Con la minaccia dei dazi Usa, Confindustria abbassa stime Pil 2025 a +0,6%

L’Italia rallenta nel 2025 ma riprende slancio nel 2026 (+1%). A dirlo è il Centro Studi di Confindustria nel suo tradizionale Rapporto di previsione che fornisce una stima dell’impatto che la nuova politica tariffaria potrebbe avere sull’Europa. Nel documento vengono riviste al ribasso le stime della crescita del Pil 2025 a +0,6% da +0,9% previsto a ottobre 2024 a causa della spada di Damocle rappresentata dai dazi minacciati dall’amministrazione Trump.

Non possiamo pensare che non siano un problema per un Paese come il nostro – ha detto il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini – se stasera verranno applicati i dazi all’Europa sarà un ennesimo stop alle nostre imprese e alle nostre industrie“. Per questo, il numero uno di Confindustria invita l’Europa “a cambiare rotta” e ad aprire un tavolo di trattativa: “Serve negoziare tutti insieme, l’Europa deve essere unita per poter costruire un punto di negoziato, credo ci possa essere la possibilità di farlo”.

Perdere il mercato a stelle e strisce sarebbe esiziale, secondo Orsini: “Come Italia spediamo verso gli Stati Uniti 65 miliardi di prodotti italiani, con un saldo positivo di 42 miliardi. Quindi per noi è un grande problema perdere un mercato così importante”. Per questo motivo, Orsini ripete due espressioni “che ho utilizzato spesso negli ultimi mesi: una è ‘sveglia’, l’altra è ‘il tempo è finito’”. Il presidente si rivolge pertanto al governo italiano: “Abbia coraggio, serve fiducia. Abbiamo bisogno che ci siano politiche serie dell’Europa e un piano strutturale per l’Italia e per l’Europa”.

Da qui la proposta di un’apertura verso mercati alternativi, “come Mercosur e India che possono apprezzare i nostri prodotti”. Per l’Italia nel 2024 l’export di beni negli Stati Uniti è stato di 65 miliardi di euro, oltre il 10% del totale. Secondo il Rapporto, i settori più esposti ai dazi sono bevande, farmaceutica, autoveicoli e altri mezzi di trasporto. Le nuove tariffe su acciaio e alluminio al 25%, inoltre, porteranno a un calo medio di circa -5% dell’export di queste materie verso gli Usa, con un impatto macroeconomico minimo (circa -0,02% dell’export italiano di beni). Lo scenario peggiore “di un’eventuale escalation protezionistica, che comporti un persistente, invece che temporaneo, innalzamento dell’incertezza (+80% sul 2024), l’imposizione di dazi del 25% su tutte le importazioni Usa, comprese quelle dall’Europa, e del 60% dalla Cina e l’applicazione di ritorsioni tariffarie sui beni di consumo esportati avrebbe dunque un impatto cumulato negativo sul Pil“.

Ci sono poi alcuni fattori che agiranno in positivo, come il taglio dei tassi, la risalita del reddito disponibile reale totale delle famiglie grazie al progressivo recupero delle retribuzioni pro-capite, il buon contributo dei redditi non da lavoro, l’aumento dell’occupazione totale e il calo dell’inflazione, “sebbene gli ultimi due fenomeni si attenueranno nel 2025 e 2026”. Sul fronte dell’occupazione “nel 2025 e 2026 il ritmo di crescita dell’input di lavoro, misurato in termini di unità equivalenti a tempo pieno, è atteso riallinearsi con quello dell’attività economica (+0,5% e +0,7%, ritmo appena inferiore a quello dell’occupazione in termini di teste), contrariamente a quanto accaduto negli ultimi due anni. Ciò permetterà un miglioramento della produttività del lavoro, dopo i forti cali negli anni precedenti”. Sui conti pubblici, invece, il deficit pubblico “si attesterà al -3,2% del Pil nel 2025 e al -2,8% nel 2026, creando così le condizioni per l’uscita dalla procedura per disavanzo eccessivo nel 2027”. 

Dazi e geopolitica, Ocse vede al ribasso stime Pil globali. Calo anche per Italia

I dazi sono un bel problema per la crescita globale. A certificarlo sono le previsioni dell’Ocse per il 2025 e 2026, che registrano per l’anno in corso una percentuale del 3,1, in calo dello 0,2 rispetto all’outlook dello scorso dicembre. A pesare sono ovviamente le incertezze legate allo sviluppo delle tensioni geopolitiche, ma anche “l’aumento delle barriere tariffarie in diverse economie del G20“. Tant’è vero che il Prodotto interno lordo degli Stati Uniti è stimato in calo al 2,2% per il 2025 e poi in crollo all’1,6% nel 2026. A cascata, la negatività si riverbera su diverse economie mondiali. Ad esempio, l’area euro dovrebbe crescere di un 1 quest’anno e all’1,2 il prossimo. Ma anche la Cina viene data in frenata: 4,8% nel 2025 per poi scendere di 0,4 punti dodici mesi dopo. Restando nel continente europeo, chi dovrebbe vedersela nera è la Germania, che aumenterà solo dello 0,4 e nel 2026 dello 0,7%, mentre la Francia dovrebbe subire un calo molto più contenuto: rispettivamente 0,8% e 0,1 punti rispetto a dicembre. In questo scenario non fa eccezione l’Italia, che nei prossimi due anni dovrebbe crescere dello 0,7% e dello 0,9, ovvero 0,2 punti in meno sul 2025 e 0,3 sul 2026 se confrontato con le tabelle di dicembre. Altro capitolo che l’Ocse prende in considerazione è l’inflazione, che dall’analisi risulta essere più alta di quanto previsto in precedenza, “anche se in fase di rallentamento“, frenata dai prezzi dei servizi.

Nel complesso, nelle economie del G20 la previsione è del 3,8% nel 2025 e 3,2% nel 2026. Per il segretario generale dell’Ocse, Mathias Cormann, “le crescenti restrizioni commerciali contribuiranno ad aumentare i costi sia per la produzione che per i consumi”, dunque resta “essenziale garantire un sistema commerciale internazionale ben funzionante e basato su regole e mantenere i mercati aperti”. Così come un ruolo importante lo dovranno giocare le banche centrali, che l’Interim Economic Outlook invita a “rimanere vigili di fronte all’aumento dell’incertezza e al potenziale aumento dei costi commerciali che potrebbe far salire le pressioni sui prezzi”.

Per i governi, invece, la raccomandazione è quella di “attuare riforme per migliorare la produttività e favorire l’adozione di nuove tecnologie, stimolando la concorrenza sul mercato ed eliminando gli oneri normativi eccessivi per le imprese”. In questo senso “sarà fondamentale migliorare l’istruzione e lo sviluppo delle competenze e ridurre i vincoli nei mercati del lavoro e dei prodotti che ostacolano gli investimenti e la mobilità della manodopera”. L’intelligenza artificiale, dunque, “rappresenta un’opportunità unica per rilanciare la produttività” per l’Ocse. Che prevede un aumento significativo della crescita di produttività del lavoro nel prossimo decennio, “con un potenziale ancora maggiore se si considerano le sinergie con la robotica”, spiega il capo economista dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, Alvaro Santos Pereira. Con un avviso: “I guadagni dell’Ia potrebbero diminuire se le politiche non faciliteranno tassi di adozione più elevati e non agevoleranno la riallocazione del lavoro“.

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