Stella McCartney, l’inno al pianeta per il Coronation Concert

Campione di speranza, ma anche di azione”. Sul palco del concerto dell’incoronazione, in un doppiopetto rosso sangue e collant nero, Stella McCartney descrive così Carlo III.

L’eterno erede al trono, in tutti questi anni, non ha soltanto atteso la corona. E’ sempre stato in prima linea su più fronti sociali e la causa ambientale è quella che l’ha impegnato più delle altre. La stilista inglese, figlia di Paul, è una delle sue sostenitrici più famose. Da sempre impegnata in una moda rispettosa dell’ambiente e degli animali, non utilizza pelli, pellicce e piume. Anche Carlo, ricorda, “ha illuminato molti sulla necessità di preservare e proteggere il nostro pianeta”.

A febbraio la designer è stata insignita dal re in persona con il titolo di Cbe ovvero Commander of the British Empire per ‘meriti di moda e in fatto di sostenibilità’.

Sul palco ricorda l’emozione di quando da bimba visitava le Highlands scozzesi, “l’emozione della bellezza di Madre Natura, così vasta e dirompente”. Col passare del tempo, osserva, “siamo stati capaci di straordinari progressi nella scienza, nella tecnologia e anche nella moda”. Tecnologie che lei per prima sperimenta e utilizza ogni giorni. Anche perché, constata, “siamo testimoni anche di grossi cambiamenti del pianeta e della natura, che oggi a volte non è più riconoscibile. Questo è sconvolgente”. L’appello al mondo, nella vetrina più in vista, è a cambiare rotta il prima possibile. “Le nostre azioni stanno mettendo a rischio l’essenza stessa della vita. Ma nei momenti difficili, c’è sempre una luce che splende, un motivo per essere ottimisti”, scandisce. “L’impegno per salvare il pianeta dovrebbe e deve essere la causa che unisce tutti noi e mai dividerci. La Terra è molto più grande e importante di tutte le nostre differenze. Perché, alle generazioni che verranno dopo di noi, abbiamo l’obbligo di lasciare un mondo sano e sostenibile”.

Il discorso della stilista fa parte di una più ampia sezione del concerto a tema ambientale, con un’interpretazione di una hit degli anni Ottanta, eseguita dal compositore/produttore di soul classico Alexis Ffrench e dal cantautore londinese Zak Abel, con il supporto dell’orchestra, della band e del coro. Ad accompagnare la performance, un video con immagini proiettate sulla facciata del Castello di Windsor, intervallata da filmati di esibizioni di droni sopra l’Eden Project in Cornovaglia e il Wales Millennium Centre di Cardiff. La sezione si chiude con il video ‘Did You Know?‘, che sul rapporto di Re Carlo con la natura.

Anche il palco era ‘green’: progettato e costruito quasi interamente con materiale a noleggio per renderlo il più sostenibile possibile e con una illuminazione all’85% led, ad alto risparmio energetico.

Da Parlamento europeo stop a fast fashion: “Moda sia più sostenibile”

Combattere la fast fashion, la moda ‘usa e getta’. Con 68 voti a favore, nessun contrario e una astensione la commissione ambiente (Envi) del Parlamento europeo ha approvato una relazione d’iniziativa con una serie di raccomandazioni per introdurre misure a livello europeo per garantire che i tessuti siano prodotti in modo circolare, sostenibile e socialmente giusto. Nel quadro del pacchetto sull’economia circolare la Commissione europea ha adottato a marzo dell’anno scorso ha presentato la strategia dell’Ue per i tessili sostenibili e circolari per affrontare l’intero ciclo di vita dei prodotti tessili e proporre azioni per cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo i prodotti tessili. La relazione adottata in Envi dovrebbe finire al voto dell’intera plenaria a Strasburgo prima dell’estate.

Una nota del Parlamento spiega che per “contrastare la sovrapproduzione e il consumo eccessivo di abbigliamento e calzature”, la commissione invita la Commissione e i Paesi dell’Ue ad adottare misure che mettano fine alla “fast fashion”, a partire da una chiara definizione del termine basata su “alti volumi di capi di qualità inferiore a bassi livelli di prezzo”. I consumatori dovrebbero essere meglio informati per aiutarli a fare scelte responsabili e sostenibili, anche attraverso l’introduzione di un “passaporto digitale dei prodotti” nella prossima revisione del regolamento sulla progettazione ecocompatibile, come prevede anche la proposta della Commissione europea. I deputati chiedono inoltre alla Commissione e agli Stati membri di garantire che i processi di produzione diventino meno dispendiosi in termini di energia e acqua, evitino l’uso e il rilascio di sostanze nocive e riducano l’impronta dei materiali e dei consumi. I deputati chiedono inoltre che la revisione della direttiva quadro sui rifiuti includa specifici obiettivi separati per la prevenzione, la raccolta, il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti tessili, nonché l’eliminazione graduale dello smaltimento in discarica dei tessili.

Altre raccomandazioni includono: l’inclusione di un esplicito divieto di distruzione dei prodotti tessili invenduti e restituiti nelle regole di ecodesign dell’Ue; regole chiare per porre fine alle pratiche di greenwashing, attraverso il lavoro legislativo in corso sulla responsabilizzazione dei consumatori nella transizione verde e sulla regolamentazione delle dichiarazioni verdi; garantire pratiche commerciali eque ed etiche attraverso l’applicazione degli accordi commerciali dell’Ue; lanciare senza ulteriori ritardi l’iniziativa della Commissione per prevenire e ridurre al minimo il rilascio di microplastiche e microfibre nell’ambiente.

 

Bankitalia aumenta investimenti in azioni e obbligazioni green

Bankitalia prosegue sulla strada della sostenibilità degli investimenti del proprio portafoglio finanziario. Dal secondo Rapporto annuale sugli investimenti sostenibili e sui rischi climatici, riferito al 2022, emerge che il peso delle obbligazioni verdi tra gli investimenti in titoli di Stato e degli organismi sovranazionali è cresciuto in modo significativo. In particolare, nel portafoglio finanziario i green bond costituiscono il 2,8 per cento degli investimenti in titoli di Stato (0,03 per cento nel 2020) e il 20,5 per cento degli investimenti in titoli di organizzazioni internazionali e agenzie (5,3 per cento nel 2020).

Alla fine del 2022, gli indicatori climatici degli investimenti in azioni e obbligazioni societarie della Banca d’Italia risultano quindi in miglioramento. L’intensità carbonica media ponderata degli investimenti azionari in euro è diminuita del 36 per cento rispetto al 2020 ed è inferiore del 32 per cento rispetto all’indice di mercato preso come riferimento.
Il report esplicita l’impegno dell’istituto a gestire i propri investimenti in coerenza con gli obiettivi degli Accordi di Parigi e di neutralità climatica al 2050 dell’Unione europea (l’effettivo conseguimento di questo obiettivo è condizionato al rispetto degli impegni di neutralità climatica dichiarati dalle imprese e dai governi degli Stati in cui la Banca investe).

I portafogli analizzati (quello finanziario in euro, quello delle riserve valutarie e il Fondo pensione complementare dei dipendenti) valevano complessivamente 169 miliardi di euro.
Il Rapporto è pubblicato in concomitanza con documenti analoghi della Bce e delle altre banche centrali dell’Eurosistema e risponde all’impegno preso con la Carta degli investimenti sostenibili, di comunicare periodicamente i risultati delle strategie di investimento sostenibile per i portafogli non di politica monetaria e di contribuire alla promozione della cultura della sostenibilità nel sistema finanziario e tra i cittadini.

I miglioramenti degli indicatori climatici riflettono in parte gli andamenti nell’indice di riferimento. Questi sono legati tra l’altro ai progressi delle imprese nei percorsi di decarbonizzazione, testimoniati dalla crescita delle aziende con impegni e obiettivi climatici validati, salite in termini di peso dal 43 per cento dell’indice del 2020 al 70 del 2022.
Rispetto alle altre dimensioni della sostenibilità, i portafogli azionari e delle obbligazioni societarie mostrano punteggi ESG aggregati migliori degli indici di riferimento. Gli indicatori tematici più elevati in termini relativi sono soprattutto quelli ambientali.

Secondo il rapporto, la strategia di investimento sostenibile della Banca d’Italia persegue due obiettivi: “Migliorare il profilo di rischio e di rendimento dei portafogli e contribuire alla tutela dell’ambiente, con una particolare attenzione al contrasto ai cambiamenti climatici“. Le linee d’azione sono tre: integrare la neutralità climatica e i criteri ESG nella gestione degli investimenti e dei rischi; promuovere la trasparenza sui profili di sostenibilità; pubblicare risultati, guide e ricerche.
La Banca, in qualità di azionista, ha avviato nel 2022 un dialogo con le imprese che contribuiscono maggiormente alle emissioni di gas serra del proprio portafoglio, per approfondire le loro strategie climatiche, sensibilizzarle sull’importanza di una comunicazione ampia sul processo di decarbonizzazione e sui temi ESG.

H&M ci riprova: Giù emissioni, più riciclo e nuova Water strategy

H&M ci riprova. Dopo essere stato citato in giudizio per greenwashing, marketing ingannevole e dati falsi e fuorvianti e aver incassato una denuncia della Consumer Authority norvegese per possibili violazioni alla normativa sulla pubblicità ingannevole per la collezione ‘H&M conscious‘, il colosso del fast fashion svedese promette un cambio di rotta.

I marchi che hanno come obiettivo principale la sostenibilità “saranno meglio preparati a soddisfare il crescente interesse dei consumatori e le richieste dei legislatori“, spiega Leyla Ertur, responsabile della Sostenibilità del gruppo, nell’ultimo rapporto annuale. Contribuire a un futuro migliore, “per le persone e il pianeta“, questo è l’obiettivo del gigante della moda. “Siamo aperti al dialogo e alla collaborazione per affrontare le numerose sfide comuni del nostro settore e del nostro mondo“, assicura.

Quest’anno, l’utilizzo di materiali riciclati ha subito un’accelerazione, raggiungendo il 23% (dal 18%) e contribuendo a un totale dell’84% di materiali riciclati o provenienti da fonti più sostenibili nelle collezioni del marchio.

C’è stata una riduzione delle emissioni assolute del 7% in riferimento allo Scope 3 (le emissioni indirette prodotte nella catena del valore) e dell’8% delle emissioni degli Scope 1 e 2 (le emissioni dirette generate dall’azienda e quelle indirette generate dall’energia acquistata e consumata dalla società), rispetto al valore di riferimento del 2019. L’obiettivo a lungo raggio è ridurre le emissioni assolute degli Scope 1, 2 e 3 del 56% entro il 2030.

Bene anche sul lato imballaggi in plastica: -44% rispetto al valore di riferimento del 2018. Non solo: il gruppo ha lanciato una nuova Water Strategy per il 2030 e ha ridotto il consumo
relativo di acqua per prodotto del 38% rispetto al valore di riferimento del 2017, grazie a miglioramenti dell’efficienza e a un maggiore riciclo delle acque reflue.

Quanto alla sostenibilità sociale, nell’ultimo anno la rappresentanza sindacale nelle fabbriche dei fornitori di livello 1 è passata dal 37% al 42% e il 34% ha stipulato contratti collettivi di lavoro (rispetto al 27% del 2021). Il 63% dei rappresentanti dei lavoratori nelle fabbriche dei fornitori di Tier 1 è composto da donne e la percentuale di donne che ricoprono posizioni di supervisione è del 27%.

“E’ stato un anno turbolento, segnato dalla guerra in Ucraina”, osserva la Ceo, Helena Helmersson. “In tempi esterni difficili, la sostenibilità rimane parte integrante della nostra attività”, assicura.

E, in effetti, l’obiettivo 2030 combina gli obiettivi di crescita aziendale e di profitto con la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.” Per raggiungere i nostri ambiziosi obiettivi climatici di dimezzare le emissioni di gas serra del Gruppo entro il 2030 e di arrivare a zero entro il 2040, investiamo in progetti per ridurre le emissioni di gas serra lungo tutta la nostra catena del valore”, ribadisce Helmersson. Nel corso dell’anno, gli obiettivi climatici del gruppo sono stati verificati dall’iniziativa Science Based Targets ed è stata istituita la Green Fashion Initiative per sostenere i fornitori nella sostituzione dei combustibili fossili.

Gli investimenti nella sostenibilità offrono al Gruppo opportunità di business a lungo termine. Costruendo partnership strategiche con i principali stakeholder e crescendo in vari modi innovativi, H&M sostiene di riuscire a far crescere l’attività in modo da disaccoppiare la crescita finanziaria e la redditività dall’uso di risorse naturali limitate. Un buon esempio è Sellpy, società di maggioranza del gruppo, che è già uno dei maggiori operatori nel settore della Moda di seconda mano in Europa.

“Continueremo a investire in nuovi modelli di business, materiali e tecnologie che hanno il potenziale per cambiare radicalmente il modo in cui realizziamo i nostri prodotti e in cui i nostri clienti possono vivere la Moda”, garantisce Helmersson. “Nonostante il mondo turbolento che ci circonda – rivendica la Ceo -, il Gruppo H&M è forte di un’ampia base di clienti, di una solida posizione finanziaria, di un sano flusso di cassa e di un inventario ben bilanciato. Tutto questo grazie all’impegno dei colleghi di tutto il mondo, che continuano a costruire la nostra azienda, a rimanere fedeli ai nostri valori e a garantire che realizziamo sempre l’idea commerciale che il nostro fondatore ha gettato le basi 75 anni fa: offrire ai nostri clienti un valore imbattibile con la migliore combinazione di Moda, qualità, prezzo e sostenibilità”.

Mercato integratori alimentari in crescita: la filiera guarda alla sostenibilità

Prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare ma non in via esclusiva aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate“. Questa la definizione degli integratori alimentari contenuta nel decreto legislativo n. 169 del 21 maggio 2004, testo che rappresenta la normativa di riferimento in Italia su questo tema e che ha dato attuazione alla direttiva europea n. 46 del 2002. Gli integratori costituiscono una fonte concentrata di nutrienti o di sostanze e hanno la funzione di complementare la dieta, non di sostituire il cibo. Sono disponibili sotto forma di tavolette, compresse o gocce, da assumere in quantità misurate per ottimizzarne l’effetto e rispondere al meglio a esigenze nutrizionali precise o a condizioni fisiologiche particolari. Si tratta di prodotti che, pur non essendo catalogati come farmaci, devono rispondere a precisi criteri in materia di composizione e di dosi massime di assunzione. Proprio per garantire massima trasparenza e sicurezza ai consumatori, tutti gli integratori alimentari che finiscono sul mercato devono essere dotati di una specifica etichettatura contenente varie informazioni: i nomi delle categorie di sostanze nutritive o sostanze che caratterizzano il prodotto o un’indicazione della natura di tali sostanze o sostanze nutritive; la porzione di prodotto consigliata per il consumo quotidiano; l’avvertimento di non superare la dose quotidiana definita come raccomandabile; la raccomandazione di non usare gli integratori alimentari come sostituti di una dieta varia; la raccomandazione di tenere i prodotti fuori dalla portata dei bambini. Inoltre, l’immissione in commercio di ogni integratore alimentare è subordinata alla procedura di notifica al Ministero della Salute che ne valuta la conformità alle normative in materia.

BENEFICI PER IL BENESSERE. A sottolineare l’importanza di un corretto utilizzo degli integratori alimentari per il benessere dell’organismo è FederSalus (Associazione Nazionale Produttori e Distributori di Prodotti Salutistici), associazione nata nel 1999 e confluita di recente all’interno di Integratori & Salute, realtà che fa parte dell’Unione Italiana Food (Confindustria). La principale funzione degli integratori è quella di prevenzione primaria: aiutare a superare stadi temporanei di disagio riducendo il ricorso ai farmaci. In tal senso, questi prodotti possono anche contribuire a una riduzione della spesa del sistema sanitario nazionale. L’utilità degli integratori è suffragata da numerosi studi clinici e pubblicazioni scientifiche riconosciuti dall’Agenzia per la sicurezza alimentare europea (EFSA). Attenzione però: il ricorso agli integratori non può sopperire ai danni causati da un’alimentazione eccessiva, basata su alimenti non sani e non equilibrata, così come non può sostituire uno stile di vite salutare e privo di fattori nocivi come ad esempio fumo e alcol. Altro punto fondamentale è la consapevolezza: l’assunzione di integratori non deve mai superare le dosi giornaliere massime indicate sull’etichetta (se non prescritte dal proprio medico), seguendo le modalità di consumo specificate. Utili i consigli dei professionisti: secondo uno studio Censis del 2019, in Italia il 47% dei casi l’utilizzo degli integratori alimentari è supportato dalle indicazioni di un almeno uno tra medico generico, specialista, o farmacista.

MERCATO IN CRESCITA. Il mercato mondiale degli integratori alimentari mostra un trend di crescita notevole. Secondo i dati elaborati nel 2021 da Intesa Sanpaolo, il giro d’affari globale è passato dai 21 miliardi di dollari del 2007 ai 45 del 2019, con un balzo del 113% in poco più di un decennio. Simile la dinamica in Italia, dove, secondo i numeri forniti da FederSalus, nel 2014 il settore valeva circa 2,3 miliardi di euro ed è salito a quasi 3,9 miliardi nel 2020, con un tasso di crescita media annua dell’8,2%. Il nostro è di gran lunga il mercato più sviluppato in Europa: vale il 29% del totale, seguito da Germania (19%) e Francia (9%). E le prospettive per l’Italia appaiono rosee: secondo l’Area Studi di Mediobanca, il giro d’affari arriverà a sfiorare i 5 miliardi di euro nel 2025. Da quali canali passa la vendita degli integratori alimentari nel nostro Paese? I dati di FederSalus mostrano che la parte del leone è svolta dalle farmacie con il 79% del valore totale, cui si aggiunge l’8% legato alle parafarmacie. Minoritario il ruolo ricoperto dalla grande distribuzione (8%) e dall’e-commerce (5%). Tra i prodotti più acquistati figurano ai primi posti vitamine e minerali (746 milioni di euro nel 2020), quelli per il benessere gastro-intestinale (413) e i probiotici (387).

FILIERA ITALIANA AL TOP. Italia in primo piano anche per quanto riguarda la filiera produttiva, piazzandosi all’ottavo posto mondiale per esportazioni (dati 2019) con un valore di 1,25 miliardi di euro. Buona è stata anche la resilienza davanti alla sfida della pandemia: nel 2020 il calo delle esportazioni è stato contenuto al 4,2% a fronte del 9,7% fatto segnare dall’intero Belpaese, tornando peraltro ai livelli pre-Covid già nel corso del primo trimestre 2021. A caratterizzare il comparto, che dà lavoro a circa 22mila addetti, è l’attenzione alla sostenibilità. Secondo la recente indagine ‘Aggiornamenti sull’impatto della pandemia da Covid-19 sul mercato’ a cura del Centro Studi Integratori & Salute, la sostenibilità è ritenuta un tema cruciale per l’84% delle aziende, mentre oltre una su due (52%) pensa che questo tema avrà un ruolo sempre più rilevante in futuro. Nel 2021 l’impegno in tal senso ha riguardato diverse azioni di responsabilità sociale e riduzione dell’impatto ambientale: investimenti a livello di packaging (27%), sicurezza e salute dei dipendenti (24%), processo produttivo (16%), materie prime (16%) e welfare aziendale (15%). Rilevante anche l’attenzione alle nuove tecnologie: in questo campo al primo posto tra gli investimenti compare l’integrazione e lo sviluppo digitale dei processi aziendali (43%), seguita dagli strumenti digitali per la gestione delle informazioni medico-scientifica (28%) e dall’internet delle cose e delle macchine (20%). “Nel processo di sviluppo, le aziende sono consapevoli che dovranno tener conto anche di nuove sfide determinate da: emergenza ambientale, espansione dei processi di digitalizzazione, e-commerce ed evoluzione della comunicazione sempre più proiettata all’omnicanalità – ha commentato Germano Scarpa, presidente di Integratori & Salute -. La nostra filiera si è mostrata resiliente e in salute, evidenziando dinamiche positive nel fatturato, nella produzione in generale, nell’occupazione e negli investimenti, in particolare in ambito digitale”.

olio cucina

Commissione nazionale Unesco: “Cucina italiana sia patrimonio culturale immateriale”

La cucina italiana è ufficialmente candidata a patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. A presentarla all’esame del Comitato intergovernativo è stato il Consiglio direttivo della Commissione nazionale italiana per l’Unesco, presieduto da Franco Bernabé. Il dossier di candidatura, dal titolo ‘La cucina italiana fra sostenibilità e diversità bioculturale’, indica tra le motivazioni il suo essere un “insieme di pratiche sociali, riti e gestualità basate sui tanti saperi locali che, senza gerarchie, la identificano e la connotano”.

Questo mosaico di tradizioni territoriali “riflette la diversità bioculturale del Paese e si basa sul comune denominatore di concepire il momento della preparazione e del consumo del pasto a tavola come occasione di condivisione e di confronto”. “Ovunque, in Italia – si legge nella nota Unesco – cucinare è un modo di prendersi cura della famiglia e degli amici o degli avventori. È il frutto di un continuo gioco di connessioni e scambi che dalle precedenti generazioni arriva alle nuove. È anche una manifestazione quotidiana di creatività che rimanda al “buon vivere” italiano per il quale, nel mondo, siamo apprezzati e talvolta invidiati”.

Come evidenzia lo storico Massimo Montanari, “la candidatura vuole rappresentare la cucina italiana, domestica e non, come un mosaico in cui le singole tessere permettono di definire un insieme coerente che trascende l’unicità e la specificità di ogni singola tessera”. Tutto ciò è il risultato di una storia plurisecolare caratterizzata da numerosi scambi, interferenze e contaminazioni reciproche. La cucina italiana, come emerge dal dossier di candidatura, “è un elemento essenziale, vivo e attuale dell’italianità, riconosciuto tanto all’interno del paese quanto all’estero”.

Il Consiglio direttivo ha inoltre approvato la candidatura transnazionale ‘Arte campanaria tradizionale’, estensione all’Italia di questo elemento iscritto dalla Spagna lo scorso anno. La partecipazione italiana è promossa dalla Federazione nazionale dei suonatori di campane, che raggruppa 22 associazioni presenti sul territorio italiano. Il dossier contiene diversi elementi, come le differenti tecniche di suonata; i paesaggi sonori quali feste, anniversari, riti; le forme delle campane realizzate da fonderie storiche e le strutture architettoniche dei campanili, come quelli di Piazza San Marco a Venezia e di Santa Maria del Fiore a Firenze.

Fa’ la cosa giusta: la sostenibile leggerezza del km zero

C’è un volto della moda lontano dai riflettori, ma vicinissimo alle persone: è quello dell’artigianato. In Italia lo slow fashion è un settore chiave, anche se spesso poco valorizzato: è etico, impatta poco, dà spazio ai giovani

Al Critical Fashion di ‘Fà la cosa giusta!‘, la Fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili di Milano (24-26 marzo) aziende e artigiani presentano abbigliamento e accessori realizzati con materiali riciclati o di riuso, filati biologici e naturali, materie prime organiche, tinture vegetali. 

Con il progetto ‘Moda: il bello del km consapevole’, realizzato con il contributo di Regione Lombardia, i visitatori possono scoprire l’ecosistema creativo lombardo, le giovani imprese e i designer che fanno della sostenibilità un valore centrale del proprio brand. L’incontro ‘La sostenibilità umana nella filiera della moda’ racconta come l’industria della moda si stia adattando alla richiesta di sostenibilità ambientale nella filiera di produzione, anche se rimane ancora tanto da fare nell’ambito dei diritti dei lavoratori: sono 70 milioni le persone che lavorano in questo settore e ricevono la paga minima, spesso sotto il livello di povertà. Protagonista dell’incontro è Marina Spadafora, designer e stilista militante, portavoce in Italia del movimento Fashion Revolution che, insieme a una cordata di ONG, ha depositato una proposta di legge al Parlamento Europeo sul salario dignitoso e ha lanciato la campagna di raccolta firme, che termina il prossimo luglio, ‘Good Clothes Fair Pay’.

Al fast fashion è dedicato l’incontro ‘Moda, cooperazione e sostenibilità: oltre il fast fashion‘, che riflette sul rapporto tra sostenibilità, produzione di moda e cooperazione. Grazie ai risultati di uno studio della Cattolica, in collaborazione con Mani Tese e Aics (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo), viene approfondito l’impegno delle piccole imprese in Italia del settore tessile-abbigliamento nella gestione degli aspetti sociali e ambientali delle proprie attività, nella prospettiva di un passaggio dal fast fashion a una filiera tessile trasparente e sostenibile.

Tra i tanti laboratori della Piazza Critical Fashion, i visitatori della fiera hanno la possibilità di partecipare a corsi di cucito gratuiti, per imparare a fare piccole riparazioni fai-da-te e personalizzare gli abiti, grazie allo spazio interattivo allestito con le macchine da cucire messe a disposizione da Del Vecchia Group.

“Oltre il tessuto – Materiali non convenzionali che diventano moda’ è la mostra organizzata da Sfashion-net per raccontare la tradizione e l’innovazione delle produzioni di alcuni brand italiani che hanno a cuore l’ambiente e che attuano forme di upcycling contemporaneo: recuperano e riutilizzano in modo creativo materiali non convenzionali e non destinati al mondo della moda trasformandoli con pazienza per ridare loro una nuova forma e un nuovo utilizzo. 

 

vino atacama

Argea: “Sperimentiamo vino biosimbiotico contro siccità. Etichette? Mossa politica”

Contenitori alternativi al vetro. Impianti fotovoltaici. Laghi di raccolta acqua e vino biosimbiotico. Il settore enologico sta affrontando grandi sfide dettate dall’aumento dei prezzi delle materie prime, dalla crisi energetica e dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. Non da ultimo, a preoccupare i produttori italiani è l’iniziativa dell’Irlanda di apporre sulle etichette di vino i messaggi di allerta per il rischio sulla salute, i cosiddetti health warning, parificando di fatto il vino alle sigarette. “Il 2022 è stato un anno difficile, dopo la pandemia abbiamo affrontato difficoltà dovute all’incremento dei costi dei materiali. Molti produttori sono stati colpiti dalla crisi energetica… La sfida è cercare di seguire le abitudini di consumo e le richieste di alcuni mercati che sono considerati più evoluti che anticipano un po’ le tendenze del mercato, anche in termini di sostenibilità”, ha spiegato a GEA Massimo Romani, amministratore delegato di Argea, gruppo nato a settembre dall’unione di Botter e Mondo del Vino con l’obiettivo di competere sui mercati esteri e portare la qualità dell’Italia nel mondo.

Come sta proseguendo la vostra avventura?

“Argea è una nuova realtà nata dall’unione delle parole arte e gea (terra): arte della terra. Abbiamo presentato il gruppo il 29 settembre del 2022 ma abbiamo una lunga storia perché nasciamo dall’unione di Botter e Mondo del Vino, con quasi 100 anni di storia. Abbiamo ora 600 dipendenti diretti, oltre a tutta la filiera. Lavoriamo su 9 cantine in 6 regioni italiane. Abbiamo chiuso il 2021 a 420 milioni di euro di cui il 95% di export. Il 2022 è stato un anno difficile, ma siamo comunque riusciti a produrre una crescita rispetto al 2021, stiamo chiudendo ora i conti. Certo, ci sono le prime avvisaglie di attenzione sul mercato a inizio del 2023 ma crediamo poi si vada a stabilizzare”.

Crisi energetica, cambiamenti climatici, aumento dei prezzi.. come il settore può sopravvivere?

“Seguendo le abitudini di consumo e le richieste di alcuni mercati che sono considerati più evoluti che anticipano un po’ le tendenze del mercato: ovvero, sostenibilità. Dal canto nostro, stiamo cercando di studiare soluzioni alternative, ad esempio contenitori alternativi rispetto al classico vetro, che da un lato danno maggiore sostenibilità ambientale e dall’altro offrono un’economicità maggiore del prodotto, in modo da renderci più competitivi come richiede il mercato. Penso a contenitori in pit, a contenitori con carta, allo sviluppo del concetto di bag-in-box, che si usa molto nei mercati nordici, trasferito però sulle bottiglie. A questo si accompagna tutta una serie di studi che vanno ben sperimentati per capire l’impatto organolettico sulla nostra materia prima che è nobile e che va trattata di conseguenza. Tradotto: siamo ben consapevoli della tradizione ma stiamo cercando di capire cosa si può fare per renderci più sostenibili nel medio periodo e anche più competitivi“.

La crisi dei materiali ed energetica ha infatti costretto a ripensare alle fonti di approvvigionamento, rendendo forse sempre più indispensabile una transizione ecologica ed energetica .. nel vostro settore come è attuabile?

Stiamo portando avanti un importante progetto di transizione energetica, ed ecologica, per aumentare la nostra produzione da fonti rinnovabili. Ad esempio, su tutta la parte in cantina, e degli impianti di imbottigliamento e su tutti i magazzini logistici stiamo attivando processi a 360 gradi di produzione di energia da fotovoltaico. Abbiamo un piano rilevante sulla riduzione degli sprechi, sia come educazione sia come investimenti in tecnologie che consumano meno. Questa attenzione la portiamo in tutti gli aspetti della filiera cercando di firmare protocolli con i nostri fornitori che sono spesso anche nostri partner”.

Che cosa chiedete alle istituzioni?

“Un loro aiuto in buona parte è già presente. Ma se in tutto questo percorso, il Pnrr e i progetti del Mase ci aiutassero negli investimenti e ad accelerare questa fase di transizione, potremmo diventare meno sensibili alle oscillazioni di elettricità e gas. E se questo fosse ripetuto su tutti i player della filiera (dal vetro al cartone fino allo scaffale) aiuterebbe in modo concreto un passaggio che oggi è diventato cruciale e a cui gli imprenditori, da anni, stanno lavorando”.

Anche perché gli effetti del riscaldamento globale sono già in atto. Penso alla forte siccità che sta colpendo l’Italia, soprattutto al Nord.

Il cambiamento climatico è una realtà, non è più un messaggio che qualcuno cercava di far passare. Sono anni, 2022 incluso, che rischiamo di avere vendemmie povere. Per fortuna l’anno scorso a inizio agosto ha iniziato a piovere e ci siamo salvati. Le produzioni sono state in linea con gli anni precedenti. Noi siamo presenti in Veneto e in Piemonte (al confine tra Langhe e Roero) e siamo molto preoccupati. A livello di gruppo abbiamo iniziato a lavorare su due fronti: dove c’è la possibilità abbiamo lavorato sulle infrastrutture, come ad esempio in Emilia Romagna dove abbiamo la cantina Podere Dal Nespoli a 300 metri di altitudine. Qui abbiamo lavorato per mettere in funzione laghi di raccolta che ci servono per il sistema di irrigazione. E poi abbiamo lavorato in vigna dove, sulle nostre tenute, una 50ina di ettari, abbiamo creato il primo distretto biosimbiotico in Italia”.

Come funziona?

Vengono inseriti microrganismi in simbiosi con la pianta che la rendono più resiliente agli stress che arrivano dall’ambiente in cui vive, in particolare la siccità e gli sbalzi termici. E questo ci sta portando ad avere una vite molto più resistente rispetto a quella che arriva da sistemi più tradizionali. Sono fasi sperimentali: abbiamo prodotto le prime 18mila bottiglie la scorsa vendemmia, ma è una dimostrazione del fatto che la pianta può sopravvivere in condizioni meno gentili. Si dovrebbe fare di più, perché ora è una realtà con cui dobbiamo fare in conti, tutto il sistema ha bisogno di studiare sistema di iniziative in questo senso perché se non si agisce rischiamo di avere meno produzione, soprattutto in alcune aree”.

E’ possibile che la vendemmia venga anticipata?

“In alcune aree geografiche molto votate alla viticoltura, ma non in Italia, abbiamo visto ad anticipi già di vendemmia nell’ordine delle due tre settimane. Questo però ha provocato diversità nel gusto e nel profilo organolettico del prodotto. Qui ci avventuriamo in un territorio molto complesso di cui non abbiamo risposte”.

Anche perché l’Italia ha proprio una tradizione vinicola molto forte e qui mi connetto al famoso tema dell’Earth Warning dalle famose etichette. Quali rischi possono esserci per l’export italiano? E davvero il vino è dannoso alla salute?

“Ritengo che la situazione sia un po’ scappata di mano. Il vino rientra nell’elenco di tutti gli alimenti che sono stati di volta in volta attaccati, dalle carni rosse ai salumi. In realtà quello che studi anche a livello incrociato, sostenuti dalle varie associazioni, hanno sempre dimostrato è che questi alimenti e bevande consumati in moderazione non danno problemi alla salute. Non sono un medico, ma è chiaro che tutto va fatto con un certo tipo di moderazione. Io credo che sia più un tema commerciale e politico, poi non dubito che magari qualche Paese abbia problemi ben più alti del nostro in termini di consumo. Ma cercare di ridurre l’abuso con questo sistema non gestito rischia di penalizzare di volta in volta l’export di tutti gli Stati dell’Unione europea a seconda del cibo o della bevanda di cui si parla. Allo stesso tempo, al momento non la vedo come una cosa che possa danneggiare in maniera sostanziale almeno nel breve periodo il settore. Ma ricordiamoci che il settore del vino in Italia vale circa 15 miliardi di euro di cui 8 di export, con una quantità di addetti importante e una tradizione oserei dire millenaria. E questo va tutelato”.

Gucci

Gucci e il lusso green del futuro: nasce primo Circular Hub

Materie prime, design, produzione, logistica. L’intera catena produttiva della moda in Italia cambia pelle, con il primo hub per il lusso circolare in Italia. Lo lancia Gucci, supportata da Kering, per accelerare la trasformazione del modello produttivo in chiave circolare, attraverso una piattaforma di ‘open innovation’.

Obiettivo: creare il prodotto del lusso circolare del futuro – un prodotto che massimizza l’utilizzo di materiali riciclati, la durabilità, la riparabilità e la riciclabilità dei prodotti a fine vita.

L’hub sarà in Toscana e dialogherà con le strutture del Gruppo Kering, un ecosistema di oltre 700 fornitori diretti e 3500 subfornitori. Le attività dell’hub saranno poi estese agli altri brand del Gruppo Kering per diventare uno strumento a disposizione dell’intero settore.

L’industria della moda ha oggi la responsabilità di stimolare azioni concrete e trovare soluzioni in grado di accelerare il cambiamento, ripensando anche alle modalità produttive e all’impiego delle risorse. La creazione del Circular Hub è un importante traguardo e nasce proprio per perseguire quest’obiettivo. È motivo di orgoglio per me che l’hub nasca in Italia, sede di alcuni dei più importanti e rinomati poli produttivi e del know-how del Gruppo”, spiega Marie-Claire Daveau, Chief Sustainability and Institutional Affairs Officer di Kering. La circolarità offre “una visione che coinvolge l’intero ciclo produttivo: è una grande sfida per rendere ancora più forte e competitivo il Made in Italy”, conferma Antonella Centra, Executive Vice President, General Counsel, Corporate Affairs & Sustainability di Gucci. Con Circular Hub, afferma, “abbiamo la responsabilità e soprattutto l’opportunità di creare la strada per l’industria del lusso del futuro. Condividendo i medesimi obiettivi e mettendo a fattore comune risorse, know-how e sinergie, la piattaforma rappresenta uno strumento concreto per abilitare l’intera catena di fornitura e specialmente le piccole e medie imprese, cuore pulsante del nostro Paese, rendendole parte attiva del percorso di innovazione costante che rende unico il saper fare italiano nel mondo”.

La prima fase dei lavori prenderà il via nel primo semestre 2023 e si avvarrà delle competenze dei ricercatori del Kering Material Innovation Lab (MIL) di Milano e del supporto di tecnici e ricercatori di prodotto per abbigliamento, pelletteria, calzature e accessori dei centri d’avanguardia di artigianato industriale e sperimentazione di Gucci di Scandicci e di Novara.

Per lo sviluppo delle attività progettuali, la piattaforma prevedrà inoltre il supporto di partner industriali e la collaborazione scientifica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che opererà nel perimetro di intervento delle linee di ricerca industriale e di sviluppo di soluzioni circolari, anche relativamente ai modelli operativi e logistici.

Il progetto migliorerà le performance di impatto ambientale del Gruppo Kering, di Gucci e della sua filiera e dei territori in cui esse operano. Renderà possibile consumare meno risorse, ridurre le emissioni di gas serra, creare occupazione di qualità e contribuire al benessere del territorio. Da una prima stima degli impatti ambientali effettuata sull’ecosistema Gucci pelletteria, sarà possibile arrivare a una riduzione sino al 60% delle emissioni di gas serra attualmente generata nella gestione degli scarti produttivi. Il Circular Hub anticipa i nuovi modelli produttivi che saranno vincolanti in Europa nei prossimi anni e che istituiranno la responsabilità estesa del produttore, obbligando le aziende a farsi carico del fine vita del prodotto e dei materiali di scarto. Il progetto è complementare alle attività che saranno svolte dal Consorzio Re.Crea, coordinato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana per gestire i rifiuti e promuovere l’innovazione del riciclo, del quale Gucci fa parte come socio promotore, e si pone in linea di continuità con l’ingresso della Maison come partner strategico nella Ellen MacArthur Foundation.

Sostenibilità, economia circolare e app per smaltire i rifiuti: il piano di Nestlé

Una app per aiutare i consumatori a conferire i rifiuti. Una ‘Alleanza per il riciclo delle capsule in alluminio’, fondata nel 2021 da Nespresso in partnership con Illycaffè, che da febbraio 2023 si è ulteriormente potenziata con l’ingresso di Starbucks by Nespresso. Sono solo alcuni dei tanti progetti che il Gruppo Nestlé in Italia porta avanti nel suo percorso di sostenibilità. Ma come riuscire a coniugare l’impegno verso un sistema alimentare rigenerativo con l’obiettivo di raggiungere zero emissioni nette di gas serra entro il 2050? “‘Good food Good life’ è il purpose di Nestlé che riguarda tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione”, spiega a GEA Valeria Norreri, Strategic Group Marketing and Communication Manager di Nestlé Italia. La nostra promessa si applica su tre ambiti: le Persone, il Pianeta e le Comunità. “Perché per Nestlé il concetto di “buono” non riguarda solo il gusto del cibo, ma anche quanto questo sia bilanciato a livello nutrizionale, quanto sia rispettoso del territorio e di chi lo produce”, continua Norreri. Una dichiarazione di intenti che si traduce in atti concreti e in impegni per il futuro ben definiti. Ad esempio, già oggi il 97% delle confezioni prodotte in Italia è riciclabile. O ancora, le fabbriche Nestlé in Italia, acquistano il 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili e inviano a riciclo o recupero circa il 99% dei propri rifiuti.

Pioniera nel riservare grande attenzione al tema del corretto conferimento dei rifiuti, nel 2020 Nestlé ha lanciato l’app ‘Dove lo butto?‘, piattaforma digitale creata con l’obiettivo di informare e aiutare i consumatori in modo rapido e intuitivo sul corretto smaltimento delle confezioni dei prodotti, in qualsiasi parte d’Italia si trovino. “Nel nostro Paese, infatti, le regole per la differenziata variano tra un territorio all’altro a causa delle esigenze tecniche e operative con cui si interfacciano le diverse municipalizzate locali. Si pensi ai contenitori per liquidi a base carta, come il TetraPack: a seconda del Comune di riferimento, possono essere conferiti assieme alla carta, o al multimateriale, insieme alla plastica. Ne consegue che non sempre i consumatori siano certi di come smaltire correttamente gli imballaggi dei prodotti che utilizzano. La piattaforma vuole quindi supportarli nel rispondere alla domanda più comune che tutti almeno una volta ci siamo posti davanti ai bidoncini della raccolta differenziata: ‘… E questo, dove lo butto?‘”, spiega Valeria Norreri.

Ed è proprio questo uno degli argomenti che Nestlé presenterà ai ragazzi in occasione di ‘GEA EDU-Idee per il futuro’, il progetto didattico promosso dalla Fondazione Articolo 49, emanazione di WITHUB S.p.A, e destinato alle scuole secondarie di II grado. “Nestlé ha sempre ritenuto fondamentali i progetti educativi rivolti a una sensibilizzazione degli stili di vita, per questo abbiamo aderito con interesse. Da tempo lavoriamo per raggiungere obiettivi importanti attraverso i nostri prodotti, le nostre marche e le nostre persone che sono in prima linea per guidare il percorso di crescita sostenibile dell’azienda”, continua Norreri ricordando che un Gruppo come Nestlé studia con attenzione dove e come “muoversi perché grandi dimensioni portano con sé grandi responsabilità. Da soli possiamo raggiungere grandi risultati, ma per fare davvero la differenza dobbiamo adottare soluzioni collaborative. Questo implica coinvolgere i nostri consumatori, che supportiamo nella corretta raccolta differenziata degli imballaggi e ispiriamo attraverso il gioco. Ma anche collaborare con i nostri clienti e le istituzioni, e soprattutto creare una cultura della sostenibilità nelle nuove generazioni favorendo la conoscenza e la consapevolezza verso buoni stili di vita alimentari e pratiche quotidiane”.