Rifiuti, la Tari è salita del 10% in soli 5 anni

Tra il 2018 ed il 2023, l’incremento medio della Tari è stato del 9,69%. Un aumento che ha avuto un impatto maggiore sulle famiglie meno abbienti, accentuando così le disuguaglianze socio-economiche e geografiche. E’ quanto emerge da un nuovo studio dall’Unione Italiana del Lavoro.

“Dall’analisi appare evidente come l’aumento della Tari sia stato più marcato nel Mezzogiorno rispetto al Nord Est. Nel 2022 – spiega Gianluca Buselli, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – l’incidenza della Tari sul bilancio familiare era dello 0,64% nelle regioni del Nord Est e dell’1,34% nel Mezzogiorno”. Secondo Eurostat, nel 2022, i rifiuti urbani in Europa sono diminuiti del 4% rispetto al 2021, ma con un aumento pro capite del 10%.

“Lo studio UIL – conclude Buselli – evidenzia la necessità di una revisione del sistema Tari per garantire maggiore equità e giustizia sociale, riducendo le diseguaglianze tra le diverse aree geografiche e migliorando l’efficienza dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti”.

Fil.Ros.

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Besseghini: “Fer 2 costerà 8-10 euro/MWH in bolletta. Mercato gas ancora nervoso”

Dagli stoccaggi di gas alle rinnovabili che incideranno nelle bollette per effetto del decreto Fer 2, ai costi della Tari e la nuova Europa. Stefano Besseghini a tutto campo ai microfoni del #GeaTalk. Il presidente dell’Arera fa il punto sui prezzi per gli approvvigionamenti di gas: “Tutto apposto? Magari è un po’ eccessivo, sicuramente non abbiamo più quei livelli di prezzi e questo molto ci tranquillizza. In ogni caso siamo più vicini ai 40 euro al Megawattora che ai 30 euro, il ché è indice di una situazione dei mercati ancora nervosa”, spiega. Chiarendo che “siamo grossomodo al doppio del valore storico di valorizzazione della commodity gas“, ma rispetto al passato “abbiamo alcuni cambi di assetto fondamentali, uno su tutti il ruolo dell’Lng, che non essendo collegato tubi fisici ci espone di fatto al mercato globale“.

Altro tema caldo è il decreto Fer 2, appena approvato dalla Commissione Ue, che consente di realizzare degli impianti per la produzione di energia rinnovabile. L’unica controindicazione è che può costare fino a 35 miliardi in venti anni, da coprire con aumenti in bolletta nella componente Asos, con un onere da calcolare nel delta tra la richiesta dei produttori nelle procedure competitive e i prezzi dell’energia elettrica sui mercati spot. “E’ molto difficile fare una stima – dice subito Besseghini -. Diciamo che, probabilmente, parliamo di circa 8-10 euro al MWH per la bolletta del consumatore, ma vedremo il suo dispiegamento nei prossimi vent’anni e a partire da quando questi impianti diventeranno operativi“.

Nel frattempo si andrà avanti con i metodi ‘tradizionali’, perché “il gas lo abbiamo raccontato, in tempi non sospetti, come combustibile di transizione e in fondo questo ruolo non viene meno. Ci accompagnerà, soprattutto nella generazione elettrica, ancora per qualche tempo“. Dunque, meglio capire che cosa aspettarci nel prossimo inverno. “Dal punto di vista delle forniture, che sono un po’ la sonda principale, pur rimanendo sempre cauti sulle previsioni di prospettiva, non si vedono indicatori di criticità particolari“. Ergo “guarderei a questo autunno con ragionevole fiducia, nel convincimento che poi entrando nel 2025/2026 le cose andranno tendenzialmente migliorando“.

Il dibattito politico, e non solo, è acceso anche sulla fine della finestra per il rientro nel mercato tutelato, in scadenza il prossimo 1 luglio. La Lega vorrebbe allargare le maglie almeno fino alla fine del 2024. “Questa è una valutazione che deve fare il governo“, mette il primo paletto Besseghini. Che vede anche delle potenziali criticità: “Questi termini hanno anche vincoli rispetto agli impegni presi e i processi già definiti, visto che l’assegnazione delle gare è avvenuta a inizio anno e rinviare alla fine di dicembre vorrebbe dire assegnare il consumatore, a distanza di un anno“. Poi, però, tutto va valutato nel contesto delle dinamiche” ma “una dilatazione di tempi porta anche a disperdere questo tipo di convenienza” dovuta alle gare ben costruite, avvisa.

Passando da un argomento all’altro, il presidente dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente ritiene “estremamente virtuoso” che l’Antitrusteserciti una moral suasion sul suo approccio, cioè la visione ex post delle dinamiche di mercato che si instaurano, soprattutto in un momento di transizione in cui la chiarezza e la precisione delle informazioni aiuta a orientarsi“, commenta l’uscita dell’Agcm verso le aziende del settore energivoro. “E’ una ‘never ending story’ quella del miglioramento della chiarezza delle bollette, tant’è vero che abbiamo in corso uno specifico procedimento, che non voglio chiamare ‘bolletta 3.0’ ma è esattamente finalizzata, con un ascolto attento delle associazioni dei consumatori, a trovare un meccanismo omogeneo delle informazioni che i clienti trovano nella bolletta – prosegue -. Perché molto spesso il problema è non trovarla sempre nello stesso posto e questo è molto disorientante. Per parte nostra cerchiamo di costruire strutture di regolazione che portino a elementi formativi chiari“.

Infine, i rifiuti. “E’ abbastanza difficile dire, genericamente, che si spende troppo per la Tari – sottolinea Besseghini -. Ciò che conta è che si spenda coerentemente con i servizi che si ottengono“. Allo stesso tempo “è drammaticamente vero che abbiamo ancora zone del Paese, lo abbiamo letto in tutte le relazioni annuali, in cui il rapporto tra il costo che si sostiene e il servizio che si ottiene, o il servizio ambientale, quindi la capacità di aderire alle indicazioni su smaltimento rifiuti e riciclo, sono molto sbilanciato. Questo, però, tipicamente dipende da assetti industriali un po’ deboli, da gestioni in economia o, appunto, dalla mancanza di impianti“. Situazione che si verifica più al Sud che al Nord, ma anche sulla separazione territoriale, il presidente di Arera invita a non essere “così netto nel tracciare la divisione“.

Rifiuti, Rosignoli (Cnpr): Tari ridotta sei il cassonetto è lontano

Per le zone non servite dalla raccolta dei rifiuti, la Tari non può superare il 40% dalla tariffa standard, determinata in base alla distanza dal punto di raccolta più vicino. Lo prevede la Legge di Stabilità, la quale stabilisce che per coloro che risiedono in zone non servite dalla raccolta dei rifiuti o distanti dai punti di raccolta, la Tari è dovuta in misura non superiore al 40% della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita. “Non si tratta però di una misura automatica. Per ottenere la riduzione – evidenzia Guido Rosignoli, vicepresidente della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – è necessario presentare un’apposita richiesta al proprio Comune che può calibrare la riduzione in funzione della distanza fra l’abitazione, l’ufficio o il negozio dal punto di raccolta, anche se l’importo non può superare il 40% dell’importo totale, ovvero una riduzione di almeno il 60%”.
In caso di strade private o aree non aperte al pubblico transito, anche temporaneamente, la distanza viene calcolata con riferimento all’accesso più vicino al punto di raccolta.
“Il Comune di Roma, ad esempio, prevede una riduzione della quota Tari se il primo ‘cassonetto’ è distante più di 1.000 metri mentre il Comune di Reggio Calabria – conclude Rosignoli – ha scelto di cancellare la disposizione dal regolamento comunale, che quindi non prevede alcun tipo di riduzione per eventuali distanze dai punti di raccolta”.

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