Allarme degli scienziati: “Pesticidi sono cancerogeni quanto il fumo”

Nell’agricoltura moderna, i pesticidi sono essenziali per garantire raccolti sufficientemente elevati e la sicurezza alimentare. Queste sostanze chimiche, tuttavia, possono avere effetti negativi sulla vita delle piante e degli animali e sulle persone che vi sono esposte. Alcuni ricercatori statunitensi hanno messo in relazione l’aumento del rischio di cancro dovuto all’uso di pesticidi agricoli con il fumo, un fattore di rischio di cancro più conosciuto. I risultati sono stati pubblicati su Frontiers in Cancer Control and Society.

“Nel nostro studio abbiamo scoperto che per alcuni tipi di cancro, l’effetto dell’uso di pesticidi agricoli è paragonabile in termini di grandezza a quello del fumo”, spiega l’autore senior dello studio, Isain Zapata, professore associato presso la Rocky Vista University, College of Osteopathic Medicine in Colorado. “Una persona che non è un agricoltore e che vive in una comunità con una forte produzione agricola è esposta a molti dei pesticidi utilizzati nelle vicinanze”, dice l’esperto.

I ricercatori hanno scoperto che in questo ambiente l’impatto dell’uso di pesticidi sull’incidenza del cancro è pari a quello del fumo. L’associazione più forte riguardava il linfoma non-Hopkins, la leucemia e il cancro alla vescica. In questi tipi di tumore, gli effetti dell’esposizione ai pesticidi erano addirittura più pronunciati di quelli delle sigarette.

Per gli esperti “è la combinazione di tutti i pesticidi e non uno soltanto” ad aumentare i rischi. Poiché non vengono utilizzati uno alla volta, secondo i ricercatori è improbabile che la colpa sia di uno solo. Gli esperti hanno incluso 69 pesticidi per i quali sono disponibili dati sull’uso tramite il Servizio geologico degli Stati Uniti.
I ricercatori hanno dichiarato che il loro studio è la prima valutazione completa del rischio di cancro da una prospettiva basata sulla popolazione a livello nazionale. Finora nessuna ricerca su larga scala aveva esaminato il quadro generale e contestualizzato l’uso dei pesticidi con un fattore di rischio di cancro non più messo in discussione, in questo caso il fumo. “È difficile spiegare l’entità di un problema senza presentare un contesto, quindi abbiamo incorporato i dati sul fumo. Siamo rimasti sorpresi nel vedere stime con intervalli simili”, dice Zapata.

inquinamento

Gli inquinanti dell’aria aumentano il rischio di paralisi cerebrale nei bambini

L’esposizione agli inquinanti atmosferici durante la gravidanza è associata al rischio di paralisi cerebrale tra i nati a termine. Lo rivela uno studio pubblicato su Jama Network e condotto in Canada, secondo il quale l’esposizione prenatale al PM2.5 ambientale è legata a un rischio aumentato di paralisi cerebrale nei bambini.

La ricerca è stata condotta su 1,59 milioni di coppie madre-bambino con gravidanze singole giunte a termine in tutti gli ospedali dell’Ontario tra il 2002 e il 2017 e i dati sono stati analizzati da gennaio a dicembre 2022. Le concentrazioni medie settimanali di particolato fine con diametro di 2,5 μm (PM2.5) o inferiore, di biossido di azoto (NO2) e di ozono (O3) durante la gravidanza, assegnate in base alla residenza materna dichiarata al momento del parto, sono state ricavate da stime satellitari e da quelle a livello del suolo. I casi di paralisi cerebrale sono stati accertati da una singola diagnosi di ricovero ospedaliero o da almeno 2 diagnosi ambulatoriali dalla nascita ai 18 anni: 3170 (0,2%) bambini hanno ricevuto una diagnosi di questo tipo.

La paralisi cerebrale è la causa più comune di disabilità fisica nell’infanzia e rappresenta un gruppo di disturbi del neurosviluppo non progressivi, clinicamente eterogenei, caratterizzati da disabilità motoria. Compare precocemente nella vita e porta a una disabilità motoria che dura per sempre. La sua prevalenza complessiva è rimasta stabile nel tempo tra 1 e 4 per 1000 nati vivi.

L’esposizione prenatale all’inquinamento atmosferico è associata a un rallentamento dello sviluppo neurologico nelle prime fasi della vita e a un aumento del rischio di problemi di sviluppo neurologico. Sebbene nessuno studio sugli animali o sull’uomo abbia mai riportato un legame diretto tra inquinamento atmosferico e paralisi cerebrale, per i ricercatori “è possibile” che l’esposizione a livelli elevati di inquinanti possano aumentare i rischi.

Dalla ricerca, infatti, è emerso che alti livelli di inquinamento atmosferico sono associati a un rischio di paralisi cerebrale 1,12 volte superiore alla media. “Sono necessari – spiegano gli autori – ulteriori studi per esplorare questa associazione e i suoi potenziali percorsi biologici, che potrebbero far progredire l’identificazione dei fattori di rischio ambientali della paralisi cerebrale nella prima infanzia”.

La luce del sole danneggia bottiglie di plastica: rischi per la salute

La luce solare può danneggiare le bottiglie di plastica che contengono acqua, al punto da causare rischi per la salute. L’esposizione alla luce può portare questi contenitori a degradarsi e a emettere composti organici volatili (VOC), potenzialmente dannosi per l’uomo. E’ quanto emerge da uno studio condotto dal Guangdong Key Laboratory of Environmental Pollution and Health dell’Università di Jinan e pubblicata su Eco-Environment & Health. Il boom del mercato dell’acqua in bottiglia, dicono gli autori, “sottolinea l’urgenza” di trovare “alternative più sicure”, a partire dai materiali di produzione.

La ricerca ha analizzato i composti organici volatili rilasciati da sei tipi di bottiglie di plastica sottoposte a raggi UV-A e alla luce del sole. I risultati hanno mostrato che tutte le bottiglie testate hanno emesso una miscela complessa di alcani, alcheni, alcoli, aldeidi e acidi, con variazioni significative nella composizione e nella concentrazione dei VOC tra le bottiglie. In particolare, sono stati identificati composti altamente tossici, tra cui sostanze cancerogene come l’n-esadecano, evidenziando gravi rischi per la salute.

“I nostri risultati – spiega il primo ricercatore, Huase Ou – forniscono prove convincenti del fatto che le bottiglie di plastica, se esposte alla luce del sole, possono rilasciare composti tossici che comportano rischi per la salute. I consumatori devono essere consapevoli di questi rischi, soprattutto negli ambienti in cui l’acqua in bottiglia è esposta alla luce del sole per periodi prolungati”.

La ricerca non solo fa luce sulla stabilità chimica delle bottiglie in polietilene tereftalato (PET), ma ha anche implicazioni significative per la salute pubblica e le norme di sicurezza. La comprensione delle condizioni in cui questi VOC vengono rilasciati può guidare il miglioramento delle pratiche di produzione e la selezione dei materiali per i contenitori di acqua in bottiglia. Inoltre, sottolinea la necessità di una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori e di norme industriali più severe per ridurre l’esposizione a questi composti potenzialmente dannosi.

Trovati Pfas nel latte materno e nella placenta: neonati a rischio

I Pfas, considerati gli inquinanti eterni, sono in grado di passare dalla madre al figlio attraverso il cordone ombelicale e il latte. Lo rivela uno studio pubblicato su Eco-Environment & Health, che ha analizzato le implicazioni per la salute dell’esposizione alle sostanze polifluoroalchiliche (i Pfas) nei neonati, studiando il loro trasferimento attraverso la placenta e il latte materno. Questo studio segna un significativo passo avanti nella comprensione degli inquinanti ambientali e del loro impatto sulle popolazioni più vulnerabili.

I Pfas sono una classe di sostanze chimiche ampiamente utilizzate nella produzione di beni di consumo grazie alle loro proprietà idrofobiche e oleofobiche e alla loro stabilità. Tuttavia, la loro persistenza nell’ambiente e il bioaccumulo negli organismi viventi hanno suscitato preoccupazioni per i potenziali effetti sulla salute.
Trovate nel cordone ombelicale e nel latte materno, queste sostanze chimiche sintetiche comportano potenziali rischi per la salute dei neonati. Guidato da un gruppo di ricercatori della School of Public Health della Fudan University, il team di ricerca ha analizzato meticolosamente i meccanismi di trasferimento e gli impatti di queste sostanze chimiche persistenti, fornendo indicazioni cruciali sulla loro presenza pervasiva dalla gravidanza all’allattamento.

Yaqi Xu, autrice principale dello studio, spiega che “i nostri risultati sono fondamentali per sviluppare strategie di protezione dei neonati dagli effetti potenzialmente dannosi dell’esposizione ai Pfas. La comprensione dei percorsi e dei rischi associati a queste sostanze chimiche può portare a migliori politiche di regolamentazione e a misure di protezione per i più suscettibili tra noi”.

Le implicazioni di questa ricerca sono profonde, in particolare per le politiche di salute pubblica e la sicurezza dei bambini. Identificando i composti Pfas specifici che hanno maggiori probabilità di trasferirsi attraverso la placenta e nel latte materno, le misure preventive possono essere più efficacemente mirate. Inoltre, i risultati dello studio potrebbero influenzare le future linee guida sull’uso di prodotti contenenti Pfas da parte di donne in gravidanza e madri che allattano.

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Corte di giustizia Ue: “Ilva sospenda le attività se ci sono rischi per la salute”

“Se presenta pericoli gravi e rilevanti per l’ambiente e per la salute umana, l’esercizio dell’acciaieria Ilva di Taranto dovrà essere sospeso. Spetta al Tribunale di Milano valutarlo”. Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Ue in merito al ricorso presentato da cittadini contro il proseguimento delle attività dell’acciaieria.

La Corte ha ricordato che l’acciaieria Ilva ha iniziato le sue attività nel 1965 e, contando circa 11 mila dipendenti e avendo una superficie di circa 1.500 ettari, è una delle più grandi acciaierie d’Europa. Ha anche precisato che, nel 2019, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato che l’acciaieria provocava significativi effetti dannosi sull’ambiente e sulla salute degli abitanti della zona. “Varie misure per la riduzione del suo impatto sono state previste sin dal 2012, ma i termini stabiliti per la loro attuazione sono stati ripetutamente differiti”, ha evidenziato la Corte. In quel contesto, molti abitanti della zona hanno agito in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano contro il proseguimento dell’esercizio dell’acciaieria, sostenendo che le sue emissioni nuocciono alla loro salute e che l’installazione non è conforme ai requisiti della direttiva relativa alle emissioni industriali. A quel punto, il Tribunale di Milano si è chiesto se la normativa italiana e le norme derogatorie speciali applicabili all’acciaieria Ilva per garantirne la continuità fossero in contrasto con la direttiva ed ha, per questo, adito la Corte al riguardo.

La Corte ha sottolineato anzitutto “lo stretto collegamento tra la protezione dell’ambiente e quella della salute umana, che costituiscono obiettivi chiave del diritto dell’Unione, garantiti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Ha rilevato che la direttiva contribuisce al conseguimento di questi obiettivi e alla salvaguardia del diritto di vivere in un ambiente atto a garantire la salute e il benessere. Mentre, secondo il governo italiano, la direttiva non fa alcun riferimento alla valutazione del danno sanitario, la Corte rileva che la nozione di ‘inquinamento’ ai sensi di tale direttiva include i danni tanto all’ambiente quanto alla salute umana.

Pertanto, “la valutazione dell’impatto dell’attività di un’installazione come l’acciaieria Ilva su tali due aspetti deve costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell’autorizzazione all’esercizio”, ha puntualizzato la Corte.

Secondo il Tribunale di Milano, tale presupposto non è stato rispettato per quanto riguarda il danno sanitario. “Il gestore deve altresì valutare tali impatti durante tutto il periodo di esercizio della sua installazione”. Inoltre, secondo il Tribunale di Milano, le norme speciali applicabili all’acciaieria Ilva hanno consentito di rilasciarle un’autorizzazione ambientale e di riesaminarla senza considerare talune sostanze inquinanti o i loro effetti nocivi sulla popolazione circostante. Ebbene, la Corte rileva che “il gestore di un’installazione deve fornire, nella sua domanda di autorizzazione iniziale, informazioni relative al tipo, all’entità e al potenziale effetto negativo delle emissioni che possono essere prodotte dalla sua installazione. Solo le sostanze inquinanti che si ritiene abbiano un effetto trascurabile sulla salute umana e sull’ambiente possono non essere assoggettate al rispetto dei valori limite di emissione nell’autorizzazione all’esercizio”.

La Corte ha affermato che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ilva e dal governo italiano, il procedimento di riesame non può limitarsi a fissare valori limite per le sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile. Occorre tener conto anche delle emissioni effettivamente generate dall’installazione nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti. “In caso di violazione delle condizioni di autorizzazione all’esercizio dell’installazione, il gestore deve adottare immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità della sua installazione a tali condizioni nel più breve tempo possibile. In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana, il termine per applicare le misure di protezione previste dall’autorizzazione all’esercizio non può essere prorogato ripetutamente e l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso”, ha concluso la Corte.

Giornata dei donatori di sangue, Jakala invita alla raccolta tutti i dipendenti

Sono circa 1,67 milioni i donatori di sangue in Italia, di cui 1,39 milioni periodici e circa 280mila alla prima donazione. Nel 2023 il numero di donazioni è stato di circa 3 milioni con un’incidenza sulla popolazione di circa 5 ogni cento abitanti. Per dare un’idea più precisa, in media si parla di 5 donazioni di sangue ogni minuto che consentono di trasfondere 1.748 pazienti al giorno e di trattare con medicinali plasmaderivati migliaia di persone. I dati, diffusi dal ministero della Salute in occasione della Giornata mondiale dei donatori di sangue, parlano di numeri in crescita rispetto al 2022, ma ancora in calo rispetto agli anni pre-Covid.

Da qui l’appello lanciato con la campagna ‘Dona vita, dona sangue’, promossa dal ministero in collaborazione con il Centro Nazionale Sangue e le principali Associazioni e Federazioni di donatori italiane (Avis, Croce Rossa Italiana, Fidas e DonatoriNati).

Appello raccolto da Jakala, la prima azienda a combinare marketing e tecnologia applicati al mondo dell’engagement e della fidelizzazione, che ha deciso di contribuire lanciando – per il terzo anno – una campagna di raccolta di sangue e plasma tra tutti i dipendenti. Dopo la positiva esperienza che si è concretizzata negli anni scorsi nella sede milanese dell’azienda, il progetto è stato ora ampliato in tutte le sedi.

“Vogliamo partecipare concretamente alla Giornata mondiale del donatore – spiega a GEA Claudia Volpato, responsabile della Sostenibilità all’interno dell’aziendaper celebrare l’altruismo e l’impegno di tutti quelli che donano il sangue salvando vite umane. L’iniziativa riflette il nostro impegno sugli obiettivi di svuiluppo sostenibile legati a salute e benessere”.

Il progetto si concretizza in diverse fasi. La prima si è svolta il 6 giugno con un incontro informativo con l’Avis. “Un’occasione – dice Volpato – per comprendere l’importanza della donazione del sangue e per chiarire eventuali dubbi insieme a esperti del settore”. L’evento si è svolto in modalità ibrida: in presenza nella sede di Milano Velasca, e in streaming per tutti i dipendenti delle altre sedi italiane. “E’ stato un appuntamento molto partecipato – sottolinea la responsabile della Sostenibilità – Gli esperti hanno spiegato l’importanza della donazione e hanno ricordato anche i vantaggi che hanno i donatori dal punto di vista della prevenzione, dal momento che i controlli sono continui”. Un confronto durante il quale sfatare anche i pregiudizi e rispondere a domande e curiosità.

Nel 2022 e nel 2023 le giornate di prelievo si sono svolte solo nella sede di Milano, ma il 19 giugno le emeroteche mobili dell’Avis saranno a disposizione in contemporanea anche a Roma e a Rende. A Nichelino (To), invece, l’evento è già stato anticipato a inizio aprile: qui le donazioni andate a buon fine sono state 17. “Abbiamo aumentato la nostra capacità di impatto anche nelle sedi lontane dall’head quarter – dice Volpato – rispondendo a ciò che i nostri colleghi ci chiedono”. Jakala offrirà una colazione speciale a tutti i partecipanti per ringraziarli del loro contributo.

L’impegno di Jakala nella promozione della salute e del benessere, così come indicato dal Goal 3 dell’Agenda 2030 dell’Onu, proseguirà anche in autunno, grazie alla rinnovata collaborazione con Admo, l’Associazione italiana donatori di midollo osseo. Chi lo desidera potrà partecipare a una giornata dedicata alla tipizzazione del midollo, cioè potrà sottoporsi a un semplice prelievo di sangue, dal quale verranno estratti i dati genetici, indispensabili per verificare la compatibilità con un paziente. Queste informazioni vengono poi inserite nel Registro Nazionale, collegato con tutti i Registri internazionali. Da quel momento sarà possibile diventare un potenziale donatore di midollo osseo.

Inoltre, sempre in autunno, Jakala proporrà un’iniziativa in collaborazione con la Fondazione Ant, che si occupa di assistenza e prevenzione oncologica. L’obiettivo, spiega ancora Volpato è “sensibilizzare i dipendenti sulla prevenzione primaria. Si svolgerà un incontro specifico sul melanoma e nella sede di Milano arriverà il bus della prevenzione: chi vorrà potrà sottoporsi a una visita gratuita”.

caldo record

I morti per malattie cardiovascolari aumentano con uragani e temperature estreme

Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte in tutto il mondo e sono responsabili di circa un decesso su tre, con oltre 20 milioni di vittime registrate nel 2021, secondo l’ultimo rapporto della World Heart Federation. I miglioramenti nella prevenzione, nel trattamento e nell’intervento delle malattie cardiache hanno portato a una sostanziale diminuzione dei decessi per cause cardiovascolari negli ultimi decenni, ma i cambiamenti climatici causati dalla continua combustione di combustibili fossili potrebbero compromettere questi progressi.

Nel corso dell’ultimo secolo, la temperatura media globale è aumentata di oltre due gradi Fahrenheit, provocando cambiamenti a lungo termine nei modelli meteorologici medi, disturbi agli ecosistemi e innalzamento del livello dei mari. Inoltre, i 10 anni più caldi mai registrati si sono verificati tutti nell’ultimo decennio.

I ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center (BIDMC) hanno condotto una revisione sistematica di 492 studi osservazionali per determinare se esiste un legame tra i fattori di stress ambientale legati al cambiamento climatico e le malattie cardiovascolari. Gli scienziati hanno scoperto che le temperature estreme e gli uragani sono fortemente associati a un aumento della mortalità e dell’incidenza delle malattie cardiovascolari e che gli adulti più anziani, gli individui appartenenti a popolazioni etniche minoritarie e quelli provenienti da comunità a basso reddito sono colpiti in modo sproporzionato. I risultati sono pubblicati su JAMA Cardiology.

“Il cambiamento climatico sta già influenzando la nostra salute cardiovascolare; l’esposizione al caldo estremo può influire negativamente sulla frequenza cardiaca e sulla pressione sanguigna; l’esposizione all’ozono o allo smog degli incendi boschivi può scatenare un’infiammazione sistemica; vivere un disastro naturale può causare disagio psicologico; gli uragani e le inondazioni possono interrompere la fornitura di assistenza sanitaria a causa di interruzioni di corrente e di interruzioni della catena di approvvigionamento; a lungo termine, si prevede che il cambiamento climatico produrrà un calo della produttività agricola e della qualità nutrizionale dell’offerta alimentare, che potrebbe compromettere anche la salute cardiovascolare”, ha dichiarato l’autore corrispondente Dhruv S. Kazi, direttore associato del Richard A. and Susan F. Smith Center for Outcomes Research del BIDMC. “Sappiamo che questi percorsi hanno il potenziale di minare la salute cardiovascolare della popolazione, ma l’entità dell’impatto e quali popolazioni saranno particolarmente suscettibili necessitano di ulteriori studi”.

prodotti alimentari

La dieta sostenibile riduce del 30% i rischi di morte prematura

Chi segue la cosiddetta Planetary Health Diet (Phd), cioè un’alimentazione sostenibile – studiata e promossa dalla Commissione EAT-Lancet composta da più di 30 esperti in tema di salute, nutrizione, sostenibilità, economia, politica e agricoltura – ha un rischio di morte prematura inferiore del 30%. La diminuzione riguarda tutte le cause di decesso, tra cui cancro, malattie cardiache e polmonari. A rivelarlo è uno studio pubblicato su The American Journal of Clinical Nutrition, condotto dalla Harvard T.H. Chan School of Public Health. Si tratta della prima ricerca di grandi dimensioni chiamata a valutare l’impatto dell’adesione alle raccomandazioni contenute nell’importante rapporto EAT-Lancet del 2019.

Questo tipo di alimentazione ha un impatto ambientale sostanzialmente inferiore, con una riduzione del 29% delle emissioni di gas serra e del 51% del consumo di suolo, pur prevedendo il consumo modesto di carne e latticini.

“Il cambiamento climatico sta portando il nostro pianeta a un disastro ecologico e il nostro sistema alimentare svolge un ruolo fondamentale”, spiega l’autore dello studio Walter Willett, professore di epidemiologia e nutrizione. “Cambiare il nostro modo di mangiare può aiutare a rallentare il processo di cambiamento climatico. E ciò che è più sano per il pianeta è anche più sano per gli esseri umani”.

Sebbene altri studi abbiano rilevato che le diete che privilegiano gli alimenti di origine vegetale rispetto a quelli di origine animale potrebbero avere benefici per la salute dell’uomo e del pianeta, la maggior parte di queste ricerche ha utilizzato valutazioni dietetiche una tantum, che producono risultati più deboli rispetto all’analisi dei regimi alimentari su un lungo periodo di tempo.

I ricercatori hanno utilizzato i dati sanitari di oltre 200.000 donne e uomini iscritti al Nurses’ Health Study I e II e all’Health Professionals Follow-Up Study. I partecipanti non avevano malattie croniche importanti all’inizio dello studio e hanno compilato questionari sulla dieta ogni quattro anni per un massimo di 34 anni. L’alimentazione dei partecipanti è stata valutata in base all’assunzione di 15 gruppi di alimenti, tra cui cereali integrali, verdure, pollame e noci, per quantificare l’aderenza alla Phd.
Lo studio ha rilevato che il rischio di morte prematura era inferiore del 30% nel 10% dei partecipanti più aderenti alla Phd. Inoltre, i ricercatori hanno riscontrato che i soggetti con la maggiore aderenza a una dieta sostenibile avevano un impatto ambientale sostanzialmente inferiore rispetto a quelli con l’aderenza più bassa, con una riduzione del 29% delle emissioni di gas serra, del 21% del fabbisogno di fertilizzanti e del 51% dell’uso di terreni coltivati.

I ricercatori hanno osservato che la riduzione dell’uso del suolo è particolarmente importante in quanto favorisce la riforestazione, considerata un modo efficace per ridurre ulteriormente i livelli di gas serra che sono alla base del cambiamento climatico. “I risultati – dice Willett – dimostrano quanto siano legati la salute umana e quella del pianeta. Mangiare in modo sano aumenta la sostenibilità ambientale, che a sua volta è essenziale per la salute e il benessere di ogni persona sulla terra”.

inquinamento

L’inquinamento minaccia la salute più di guerre, alcol, droga e terrorismo messi insieme

L’inquinamento, in tutte le sue forme, rappresenta una minaccia per la salute maggiore di quella rappresentata da guerra, terrorismo, malaria, HIV, tubercolosi, droghe e alcol messi insieme. Lo rileva uno studio pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology.

I ricercatori dell’Università di Edimburgo, della Icahn School of Medicine at Mount Sinai, del Global Observatory on Planetary Health del Boston College, del Centre Scientifique de Monaco, dell’University Medical Centre di Mainz e del Victor Chang Cardiac Research Institute si sono concentrati sul riscaldamento globale, sull’inquinamento atmosferico e sull’esposizione ai fumi degli incendi boschivi, evidenziando anche i fattori meno noti che determinano l’insorgere di malattie cardiache, tra cui l’inquinamento del suolo, acustico e luminoso e l’esposizione a sostanze chimiche tossiche. “Ogni anno circa 20 milioni di persone in tutto il mondo muoiono a causa di malattie cardiovascolari e gli inquinanti svolgono un ruolo sempre più importante”, spiega Jason Kovacic, direttore e amministratore delegato del Victor Chang Cardiac Research Institute con sede in Australia.

Gli agenti inquinanti sono noti come fattori di rischio per le malattie cardiovascolari, ma colpiscono l’organismo in modi diversi. Il fumo e le altre tossine possono essere inalati direttamente nel tratto respiratorio inferiore e raggiungere il sangue, per poi essere trasportati ad altri organi e in tutto il corpo. Possono causare uno stress ossidativo che può danneggiare le cellule e gli organi, compreso il cuore. L’inquinamento acustico e quello luminoso possono influenzare i modelli di sonno, provocare infiammazioni e portare a un aumento della pressione sanguigna e del peso. Il caldo estremo può anche portare a disidratazione, riduzione del volume del sangue, aumento dello sforzo cardiovascolare e insufficienza renale acuta.

L’inquinamento atmosferico esterno e interno, insieme, è associato a oltre sette milioni di morti premature all’anno, di cui oltre il 50% è dovuto a cause cardiovascolari, principalmente cardiopatie ischemiche e ictus. Durante le ondate di calore, il rischio di mortalità cardiovascolare legata al caldo può aumentare di oltre il 10%. A livello globale, poi, si stima che il fumo degli incendi sia responsabile di 339.000-675.000 morti premature all’anno.

“I nostri corpi sono bombardati da inquinanti da ogni angolazione, che si ripercuotono sulla salute del nostro cuore. Le prove suggeriscono che il numero di persone che muoiono prematuramente a causa di queste diverse forme di inquinamento è molto più alto di quanto attualmente riconosciuto”, spiega Kovacic.

Il team di ricercatori ha quindi formulato una serie di raccomandazioni tra cui l’attuazione di modifiche alla progettazione delle città che favoriscano la salute del cuore, come l’aumento della copertura arborea, mezzi sicuri per gli spostamenti attivi e la riduzione dell’uso dei veicoli. Chiedono, poi, di porre fine ai sussidi all’industria dei combustibili fossili “per consentire maggiori investimenti nelle energie rinnovabili e nella produzione di energia più pulita”, ma anche “una formazione medica” specifica sui crescenti pericoli degli inquinanti.

La dieta mediterranea è un ‘salvavita’: mortalità cala del 23% tra le donne

Le donne che seguono prevalentemente la dieta mediterranea hanno il 23% in meno di probabilità di morire per tumore o problemi cardiovascolari nell’arco di 25 anni. Lo rileva uno studio del Brigham and Women’s Hospital. I benefici per la salute della dieta mediterranea sono stati riportati in numerose ricerche, ma i motivi per cui questo accade non sono del tutto noti. In un nuovo studio che ha seguito per 25 anni più di 25.000 donne statunitensi inizialmente sane, i ricercatori del Brigham and Women’s Hospital, hanno scoperto che le partecipanti che seguivano questo tipo di alimentazione avevano un rischio fino al 23% inferiore di mortalità. I ricercatori hanno trovato prove di cambiamenti biologici che possono aiutare a spiegarne il motivo: modifiche nei biomarcatori del metabolismo, dell’infiammazione, della resistenza all’insulina e altro ancora. I risultati sono pubblicati su JAMA.

“Per le donne che vogliono vivere più a lungo, il nostro studio dice di fare attenzione alla dieta. La buona notizia è che seguire un modello alimentare mediterraneo potrebbe comportare una riduzione di circa un quarto del rischio di morte nell’arco di oltre 25 anni, con benefici sia per il cancro che per la mortalità cardiovascolare, le principali cause di decesso nelle donne (e negli uomini) negli Stati Uniti e nel mondo”, ha dichiarato l’autrice senior Samia Mora, cardiologa e direttrice del Center for Lipid Metabolomics del Brigham.

La dieta mediterranea è un regime alimentare diversificato e ricco di vegetali (noci, semi, frutta, verdura, cereali integrali, legumi). Il grasso principale è l’olio d’oliva (di solito extravergine) e la dieta prevede anche un’assunzione moderata di pesce, pollame, latticini, uova e alcol, e un consumo raro di carni, dolci e alimenti trasformati.

“La nostra ricerca fornisce un’importante indicazione per la salute pubblica: anche modesti cambiamenti nei fattori di rischio accertati per le malattie metaboliche, in particolare quelli legati ai metaboliti di piccole molecole, all’infiammazione, alle lipoproteine ricche di trigliceridi, all’obesità e all’insulino-resistenza, possono produrre sostanziali benefici a lungo termine seguendo una dieta mediterranea”, dice l’autore principale Shafqat Ahmad, professore associato di Epidemiologia presso l’Università di Uppsala in Svezia e ricercatore del Centro di Metabolomica Lipidica e della Divisione di Medicina Preventiva del Brigham.

Per Mora “i benefici per la salute della dieta mediterranea sono riconosciuti dai medici e il nostro studio offre spunti per capire perché questa dieta possa essere così benefica. Le politiche di salute pubblica dovrebbero promuovere gli attributi dietetici salutari della dieta mediterranea e scoraggiare gli adattamenti non salutari”.