una straordinaria occasione per il tessuto imprenditoriale siciliano.

 

 

I coccodrilli possono percepire l’angoscia dei neonati umani

Photo credit: AFP

 

 

I coccodrilli sono in grado di percepire l’angoscia nelle grida di cuccioli di scimmia o di uomo, nonostante la grande distanza tra queste specie. La scoperta arriva da un gruppo di ricercatori francesi di Lione e Saint-Etienne.

Utilizzando campioni sonori di grida di piccoli umani, bonobo e scimpanzé, trasmessi a vasche di numerosi coccodrilli del Nilo in un parco zoologico di Agadir, in Marocco, i ricercatori hanno scoperto che i rettili erano più attratti da queste grida quando trasmettevano angoscia.

L’idea iniziale era quella di indagare l’universalità delle caratteristiche di angoscia nei richiami degli animali, ma nel corso dello studio i ricercatori si sono resi conto che “i parametri acustici per giudicare l’angoscia erano più rilevanti nei coccodrilli” che negli esseri umani.

L’esperimento ha dimostrato che i coccodrilli identificano perfettamente l’angoscia nei pianti dei cuccioli di scimmia o di uomo, ma anche che quanto più angoscia contengono i pianti, tanto più i rettili reagiscono“, spiega Nicolas Grimault all’Afp. Direttore di ricerca presso il laboratorio Auditory Cognition and Psychoacoustics, Grimault è uno dei principali autori di questo studio, pubblicato il 9 agosto dalla rivista della Royal Society specializzata in ricerca biologica.

I coccodrilli basano i loro richiami su criteri di ruvidità e caoticità, più rilevanti rispetto al criterio utilizzato dagli esseri umani, che è l’altezza del suono“, continua. Per il ricercatore, questa acutezza si spiega con il fatto che i coccodrilli sono animali a sangue freddo, molto parsimoniosi nei movimenti e opportunisti, che cercano prede in una situazione di debolezza. Più un animale è in difficoltà, più è facile che venga predato.

Più ricerca in acque profonde: siglato l’accordo Cnr-Isa sui fondali

Un accordo per far progredire la ricerca scientifica marina e rafforzare l’interfaccia scienza-politica sui temi riguardanti i fondali, bene comune dell’umanità e cruciali per il funzionamento degli ecosistemi.

La partnership la siglano, a Venezia, il segretario generale dell’Isa-International Seabed Authority (Autorità Internazionale dei Fondali Marini), Michael W. Lodge, e la presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Maria Chiara Carrozza, in occasione delle celebrazioni del Centenario del Cnr e dell’inaugurazione della mostra sull’’Antropocene. La Terra a ferro e fuoco‘, che ha uno spazio dedicato ai fondali marini e al paesaggio acustico subacqueo.

I fondali sono uno spazio per infrastrutture e una miniera di risorse biologiche e abiotiche non rinnovabili e in un equilibrio fragile con l’ambiente. Una parte importante di questa nuova partnership riguarda l’implementazione di iniziative mirate di costruzione di nuove competenze su questioni legate al mare profondo, come l’esplorazione, la pianificazione della gestione ambientale e il trasferimento tecnologico, anche attraverso opportunità di formazione ad hoc a bordo della nuova nave oceanografica Gaia Blu del Cnr. Particolare enfasi sarà posta sullo sviluppo di nuovi strumenti educativi per conoscere e decidere circa l’ambiente marino e sull’emancipazione e la leadership delle donne nella ricerca in acque profonde. Attività che contribuiscono alle priorità stabilite nel piano strategico e nel piano d’azione ad alto livello dell’ISA per il periodo 2019-2023 e al piano d’azione a sostegno del decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. “C’è bisogno di cooperazione internazionale, soprattutto dove le domande sono semplicemente troppo grandi per essere risolte da una singola agenzia o istituzione“, osserva Lodge. Ora l’obiettivo, scandisce, “deve essere creare sinergie e allocare risorse economiche dove sono più necessarie, come si evince dal piano d’azione dell’ISA per la ricerca scientifica marina a sostegno del Decennio delle scienze oceaniche delle Nazioni Unite“.

Il segretario dell’Isa mette in luce la responsabilità di rafforzare le capacità di ricerca degli Stati in via di sviluppo e tecnologicamente meno avanzati per garantire la loro effettiva partecipazione ai programmi di esplorazione e ricerca in acque profonde, “uno dei principali driver per l’economia blu sostenibile e la protezione dell’ambiente marino”, osserva Carrozza.

foreste

L’aria delle foreste diminuisce l’ansia: lo dice la scienza

L’aria della foresta diminuisce l’ansia, non è solo una suggestione, lo dice la scienza. Una ricerca sperimentale condotta in 39 siti italiani tra montagna, collina e parchi urbani ha permesso di svelare il ruolo dei monoterpeni – componenti profumati degli oli essenziali emessi dalle piante – e di isolarne l’effetto specifico sulla riduzione significativa dei sintomi dell’ansia.
A condurla, un team di ricercatori dell’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Ibe) e del Club Alpino Italiano, insieme alle Università di Parma e Firenze, all’Azienda unità sanitaria locale (Ausl) di Reggio Emilia, e con il sostegno del Centro di riferimento regionale per la fitoterapia (Cerfit) di Firenze: la ricerca è pubblicata sul International Journal of Environmental Research and Public Health.

In base all’analisi di dati ambientali e psicometrici raccolti nel corso delle campagne svolte nel 2021 e nel 2022, è stato individuato e isolato l’effetto specifico dell’esposizione ai monoterpeni – e in particolare ad α-pinene – sulla riduzione significativa dei sintomi di ansia, identificando non solo soglie di esposizione, ma anche la correlazione alla quantità di monoterpeni inalati.
I risultati mostrano che, oltre una data soglia di concentrazione di monoterpeni totali o anche del solo α-pinene, i sintomi di ansia diminuiscono a prescindere da tutti gli altri parametri, sia ambientali che individuali, e poiché questi composti sono emessi dalle piante, possiamo ora assegnare un valore terapeutico specifico a ogni sito verde, anche condizionato alla frequentazione in momenti diversi dell’anno e del giorno”, sottolinea Francesco Meneguzzo, ricercatore del Cnr-Ibe e membro del Comitato scientifico centrale del Cai. “I monoterpeni sono molto più abbondanti nelle foreste remote che nei parchi urbani, sebbene con un notevole grado di variabilità: un prossimo passo sarà mappare e prevedere le relative concentrazioni”.

L’organizzazione della ricerca si è rivelata particolarmente articolata, con centinaia di partecipanti coinvolti in sessioni standardizzate di terapia, condotte in siti di tutta Italia. “Combinando sessioni di terapia forestale condotte da psicologi professionisti con tecniche avanzate di statistica, abbiamo potuto dimostrare che, in certe condizioni, l’aria della foresta è davvero terapeutica: un traguardo importante per la progressiva adozione di pratiche sanitarie verdi”, afferma Federica Zabini di Cnr-Ibe, responsabile Cnr del progetto e supervisore della ricerca.

Abbiamo applicato un metodo statistico avanzato in uso nella ricerca clinica, che ha consentito di creare gruppi di intervento e di controllo perfettamente abbinati: i risultati ci permettono, oggi, di disporre di criteri oggettivi per individuare e qualificare stazioni di Terapia Forestale in grado di consentire prestazioni di livello clinico”, aggiunge Davide Donelli del Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università di Parma e Divisione di cardiologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma. “Poiché è ormai consolidata la connessione tra stati di ansia e rischio cardiovascolare, i risultati ottenuti assumono un valore importante anche in ambito patofisiologico, e quella sarà materia di ulteriori ricerche”.

Lo studio prosegue il filone di ricerca intrapreso nel 2019 relativo alla distribuzione degli oli essenziali emessi dalle piante, che ha portato a numerose pubblicazioni scientifiche e alla realizzazione di due volumi sulla Terapia Forestale, editi dal Cnr, che hanno permesso di sistematizzare le conoscenze ad oggi acquisite in merito a questa disciplina emergente.

emissioni industriali

Cmcc-Ca’ Foscari: “Così il taglio emissioni limita i costi dei consumi”

L’energia necessaria per l’adattamento ai cambiamenti climatici comporterà investimenti e costi energetici più elevati delle stime attuali. Ridurre drasticamente e rapidamente le emissioni climalteranti avrebbe quindi il vantaggio di evitare una gran parte dei consumi e dei costi energetici dovuti all’adattamento. Questo quanto evidenzia un nuovo studio pubblicato su ‘Nature Communications’ da ricercatrici e ricercatori della Fondazione CMCC – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, dell’Università Ca’ Foscari Venezia, di RFF-CMCC European Institute on Economics and the Environment e di LSHTM – London School of Hygiene & Tropical Medicine. L’articolo esamina come l’adattamento ai cambiamenti climatici in atto abbia un impatto rilevante sui sistemi energetici e quindi sul raggiungimento degli obiettivi di mitigazione e sui loro costi economici: un aspetto ancora poco esplorato dell’analisi delle politiche climatiche necessarie per la transizione energetica. Perchè, è la tesi della ricerca, “le esigenze di adattamento ai cambiamenti climatici riducono l’efficacia delle misure di mitigazione delle emissioni, rendendo necessaria una loro revisione che tenga conto dei già evidenti cambiamenti del clima“. La stima del fabbisogno energetico per l’adattamento ai cambiamenti climatici ha insomma “importanti implicazioni per la transizione verso la sostenibilità e la decarbonizzazione delle economie“.

Francesco Pietro Colelli, primo autore dello studio, sottolinea che “adattarsi ai cambiamenti climatici modificando i nostri consumi energetici, come abbiamo fatto in passato, aumenterà la domanda globale di elettricità del 7% entro il 2050 e del 18% al 2100. Considerando che la nostra produzione di elettricità deriva ancora essenzialmente da gas, carbone, e petrolio, c’è il rischio che molti degli investimenti energetici delle prossime decadi siano quindi indirizzati ai combustibili fossili, a scapito delle rinnovabili. Secondo le nostre stime, questo significherebbe ricorrere a circa 30-35 nuovi grandi impianti a gas e 10-15 nuovi grandi impianti a carbone e petrolio ogni anno da qui al 2050“.

In Europa, l’aumento della domanda di elettricità per il raffrescamento degli ambienti sarà più che compensato dalla diminuzione della domanda di combustibili per il riscaldamento, portando in sostanza ad un risparmio energetico da qui a fine secolo. Ciononostante, da qui al 2050, e considerando le attuali politiche per il clima, saranno comunque necessari ulteriori 235 miliardi di euro di investimenti e spese operative per la generazione e la trasmissione di elettricità per il raffrescamento degli ambienti.

Secondo Enrica De Cian, coautrice dello studio e leader del progetto europeo ERC ENERGYA, spiega che “adattarsi alle ondate di calore attraverso l’uso di aria condizionata richiederà anche investimenti aggiuntivi nelle reti e nella produzione di energia. I costi globali per la fornitura di elettricità da qui a fine secolo, comprensivi dei costi di generazione, reti, e combustibili, calcolati in termini di valore attuale, aumenteranno del 21%“. I costi aggiuntivi, sottolinea De Cian “saranno trasferiti ai consumatori attraverso l’aumento del prezzo dell’elettricità, che potrà crescere dal 2 al 6% a seconda della regione considerata. Politiche di mitigazione ambiziose possono tuttavia dimezzare l’aumento dei costi del sistema energetico indotti dall’adattamento, a seconda dell’ambizione degli obiettivi climatici. La riduzione delle spese energetiche per l’adattamento compensa i maggiori costi necessari per la decarbonizzazione, tanto da comportare un beneficio economico netto in termini di costi del sistema energetico in scenari ben al di sotto dei 2 gradi di riscaldamento“.

Colelli sottolinea infine che “l’adattamento ai cambiamenti climatici induce variazioni nei mercati energetici che si traducono in una variazione delle emissioni di gas serra cumulative intorno al 7% da oggi al 2100. Come conseguenza della variazione delle emissioni, politiche di mitigazione ambiziose comporteranno un aumento del prezzo globale del carbonio tra il 5% e il 30%“. Un aspetto che può avere importanti implicazioni per i negoziati internazionali sui cambiamenti climatici.