Jakala celebra la Giornata degli alberi e pianta 3500 mangrovie in Kenya

Piantumazione di 3500 mangrovie in Kenya, driver experience elettrica, solar farm in India, praterie di Posidonia e una spinta ulteriore verso la decarbonizzazione. In occasione della Giornata degli Alberi, che si svolge il 21 novembre, Jakala presenta una serie di iniziative che riflettono la volontà di un impegno a 360° nell’integrare principi e azioni di sostenibilità. Una giornata che diventa opportunità per riflettere sull’importanza di agire per il clima e sull’importanza di preservare l’ecosistema.

L’azienda, leader europeo in ambito data-driven transformation, ha scelto di supportare i progetti di di Green Future Project (GFP), una B-Corp italiana che sostiene le aziende nel raggiungimento dei loro obiettivi di sostenibilità. Questa collaborazione è parte della strategia di decarbonizzazione di Jakala, avviata nel 2021, con l’obiettivo di ridurre del 44% l’intensità delle emissioni entro il 2028. Un’ambizione che, come spiega Christian Guerrini, Hr, It&Operation transformation director, ha già portato nel 2023 a una riduzione dei consumi di energia del 10% rispetto all’anno precedente e al raggiungimento della neutralità carbonica per le emissioni dirette (Scope 1 e Scope 2) tramite progetti di compensazione. “La collaborazione – dice – ci aiuta a capire, da un lato, come compensare le nostre emissioni e, dall’altro, come mettere in pratica azioni concrete di sostenibilità”.

Ecco allora che per celebrare gli alberi è stato scelto il Kenya come partner. Jakala pianterà 3.550 nuove mangrovie nel delta del fiume Tana, un’area riconosciuta a livello mondiale per la sua ricca biodiversità. Le mangrovie sono essenziali per l’ecosistema perché sono in grado di assorbire grandi quantità di CO2. Queste piante compenseranno 3500 pieni virtuosi della new driver experience: si tratta di un progetto – lanciato un anno fa – che anticipa di ben sette anni i target europei in materia di mobilità sostenibile. “Per tutti i nuovi assunti e i dipendenti che hanno diritto all’auto aziendale – spiega Guerrini – la car list è composta esclusivamente da veicoli full electric. Inoltre, il passaggio ai mezzi elettrici è previsto per tutti gli altri dipendenti alla scadenza dei contratti di leasing”. Entro il 2028 l’intero parco auto sarà full electric. A sostegno di questa transizione, Jakala non solo ha installato colonnine di ricarica in alcune delle sue sedi, ma “all’interno di ogni auto si trova un arbre magique – dice ancora l’Hr, It&Operation transformation director – con un QR code che permette di accedere alla lista delle stazioni di servizio – sia per il carburante sia per la ricarica elettrica – con il prezzo più basso”. Ecco allora che “se i dipendenti effettuano il rifornimento alla loro auto a un prezzo inferiore a quello nazionale, Jakala pianterà un certo numero di alberi. Un modo per far sentire i ‘jakalers’ parte di un obiettivo comune”.

Obiettivo che passa anche dall’India. L’azienda contribuirà alla costruzione della solar farm nel Madhya Pradesh, attraverso l’installazione di pannelli solari che produrranno energia rinnovabile da distribuire alla rete locale. Attraverso l’investimento nel progetto, Jakala compenserà 1.100 tonnellate di CO2e, coprendo le emissioni dirette e parte delle emissioni indirette di tutto il gruppo, in particolare quelle legate agli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti. Questo impegno renderà carbon neutral il commuting aziendale. Infine, proseguendo il suo impegno per la tutela degli ecosistemi, Jakala investirà nel progetto di rigenerazione marina ‘Portofino’. L’iniziativa prevede la piantumazione di 50 talee di Posidonia oceanica nel Mar Ligure. Questa pianta marina, fondamentale per l’ecosistema marino, produce 20 litri di ossigeno per metro quadro al giorno e assorbe anidride carbonica, contribuendo alla salute del mare e dell’atmosfera.

“I dipendenti – conclude Guerrini – hanno un’età media di 34 anni e il tema della sostenibilità viene preso in grande considerazione, che funge anche da attraction quando cerchiamo nuovi talenti e li rendono più ‘fidelizzati’ una volta che sono parte della squadra”.

 

 

 

 

 

 

 

Ponte Stretto, ok commissione Via-Vas. Emendamento Lega: 1,2 miliardi in più al progetto

Una buona notizia già acquisita per chi vuole il Ponte sullo Stretto di Messina e un’altra che potrebbe arrivare dalla Manovra. Mercoledì sera, infatti, è arrivato il via libera della commissione Via-Vas al progetto, mentre tra gli emendamenti alla legge di Bilancio 2025 ce n’è uno, della Lega, che aumenta i fondi di quasi 1,2 miliardi. Ma è meglio procedere con ordine.

Il sì della Commissione tecnica di valutazione sulla compatibilità ambientale del progetto arriva in virtù delle condizioni ambientali prescritte “che dovranno essere ottemperate perlopiù nella fase della presentazione del progetto esecutivo” e riguardano “non solo l’ambiente naturale, terrestre, marino ed agricolo, ma anche aspetti relativi a progettazione di dettaglio per le opere a terra, relativi a cantierizzazione, gestione delle materie, approvvigionamenti, rumore e vibrazioni”, fa sapere il Mase. La decisione, ovviamente, fa esultare Matteo Salvini: “L’Italia può guardare al futuro”, dice il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti. Che ritiene “infondato” anche l’allarme sismico: “Qualora si ripetesse a Messina un terremoto disastroso, i tecnici spiegano che l’unica cosa che rimane in piedi è il Ponte”.

Il disco verde della commissione attiva anche il Cipess: “Stiamo già lavorando sul dossier per rispettare i tempi del cronoprogramma e dare al Paese l’opera più straordinaria del secolo”, fa sapere infatti il sottosegretario, Alessandro Morelli, ricordando che “si stanno già fissando i primi incontri tra il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica e i tecnici della Società Stretto di Messina per accelerare i tempi e contestualmente avviare una approfondita valutazione delle proposte progettuali e finanziarie”. Perché “l’obiettivo – sottolinea sempre Morelli – è approvare il progetto definitivo prima possibile, permettendo così l’avvio dei lavori nel 2025”.

Per il viceministro al Mit, Edoardo Rixi, l’opera è “fondamentale per riprendere credibilità a livello internazionale”. Mentre il sottosegretario al ministero delle Infrastrutture, Tullio Ferrante, la definisce “un’infrastruttura prioritaria per lo sviluppo economico e sociale” oltre che “simbolo di una nuova fase per il Sud e per tutto il Paese”. Opinioni diametralmente opposte a quelle di Verdi e Cinquestelle: “Il parere espresso dalla Commissione Via, che è stata modificata pochi giorni prima dell’emanazione del parere con la nomina di esponenti muniti di tessere di partito, alcuni dei quali esperti in installazione di ascensori e ristrutturazioni di appartamenti, avrebbe previsto 60 nuove prescrizioni che modificano sostanzialmente il progetto presentato. Un parere favorevole che sembrerebbe una bocciatura”, interviene Angelo Bonelli (Avs). Sulla stessa linea il M5S: “Un via libera della commissione Via-Vas scontato ma che odora di buffonata, visto che la commissione stessa è stata ridotta a caminetto per consiglieri comunali vecchi e nuovi di area centrodestra”.

Attacchi che non scalfiscono la Lega. “Il progetto del Ponte va avanti e, smontando man mano tutte le fake news di certa sinistra, compie passi fondamentali”, commenta il senatore siciliano e commissario regionale del Carroccio, Nino Germanà. Dal suo partito Salvini riceve anche altro supporto, visto che il capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, verga un emendamento alla legge di Bilancio che, di fatto, ridurrebbe il contributo delle casse dello Stato (dai 9,3 miliardi del 2023 a 6,9), aumentando quello dei fondi europei di Coesione del programma 2021-2027 (che leviterebbero da 718 milioni a 6,1 miliardi), ai quali vanno aggiunti altri 1,6 miliardi (cifra invariata). Il totale, però, arriva a quasi 14,7 miliardi di euro, dunque circa 1,2 in più rispetto a quelli stanziati al momento della riattivazione del progetto. Una decisa ‘boccata d’ossigeno‘ per il Ponte, sempreché la proposta passi il vaglio del Parlamento.

A Baku si apre la Cop29: finanza climatica focus della Conferenza. Assenti von der Leyen e Macron

Defezioni, ong sul piede di guerra, accuse di corruzione e, nemmeno troppo sullo sfondo, due conflitti, quello in Ucraina e quello in Medioriente. Senza dimenticare che il 2024 è già l’anno più caldo della storia e che con l’elezione di Donald Trump gli Stati Uniti potrebbero nuovamente abbandonare gli accordi internazionali sul clima. Parte sottotono, ma con un’agenda fitta, la Cop29, che si apre lunedì 11 novembre a Baku (Azerbaigian) e si chiuderà il 22.

La Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici chiama a raccolta 197 Paesi più l’Unione europea e punta su due pilastri paralleli, cioè l’ambizione e l’azione, con l’obiettivo di ottenere riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni per mantenere le temperature sotto controllo e rimanere al di sotto della soglia di 1,5°C, così come previsto dall’Accordo di Parigi. In mezzo ci sono le politiche climatiche nazionali, il tema energetico – in particolare legato ai combustibili fossili e al ‘phasing out’- e quello della finanza, che con molta probabilità sarà il nodo cruciale del vertice. E, ancora, agricoltura, salute, industria, biodiversità, oceani.

IL PROGRAMMA DELLA CONFERENZA. La cerimonia ufficiale di apertura della Cop29 si terrà l’11 novembre, mentre martedì 12 si svolgerà il Vertice dei leader mondiali sull’azione per il clima. Il giorno successivo, il 13, sarà dedicato al tema della finanza, degli investimenti e del commercio e venerdì 14 a quello dell’energia, della pace, della ripresa e della resilienza. Sabato 16, invece, saranno la scienza, la tecnologia, l’innovazione e la digitalizzazione il focus dei colloqui, a cui seguiranno, lunedì 17, i temi del capitale umano, dei bambini e giovani, della salute e dell’istruzione. Cibo, agricoltura e acqua domineranno i dialoghi di martedì 19 e, il giorno successivo, cioè mercoledì 20, il tema sarà quello dell’urbanizzazione, del turismo e dei trasporti. Infine, giovedì 21 il tema principale sarà quello della biodiversità, delle popolazioni indigene, degli oceani e zone costiere. La Conferenza si chiuderà il 22 e, almeno sulla carta, dovrà portare alla conferma degli obiettivi energetici globali concordati lo scorso anno a Dubai per abbandonare i combustibili fossili, triplicare gli investimenti nelle rinnovabili e raddoppiare le misure di efficienza energetica entro il 2030.

FINANZA CLIMATICA AL CENTRO. Ma non solo. La parola chiave sarà NCQG, cioè ‘Nuovo Obiettivo Quantificato Collettivo’ che sostituirà quello adottato nel 2009 e raggiunto nel 2022, che chiedeva ai Paesi ricchi di fornire 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo a limitare le emissioni di gas serra e ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Questa cifra comprende finanziamenti pubblici bilaterali e multilaterali, crediti all’esportazione e finanziamenti privati. In sostanza, quindi, si tratterà di mettere sul piatto più risorse, molte più risorse e i negoziati si concentreranno sullo sblocco dei trilioni di dollari necessari ai Paesi in via di sviluppo per affrontare la crisi climatica. Quanto uscirà dalle tasche dei Paesi più ricchi sarà il vero banco di prova della Cop.

I GRANDI ASSENTI. Nonostante la posta in gioco sia altissima, a pochi giorni dall’apertura le annunciate defezioni stanno già facendo sentire il loro peso. Non saranno a Baku il presidente francese, Emmanuel Macron, e quello brasiliano Lula, così come il cancelliere tedesco Olaf Scholz, impegnato a gestire la crisi di governo e, ovviamente, il presidente russo Vladimir Putin. Ma, soprattutto, non parteciperà la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, “impegnata – fanno sapere da Bruxelles – nella fase di transizione tra l’uscente e l’entrante esecutivo Ue”. Un’assenza, la sua, che da più parti viene vista come il tentativo di tirare il freno a mano sulle politiche climatiche e ambientali del Vecchio continente e, più in generale, sulle ambizioni del Green Deal.

LA DELEGAZIONE EUROPEA. Della delegazione Ue, invece, faranno parte il commissario per l’azione per il clima Wopke Hoekstra, la commissaria per l’Energia, Kadri Simson, (14 e 15 novembre) e quella per per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Iliana Ivanova (12 novembre). Il primo ministro britannico Keir Starmer e lo spagnolo Pedro Sánchez, invece, dovrebbero partecipare al vertice dei leader del 12-13 novembre, così come la premier Giorgia Meloni, il cui intervento dovrebbe svolgersi mercoledì 13.

LA DELEGAZIONE ITALIANA. La delegazione italiana sarà guidata dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin e il padiglione del nostro Paese ospiterà decine di eventi organizzati dai ministeri (oltre al Mase ci sarà anche quello degli Esteri), da Ice, enti e istituzioni di ricerca, associazioni di categoria, fondazioni, ong e imprese.

Si apre Ecomondo: a Rimini oltre 200 appuntamenti per la transizione green e l’economia circolare

Oltre 200 appuntamenti – di cui 25 internazionali – distribuiti in quattro giornate, una superficie espositiva lorda di 166.000 mq, operatori da oltre 100 Paesi e di 72 organizzazioni, istituzioni e associazioni di settore a livello globale. Ma anche 650 buyer provenienti da 65 Paesi del Nord Africa, Europa, Nord America, America Latina, con un notevole incremento di presenze dall’Asia. L’obiettivo? Una panoramica completa e aggiornata sulle ultime innovazioni, tendenze e sfide nel campo della sostenibilità ambientale. Si apre a Rimini il 5 novembre Ecomondo 2024, l’ormai tradizionale evento di Italian Exhibition Group, che porta sulla Riviera Romagnola una 27esima edizione dal layout rinnovato e ampliato, riflettendo la crescente importanza della transizione ecologica e dell’economia circolare.

Il taglio del nastro avverrà alle 10.30 presso l’Innovation Arena, nell’area sud. Parteciperanno, oltre al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, anche Maurizio Renzo Ermeti, presidente di Italian Exhibition Group, Anna Montini, assessora alla Transizione Ecologica (Ambiente, Sviluppo Sostenibile, Pianificazione e Cura del Verde Pubblico), Blu Economy, Statistica del Comune di Rimini, Irene Priolo, presidente facente funzioni della Regione Emilia-Romagna, Fabio Fava, presidente del comitato tecnico scientifico di Ecomondo, Fabrizio Lobasso, vicedirettore generale per la Promozione del sistema Paese e direttore centrale per l’internazionalizzazione economica del Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale.

Il 5 novembre alle 11.15 il Sala Neri, si aprirà anche la 13esima edizione anche gli Stati generali della Green economy, dedicati a ‘L’economia di domani: il Green Deal all’avvio della nuova legislatura europea’. Sono promossi dal Consiglio Nazionale, composto da 66 organizzazioni di imprese della green economy in Italia, in collaborazione con il Mase, con i patrocini della Commissione europea e del Mimit. Interverranno, tra gli altri, il ministro Pichetto, Irene Priolo, Fabrizia Lapercorella (vice segretaria generale dell’Ocse), Edo Ronchi (presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile) e i deputati Chiara Braga e Mauro Rotelli. Il 6 novembre parteciperanno alla sessione di apertura del mattino (alle 10 in Sala Neri 1), il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso e, in collegamento video, il presidente della Commissione ambiente, sanità e sicurezza alimentare al Parlamento Europeo, Antonio Decaro. Nell’ambito del dialogo sul Grean Deal e sulle opportunità per le imprese europee interverranno Luca Dal Fabbro, presidente del gruppo Iren, Marco Codognola, ad di Itelyum, Nicola Lanzetta, direttore Italia di Enel, Fabrizio Palermo ad di Acea.

Molti i temi al centro della discussione a Ecomondo: si va dal monitoraggio dei cambiamenti climatici alla Blue Economy, dal recupero degli scarti tessili alle strategie per un’industria sostenibile, dalla finanza green alla comunicazione della transizione ecologica. In mezzo si svolgerà la quarta edizione del Forum Africa Green Growth (7 novembre), che si concentra sulle opportunità di sviluppo sostenibile nel continente africano. Con la partecipazione del Ministero degli Affari Esteri e RES4Africa, il Forum esplora le possibilità di cooperazione nei settori dell’acqua, dell’energia, dell’agroalimentare e della bioeconomia circolare. Spazio anche al Premio Lorenzo Cagnoni per l’Innovazione Green, assegnato alla tecnologia più all’avanguardia nei diversi settori espositivi​.

Legambiente premia le città più green: al top c’è Reggio Emilia, male il Sud Italia

In Italia le città con le migliori performance ambientali si concentrano al nord, mentre sud e centro della Penisola faticano a tenere il passo. A restituire una fotografia puntuale è la nuova classifica stilata da Ecosistema Urbano 2024, il rapporto di Legambiente realizzato in collaborazione con Ambiente Italia e Il Sole 24 Ore – sui 106 capoluoghi di provincia per performance ambientali. Quest’anno la Regina green della vivibilità ambientale urbana è Reggio Emilia, che risale la classifica passando dal quinto posto dello scorso anno al primo posto, superando così Trento, che scende in seconda posizione, e Parma, al terzo posto. Una crescita importante quella di Reggio Emilia che si distingue, in particolare, per il suo impegno nella raccolta differenziata (salita nel 2023 all’83,8%), nella lotta allo smog, ma anche per essere la regina della bici con la più ampia rete ciclabile, 48,14 metri equivalenti di piste ciclabili ogni 100 abitanti. Il capoluogo registra anche un calo dei consumi idrici pro-capite (dai 130 l/ab/giorno ai 127) e l’aumento sia dei passeggeri trasportati dal servizio di tpl (dai 91 viaggi pro-capite annui dello scorso anno ai 102); sia dei metri quadrati di suolo a disposizione dei pedoni (da 52,8 mq/abitante dell’anno passato a 56,4). Bene anche Trento e Parma, quest’ultima compie un’altra bella rimonta, da 18esima nell’edizione 2023 a terza per i miglioramenti registrati soprattutto nella mobilità sostenibile, nel trasporto pubblico, e nella raccolta differenziata. C’è da dire che quest’anno il rapporto Ecosistema Urbano 2024, per l’analisi dei 106 capoluoghi che hanno risposto all’indagine, ha rivisto e aggiornato il peso di alcuni indicatori, aggiungendone anche uno nuovo (variazione nell’uso efficiente del suolo), sempre distribuiti in 6 aree tematiche: aria, acque, rifiuti, mobilità, ambiente urbano, energia. Ciò ha comportato più variazioni, a volte importanti, in classifica.

Allargando lo sguardo sulla classifica, nelle prime dieci posizioni dominano le città del nord Italia: dopo Reggio Emilia, Trento e Parma, seguono Pordenone (posizione n. 4 in classifica), Forlì (5), Treviso (6), Mantova (7), Bologna (8), Bolzano (9), Cremona (10). L’Emilia Romagna è la regione con più capoluoghi green nella top ten, tra questi c’è anche Bologna, new entry e unica grande città nella prime dieci posizioni (lo scorso anno era 24esima) con un salto di qualità dovuto, soprattutto, alla raccolta differenziata (passata dal 62,6% al 72,9%). Le altre metropoli arrancano: Milano si piazza al 56esimo posto in classifica, ma eccelle nel trasporto pubblico, mentre Napoli arriva quasi in fondo alla graduatoria, è 103 esima, lo scorso anno era 98esima. Roma, rispondendo in modo esauriente all’indagine, sale in graduatoria al 65esimo posto (nel 2023 era 89esima). Il centro Italia se la cava, con Macerata (23esima), Siena (26) e Livorno (29) tra i capoluoghi che si piazzano meglio in classifica. Male, invece, il Meridione con otto capoluoghi tra le ultime 10 della graduatoria: Caserta (98esima), Catanzaro (99), Vibo Valentia (101), Palermo (102), Napoli (103), Crotone (104), Reggio Calabria (105), Catania (106) che lo scorso anno era penultima. Da segnalare, invece, Cosenza (13esima) che pur peggiorando leggermente, è l’unica città del Sud nelle prime 15 posizioni, seguita al 24esimo posto da Cagliari. Tra le poche note positive per il Mezzogiorno, il primato della qualità dell’aria va a L’Aquila (prima per minore incidenza di PM10) che vanta in materia una situazione ‘ottima’. Giudicata ‘buona’ anche l’aria di Ragusa.

La fotografia scattata da Ecosistema Urbano 2024 di Legambiente mette in evidenza come in Italia le performance ambientali delle città viaggino a velocità e con tempi di applicazione troppo diversi e su cui occorre accelerare il passo. A pesare sulle performance ambientali i ritardi nel contrasto alla crisi climatica, i problemi cronici irrisolti – come smog, inquinamento, consumo di suolo – i ritardi su rigenerazione urbana, efficienza energetica, mobilità sostenibile, e poi gli impatti dell’overtourism. Temi sui cui servono interventi più incisivi.

A tal riguardo Legambiente lancia oggi le sue proposte: per accelerare il passo e per città più vivibili, sostenibili e attente alla qualità della vita, inclusa la sfera sociale, serve un green deal made in Italy per le città che abbia al centro una strategia nazionale urbana che non lasci soli i comuni nell’affrontare i problemi cronici ambientali, la crisi climatica, ma anche il fenomeno dell’overtourism. Su quest’ultimo tema, l’associazione ambientalista lancia un monito: l’overtourism va governato con misure efficaci, come stanno facendo già diverse città europee e nel resto del mondo, e va affrontato con lungimiranza e responsabilità dalle grandi alle medie aree urbane ai piccoli borghi, fino all’alta quota, per un turismo più sostenibile, di qualità, attento e rispettoso anche dei territori e delle comunità locali. All’estero già si sta facendo molto con misure significative, in Italia quei pochi interventi messi in campo sono troppo timidi e inefficaci.

Per città più sostenibili, resilienti e sicure – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambienteserve un’azione congiunta a livello nazionale e territoriale da parte del Governo, delle Regioni e dei capoluoghi di provincia. Oggi, purtroppo, i temi ambientali sono i grandi dimenticati dall’agenda politica, che affronta i temi legati alla sicurezza dei cittadinI, solo in riferimento ai fenomeni migratori, ma serve affrontare questo problema sotto tutti i punti di vista, senza lasciare da soli gli amministratori locali nella sua risoluzione. Da parte del governo nazionale servono politiche coraggiose, a 360 gradi, e risorse economiche all’altezza della sfida per rendere davvero sicuro il nostro Paese. Si pensi ad esempio all’adattamento alla crisi climatica, che causa sempre più danni e perdite di vite umane; alla rigenerazione urbana e alla messa in sicurezza degli edifici, dalla presenza di amianto e dal rischio terremoti; alla lotta allo smog, che causa quasi 50mila morti premature solo per il PM2,5, o al processo di miglioramento del livello qualitativo dei controlli ambientali in capo alle Agenzie regionali protezione ambientale, oggi disomogenei sul territorio nazionale”.

Quest’anno – commenta Mirko Laurenti, dell’ufficio scientifico di Legambiente e curatore del report Ecosistema Urbanosono stati introdotti alcuni cambiamenti ormai necessari per mantenere sempre aggiornato il nostro studio che è in continua evoluzione con l’obbiettivo di far sì che la classifica rispecchi sempre più la realtà urbana. Dai dati di questa edizione 2024 emerge, con ancora più evidenza, come l’unica via sostenibile per rilanciare davvero il Paese, cominciando dalle città, sia ripensare le realtà urbane del futuro con meno auto e più mezzi meno inquinanti, su ferro ed elettrici, più mobilità sostenibile ed economia circolare, più infrastrutture intelligenti”.

In Italia – dove si registra un indice complessivo di sovraffollamento turistico (ICST) che oscilla tra il molto alto e l’alto – l’overtourism sta avendo impatti sulla vivibilità delle città. Secondo il monitoraggio Ipsos Future4Tourism, lanciato in occasione di Ecosistema Urbano 2024, oggi circa 6 italiani su 10 sono concordi nel trovare strategie per limitare il fenomeno dell’overtourism, mostrando un trend in lieve crescita; di contro 4 su 10 sono contrari. I più favorevoli alle limitazioni sono i cittadini che dichiarano di vivere in località altamente turistiche (il 65% si dichiara favorevole), mentre coloro che abitano in centri mediamente turistici sono più dubbiosi (53% di favorevoli). Alla domanda quali sono i peggiori effetti dell’overtourism i cittadini citano al primo posto il peggioramento della vivibilità del luogo per i residenti (51%), pessima esperienza di visita per i turisti (39%), impatto su ambiente e ecosistemi (38%). Rispetto agli interventi da adottare, in particolare per il 31% del campione occorre consentire l’ingresso solo su prenotazione, per il 26% adottare politiche che dirottino i flussi turistici su territori/aree circostanti ma meno frequentati; per 24% servono limitazioni/maggior controllo del numero di alloggi privati/camere in affitto; per il 24% far pagare un ticket/biglietto di ingresso.
Il report Ecosistema Urbano 2024 porta in primo piano anche due esempi di rigenerazione urbana. Il caso di Latina, a sud di Roma, che ha dato avvio al progetto ‘A gonfie vele, in direzione ostinata e contraria’ per realizzare nuove strutture di edilizia residenziale pubblica e riqualificare aree degradate, puntando su innovazione e sostenibilità. Il cantiere è appena partito. Altro esempio, l’ACER di Ferrara che ha realizzato negli ultimi vent’anni alcuni interventi di edilizia residenziale sociale e pubblica ampliando l’offerta di abitazioni in locazione a canone sociale o convenzionato, riqualificando aree urbane degradate o marginalizzate sulla base dei principi di sostenibilità.

Ue, Tatò (Mimit): “Rivedere norme ambientali ed Ets per tutelare imprese italiane”

“In Europa sono in vigore normative molto stringenti in materia ambientale ed Ets e probabilmente c’è la necessità di rivedere queste normative per evitare che le imprese italiane ed europee in generale siano penalizzate sul piano del confronto con la concorrenza internazionale”. Lo ha detto a GEA Roberto Tatò, dirigente della Divisione Energia e Imprese del Mimit, a margine del convegno organizzato da Assovetro su ‘La transizione ecologica del vetro. Innovazioni e tecnologie per decarbonizzare l’intera filiera produttiva’ che si è svolto a Roma. “L’Ets 2 – ha aggiunto – estenderà il sistema a settori fino ad oggi esclusi, come il trasporto aereo e il trasporto marittimo. Però questo sistema che entrerà in vigore dal 2026 prevede un apparato burocratico e di rendicontazione piuttosto complesso e sicuramente da questo punto di vista c’è bisogno di una semplificazione e il ministero si sta adoperando per far sì che la prevista revisione del meccanismo posso andare in questa direzione”.

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Allarme Wwf: “In 50 anni vertebrati selvatici calati del 73%, soprattutto in acqua dolce”

(Photo credit: © naturepl.com – Eric Baccega – WWF)

In 50 anni, dal 1970 al 2020, le diverse popolazioni di animali selvatici hanno perso in media il 73% dei loro individui, soprattutto a causa delle azioni umane. Lo rivela il ‘Living Planet Report (Lpr) 2024’ del Wwf, pubblicato pochi giorni prima dell’avvio della COP16 sulla Biodiversità in Colombia. Le conclusioni del rapporto, tuttavia, non significano che più di due terzi del numero di animali selvatici del pianeta siano scomparsi, ma che la dimensione delle diverse popolazioni (gruppi di animali della stessa specie che condividono un abitante comune) è diminuito in media del 73% negli ultimi cinquant’anni. Nella precedente edizione del report, nel 2022, il trend era del 68%.

Il Living Planet Index (LPI), fornito dalla ZSL (Zoological Society of London), si basa sui trend di quasi 35.000 popolazioni di 5.495 specie (mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi) in tutto il mondo, in un indice stabilito e aggiornato ogni due anni dalla Zoological Society di Londra (ZSL) a partire dal 1998.

L’indice è diventato un riferimento internazionale per tastare il polso degli ecosistemi naturali e analizzarne le conseguenze sulla salute umana, sull’alimentazione o sui cambiamenti climatici, nonostante le ripetute critiche degli scienziati contro il metodo di calcolo, accusato di esagerare notevolmente l’entità del declino. “Restiamo fiduciosi nella solidità” dell’indice, ha risposto Andrew Terry della ZSL, sottolineando l’uso complementare di una “serie di indicatori sui rischi di estinzione, sulla biodiversità e sulla salute degli ecosistemi per ampliare il quadro più ampio”. Ma “non si tratta solo di fauna selvatica, ma anche di ecosistemi essenziali che sostengono la vita umana”, ha avvertito Daudi Sumba, curatore capo del Wwf, durante una presentazione online.

La nuova edizione del rapporto ribadisce la necessità di affrontare congiuntamente le crisi “interconnesse” del clima e della distruzione della natura. E sottolinea la crescente minaccia di “punti critici” in alcuni ecosistemi. “I cambiamenti potrebbero essere irreversibili, con conseguenze devastanti per l’umanità”, ha avvertito Sumba, citando l’esempio dell’Amazzonia, che rischia di passare dal ruolo di “serbatoio di carbonio a emettitore di carbonio, accelerando così il riscaldamento globale. Altro esempio: la perdita dei coralli altererebbe la rigenerazione delle specie ittiche vittime della pesca eccessiva e, a sua volta, priverebbe l’umanità di preziose risorse alimentari”.

Nel dettaglio, il calo più forte si osserva nelle popolazioni delle specie di acqua dolce (-85%), seguite da quelle terrestri (-69%) e marine (-56%). “Abbiamo svuotato gli oceani del 40% della loro biomassa”, ricorda Yann Laurans del WWF Francia. Continente per continente, il calo ha raggiunto il 95% in America Latina e Caraibi, seguiti da Africa (-76%), Asia e Pacifico (-60%). La riduzione è “meno spettacolare in Europa e Asia centrale (-35%) e Nord America (-39%), ma solo perché in queste regioni gli impatti su larga scala sulla natura erano già visibili prima del 1970: alcune popolazioni si sono stabilizzate o addirittura si sono espanse grazie agli sforzi di conservazione e alla reintroduzione delle specie”, spiega il rapporto.

Il bisonte europeo, scomparso allo stato selvatico nel 1927, contava 6.800 individui nel 2020 grazie alla “riproduzione su larga scala” e alla reintroduzione riuscita, principalmente in aree protette. “Il quadro delineato è incredibilmente preoccupante”, ha affermato Kirsten Schuijt, direttore esecutivo del Wwf. “Ma la buona notizia è che non siamo ancora al punto di non ritorno”, ha aggiunto, citando gli sforzi in corso sulla scia dell’accordo sul clima di Parigi o dell’accordo di Kunming-Montreal. Quest’ultimo fissa una ventina di obiettivi di conservazione della natura che gli stati di tutto il mondo dovranno raggiungere entro il 2030.

Tre Cop e un trattato sulla plastica: fine d’anno intensa per l’ambiente

Tre conferenze internazionali sul clima, la biodiversità e la desertificazione, oltre a una sessione finale di negoziati per un nuovo trattato sulla plastica: l’autunno sarà un periodo intenso per la diplomazia ambientale. Questi incontri, che si svolgono sotto l’egida delle Nazioni Unite, mirano a raggiungere un difficile consenso di fronte a una crisi globale con molti aspetti strettamente interconnessi (riscaldamento globale, inquinamento, scomparsa di specie, avanzata dei deserti, ecc.)

COP16 SULLA BIODIVERSITA’ IN COLOBIA. La COP16 sulla biodiversità – ufficialmente la 16esima riunione della Conferenza delle Parti della Convenzione sulla diversità biologica – si terrà dal 21 ottobre al 1° novembre a Cali, in Colombia. Più che di una svolta, si tratterà di un incontro di follow-up, per verificare l’attuazione degli storici impegni assunti due anni prima alla Cop15 di Montreal (le Cop dedicate alla biodiversità si tengono ogni due anni). Quest’ultima si è conclusa con l’ambizioso accordo di proteggere il 30% della terra e del mare entro il 2030. I Paesi dovranno fare il punto sull’attuazione di questo nuovo quadro e presentare strategie nazionali coerenti con esso. Gli osservatori sperano che il Paese ospitante svolga un ruolo di primo piano. Il Wwf ha salutato la “leadership” nei negoziati internazionali della Colombia, “che ospita quasi il 10% della biodiversità del pianeta”.

CONFERENZA SUL CLIMA COP29 A BAKU. La Cop29 sul clima si svolgerà dall’11 al 22 novembre a Baku, in Azerbaigian, un Paese esportatore di idrocarburi. Mentre l’anno scorso a Dubai, la Cop più grande mai organizzata in termini di numero di partecipanti, si era concentrata sulla transizione dai combustibili fossili, questa volta sarà il denaro a dominare i dibattiti. L’incontro si concluderà con un nuovo obiettivo di finanziamento del clima (noto come ‘Nuovo obiettivo collettivo quantificato’ o NCQG). Questo obiettivo sostituirà quello fissato nel 2009, che chiedeva ai Paesi ricchi di fornire 100 miliardi di dollari di aiuti annuali ai Paesi in via di sviluppo, una cifra che dovrà essere faticosamente raggiunta entro il 2022. Il World Resources Institute (WRI), un think tank americano, ritiene che “la Cop29 rappresenti un’opportunità per sbloccare maggiori investimenti per il clima da una più ampia gamma di fonti pubbliche e private e per migliorare la qualità di tali finanziamenti”. Il problema è che, per il momento, non c’è consenso sull’ammontare, la destinazione o i finanziatori dei fondi. E l’esito delle elezioni americane, proprio alla vigilia della Cop29, influenzerà certamente i dibattiti. Resta inoltre da vedere quanti leader mondiali si recheranno sulle rive del Mar Caspio, poiché alcuni potrebbero preferire guardare alla Cop30 del prossimo anno in Brasile.

TRATTATO SULLA PLASTICA A BUSAN. La quinta e ultima sessione di negoziati internazionali per la definizione del primo trattato globale contro il flagello della plastica (INC-5) è in programma dal 25 novembre al 1° dicembre a Busan, in Corea del Sud. Le delegazioni di 175 Paesi hanno concordato nel 2022 di finalizzare tale trattato entro la fine del 2024. Ma le divisioni persistono, in particolare tra le nazioni che vogliono un limite ambizioso alla produzione di plastica e alcuni Paesi produttori che preferiscono migliorare il riciclaggio. Hellen Kahaso Dena, responsabile del progetto panafricano sulla plastica di Greenpeace, spera che i Paesi “si accordino su un trattato che dia priorità alla riduzione della produzione di plastica”. “Non c’è tempo da perdere con approcci che non risolveranno il problema”, ha dichiarato l’attivista all’AFP.

COP16 SULLA DESERTIFICAZIONE A RIYADH. La 16a sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla desertificazione (Cop16) si terrà a Riyadh, in Arabia Saudita, dal 2 al 13 dicembre. Come le altre due convenzioni sui cambiamenti climatici e sulla biodiversità, la UNCCD è nata dal Summit della Terra di Rio (1992) ed è meno conosciuta. Ma questa Cop dovrebbe segnare “un punto di svolta cruciale” con la speranza di raggiungere “un consenso su come rafforzare la resilienza di fronte alla siccità e su come accelerare il ripristino dei terreni degradati”, osserva Arona Diedhiou, direttore della ricerca presso l’Institut de recherche pour le développement (IRD) con sede all’Università Houphouët Boigny in Costa d’Avorio. “Le discussioni si concentreranno sui modi per ripristinare 1,5 miliardi di ettari di terra entro il 2030, nonché sulla creazione di accordi per gestire la siccità che sta già colpendo molte regioni del mondo”, aggiunge l’esperto, che ha sottolineato all’Afp la preoccupante situazione in Africa.

Ex Ilva, sentenza annullata: processo per disastro ambientale da rifare a Potenza

Tutto da rifare. La sezione distaccata di Taranto della Corte d’assiste d’appello di Lecce annulla la sentenza di primo grado del processo ‘Ambiente svenduto’ per disastro ambientale a carico della gestione dell’ex Ilva da parte dei Riva, giudicando competente il tribunale di Potenza.

Di fatto la corte accoglie il ricorso del pool difensivo, che sin dalle prime battute aveva ritenuto indispensabile cambiare perché da ritenere “parti offese” i giudici togati e popolari che avevano emesso il verdetto di colpevolezza a carico di 37 imputati e tre aziende. Uno degli avvocati dei Riva, Pasquale Annicchiarico, raggiunto al telefono da GEA, spiega che “è stata accolta la tesi che avevo presentato dieci anni fa“, perché “lo avevamo detto subito che quel processo doveva essere celebrato a Potenza: in sei mesi si poteva fare tutto e poi ripartire, invece abbiamo perso dieci anni“. Secondo quanto stabilito oggi in aula, dunque, “adesso ci saranno 15 giorni per il deposito delle motivazioni, che leggeremo con attenzione” e poi si attiverà l’iter per il passaggio di competenze del processo. Ma, stando a quanto sottolinea il legale, rispondendo a una precisa domanda di GEA, il rischio che nel frattempo intervenga la prescrizione non è così immediato. “Per certi reati i tempi sono lunghi...”, dice Annicchiarico. Secondo le recenti modifiche alle normative in materia di reati ambientali, la prescrizione per disastro ambientale adesso va dai 30 ai 37 anni, mentre per il reato di inquinamento ambientale è dai 12 ai 15 anni.

La reazione di politica e associazioni è di rabbia e delusione, se non addirittura rabbia. “Una giornata triste per tutti coloro che ci hanno creduto, ma noi non ci scoraggiano per niente“, è il commento dell’associazione ‘Genitori Tarantini‘, uno dei gruppi più attivi in questi anni. Su Facebook dice la sua anche uno dei legali di Gt, Maurizio Rizzo Striano: “Nel mio piccolo, da sempre sono stato convinto che la strada del penale non era quella giusta per mettere in ginocchio il mostro. Il processo penale serve a condannare i delinquenti non a fare chiudere industrie. Le prove raccolte nel processo resteranno inoppugnabili anche se alla fine non vi sarà nessuna condanna perché tutti i reati saranno prescritti”.

Scoramento viene espresso anche da un’altra associazione, Giustizia per Taranto: “Si dovrà ripartire da zero con grosse possibilità che vada tutto in prescrizione. Ennesimo schiaffo ai danni della città di Taranto. Le parole le abbiamo finite“.

Il Codacons, intanto, annuncia che presenterà un esposto “per incompetenza contro i giudici (Misserini e D’errico) che hanno emesso la sentenza annullata dalla Corte, affinché siano accertate le relative responsabilità nella vicenda giudiziaria“. Intanto, sulla decisione si esprimono in termini netti: “Enorme delusione, la giustizia italiana celebra il suo funerale”.

Anche per Legambiente è “una decisione sconvolgente: ingiustizia è fatta“. Il presidente nazionale, Stefano Ciafani, assieme ai presidenti delle sezioni regionale e tarantina, Daniela Salzedo e Lunetta Franco, attenderanno di leggere le motivazioni, ma assicurano che l’associazione “si costituirà come parte civile anche nel nuovo processo a Potenza“.

Dura anche la presa di posizione del portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli: “Sono esterrefatto! L’inquinamento è stata un’invenzione? Morti e malattie non hanno responsabilità? Questa non è giustizia. Con questa decisione su Taranto si infligge l’ennesima ferita dopo il disastro sanitario”. Il deputato di Avs cita alcuni dati: “A Taranto, nel corso degli anni, è stato immesso in atmosfera il 93% della diossina prodotta in Italia, insieme al 67% del piombo, secondo quanto riportato dal registro Ines dell’Ispra, successivamente diventato E-Prtr. Questa situazione ambientale drammatica spinse, il 4 marzo 2010, l’autorità sanitaria a vietare il pascolo entro un raggio di 20 km dal polo siderurgico“. Bonelli, poi, tuona: “Siamo di fronte a uno dei disastri sanitari e ambientali più gravi della storia italiana ed europea, che ha causato troppe vittime, soprattutto tra i bambini. Questa sentenza non rappresenta un atto di giustizia, ma una ferita inferta a chi ha già pagato un prezzo altissimo con la propria salute e con la propria vita“.

Yemen - Mar rosso

Petroliera attaccata a largo delle coste dello Yemen: rischio catastrofe ambientale

Una petroliera, che trasporta più di un milione di barili di greggio, attaccata dai ribelli yemeniti Houthi e abbandonata al largo delle coste dello Yemen potrebbe causare una “catastrofe ambientale” nel Mar Rosso se dovesse rompersi o esplodere. L’avvertimento arriva dagli esperti. La Sounion, battente bandiera greca e, colpita da missili il mese scorso, era ancora in fiamme sabato, aumentando il rischio di una fuoriuscita di petrolio quattro volte più grande di quella causata dalla Exxon Valdez al largo dell’Alaska nel 1989. “Una fuoriuscita di petrolio di questa portata potrebbe essere virtualmente impossibile da contenere, contaminando vasti tratti di mare e di costa”, avverte Julien Jreissati, direttore del programma Medio Oriente e Nord Africa di Greenpeace. “L’impatto a lungo termine sulla biodiversità marina potrebbe essere devastante, poiché i residui di petrolio potrebbero persistere nell’ambiente per anni o addirittura decenni”.

Gli Houthi, che controllano ampie zone dello Yemen, da mesi prendono di mira navi che ritengono legate a Israele, Stati Uniti o Regno Unito, sostenendo di agire in solidarietà con i palestinesi della Striscia di Gaza, nel contesto della guerra tra Israele e il movimento islamista palestinese Hamas.

La Sounion, che trasporta 150.000 tonnellate di greggio, ha preso fuoco e ha perso la sua forza motrice dopo essere stata attaccata il 21 agosto. I 25 membri dell’equipaggio sono stati evacuati il giorno successivo da una fregata francese della missione europea Aspides dispiegata nella zona. Pochi giorni dopo, i ribelli hanno dichiarato di aver fatto esplodere delle cariche sul ponte della nave, innescando nuovi incendi.

Le compagnie private che avrebbero dovuto rimorchiare la nave, ancorata a metà strada tra lo Yemen e l’Eritrea, hanno deciso che non era “sicuro” farlo, ha annunciato la scorsa settimana la missione Aspides, responsabile di garantire la loro protezione, precisando che si stavano studiando “soluzioni alternative”. Con la petroliera “pesantemente carica, immobilizzata e in fiamme, la situazione è estremamente pericolosa e imprevedibile”, ha dichiarato Jreissati, aggiungendo che “il rischio di un grave disastro ambientale è alto, poiché la nave potrebbe rompersi o esplodere in qualsiasi momento”.

Da novembre, gli attacchi degli Houthi hanno causato la morte di almeno quattro membri dell’equipaggio e l’affondamento di due navi, tra cui la Rubymar, una nave portarinfuse affondata a marzo con migliaia di tonnellate di fertilizzante a bordo. Tuttavia, la Sounion rappresenta la minaccia più grande ad oggi. “Questa situazione è un disastro ambientale che si sta lentamente svolgendo sotto i nostri occhi”, lamenta Wim Zwijnenburg dell’ONG PAX, che lavora per la pace nel mondo.

Il Centro comune di informazione marittima (JMIC), gestito da una coalizione navale multinazionale che comprende Stati Uniti e Paesi europei, ha riferito di “diversi” incendi sul ponte della nave sabato, ma ha detto di non aver visto alcuna fuoriuscita di petrolio. Ha detto che un’operazione di salvataggio e di spegnimento degli incendi dovrebbe iniziare questa settimana. “In alcune immagini satellitari sono state rilevate piccole chiazze di petrolio, probabilmente legate al petrolio bruciato dopo le esplosioni o proveniente dal motore”, ha dichiarato Zwijnenburg. Ma al momento non ci sono indicazioni “che ci sia stata una fuoriuscita di greggio dal carico trasportato dalla nave”.

La minaccia rappresentata dalla Sounion nel Mar Rosso ricorda il rischio rappresentato per lungo tempo dalla superpetroliera FSO Safer, una nave cisterna di 47 anni abbandonata per anni al largo delle coste dello Yemen a causa della guerra civile che da oltre un decennio dilania l’impoverito Paese.

Nell’agosto 2023, le Nazioni Unite sono riuscite a trasferire il suo carico di oltre un milione di barili di petrolio dopo un’operazione lunga e costosa. Il salvataggio della Sounion potrebbe rivelarsi tanto più difficile in quanto i ribelli Houthi continuano i loro attacchi nell’area, sottolinea Noam Raydan del Washington Institute for Near East Policy.

Trovare rimorchiatori adatti nelle vicinanze, pronti a operare in un ambiente così rischioso, potrebbe essere difficile”, afferma l’esperto. E le forze navali “dovranno rimanere vicine alla petroliera per evitare che gli Houthi interrompano il processo di salvataggio”.