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Omc, accordo su sicurezza alimentare e protezione oceani

Passi “importanti”, a tratti “epocali”. È quello che emerge dalla dodicesima conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), svoltasi per la prima volta dopo cinque anni, a causa di due rinvii determinati dalle restrizioni per la pandemia COVID-19. Sicurezza alimentare e tutela dell’ambiente, con un occhio di riguardo alla protezione degli oceani, sono stati al centro dell’impegno dei 164 membri dell’organizzazione e della dichiarazione congiunta firmata il 17 giugno.

Considerate le conseguenze dell’invasione russa in Ucraina – e soprattutto del blocco delle esportazioni di grano dai porti del Mar Nero – tutti i membri dell’OMC si sono impegnati a evitare restrizioni “ingiustificate” alle esportazioni di prodotti alimentari e a “migliorare la trasparenza” nel caso in cui tali limitazioni dovessero verificarsi. A completare un documento storico per l’organizzazione, è stata decisa anche la “completa esenzione dalle restrizioni all’esportazione degli acquisti umanitari” per il Programma alimentare mondiale. “L’accordo su questo pacchetto dimostra che l’OMC è pronta a reagire alle circostanze eccezionali che molti membri si trovano ad affrontare alla luce della riduzione dell’offerta sui mercati mondiali”, sottolinea in una nota la Commissione Europea, che per voce del suo commissario per l’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, ricorda come la dichiarazione rappresenti “un messaggio forte per il mondo”. Se nel contesto delle “crescenti tensioni commerciali globali e di crisi della sicurezza alimentare” il risultato generale è “positivo”, da Bruxelles si leva però qualche critica sul mancato superamento delle “divergenze su un programma di lavoro per l’agricoltura”, per cui serve un obiettivo “realistico, mirato ed equilibrato”.

Tra le decisioni storiche siglate dai membri dell’OMC non va dimenticato l’accordo multilaterale per la protezione degli oceani. Si tratta del primo divieto di sovvenzioni che contribuiscono alla pesca illegale, non regolamentata e non dichiarata, secondo quanto delineato dell’obiettivo di sviluppo sostenibile 14.6 delle Nazioni Unite. L’accordo include anche il “divieto assoluto” di sussidi per la pesca in alto mare non regolamentata e, come terza misura, regole di sostenibilità per i sussidi agli stock sovrasfruttati nella fase iniziale dell’accordo, che potrà contare su un fondo fiduciario per fornire assistenza tecnica ai Paesi in via di sviluppo. “È un passo avanti verso una gestione più sostenibile delle nostre popolazioni ittiche globali”, ha commentato da Bruxelles il commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, Virginijus Sinkevičius: “Una decisione epocale” per le aree più vulnerabili, prive di un regime di gestione della pesca “consolidato e coordinato”. Allo stesso tempo, il commissario Sinkevičius ha esortato tutte le parti a “continuare a impegnarsi per combattere i sussidi illegali alla pesca e per sostenere le nostre comunità costiere”, completando l’accordo “il prima possibile” con gli elementi non ancora concordati.

grano

Rischio crisi alimentare per 200 milioni di persone: pesano clima e guerra

Nel 2021 quasi 200 milioni di persone nel mondo, suddivisi in 53 Paesi, vivono in una condizione di insicurezza alimentare. La situazione non è cambiata più di tanto quest’anno, anzi l’analisi delle tendenze rivela che può peggiorare almeno in altre 20 nazioni. I dati dell’indagine condotta dalla Fao e dal Programma Alimentare Mondiale diventano ancora più drammatici nella Giornata internazionale contro l’insicurezza alimentare, anche se questo aumento viene interpretato con cautela, prima di capire se le cause siano un peggioramento sostanziale della sicurezza alimentare o il frutto di una crescita della popolazione registrata tra il 2020 e il 2021. Restano, comunque, cifre esorbitanti. Soprattutto se si considera che c’è una media storica di 49 milioni di persone in 46 Paesi che rischia di finire in carestia senza aiuti immediati per garantire loro i mezzi di sussistenza.

Tra i territori al massimo livello di allerta figurano ancora Etiopia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen, ai quali si aggiungono anche Afghanistan e Somalia. Le rispettive popolazioni vengono classificate tra quelle destinate a soffrire la fame o la morte, con un deterioramento delle condizioni di vita che richiedono attenzioni più urgenti. Per quanto riguarda l’Afghanistan, 20mila persone della provincia di Ghor vivono in condizioni catastrofiche a causa del limitato accesso umanitario nel periodo che va da marzo a maggio. Da qui a settembre, però, l’insicurezza alimentare acuta dovrebbe aumentare del 60% rispetto allo stesso periodo del 2021. Inoltre, dopo aver previsto 401.000 persone in condizioni catastrofiche nel Tigray, in Etiopia, nel 2021, solo il 10% dell’assistenza richiesta è arrivata nella regione, almeno stando ai monitoraggi condotti fino al mese di marzo del 2022; anche se la produzione agricola locale, pari al 40% della media, è stata fondamentale per la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza.

Ci sono anche altri fattori che il rapporto tiene in considerazione. Anche perché la criminalità organizzata e i conflitti rimangono i principali fattori che causano la fame acuta. Con percentuali che sono aumentate anche nei primi 3 mesi di quest’anno: per avere un’idea, secondo i dati Acled, siamo passati dalle 2.537 guerre locali registrate a gennaio del 2022 alle 3.807 di marzo. La violenza ha ridotto l’accesso al cibo per le persone, distruggendo o bloccando i mezzi di sussistenza, comprese le attività agricole, il commercio, i servizi e i mercati attraverso l’imposizione di restrizioni e impedimenti amministrativi. Senza contare lo spopolamento di chi ha dovuto abbandonare la propria terra, riducendo anche la disponibilità di cibo per le comunità e i mercati. Inoltre, a ciò si uniscono tra le cause dell’insicurezza anche le condizioni climatiche estreme, come le tempeste tropicali, le inondazioni e la siccità, continuano ad essere elementi altamente critici in alcune regioni del mondo.

Per non parlare degli effetti a catena della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, che si sono riverberati a livello globale, sullo sfondo di una graduale e disomogenea ripresa economica dopo la pandemia di Covid-19, il costante aumento dei prezzi di cibo ed energia e il deterioramento delle condizioni macroeconomiche. Le restrizioni alle esportazioni ucraine riducono l’offerta alimentare mondiale, aumentano ulteriormente i costi dei prodotti alimentari e aumentano i livelli (già elevati) di inflazione. Per non parlare, poi, del costo dei fertilizzanti, che alla lunga potrebbero incidere sui rendimenti delle colture, quindi sulla futura disponibilità di cibo. Questi elementi, sommati all’instabilità economica, nei prossimi mesi potrebbero portare emergenze civili e disordini in alcuni dei Paesi più paesi più colpiti dalla crisi alimentare.

Le incertezze, senza un intervento deciso della comunità internazionale, rischiano di raggiungere nuovi record negativi. Ecco perché, in un tweet, il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, lancia un monito: “La sicurezza alimentare è un tema che riguarda tutti, dai governi alle imprese alimentari, agli esperti e i consumatori. Continuiamo a lavorare insieme e ad impegnarci per un mondo di cibo più sicuro per una salute migliore e una vita migliore“. Serve fare squadra. E serve farlo presto.

Grano ucraino

I leader Ue alla ricerca di soluzioni contro la crisi alimentare

Aumentare la cooperazione con i partner africani e internazionali sulla sicurezza alimentare e cercare una via per superare il blocco russo delle 20 milioni di tonnellate di grano ferme nei porti ucraini. Emergono queste due linee generali dalle conclusioni del Consiglio Europeo del 30-31 maggio sulla questione della crisi alimentare innescata dall’aggressione militare di Mosca in Ucraina.

Affrontando la causa scatenante della crisi, i leader Ue hanno ribadito la “ferma” condanna alla “distruzione e appropriazione illegale della produzione agricola” messa in atto dall’esercito russo. Che, come ricordato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, alla stampa, “non solo blocca le esportazioni di grano e cereali dai porti del Mar Nero, ma bombarda deliberatamente i depositi e mina i campi coltivabili o dove ci sarà raccolto”. Oltre alla necessità della rimozione del blocco marittimo, in particolare nel porto di Odessa, il Consiglio Ue ha riconosciuto che la soluzione nell’immediato deve essere un’accelerazione sui corridoi di solidarietà proposti dalla Commissione, che permettano ai generi alimentari di raggiungere via terra e via ferrovia i Paesi membri e, di lì, i popoli più vulnerabili nel mondo.

Altre due soluzioni da sondare, ma con “poche possibilità di riuscita” – come spiegato dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel – sono quelle di “un corridoio marittimo nel Mar Nero” e un “accesso ai porti Mar Baltico attraverso la Bielorussia”. La prima è “minata dall’atteggiamento della Russia”, la seconda dalla “posizione di Minsk, che aiuta Mosca in questa guerra”. È qui che si inserisce il discorso della cooperazione internazionale, fermo restando che, per usare le parole di von der Leyen, “la crisi alimentare globale è imputabile solo alla guerra della Russia in Ucraina, dire che è colpa delle nostre sanzioni è disinformazione del Cremlino”. I Ventisette hanno accolto favorevolmente le iniziative delle Nazioni Unite, del G7 e multilaterali per “mitigare le conseguenze sui livelli dei prezzi, sulla produzione e sull’accesso e la fornitura di cereali”, ribadendo l’impegno a “mantenere il commercio globale di prodotti alimentari di base libero da barriere ingiustificate”.

A proposito di cooperazione internazionale, l’Ue sta rafforzando il confronto con i leader africani. La presidente von der Leyen ha annunciato che viaggerà presto al Cairo per incontrare il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, con l’obiettivo di “affrontare le questioni di sicurezza alimentare anche in senso regionale, non solo europeo o dell’Ucraina”. Ai 27 capi di Stato e di governo Ue riuniti a Bruxelles si è invece rivolto il presidente del Senegal e di turno dell’Unione Africana, Macky Sall, che ha ribadito l’unità d’intenti tra i due partner per affrontare una crisi che sta colpendo duramente i Paesi dell’Africa: “Nel 2020, circa 282 milioni di persone erano già sottonutrite, il peggio potrebbe ancora venire se la tendenza attuale dovesse continuare”. Ecco perché “bisogna fare tutto il possibile per liberare le scorte di grano disponibili e garantire il trasporto e l’accesso al mercato, per evitare lo scenario catastrofico della scarsità e dell’aumento generalizzato dei prezzi”, ha esortato il presidente Sall parlando ai Ventisette. Inequivocabile l’approccio dell’Unione Europea, secondo le parole di von der Leyen: “Non abbiamo mai imposto sanzioni sui prodotti agricoli e alimentari, sui fertilizzanti e sui concimi e non lo faremo mai, questa è stata una decisione umanitaria chiara, tutti devono poterne averne accesso”.

Draghi da Biden alla Casa Bianca: focus su energia e sicurezza alimentare

Italia e Stati Uniti rafforzano la partnership. Per aiutare l’Ucraina a difendersi dall’invasione russa, ma non solo. La visita del presidente del Consiglio, Mario Draghi, a Washington servirà a dare nuova linfa alle relazioni anche su temi di scottante attualità, come l’approvvigionamento energetico, la lotta ai cambiamenti climatici e soprattutto le sanzioni europee a Mosca, che nel sesto pacchetto dovranno riguardare petrolio e gas. Il premier spiegherà allo storico alleato quali sono i progressi nella strategia che i ministri della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, degli Esteri, Luigi Di Maio, e la principale azienda italiana energivora, Eni, stanno portando avanti per sganciarsi dalle forniture russe entro il 2024. Prima è praticamente impossibile, come spiegato più volte dallo stesso responsabile del Mite. Appena arrivato alla Casa Bianca, nello Studio Ovale, incontrando il presidente Usa Joe Biden Draghi ha subito messo in chiaro i temi al centro dell’incontro: “Energia e sicurezza alimentare”. E ha sottolineato l’unione fra i due Paesi nel “condannare l’invasione dell’Ucraina imponendo sanzioni alla Russia e aiutando l’Ucraina come il presidente Zelensky ci sta chiedendo di fare”.

In ballo, però, ci sono anche i progetti sui gasdotti che dovranno trasportare gas dall’America all’Europa, per distribuire i rifornimenti nelle pipeline dei Paesi del Vecchio continente. Draghi è sicuramente un interlocutore molto apprezzato alla Casa Bianca, non a caso Biden, a poche ore dall’incontro nello Studio Ovale ha twittato: “Questo pomeriggio ospiterò un incontro bilaterale con il primo ministro italiano. Non vedo l’ora di riaffermare l’amicizia e la forte collaborazione tra le nostre due nazioni e di discutere del nostro continuo sostegno all’Ucraina”. Un messaggio chiaro e forte. Il capo del governo illustrerà i nuovi accordi di partnership sottoscritti in Africa con Angola, Congo e Algeria, oltre a quelli in via di definizione con Azerbaijan, Egitto e Qatar. Ma parleranno, con molta probabilità, anche dell’accelerazione imposta sulle energie rinnovabili, settore sul quale la collaborazione tra Italia e Usa potrebbe diventare molto proficua.

Sullo sfondo di questo viaggio diplomatico, restano le turbolenze in Italia. Anche se nel governo c’è chi prova a stemperare gli animi. Quello tra Draghi e Biden “è un incontro molto importante per il nostro Paese, che dimostra la centralità dell’Italia in questa crisi geopolitica, e soprattutto il profilo europeo di Mario Draghi che non è solo il presidente del Consiglio del nostro Paese, ma è un leader molto ascoltato”, dice la ministra per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini. Aggiungendo: “Il premier avrà la possibilità di portare la voce dell’Italia e dell’Europea negli Usa, di confermare e rinsaldare ulteriormente l’Alleanza atlantica e il rapporto di amicizia con gli Stati Uniti. Ovviamente sarà l’occasione per fare il punto rispetto all’obiettivo, che rimane il cessate il fuoco e quello di raggiungere attraverso una tregua la pace tra la Federazione Russa e l’Ucraina”.

Mastica ancora amaro il Movimento 5 Stelle per non aver visto Draghi transitare nelle aule parlamentari, prima di volare a Washington. Il presidente del Consiglio sarà in Senato il 19 maggio, per il premier question time, anche se dalle opposizioni è già partita la richiesta di trasformare il qt in un’informativa, bocciata dalle altre componenti della maggioranza, ad eccezione proprio del partito di Giuseppe Conte, che ha scelto di astenersi sulla richiesta degli ex grillini di Cal, attirandosi i commenti negativi di Iv. Ma non del Pd, dopo l’incontro chiarificatore tra Enrico Letta e lo stesso Conte. Il nodo andrà sciolto al più presto, ma per ora Draghi è concentrato sull’incontro con Biden, che può rappresentare un passo avanti nella strategia per lo sviluppo dell’Italia.