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Vivere in una strada ‘verde’ aiuta a dormire più a lungo

Vivere in una strada più verde o avere una vista sulla costa o sul fiume dalla propria casa aiuta a dormire più a lungo. Una nuova ricerca condotta in 18 Paesi dal Centro europeo per l’ambiente e la salute umana dell’Università di Exeter ha scoperto che vivere in strade più verdi – quelle con prati, alberi e vegetazione visibili – è legato a un sonno migliore. Sebbene già in passato alcune ricerche abbiano riscontrato questo legame, è la prima volta che vengono analizzati diversi tipi di ambienti naturali in diversi Paesi.

La mancanza di sonno, definita tale quando si dorme meno di sei ore a notte, è un importante problema di salute pubblica nei Paesi industrializzati, che colpisce, ad esempio, circa il 16% degli adulti del Regno Unito. La carenza di sonno è legata a una serie di esiti negativi per la salute e il benessere, tra cui malattie non trasmissibili come l’obesità, il diabete e le patologie cardiovascolari, oltre a un maggiore rischio di mortalità.

L’autrice principale, la dottoressa Leanne Martin del Centro europeo per l’ambiente e la salute umana dell’Università di Exeter, spiega che, durante la ricerca “le persone che vivevano in strade più verdi hanno riportato una migliore salute mentale, che è stata il fattore trainante di un sonno migliore”. Le iniziative di rinverdimento delle strade esistono già nelle città urbane per affrontare i rischi ambientali come le inondazioni e gli effetti dell’isola di calore, “ma i nostri risultati suggeriscono che i responsabili politici dovrebbero estenderle alle aree residenziali per sostenere la salute pubblica promuovendo abitudini di sonno più sane”.

Per lo studio sono stati utilizzati i dati di oltre 16.000 persone in 14 Paesi europei, oltre che in Australia, Canada, Stati Uniti e Hong Kong, nell’ambito della BlueHealth International Survey (BIS), un’indagine trasversale coordinata dal Centro europeo per l’ambiente e la salute umana di Penryn. Agli intervistati è stato chiesto di indicare la quantità di verde presente nella loro strada, se da casa avevano una vista su fiumi, laghi e coste (cioè spazi blu), quanto tempo libero trascorrevano in spazi naturali, nonché la loro salute mentale e quante ore dormivano a notte.

Dalla ricerca è emerso che gli individui che vivevano in strade più verdi o che avevano una vista sugli spazi blu dalla loro casa tendevano a dichiarare una migliore salute mentale, che a sua volta era associata a una quantità di sonno più sana. Anche gli individui che trascorrevano più tempo libero in spazi verdi e blu riferivano una migliore salute mentale e una durata del sonno più sana.

Complessivamente, i risultati hanno rilevato che il 17% delle persone che vivevano in strade verdi ha riferito di dormire meno di sei ore a notte, rispetto al 22% di coloro che non vivevano in strade verdi.

La principale fonte di finanziamento di questo progetto è stato il programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea.

Ue, Ceccardi: “Assicurare la sicurezza farmaceutica con una transizione più sostenibile”

Negli ultimi cinque anni la strategia sul Green deal ha riformato e colpito diversi settori, tra cui anche quello farmaceutico”. Così la deputata europea della Lega, Susanna Ceccardi, membro della commissione commissione per gli Affari esteri (Afet) del Parlamento Ue, a margine del convegno ‘Europa in salute. Sfide e opportunità per il futuro‘, promosso mercoledì 6 marzo a Roma da Eli Lilly, con il patrocinio di Parlamento e Commissione europea, Regione Lazio, Farmindustria e Sif.

Credo che la sostenibilità sia assolutamente giusta, ma la transizione debba essere fatta considerando anche la sostenibilità economica e sociale dei provvedimenti, che a volte è stata messa in secondo piano nei provvedimenti – aggiunge -. Si parla di aziende che danno moltissimi posti di lavoro in Europa, che ci garantiscono di stare sul mercato in maniera concorrenziale ma anche di preservare la nostra sicurezza farmaceutica”. Per questi motivi “credo che la direzione della Commissione Ue che si rinnoverà dopo le elezioni europee dell’8 e 9 giugno prossimi, debba essere più centrata a proteggere posti di lavoro e competitività delle nostre imprese”, sottolinea ancora Ceccardi.

Che prosegue la riflessione: “Dopo la pandemia il mondo è cambiato e anche l’Europa ha capito che, oltre alla sicurezza energetica e la sicurezza alimentare, è importante investire sulla sicurezza farmaceutica, del Continente e dei cittadini europei”. Per l’eurodeputata italiana “senza una strategia chiara e condivisa, mettiamo a rischio ogni giorno milioni di vite. Sulla proprietà intellettuale, ultimamente, si è concentrato il lavoro della Commissione europea e credo che le istanze che vengono dalle aziende, italiane ed europee, per un aiuto maggiore nel preservarla, sia una richiesta assolutamente giusta. In questo modo – conclude – si permettono maggiori investimenti e anche maggiore competitività delle nostre imprese”.

Smog, esposizione breve alle polveri sottili causa 1 milione di morti all’anno. Oltre la metà solo in Asia

L’esposizione a breve termine ad alti livelli di inquinamento atmosferico uccide ogni anno 1 milione di persone nel mondo, di cui la metà nell’Asia orientale. A rivelarlo è uno studio della Monash University pubblicato su The Lancet Planetary Health. Se finora le ricerche si erano concentrate sull’impatto sulla salute del particolato fine (PM2,5) in zone in cui i livelli di inquinamento sono costantemente elevati, questa nuova analisi ha studiato gli effetti sul corpo umano a seguito di un’esposizione molto breve, anche di poche ore o pochi giorni. E i risultati sono preoccupanti. I ricercatori, guidati dal professore Yuming Guo, hanno preso in esame i dati sulla mortalità e sull’inquinamento di 13.000 città e paesi di tutto il mondo tra il 1999 e il 2019, scoprendo che respirare PM2,5 anche per poco tempo provoca ogni anno più di un milione di morti premature in tutto il mondo, in particolare in Asia e in Africa, e più di un quinto (22,74%) di queste si è verificato nelle aree urbane.

Gli effetti sulla salute a breve termine dell’esposizione all’inquinamento atmosferico sono stati ben documentati, spiega l’esperto, “come nel caso dei mega-incendi in Australia durante la cosiddetta ‘estate nera’ del 2019-20, che si stima abbiano causato 429 morti premature legate al fumo e 3230 ricoveri ospedalieri a causa dell’esposizione acuta e persistente a livelli estremamente elevati di inquinamento atmosferico legai ai roghi”.

Secondo lo studio in Asia si è verificato il 65,2% della mortalità globale dovuta all’esposizione a breve termine al PM2,5, in Africa il 17%, in Europa il 12,1%, in America il 5,6%, in Oceania lo 0,1%. La mortalità è stata maggiore nelle aree affollate e altamente inquinate dell’Asia orientale, dell’Asia meridionale e dell’Africa occidentale, con una frazione di decessi attribuibili all’esposizione a breve termine al PM2,5 nell’Asia orientale superiore di oltre il 50% rispetto alla media globale.
Lo studio raccomanda che, laddove la salute è più colpita dall’inquinamento atmosferico acuto, l’attuazione di interventi mirati – come sistemi di allarme per l’aumento del particolato fine e piani di evacuazione della comunità – per evitare l’esposizione transitoria ad alte concentrazioni di PM2,5 potrebbe mitigare i danni acuti alla salute.

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Clima, allarme scienziati: +60% parti pretermine con surriscaldamento globale

L’aumento del numero di nascite pretermine, l’incremento dell’incidenza di malattie respiratorie e di decessi e l’aumento del numero di bambini ricoverati in ospedale sono alcuni degli esiti negativi che il mondo sta affrontando a causa degli impatti dei cambiamenti climatici estremi. Gli scienziati hanno passato decenni a mettere in guardia il mondo sui rischi delle temperature estreme, delle inondazioni e degli incendi, ma un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment è il primo a raccogliere tutte le prove scientifiche disponibili sugli effetti del cambiamento climatico sulla salute dei bambini.

La ricerca, guidata da Lewis Weeda, ricercatore della University of Western Australia e del Wal-yan Respiratory Research Centre del Telethon Kids Institute, e dal professore di ecologia globale Matthew Flinders, Corey Bradshaw, della Flinders University, mostra che il rischio di parto pretermine aumenterà in media del 60% in seguito all’esposizione a temperature estreme. Gli scienziati hanno esaminato i risultati di 163 studi sulla salute provenienti da tutto il mondo per condurre la loro ricerca e hanno scoperto, ad esempio, che le malattie respiratorie, la mortalità e la morbilità dei più piccoli sono state peggiorate dal cambiamento climatico. Non solo: a ciascun estremo climatico corrisponde un problema di salute specifico: il freddo estremo dà origine a malattie respiratorie, mentre la siccità e le precipitazioni estreme possono causare una crescita stentata per una popolazione.

Gli effetti di questo meccanismo saranno anche economici. “Dato che il clima influenza le malattie infantili – spiega Bradshaw – i costi sociali e finanziari continueranno ad aumentare con il progredire dei cambiamenti climatici, esercitando una pressione crescente sulle famiglie e sui servizi sanitari”.

“La nostra ricerca – dice Weeda – riconosce alcune aree in cui i bambini sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Lo sviluppo di politiche di salute pubblica per contrastare queste malattie legate al clima, insieme agli sforzi per ridurre i cambiamenti climatici antropogenici, deve essere affrontato se vogliamo proteggere i bambini attuali e futuri”.

Smog, ogni anno il 7,6% delle morti globali è causato dalle polveri sottili

L’esposizione a breve e lungo termine all’inquinamento atmosferico da particolato fine (PM2,5) è legata a un aumento del rischio di ricovero in ospedale per gravi malattie cardiache e polmonari: è quanto emerge da due ampi studi statunitensi, pubblicati da The BMJ. Insieme, i risultati suggeriscono che non esiste una soglia di sicurezza per la salute di cuore e polmoni.

Secondo lo studio Global Burden of Disease, l’esposizione al PM2,5 è responsabile di circa il 7,6% della mortalità totale a livello globale e del 4,2% degli anni di vita aggiustati per la disabilità (una misura degli anni vissuti in buona salute). Alla luce di queste numerose evidenze, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha aggiornato le linee guida sulla qualità dell’aria nel 2021, raccomandando che i livelli medi annuali di PM2,5 non superino i 5 μg/m3 e quelli nelle 24 ore non superino i 15 μg/m3 per più di 3-4 giorni all’anno.

Nel primo studio, i ricercatori hanno collegato i livelli medi giornalieri di PM2,5 ai codici di avviamento postale delle abitazioni di quasi 60 milioni di adulti statunitensi (84% bianchi, 55% donne) di età pari o superiore a 65 anni dal 2000 al 2016. Hanno poi utilizzato i dati dell’assicurazione Medicare per monitorare i ricoveri ospedalieri per una media di otto anni. Dopo aver tenuto conto di una serie di fattori economici, sanitari e sociali, l’esposizione media al PM2,5 nell’arco di tre anni è stata associata a un aumento del rischio di primi ricoveri ospedalieri per sette tipi principali di malattie cardiovascolari: cardiopatia ischemica, malattie cerebrovascolari, insufficienza cardiaca, cardiomiopatia, aritmia, cardiopatia valvolare e aneurismi dell’aorta toracica e addominale.

Rispetto a esposizioni pari o inferiori a 5 μg/m3 (la linea guida dell’OMS sulla qualità dell’aria per il PM2,5 annuale), le esposizioni tra 9 e 10 μg/m3, che comprendevano la media nazionale statunitense di 9,7 μg/m3 durante il periodo di studio, erano associate a un aumento del 29% del rischio di ricovero ospedaliero per malattie cardiovascolari. Su scala assoluta, il rischio di ricovero in ospedale per malattie cardiovascolari è aumentato dal 2,59% con esposizioni pari o inferiori a 5 μg/m3 al 3,35% con esposizioni comprese tra 9 e 10 μg/m3. “Questo significa che se riuscissimo a ridurre il PM2,5 annuale al di sotto di 5 µg/m3, potremmo evitare il 23% di ricoveri ospedalieri per malattie cardiovascolari”, dicono i ricercatori.

Questi effetti cardiovascolari persistono per almeno tre anni dopo l’esposizione al PM2,5 e la suscettibilità varia in base all’età, all’istruzione, all’accesso ai servizi sanitari e al livello di deprivazione dell’area. I ricercatori affermano che i risultati suggeriscono che non esiste una soglia di sicurezza per l’effetto cronico del PM2,5 sulla salute cardiovascolare complessiva e che si potrebbero ottenere benefici sostanziali aderendo alle linee guida dell’OMS sulla qualità dell’aria.

Nel secondo studio, i ricercatori hanno utilizzato le concentrazioni giornaliere di PM2,5 a livello di contea e i dati delle dichiarazioni mediche per monitorare i ricoveri ospedalieri e le visite al pronto soccorso per cause naturali, malattie cardiovascolari e respiratorie per 50 milioni di adulti statunitensi di età superiore ai 18 anni dal 2010 al 2016. Durante il periodo di studio, sono stati registrati più di 10 milioni di ricoveri ospedalieri e 24 milioni di visite al pronto soccorso.

È emerso che l’esposizione a breve termine al PM2,5, anche a concentrazioni inferiori al nuovo limite guida dell’OMS per la qualità dell’aria, era associata in modo statisticamente significativo a tassi più elevati di ricoveri ospedalieri per cause naturali, malattie cardiovascolari e respiratorie, nonché a visite al pronto soccorso per malattie respiratorie. Ad esempio, nei giorni in cui i livelli giornalieri di PM2,5 erano al di sotto del nuovo limite di riferimento dell’OMS per la qualità dell’aria di 15 μg/m3, un aumento di 10 μg/m3 di PM2,5 è stato associato a 1,87 ricoveri ospedalieri in più al giorno per milione di adulti di età superiore ai 18 anni.

Entrambi i team di ricerca riconoscono diversi limiti, come la possibile errata classificazione dell’esposizione, e sottolineano che altri fattori non misurati possono aver influenzato i risultati. Inoltre, i riscontri potrebbero non essere applicabili agli individui senza assicurazione medica, ai bambini e agli adolescenti e a coloro che vivono fuori dagli Stati Uniti. Tuttavia, nel complesso, questi nuovi risultati forniscono un valido riferimento per i futuri standard nazionali sull’inquinamento atmosferico.

Rapporto cambiamenti climatici-sindromi dissenteriche: Italia come case history

La dissenteria è, a livello globale, la seconda causa di morte per i bambini sotto i 5 anni. Con più di 500.000 decessi tra i più piccoli, solo la polmonite uccide di più ogni anno. E il cambiamento climatico, con l’aumento delle inondazioni e della siccità, minaccia i fragili progressi compiuti negli ultimi decenni per ridurre il peso di queste malattie. Insieme all’Amsterdam Institute of Global Health and Development, l’UMC di Amsterdam è alla guida di un consorzio globale, chiamato Springs, che sta studiando interventi mirati e che prevede il coinvolgimento anche dell’Italia, in modo particolare di Napoli.

L’IMPATTO DEL CLIMA. “Ci rendiamo conto che l’impatto dei cambiamenti climatici sulla trasmissione delle malattie dipende dall’interazione in costante cambiamento tra gli eventi climatici stessi, le vulnerabilità locali e l’esposizione ai microrganismi che causano le malattie”, afferma Vanessa Harris, assistente alla cattedra di salute globale presso l’UMC di Amsterdam. “Ad esempio, piogge improvvise e abbondanti possono far traboccare le fognature e contaminare le riserve d’acqua o l’aumento delle temperature può far sì che alcuni agenti patogeni vivano più a lungo al di fuori del corpo”, spiega l’esperta.

MAPPA DELLE AREE A RISCHIO. Per facilitare risposte politiche efficaci nei Paesi più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico, sono necessarie maggiori conoscenze. Per il consorzio di Harris, l’obiettivo iniziale è capire come l’impatto del cambiamento climatico sulle forniture idriche e sull’ambiente influirà sulla diffusione di agenti patogeni chiave e, quindi, sul rischio di contrarre malattie diarroiche. “Colmando questo divario di conoscenze, potremo mappare quali aree sono più a rischio e perché, consentendo alle comunità e ai responsabili politici di prepararsi e adattarsi a livello locale”, dice. “Lo faremo riunendo un’ampia gamma di scienziati – da esperti di clima e ingegneri ad antropologi, economisti sanitari ed esperti di salute pubblica – per poi utilizzare modelli su larga scala e casi di studio basati sulle comunità per descrivere le conseguenze dei cambiamenti climatici sull’incidenza delle malattie dissenteriche e identificare quali interventi locali saranno più efficaci in futuro”.

FOCUS SUL GHANA. Dzidzo Yirenya-Tawiah e Adelina Mensah, entrambi scienziati ambientali presso l’Università del Ghana, hanno condotto diversi studi a livello di comunità e hanno visto in prima persona gli effetti del cambiamento climatico sulla salute. “Molte delle nostre comunità di pescatori – dicono – sono esposte a frequenti inondazioni dovute all’innalzamento del livello del mare, alle mareggiate e alle precipitazioni irregolari, che a volte si verificano tutte nello stesso momento e hanno conseguenze devastanti sulle infrastrutture e sull’approvvigionamento idrico. La qualità delle acque superficiali e sotterranee è particolarmente compromessa a causa di vie sconosciute di trasmissione delle malattie. Con risorse alternative limitate, i rischi per la salute aumentano esponenzialmente”.

ITALIA COME CASO DI STUDIO. Il Ghana non è l’unico Paese in cui si svolgeranno gli studi di caso: il consorzio condurrà ricerche anche in Tanzania, Romania e Italia. In tutti e quattro i Paesi, i siti di studio sono stati scelti per la loro suscettibilità alle inondazioni e alla siccità. Tuttavia, ci sono anche caratteristiche individuali che forniranno al consorzio approfondimenti unici. Ad esempio, a Napoli, la vicinanza all’agricoltura e all’allevamento, unita all’invecchiamento delle infrastrutture idriche urbane, rappresenta un rischio aggiuntivo. Haydom, in Tanzania, è un ambiente estremamente rurale con alti tassi di malnutrizione e povertà e una maggiore esposizione all’insicurezza alimentare.

6,5 MILIONI DA PROGETTO HORIZON. Grazie a una sovvenzione Horizon del valore di 6,5 milioni di euro, il progetto elaborerà politiche concrete pronte per essere attuate. Il consorzio Springs è composto dall’UMC di Amsterdam, dall’AIGHD, dall’Istituto meteorologico norvegese, dall’Università della Virginia, dall’Università del Ghana, dalla London School of Health and Tropical Medicine, da Three o’Clock, dall’Università di Aarhus, dall’Istituto IHE di Delft per l’educazione all’acqua, dal Centro internazionale Abdus Salam per la fisica teorica, dalla Vrije Universiteit di Amsterdam, dall’Università di Napoli, dall’Haydom Lutheran Hospital, da AQUATIM, dall’Università di Bucarest e dall’Istituto nazionale olandese per la salute pubblica e l’ambiente (RIVM).

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Ambiente e benessere, a Pesaro il primo ‘Parco della Salute’ certificato d’Italia

Ambiente e benessere alleati a Pesaro per la nascita del primo Parco della Salute certificato d’Italia. La firma del protocollo è avvenuta oggi, 22 novembre, a Palazzo della Valle, tra il Comune di Pesaro, Confagricoltura, Assoverde-Associazione Italiana Costruttori del Verde, Képos-Libro Bianco del Verde Aps e Fondazione AlberItalia. Il Parco della Salute si estende su una superficie di 3,7 ettari ed è una porzione del Parco Miralfiore. I lavori di adeguamento non richiedono l’uso di macchinari di particolare dimensione e saranno principalmente incentrati sul rimodellamento localizzato.

Con questa iniziativa si “mettono le radici gli obiettivi che ci eravamo dati con il Libro Bianco del Verde: riportare la natura nelle nostre città e preservare le nostre aree verdi, facendole rifiorire grazie alle competenze di coloro che operano nel settore”, commenta il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. Che esprime l’orgoglio della Confederazione generale dell’agricoltura italiana per “essere riusciti a coinvolgere diverse figure professionali per realizzare, in tante città italiane, i parchi della salute. Attraverso indicatori misurabili, quantitativi e qualitativi, intendiamo offrire luoghi ‘a misura di quartiere e di persone’, che possano fornire quegli spazi verdi certificati, per concorrere a migliorare il benessere degli abitanti”.

La firma del protocollo, dunque, fa diventare realtà il percorso per evidenziare l’importanza di creare ampie aree verdi nelle città, capaci di contrastare l’inquinamento, con effetti positivi sulla salute e sul benessere psico-fisico delle persone. “E’ uno degli obiettivi di Pesaro 2024-Capitale italiana della cultura”, spiega la assessora alla Sostenibilità del comune marchigiano, Maria Rosa Conti. “L’area sarà accessibile a tutti e conterrà, tra l’altro, uno spazio per ‘il pensiero, la meditazione e il silenzio’ – aggiunge –, con soglie massime di rumore ammesse e biodiversità cromatica, ambientale, arborea, floreale e faunistica e uno ‘calmo’ in cui si potrà ‘far decantare l’eccessiva stimolazione dei propri sensi’ nel rispetto dei criteri e degli indicatori indicati per ottenere il marchio di qualità dei Parchi della Salute”. Inoltre, rivela Conti, “il progetto rientra nella strategia Fever, Funzioni ecologiche del verde attivata dall’amministrazione”.

Per Rosi Sgaravatti, presidente di Assoverde, si tratta di “un’esperienza inedita a livello internazionale, che si basa sulla ricerca congiunta di agronomi e pubblici amministratori, architetti del paesaggio, medici e psicologi, operatori del verde, ingegneri, tecnici dei comuni ed esponenti della società civile”. Un confronto che ha permesso di mettere a punto “indicatori di riferimento concreto per tutti i Comuni italiani che vogliano investire nella qualità della vita, nella salute dei cittadini e nel futuro dei nostri centri urbani”. Infatti, precisa il presidente del Comitato scientifico di AlberItalia, Fabio Salbitano, “il concetto stesso di One Health, recentemente adottato dall’Oms, indica nel rapporto intenso e quotidiano con la natura alla porta di casa una condizione imprescindibile”.

Ovviamente, l’obiettivo è che il progetto di Pesaro sia solo ‘pilota’: “Rappresenta il primo atto concreto di un progetto iniziato lo scorso anno con il nuovo focus del Libro Bianco del Verde – afferma il presidente di Képos, Francesco Maccazzola -. Il nostro auspicio è che altri ne seguano e che si possa costituire una comunità di cittadini, amministratori e operatori del verde”.

Caldo record

Allarme clima, le vittime del caldo rischiano di quadruplicare entro il 2050

Il riscaldamento globale potrebbe quadruplicare i decessi causati dal caldo se non verranno adottati provvedimenti immediati per limitare l’aumento della temperatura sotto 1,5 gradi. E’ quanto riporta il rapporto 2023 del Lancet Countdown on Health and Climate Change, lanciando l’allarme sulla necessità “di una risposta incentrata sulla salute in un mondo che si trova ad affrontare danni irreversibili”. Con il mondo attualmente sulla buona strada per raggiungere un riscaldamento di 2,7°C entro il 2100 e con le emissioni legate all’energia che raggiungono un nuovo record nel 2022, la vita delle generazioni attuali e future è in bilico, segnala il rapporto secondo cui senza nuovi provvedimenti, entro metà secolo il numero delle morti dovute al caldo potrebbe aumentare di 4,7 volte, cioè del 370%.

Le nuove proiezioni globali contenute nell’ottavo rapporto annuale del Lancet Countdown on Health and Climate Change rivelano la grave e crescente minaccia per la salute derivante da ulteriori azioni ritardate sul cambiamento climatico, con il mondo che probabilmente registrerà un aumento di 4,7 volte dei decessi legati al caldo entro il 2050: nel 2022 gli individui sono stati, in media, esposti a 86 giorni di alte temperature pericolose per la salute, di cui il 60% aveva almeno il doppio delle probabilità che si verificassero a causa dei cambiamenti climatici causati dall’uomo. Si rileva inoltre che ondate di calore più frequenti potrebbero causare insicurezza alimentare per altri 525 milioni di persone in più entro il periodo compreso fra 2041 e il 2060, aggravando il rischio globale di malnutrizione. Il rapporto considera inoltre 47 indicatori sui benefici della mitigazione climatica per la salute.

Gli autori del rapporto denunciano quindi la “negligenza” di governi, aziende e banche che continuano a investire in petrolio e gas mentre le sfide e i costi dell’adattamento aumentano vertiginosamente e il mondo si avvicina a un danno irreversibile.

INADEGUATI SFORZI DI MITIGAZIONE. Pubblicato in vista della Cop28, la conferenza delle Nazioni Unite dedicata al clima e all’ambiente che si apre il 30 novembre a Dubai, il rapporto è frutto del lavoro di 114 esperti di 52 istituti di ricerca e agenzie dell’Onu. “Il nostro bilancio sulla salute rivela che oggi i crescenti rischi del cambiamento climatico stanno costando vite umane e mezzi di sussistenza in tutto il mondo. Le proiezioni di un mondo più caldo di 2°C rivelano un futuro pericoloso e ricordano tristemente che il ritmo e la portata degli sforzi di mitigazione visti finora sono stati tristemente inadeguati a salvaguardare la salute e la sicurezza delle persone”, afferma Marina Romanello, Direttrice Esecutiva della Lancet Countdown presso l’University College di Londra. “Con 1.337 tonnellate di anidride carbonica ancora emesse ogni secondo – dice – non stiamo riducendo le emissioni abbastanza velocemente da mantenere i rischi climatici entro i livelli che i nostri sistemi sanitari possono far fronte. L’inazione comporta un costo umano enorme e non possiamo permetterci questo livello di disimpegno: lo stiamo pagando in termini di vite umane. Ogni momento che ritardiamo rende il percorso verso un futuro vivibile più difficile e l’adattamento sempre più costoso e impegnativo”.

CRESCONO I DECESSI PER IL CALDO. Nel 2023, ricorda il rapporto, il mondo ha sperimentato le temperature globali più calde degli ultimi 100.000 anni e i record di calore sono stati battuti in ogni continente, esponendo le persone di tutto il mondo a danni mortali. Anche con l’attuale media decennale di riscaldamento globale di 1,14°C, le persone hanno sperimentato in media 86 giorni di alte temperature pericolose per la salute nel periodo 2018-2022. I decessi legati al caldo tra le persone di età superiore ai 65 anni sono aumentati dell’85% nel periodo 2013-2022 rispetto al periodo 1991-2000. Inoltre, la crescente potenza distruttiva degli eventi meteorologici estremi mette a repentaglio la sicurezza idrica e la produzione alimentare, mettendo milioni di persone a rischio di malnutrizione: nel 2021, rispetto al periodo tra il 1981 e il 2010, sono aumentate di 127 milioni in 122 Paesi le persone che hanno sperimentato insicurezza alimentare.

AUMENTA LA DIFFUSIONE DI MALATTIE INFETTIVE. Allo stesso modo, i cambiamenti climatici stanno accelerando la diffusione di malattie infettive potenzialmente letali. Ad esempio, i mari più caldi hanno aumentato di 329 km ogni anno a partire dal 1982 l’area delle coste mondiali adatta alla diffusione dei batteri Vibrio, che possono causare malattie e morte negli esseri umani, mettendo a rischio di malattie diarroiche e gravi infezioni la cifra record di 1,4 miliardi di persone. La minaccia è particolarmente elevata in Europa, dove le acque costiere adatte al Vibrio sono aumentate di 142 km ogni anno.

PERDITE ECONOMICHE PER 264 MILIARDI DI DOLLARI. In generale, conclude Lancet, il valore totale delle perdite economiche derivanti da eventi meteorologici estremi è stato stimato a 264 miliardi di dollari nel 2022, il 23% in più rispetto al periodo 2010-2014. L’esposizione al calore ha portato anche a 490 miliardi di ore potenziali di lavoro perse a livello globale nel 2022 (un aumento di quasi il 42% rispetto al periodo 1991-2000), con perdite di reddito che rappresentano una percentuale molto più elevata del PIL nei paesi a basso (6,1%) e medio reddito ( 3,8%). Queste perdite danneggiano sempre più i mezzi di sussistenza, limitando la capacità di far fronte e riprendersi dagli impatti dei cambiamenti climatici.

Eppure, “c’è ancora spazio per la speranza”, sostiene Romanello. “L’attenzione alla salute alla Cop28 è l’opportunità della nostra vita per garantire impegni e azioni. Se i negoziati sul clima porteranno ad un’equa e rapida eliminazione dei combustibili fossili, accelereranno la mitigazione e sosterranno gli sforzi di adattamento per la salute, le ambizioni dell’accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C saranno ancora realizzabili e un futuro prospero e sano sarà a portata di mano. A meno che tali progressi non si concretizzino, la crescente enfasi sulla salute nell’ambito dei negoziati sul cambiamento climatico rischia di rimanere solo parole vuote, con ogni frazione di grado di riscaldamento che esacerba i danni subiti da miliardi di persone oggi e dalle generazioni a venire”.

Ecco come gli erbicidi danneggiano le funzioni cerebrali degli adolescenti

Gli erbicidi sono la classe di pesticidi più utilizzata in tutto il mondo, con impieghi in agricoltura, nelle abitazioni e nell’industria. E l’esposizione a due dei più diffusi prodotti di questo tipo è stata associata a un peggioramento delle funzioni cerebrali tra gli adolescenti, secondo uno studio guidato dai ricercatori della Herbert Wertheim School of Public Health and Human Longevity Science della University of California San Diego.

Nell’edizione online di oggi di Environmental Health Perspectives, i ricercatori hanno riferito di aver misurato le concentrazioni di metaboliti di due erbicidi comunemente usati – glifosato e acido 2,4-diclorofenossiacetico (2,4-D) – e del repellente per insetti Deet in campioni di urina raccolti nel 2016 da 519 adolescenti, di età compresa tra gli 11 e i 17 anni, residenti nella contea agricola di Pedro Moncayo, in Ecuador. I ricercatori hanno anche valutato le prestazioni neurocomportamentali in cinque aree: attenzione e controllo inibitorio, memoria e apprendimento, linguaggio, elaborazione visuo-spaziale e percezione sociale.

“Molte malattie croniche e disturbi mentali negli adolescenti e nei giovani adulti sono aumentati negli ultimi vent’anni in tutto il mondo e l’esposizione a contaminanti neurotossici nell’ambiente potrebbe spiegare parte di questo aumento”, ha dichiarato l’autore senior Jose Ricardo Suarez, professore associato presso la Herbert Wertheim School of Public Health.

In particolare, il glifosato, un erbicida non selettivo utilizzato in molte colture, tra cui mais e soia, e per il controllo della vegetazione in ambienti residenziali, è stato rilevato nel 98% dei partecipanti. Il 2,4-D, usato nei prati, nei siti acquatici e nelle colture agricole, è stato rilevato nel 66% dei partecipanti. Quantità più elevate di 2,4-D nelle urine sono state associate a prestazioni neurocomportamentali inferiori nei settori dell’attenzione e del controllo inibitorio, della memoria e dell’apprendimento e del linguaggio.

“L’uso di erbicidi e insetticidi nelle industrie agricole, sia nei Paesi sviluppati sia in quelli in via di sviluppo, aumenta il potenziale di esposizione di bambini e adulti, soprattutto se vivono in aree agricole, ma non sappiamo quale sia l’impatto su ogni fase della vita”, ha dichiarato la prima autrice Briana Chronister, dottoranda del programma di dottorato congiunto in salute pubblica della UC San Diego – San Diego State University.

Studi precedenti avevano collegato l’esposizione ad alcuni degli insetticidi più utilizzati ad alterazioni delle prestazioni neurocognitive, mentre secondo altre ricerche alcuni tipi di insetticidi possono influire sull’umore e sullo sviluppo cerebrale. Oggi il 20% degli adolescenti e il 26% dei giovani adulti presenta condizioni di salute mentale diagnosticabili come ansia, depressione, impulsività, aggressività o disturbi dell’apprendimento.

Gli autori hanno riferito che il 2,4-D è stato associato negativamente alle prestazioni in tutte e cinque le aree neurocomportamentali, ma sono state osservate associazioni statisticamente significative con l’attenzione e il controllo inibitorio, la memoria e l’apprendimento e il linguaggio. Il glifosato ha avuto un’associazione negativa significativa solo con la percezione sociale, un test che misura la capacità di riconoscere le emozioni, mentre i metaboliti del Deet non sono stati associati ad alterazioni neurocomportamentali.

“Ogni anno vengono immesse sul mercato centinaia di nuove sostanze chimiche e oggi ne sono state registrate più di 80.000”, ha dichiarato Suarez. “Purtroppo, si sa molto poco sulla sicurezza e sugli effetti a lungo termine che hanno sull’uomo. Sono necessarie ulteriori ricerche per comprenderne realmente l’impatto”.

Nel 2022, Suarez e il suo team hanno completato il 14esino anno di follow-up dei partecipanti allo studio, con l’intenzione di valutare se le associazioni osservate persistono nella prima età adulta.

ambulanza caldo

Scoperto il legame tra il cambiamento climatico e l’abuso di droga e alcol

L’aumento degli accessi in ospedale per disturbi legati all’alcol e alle sostanze stupefacenti è legato alle temperature elevate potrebbe essere ulteriormente influenzato dal cambiamento climatico. E’ quanto rivela una nuova ricerca condotta da scienziati della salute ambientale della Columbia University Mailman School of Public Health. Lo studio, pubblicato sulla rivista Communications Medicine, è probabilmente la prima indagine completa sull’associazione tra temperatura e accessi ospedalieri legate all’alcol e alle sostanze.

“Abbiamo visto che durante i periodi di temperature più elevate, c’è stato un corrispondente aumento delle visite ospedaliere legate all’uso di alcol e droga, il che porta anche l’attenzione su alcune potenziali conseguenze meno ovvie del cambiamento climatico”, dice il primo autore Robbie M. Parks, PhD, professore assistente di Scienze della salute ambientale presso la Columbia Public Health.
Negli ultimi decenni, negli Stati Uniti si è registrata una tendenza all’aumento del consumo episodico di alcolici e dei decessi e delle malattie correlate all’alcol, in particolare negli adulti di mezza età e in quelli più anziani. Le morti per overdose sono aumentati di oltre cinque volte dalla fine del XX secolo.

I ricercatori hanno esaminato la relazione tra temperatura e visite ospedaliere legate all’alcol e ad altre droghe, tra cui cannabis, cocaina, oppioidi e sedativi nello Stato di New York. Hanno utilizzato i dati di 671.625 accessi per alcol e 721.469 visite per disturbi correlati alle sostanze in 20 anni e un registro completo delle temperature giornaliere e dell’umidità relativa per ricavare informazioni utilizzando un modello statistico.

È emerso che più alte sono le temperature, maggiore è il numero di visite ospedaliere per disturbi legati all’alcol. Questo potrebbe essere dovuto al maggior tempo trascorso all’aperto per svolgere attività più rischiose, al consumo di un maggior numero di sostanze in un clima esterno più gradevole, alla maggiore sudorazione che causa più disidratazione o alla guida in stato di ebbrezza.
Anche per altri disturbi da droghe, le temperature più elevate hanno comportato un maggior numero di visite ospedaliere, ma solo fino a un limite di 18,8°C (65,8°F). Questo limite di temperatura potrebbe verificarsi perché al di sopra di una certa temperatura le persone non sono più propense a uscire.

Ricerche future potrebbero esaminare il ruolo delle condizioni di salute esistenti esacerbate dall’uso di alcol o di sostanze in combinazione con l’aumento delle temperature. Gli autori fanno notare che il loro studio potrebbe sottostimare il legame tra l’aumento della temperatura e i disturbi da uso di sostanze, perché i disturbi più gravi potrebbero aver causato la morte prima che fosse possibile l’accesso in ospedale. In futuro, i ricercatori potrebbero cercare di collegare i casi di decesso con le registrazioni delle visite ospedaliere per creare un quadro più completo della storia medica dei pazienti.

Nel frattempo, gli scienziati e i funzionari della sanità pubblica “possono perseguire interventi, come campagne di sensibilizzazione sui rischi del riscaldamento delle temperature sull’uso di sostanze”. I risultati potrebbero informare le politiche “sull’assistenza proattiva delle comunità vulnerabili all’alcol e alle sostanze durante i periodi di temperature elevate”. Gli interventi di salute pubblica che si rivolgono ai disturbi legati all’alcol e alle sostanze nei periodi più caldi, ad esempio messaggi mirati sui rischi del loro consumo durante le temperature più miti, dovrebbero essere una priorità per la salute pubblica”, afferma l’autore senior Marianthi-Anna Kioumourtzoglou, ScD, professore associato di scienze della salute ambientale presso la Columbia Public Health.

Lo studio è stato sostenuto da sovvenzioni del National Institute of Environmental Health Sciences.