Settore agricolo salva da spreco quasi 640mila tonnellate eccedenze l’anno

Il settore agricolo dona il 34% delle eccedenze prodotte nell’intero comparto, con il 18% delle imprese che sceglie di valorizzare le proprie eccedenze alimentari salvandole dallo spreco con la pratica della donazione. Le eccedenze donate in un anno dalle imprese agricole italiane sono 218.937 tonnellate: i produttori di ortaggi sono i più virtuosi per diffusione della donazione (30% delle imprese) e per quantità donate, mentre le imprese che producono e processano frutti oleosi (come le olive) sono la seconda categoria  per diffusione della donazione (23% delle imprese); il 20% dei produttori di frutta effettua donazioni delle proprie eccedenze e sia le imprese produttrici di cereali sia gli allevatori ricorrono alla donazione con una frequenza dell’11%. Questi sono alcuni degli aspetti emersi nell’indagine promossa da Fondazione Banco Alimentare e realizzata dal Food Sustainability Lab della School of Management del Politecnico di Milano, e da Fondazione per la Sussidiarietà, che ha elaborato un’analisi in cui vengono rilevati: i fattori che determinano la scelta di donare, le caratteristiche delle imprese donatrici e degli enti che raccolgono le donazioni.

Lavoriamo quotidianamente per offrire alle persone in difficoltà un paniere di beni nutrizionalmente bilanciato che possa comprendere generi alimentari come frutta e verdura, fondamentali per una dieta sana, ma sempre molto difficili da recuperare. Con questa ricerca abbiamo l’opportunità di approfondire in quale fase si generano le eccedenze nel comparto agricolo e, in questa particolare occasione, desideriamo fare un appello alla responsabilità sociale delle imprese e alle istituzioni per incentivare e favorire le donazioni a scopo sociale”, ha commentato Giovanni Bruno, presidente di Fondazione Banco Alimentare.

Con i dati raccolti sono state effettuate stime del numero di donatori e della quantità di prodotti donati nella popolazione di riferimento, ovvero tutte le imprese italiane dell’agricoltura attive nelle categorie di prodotti per il consumo umano (escluso il vino) e con forma giuridica società di capitali, cooperative o consorzi. La stima della quantità totale delle eccedenze valorizzate nel comparto dell’agricoltura italiana, comprensive di donazioni e altre forme di riuso, è pari a 637.730 tonnellate in un anno, ovvero il 1,2% della produzione totale del settore agricolo italiano. Di queste eccedenze 218.937 (34%) sono donate a scopo sociale, prassi ancora relativamente poco diffusa (dona il 18% delle aziende) e 418.793 (66%) valorizzate con altre forme di riuso.

Dalla ricerca è emerso che la misurazione e il monitoraggio delle eccedenze alimentari sono driver strategici per le imprese, una condizione necessaria per qualsiasi azione di prevenzione dello spreco alimentare. Tuttavia, i processi di misurazione delle eccedenze presentano ancora scarsa diffusione tra le imprese agricole italiane, ma anche quando sono presenti sembra mancare una strutturazione del processo. In circa metà delle imprese del campione (49%) la responsabilità è assegnata ad una figura designata. La donazione a scopo sociale sembra ‘trascinare’ le strategie di prevenzione dello spreco ‘circolari’, maggiormente orientate alla sostenibilità ambientale; le imprese donatrici sono le più attive nelle altre forme di riuso delle eccedenze per fini di alimentazione e nel riciclo e recupero di eccedenze non valorizzate, residui e scarti.

Questa ricerca rappresenta una preziosa occasione per consolidare il lavoro già avviato e favorire un confronto costruttivo, mirato a rafforzare una strategia condivisa contro gli sprechi alimentari. I risultati evidenziano un ruolo importante delle aziende agricole nella lotta a questo fenomeno. Ringrazio gli enti del Terzo Settore, le imprese e il mondo della ricerca, il cui impegno e le cui iniziative sono essenziali per creare sinergie efficaci e innovative. Il Governo Meloni sta investendo in modo significativo per promuovere l’efficientamento dei processi produttivi e logistici lungo tutta la filiera, con l’obiettivo di tutelare le produzioni e limitare gli sprechi. Sebbene ci sia ancora molto da fare sono fiducioso che il Sistema Italia possa continuare a giocare un ruolo fondamentale nel migliorare la gestione delle eccedenze alimentari”, ha dichiarato al termine dei lavori il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida.

spreco alimentare

Un miliardo di pasti viene sprecato ogni giorno in tutto il mondo

Secondo le stime dell’Onu, che mercoledì ha condannato la “tragedia globale” dello spreco alimentare, nel 2022 le famiglie hanno gettato via inutilmente l’equivalente di un miliardo di pasti al giorno in tutto il mondo. Si tratta solo di una stima del cibo commestibile scartato e “la quantità effettiva potrebbe essere molto più alta“, secondo il rapporto Food Waste Index del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep). “Lo spreco alimentare è una tragedia globale. Milioni di persone in tutto il mondo soffrono la fame mentre il cibo viene buttato via“, denuncia la direttrice esecutiva dell’Unep Inger Andersen. Richard Swannell, dell’ONG WRAP, che ha contribuito alla stesura del rapporto, dichiara all’Afp: “È semplicemente sconcertante“. “Potremmo sfamare tutte le persone affamate del mondo – ce ne sono circa 800 milioni – con un pasto al giorno, solo con il cibo che viene sprecato“, ha sottolineato.

Le famiglie rappresentano il 60% di questi sprechi, ovvero 631 milioni di tonnellate nel mondo nel 2022 su un totale di oltre un miliardo. I servizi di ristorazione (mense, ristoranti, ecc.) rappresentano il 28% e supermercati, macellerie e negozi di alimentari di ogni tipo il 12%. Secondo le stime, ciò equivale a più di 1.000 miliardi di dollari all’anno buttati via inutilmente. Questo rapporto, il secondo pubblicato dalle Nazioni Unite sull’argomento, fornisce la panoramica più completa fino ad oggi. L’entità del problema è diventata più chiara con il miglioramento della raccolta dei dati. “Più cerchiamo gli sprechi alimentari, più ne troviamo“, afferma Clementine O’Connor dell’Unep.

Secondo Richard Swannell, gran parte degli sprechi che avvengono a casa sono legati al fatto che le persone acquistano più di quanto abbiano realmente bisogno, valutano male le dimensioni delle porzioni e non consumano gli avanzi. I consumatori buttano via anche prodotti perfettamente commestibili che hanno superato la data di scadenza. Molti alimenti vanno persi anche per motivi diversi dalla semplice disattenzione, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, ad esempio per problemi di refrigerazione. Ma, contrariamente a quanto si crede, lo spreco alimentare non è solo un “problema dei Paesi ricchi” e può essere osservato in tutto il mondo.

Per quanto riguarda le aziende, attualmente è spesso più conveniente buttare via il cibo piuttosto che trovare un’alternativa più sostenibile. “È più facile e veloce perché le tasse sui rifiuti sono nulle o molto basse“, afferma Clementine O’Connor. Questo spreco, che rappresenta quasi un quinto del cibo disponibile, è sinonimo di “fallimento ambientale“, sottolineano gli autori del rapporto: genera fino al 10% delle emissioni mondiali di gas serra e richiede enormi superfici agricole per coltivare colture che non verranno mai consumate. Se fosse un Paese, “sarebbe il terzo emettitore di gas serra dopo Stati Uniti e Cina”, osserva Richard Swannell. “Eppure la gente non ci pensa molto“. “Ci auguriamo che questo rapporto metta in luce l’opportunità per tutti noi di ridurre le nostre emissioni di gas serra e di risparmiare denaro, semplicemente facendo un uso migliore degli alimenti che già acquistiamo“, conclude.

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Stretta dell’Ue contro gli sprechi alimentari: -30% entro 2030

Sprechi di beni, sprechi di risorse, sprechi di soldi. La Commissione Europea ha deciso di dare una stretta agli sprechi alimentari e del settore tessile, di fronte all’evidenza di un problema ancora non risolto dalla legislazione comunitaria e dei 27 Paesi membri. Due proposte all’interno dello stesso quadro di revisione della Direttiva quadro sui rifiuti del 2008, che lasciano molto spazio ai Ventisette per definire le strategie e le modalità operative, ma con obiettivi che devono trovare un riscontro entro la fine del decennio.

Sul piano della lotta agli sprechi alimentari l’obiettivo fissato dal gabinetto von der Leyen è quello di un taglio entro il 2030 del 10% nella trasformazione e nella produzione e del 30% (pro capite) nella vendita al dettaglio e nel consumo, tra ristoranti, servizi alimentari e famiglie. La legislazione comunitaria prevede già che gli Stati membri attuino programmi nazionali di prevenzione e riduzione dei rifiuti alimentari in ogni fase della catena di approvvigionamento, ma finora la quantità di rifiuti “non è diminuita abbastanza”. Per questo Bruxelles spinge i Ventisette a “intraprendere azioni ambiziose e a sostenere i cambiamenti comportamentali”, ma anche a rafforzare la collaborazione tra gli attori dell’intera catena del valore alimentare. Tra le migliori pratiche identificate compare anche l’agevolazione della donazione di cibo “attraverso misure legislative e incentivi fiscali” alla ridistribuzione delle eccedenze alimentari. Prevista una revisione formale dei progressi dei Ventisette “entro la fine del 2027”.

La Commissione Ue vuole anche un’azione decisa contro gli sprechi del settore tessile. Il cuore della nuova proposta è la responsabilità dei produttori per l’intero ciclo di vita dei prodotti. Si tratta in particolare di introdurre schemi obbligatori e armonizzati di responsabilità estesa del produttore per i prodotti tessili in tutti gli Stati membri, sulla base dei risultati positivi nella gestione di imballaggi, batterie e apparecchiature elettriche ed elettroniche. vale a dire che i produttori copriranno i costi di gestione dei rifiuti tessili, “incentivandoli a ridurre i rifiuti e ad aumentare la circolarità dei prodotti tessili, progettando prodotti migliori fin dall’inizio”. L’importo da pagare sarà regolato in base alle prestazioni ambientali dei prodotti tessili, un principio noto come “eco-modulazione”.

Il risultato previsto dal gabinetto von der Leyen è quello di rendere più facile per i 27 Paesi membri Ue attuare l’obbligo di raccolta differenziata dei prodotti tessili a partire dal 2025, in linea con la legislazione attualmente in vigore. I contributi dei produttori finanzieranno gli investimenti nelle capacità di raccolta differenziata, selezione, riutilizzo e riciclaggio: “Le imprese sociali attive nella raccolta e nel trattamento dei tessili beneficeranno di maggiori opportunità commerciali e di un mercato più ampio per i tessili di seconda mano”, è quanto mette in chiaro la Commissione. Parallelamente sarà affrontata anche alla pratica dell’esportazione di rifiuti mascherata da riutilizzo verso Paesi non attrezzati per la gestione, chiarendo “cosa si intende per rifiuti e cosa per prodotti tessili riutilizzabili”. In questo modo le spedizioni potranno avvenire solo se ci sono “garanzie che i rifiuti siano gestiti in modo ecologicamente corretto”.

Las Vegas: da capitale della dissolutezza a modello di sobrietà idrica

E’ la città del divertimento e della dissolutezza per antonomasia, e si trova nel bel mezzo del deserto. Ma sotto la sua patina di piacere, Las Vegas è un sorprendente modello di conservazione dell’acqua negli Stati Uniti. Negli ultimi 20 anni, la città si è adattata alla siccità dell’Ovest americano ed è riuscita a ridurre di quasi un terzo il consumo annuale di acqua dal fiume Colorado. Questo nonostante la popolazione sia aumentata della metà nel periodo. Polizia idrica, divieto di irrigare alcuni prati, limiti alle dimensioni delle piscine: lo Stato del Nevada – dove si trova Las Vegas – ha introdotto una serie di misure per monitorare il suo ‘rubinetto’, in quanto è autorizzato a utilizzare solo il 2% della portata del fiume in declino. Si tratta di un’immagine ben lontana da quella coltivata da Las Vegas, con i suoi casinò e i suoi enormi alberghi, dove ogni anno affluiscono 40 milioni di turisti, oltre ai 2,3 milioni di abitanti.

Las Vegas ha avuto molto successo nel vendere una facciata di eccesso e decadenza“, ha dichiarato all’AFP Bronson Mack, portavoce della Southern Nevada Water Authority, l’agenzia locale responsabile della gestione del prezioso liquido. “Ma la realtà è che la nostra comunità è estremamente efficiente dal punto di vista idrico“. In un momento in cui sono in corso tese trattative per ridurre i consumi in tutti gli Stati Uniti occidentali, Las Vegas è una “rock star della conservazione dell’acqua” e un “modello per le città” degli Stati Uniti, afferma il ricercatore Brian Richter. Questo status è stato raggiunto grazie a una svolta proattiva all’inizio degli anni 2000, quando il Nevada ha superato la sua allocazione di acqua dal fiume Colorado.

Sulla Strip, l’enorme viale costeggiato dai casinò, le fontane del Bellagio e i canali del Venetian utilizzano acqua non potabile proveniente da pozzi privati. Nelle aree residenziali, le “pattuglie dell’acqua” perlustrano le strade la mattina presto, alla ricerca di irrigatori automatici che bagnano aree non pianificate o di tubature che perdono. Gli agenti filmano sistematicamente ogni violazione: i trasgressori la prima volta se la cavano con una bandiera di avvertimento piantata fuori casa. “Hanno due settimane di tempo per correggere l’infrazione“, dice l’agente Cameron Donnarumma. Ma, spiega, “la maggior parte corregge il problema prima che venga emessa una multa“. Ma non c’è clemenza per i recidivi, che ricevono una sanzione.

Alcuni proprietari di case sono “un po’ frustrati” nel trovare “poliziotti dell’acqua” sui loro prati prima dell’alba, dice Donnarumma. Ma la maggior parte di loro è collaborativa. L’agente lavora sulla base delle segnalazioni dei residenti, che sono invitati a denunciare gli sprechi su un’app. Ogni giorno, questo si traduce in 20-50 interventi. Nel 2027, a Las Vegas sarà vietato innaffiare i prati delle grandi residenze private. Tuttavia, le case monofamiliari potranno ancora innaffiare i loro, con alcuni limiti. La città offre anche tre dollari per ogni metro quadrato di erba rimossa e sostituita con alternative efficienti dal punto di vista idrico, come le piante irrigate a goccia. Questo programma di incentivi è stato copiato da altre città come Los Angeles e Phoenix, ma è difficile da attuare per le città più piccole con budget ridotti.

Le restrizioni sono tutt’altro che popolari. Tedi Vilardo ha intenzione di “infrangere le regole” che limitano l’irrigazione del suo prato a 12 minuti, dopo l’inverno insolitamente umido che ha colpito la regione. La mamma casalinga si rifiuta di installare l’erba artificiale, che “brucia i piedi” dei suoi due figli. Dal canto suo, Kevin Kraft è infastidito da una nuova normativa che limita la superficie delle piscine individuali a 56 m2. Il costruttore di piscine denuncia una decisione “politica“, presa “su pressione” del governo federale. Nonostante la sua frustrazione, elogia gli sforzi di Las Vegas per risparmiare acqua. “Altri Stati, come la California, sono molto indietro. Non c’è gara“, dice.

Le autorità locali sperano che questi sforzi siano ripagati. Dopo due decenni di siccità aggravata dal riscaldamento globale, il fiume Colorado, che alimenta 40 milioni di persone nell’ovest americano, è gravemente secco. I sette Stati che dipendono da esso stanno attualmente discutendo su come tagliare fino a un quarto del loro consumo, e Washington è costretta a fare da arbitro. In questo contesto di tensione, Las Vegas “dovrebbe congratularsi per la quantità di acqua (…) già risparmiata negli ultimi 20 anni“, afferma Mack dell’agenzia di gestione. Altri, ha detto, “stanno appena iniziando a fare uno sforzo“.

Impronta idrica tra le più alte in Ue. Legambiente: Insostenibile

La siccità era un problema che prima sperimentavamo solo in alcuni mesi dell’anno, oggi la carenza idrica va avanti. L’emergenza è iniziata nell’inverno scorso, di fatto dura da un anno“. La denuncia è di Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente.

Nel corso del Forum Acqua 2022, l’associazione chiede misure strutturali per gestire meglio la risorsa idrica, sempre più preziosa.
L’acqua che preleviamo per agricoltura, industria e uso civile, in Italia, è di 33 miliardi di metri cubi ogni anno. Ma l’acqua che effettivamente consumiamo ammonta a 26 miliardi di metri cubi. Abbiamo il 22% di perdite tra quello che preleviamo e quello che consumiamo. Perdite che non sono solo negli acquedotti, ma anche sulle reti di irrigazione“, spiega Zampetti.
Il 55% circa della domanda proviene dal settore agricolo, il 27% da quello industriale e il 18% da quello civile. I consumi rappresentano poco meno del 78% dei prelievi. Quanto alle perdite, il 17% di queste si verificano nel settore agricolo e il 40% in quello civile.

Il dato più eclatante, però, è quello dell‘impronta idrica del nostro Paese: 130 miliardi di metri cubi all’anno, una delle più alte d’Europa. Il 60% è relativo all’acqua utilizzata per prodotti o ingredienti importati dall’estero. “Numeri non più sostenibili su cui bisogna intervenire rapidamente“, commenta l’associazione.

Per far fronte all’eccessivo spreco di acqua in Italia, Legambiente propone di adottare un approccio integrato e multi-sistemico, basato proprio sull’impronta idrica, per assumere, lungo tutto il ciclo dell’acqua, un atteggiamento “più responsabile e sostenibile“.

Si tratta dunque di raccontare al consumatore, tramite un’etichetta sui prodotti, l’impatto che hanno sulle risorse idriche, indirizzandolo verso consumi più consapevoli. Utile per il Cigno verde anche inserire tra le norme richieste dai criteri ambientali minimi la Water Footprint, soprattutto nell’ambito dell’acquisto di prodotti, contribuendo a tenere sotto controllo gli impatti idrici. Necessario poi pianificare gli usi dell’acqua arrivando ad avere una visione d’insieme sull’impatto che, la “somma” delle attività, genera in un territorio.

Per quanto riguarda l’uso potabile, l’associazione propone di agire su prelievi e consumi, riducendo le perdite degli acquedotti e dando priorità alla rete di distribuzione cittadina. A livello urbanistico occorre una riqualificazione idrica degli edifici e degli spazi urbani, promuovendo il recupero e riutilizzo dell’acqua in tutti gli interventi edilizi, diffondendo i principi di efficienza idrica degli edifici, lavorando sull’adeguamento degli impianti esistenti implementando il risparmio idrico. Diffondere il ricorso ai Regolamenti Edilizi comunali che indirizzano verso il risparmio idrico, il recupero delle acque meteoriche e/o di quelle grigie. Completare la rete fognaria e realizzare interventi volti alla separazione delle acque reflue civili da quelle industriali e di prima pioggia. A livello industriale occorre ridurre i consumi di acqua “nuova”, progettare impianti e processi che minimizzino l’utilizzo di acqua, monitorare per individuare perdite e sistemarle, rendere per le fabbriche obbligatorio il calcolo dell’impronta idrica e pubblici i bilanci di massa rispetto all’acqua utilizzata e scaricata, oltre i dati relativi alla sua qualità.

Completare la rete di depurazione, ancora oggi incompleta e riqualificare gli impianti di depurazione esistenti, spesso inefficienti, sottodimensionati e in difficoltà, e costruire gli impianti nuovi. Infine, innovare il sistema agroalimentare italiano con finanziamenti fortemente orientati a favorire il minor consumo di acqua, la diffusione di colture e sistemi produttivi meno “idroesigenti”, misure mirate all’incremento della funzionalità ecologica dei suoli agrari e della loro capacità di trattenere l’acqua e a contenere i consumi irrigui entro la soglia dei 2.500 metri cubi ettaro anno.