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L’Ue avverte l’Italia: “Fare di più per contrastare cambiamento climatico e povertà energetica”

Positivi l’agricoltura biologica, la crescita delle fonti rinnovabili, la riduzione delle emissioni a gas serra. Problematici la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche, l’adattamento ai cambiamenti climatici e la povertà energetica. E’ la fotografia dell’Italia scattata dall’Agenzia europea dell’Ambiente (Aea) nel suo Rapporto sullo stato dell’ambiente.

“L’Italia sta compiendo passi significativi verso la sostenibilità, ma deve affrontare numerose sfide”, evidenzia. Più nel dettaglio, vanno bene “lo sviluppo dell’agricoltura biologica, la crescita delle fonti rinnovabili, che supera il traguardo 2020 e punta al 38,7% entro il 2030, e la riduzione delle emissioni di gas serra”, elenca il documento. “Ampia” è anche l’estensione delle aree protette, sebbene “per contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei sarà necessario compiere ulteriori passi avanti”.

Sul fronte dell’economia circolare, “l’Italia registra un tasso elevato di utilizzo dei materiali”, ma “occorre ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche, rafforzando il riciclo e il riutilizzo delle risorse già presenti sul territorio nazionale”. Dunque, per l’Agenzia, “restano aperte questioni importanti” per l’Italia che vanno “dalle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici alla gestione dei rifiuti, fino alle sfide socio-economiche legate al divario generazionale, alla scarsa mobilità sociale e alla diffusa povertà energetica”. In particolare, “le sfide ambientali si intrecciano con quelle sociali ed economiche, richiedendo un approccio integrato capace di coniugare tutela ambientale, innovazione e benessere collettivo”, precisa il report e, sotto questa luce, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è visto come “strumento decisivo per sostenere sostenibilità, innovazione e competitività”, mentre “la Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, in coerenza con l’Agenda 2030, resta il quadro di riferimento per garantire politiche coerenti e di lungo periodo”.

Allargando lo sguardo, il report dell’Agenzia – il settimo quest’anno, dato che viene pubblicato ogni cinque anni a partire dal 1995 – descrive come “non buono” lo stato di salute dell’ambiente europeo perché “continua a subire degrado, sfruttamento eccessivo e perdita di biodiversità”. Non solo: le prospettive per la maggior parte delle tendenze ambientali sono “preoccupanti” e “comportano gravi rischi per la prosperità economica, la sicurezza e la qualità della vita in Europa”.

All’indice ci sono cambiamenti climatici e degrado ambientale che rappresentano una “minaccia diretta per la competitività dell’Europa”. Circa l’81% degli habitat protetti si trova in condizioni mediocri o pessime, dal 60 al 70% dei suoli è degradato e il 62% dei corpi idrici non è in buone condizioni ecologiche. Il cambiamento climatico sta aggravando la scarsità di risorse idriche e, sul fronte energetico, si registra l’impossibilità per il 19% degli europei di mantenere una temperatura confortevole nelle proprie case.

E mentre la frequenza delle ondate di calore estreme è in aumento, solo 21 dei 38 Paesi membri dell’Aea (i Ventisette Ue a cui si aggiungono Islanda, Norvegia, Liechtenstein, Turchia, Svizzera e i 6 dei Balcani occidentali) dispongono di piani d’azione per la salute in caso di ondate di calore. Inoltre, gli eventi climatici e meteorologici estremi (ondate di calore, alluvioni, frane, incendi boschivi) hanno causato oltre 240 mila morti tra il 1980 e il 2023 nell’Ue, con perdite economiche medie annue che sono state 2,5 volte superiori tra il 2020 e il 2023 rispetto al periodo compreso tra il 2010 e il 2019.

Per queste ragioni, il Rapporto – che arriva in un momento in cui i Paesi Ue hanno approvato un compromesso minimo sulla riduzione delle emissioni di gas serra entro il 2035 e non sono riusciti a raggiungere un accordo su sulla proposta della Commissione europea di ridurre le emissioni del 90% entro il 2040 rispetto al 1990 – esorta ad accelerare l’attuazione di politiche e azioni, per una sostenibilità a lungo termine, già concordate nell’ambito del Green deal europeo. Un invito subito rimarcato dalla vicepresidente esecutiva della Commissione europea per la Transizione, Teresa Ribera: “Ritardare o rinviare i nostri obiettivi climatici non farebbe altro che aumentare i costi, aumentare le disuguaglianze e indebolire la nostra resilienza. Proteggere la natura non è un costo ma un investimento, nella competitività, nella resilienza e nel benessere dei nostri cittadini”, ha affermato. Mentre per Leena Ylä-Mononen, direttrice esecutiva dell’Aea, “non possiamo permetterci di ridimensionare le nostre ambizioni in materia di clima, ambiente e sostenibilità”.

L’inquinamento atmosferico danneggia la vista dei bambini

Un nuovo studio rivela che l’inquinamento atmosferico potrebbe danneggiare la vista dei bambini, mentre l’aria più pulita aiuta a proteggere e persino a migliorare le capacità di visive soprattutto nei più piccoli. I ricercatori hanno scoperto che l’esposizione a livelli più bassi di inquinanti atmosferici, in particolare biossido di azoto (NO₂) e particolato fine (PM2.5), è associata alla capacità dei bambini di vedere bene senza occhiali. I loro risultati suggeriscono che ridurre l’esposizione a questi inquinanti potrebbe contribuire a rallentare la progressione della miopia, ovvero la visione sfocata degli oggetti distanti. Questa condizione sta diventando sempre più comune nei bambini, soprattutto nell’Asia orientale.

Pubblicando i loro risultati su Pnas Nexus, gli esperti sottolineano che, mentre la genetica e i fattori legati allo stile di vita, come il tempo trascorso davanti a dispositivi elettronici, giocano un ruolo importante nel determinare se i bambini saranno miopi, anche i fattori ambientali, come l’inquinamento atmosferico, sono importanti. Utilizzando tecniche avanzate di apprendimento automatico, il team ha esaminato come fattori ambientali, genetici e legati allo stile di vita interagiscono per influenzare lo sviluppo della vista nei bambini.

I ricercatori hanno scoperto che i bambini che vivevano in aree con aria più pulita avevano una vista migliore, dopo aver tenuto conto di altri fattori. Inoltre, è emerso che gli studenti delle scuole primarie sono particolarmente sensibili all’inquinamento atmosferico e hanno mostrato i maggiori miglioramenti nell’acuità visiva non corretta quando esposti ad aria più pulita. Al contrario, gli studenti più grandi e quelli con miopia elevata sono stati meno influenzati dai cambiamenti ambientali e la loro vista è stata maggiormente influenzata da fattori genetici, il che suggerisce che un intervento tempestivo, prima che i problemi di vista diventino gravi, può fare davvero la differenza.

Il professor Zongbo Shi, dell’Università di Birmingham, che ha co-supervisionato questo studio, spiega che “sebbene la genetica e il tempo trascorso davanti allo schermo siano da tempo riconosciuti come fattori che contribuiscono alla miopia infantile, questo studio è tra i primi a isolare l’inquinamento atmosferico come un fattore di rischio significativo e modificabile”. L’aria pulita, infatti, “non riguarda solo la salute respiratoria, ma anche quella visiva. I nostri risultati dimostrano che migliorare la qualità dell’aria potrebbe essere un prezioso intervento strategico per proteggere la vista dei bambini, soprattutto durante gli anni di sviluppo più vulnerabili”.

L’aria inquinata può causare infiammazione e stress agli occhi, ridurre l’esposizione alla luce solare, importante per uno sviluppo sano degli occhi, e innescare cambiamenti chimici nell’occhio che ne modificano la forma, causando la miopia. Questo studio suggerisce che l’installazione di purificatori d’aria nelle aule, la creazione di “zone ad aria pulita” attorno alle scuole per ridurre l’inquinamento del traffico e la chiusura delle strade alle auto durante gli orari di entrata e uscita dei bambini possono migliorare la salute degli occhi, perché i bambini trascorrono molto tempo a scuola. Come spiega il coautore, Yuqing Dai dell’Università di Birmingham, “la miopia è in aumento a livello globale e può portare a gravi problemi alla vista in età adulta. Sebbene non possiamo modificare i geni di un bambino, possiamo migliorare il suo ambiente. Se interveniamo tempestivamente, prima che si manifesti una miopia grave, possiamo fare davvero la differenza”.

Argea presenta il primo vino biosimbiotico certificato d’Italia

Il Gualdo Romagna DOC Sangiovese Predappio 2022 è stato il protagonista dell’evento “Habitat” organizzato oggi a Milano da Argea, il più grande gruppo vinicolo privato italiano. L’etichetta, caratterizzata dal nuovo progetto di ecodesign avviato dalla cantina Poderi dal Nespoli, è il primo vino biosimbiotico certificato d’Italia.

Con una bottiglia di soli 300 grammi (con il 16% di vetro in meno rispetto allo standard), la capsula in gommalacca naturale e le scatole in cartone 100% riciclato, il packaging risulta essere completamente sostenibile. L’agricoltura biosimbiotica integra i principi del biologico con una pratica innovativa: l’inoculo nel terreno di microrganismi vivi che vivono in simbiosi con le radici della vite. Questo rafforza la pianta, migliora l’assorbimento dei nutrienti, incrementa la biodiversità del suolo e accresce la capacità di resistenza agli stress idrici e climatici: tali caratteristiche sono risultate particolarmente utili nella vendemmia del 2022, avvenuta in condizioni di siccità e con temperature eccezionalmente elevate.

“Noi avevamo già i nostri ‘dazi’ prima di Trump: il cambiamento climatico”, ha affermato l’amministratore delegato di Argea Massimo Romani, che ha fatto anche il punto proprio sulle tariffe di Washington. È ancora presto per fare i conti: “Gli ordini ancora abbondanti fino a fine giugno fanno sì che ci sia ancora il segno più. Inoltre la filiera americana per il momento non ha ancora aumentato i prezzi, ma inevitabilmente presto lo farà, probabilmente nel primo trimestre del 2026”.

Nel corso dell’evento, che si è concluso con una tavola rotonda a cui hanno partecipato tra gli altri anche il Wine and Spirit Category Manager di Esselunga Daniele Colombo e il National Category Manager Wine di Partesa Alessandro Rossi, è stato presentato il nuovo report di sostenibilità di Argea. Il risultato che spicca maggiormente è l’utilizzo di fonti 100% rinnovabili.

Città parco e housing sociale: le proposte del Wwf per città a prova di clima estremo

Le città sono uno snodo chiave per comprendere e affrontare il cambiamento climatico. Non solo sono tra le principali responsabili della crisi climatica, ma ne subiscono anche gli effetti più gravi: ondate di calore, siccità prolungate, alluvioni improvvise. E, per le città costiere, anche l’innalzamento del livello del mare. Tra città metropolitane e comuni, le aree urbane sono responsabili in Italia del 75% delle emissioni globali di carbonio, a fronte di una occupazione della superficie terrestre pari al 3% (ANCI).

Dai dati statistici europei rappresentati dall’Ispra su danni economici e perdite umane, nel periodo che va dal 1980 al 2022, l’Italia si posiziona al terzo posto della classifica europea in termini di pericolosità degli eventi climatici estremi che hanno colpito le nostre città e le persone che ci vivono. La crisi climatica provoca anche notevoli pericoli dal punto di vista della salute, dagli effetti diretti delle ondate di calore a un aumento delle zoonosi e delle malattie trasmesse dai diversi vettori.

Nelle 4 città più popolose d’Italia (Roma, Milano, Napoli e Torino) le tabelle grafiche del Cmcc (Centro Euromediterraneo cambiamenti climatici) mostrano “chiaramente l’intensificarsi del riscaldamento globale nel corso del tempo”. In occasione di Urban Nature, il festival della natura in città giunto alla sua nona edizione, il Wwf lancia un report dal titolo ‘Adattamento alla crisi climatica in ambito urbano: ripensare le città come sistemi viventi di natura e persone’, grazie alla collaborazione di esperte ed esperti di impatto della crisi climatica e gestione urbanistica, sanitaria, ambientale, sociale e di governance dell’adattamento.

Nel documento si ribadisce come il benessere, ma anche la salute e la sicurezza delle persone nei prossimi anni dipenderanno da come si deciderà di gestire negli spazi urbani la convivenza con la natura. Si tratta di una raccolta di contributi di professionisti del mondo scientifico e accademico, che hanno costruito un’analisi su come favorire anche nelle città italiane una transizione verde urbana.

“Adattare le città al rischio climatico – si legge nel report – non è più un’opzione, ma una necessità. Dobbiamo ammorbidire gli impatti, creare zone cuscinetto, rendere i nostri insediamenti più resilienti, capaci di rispondere con una ‘logica vegetale’. È il principio delle nature-based solutions: alla forza della natura si risponde con la natura stessa”.

Tra le proposte emerse dal report spicca la creazione, anche in Italia, di Città Parco Nazionali, aree urbane dove gli spazi verdi e le aree naturali fanno parte di scelte consolidate e si favorisce la diffusione di azioni sostenibili anche in funzione di una crescita della biodiversità. La prima città del mondo ad istituirsi come National Park City è stata Londra nel luglio 2019, seguita da Adelaide nel 2021, Breda nel 2022 e Chattanooga nel 2023. Attualmente sono decine le realtà urbane che intendono seguire il loro percorso, tra le quali Southampton, Glasgow e Rotterdam.

Un altro obiettivo è la creazione di un Housing sociale climaticamente adattivo. Si propone cioè di integrare criteri di adattamento climatico e coesione sociale nelle politiche abitative, progettando alloggi e quartieri che favoriscano resilienza e relazioni sociali, attraverso standard obbligatori per l’efficienza energetica, con una attenzione particolare ad un percorso partecipativo dal basso. “Viviamo in una grande contraddizione: – afferma Mariagrazia Midulla, Responsabile Clima ed Energia Wwf Italiamentre di clima si parla sempre meno nel dibattito pubblico, la crisi climatica desta sempre maggiori preoccupazioni sia tra gli scienziati, sia tra i cittadini. Gli impatti colpiscono i territori sempre più frequentemente e intensamente ma non sono uguali per tutti: purtroppo chi ha meno ed è più vulnerabile, di solito vive in aree già svantaggiate e ha anche meno mezzi per affrontare situazioni che possono cambiare radicalmente in poco tempo. Gli studiosi concordano sulla centralità della salute degli ecosistemi e della natura per affrontare l’adattamento, a cominciare dalle soluzioni innovative come quella delle città parco. Ma oggi il Piano nazionale di Adattamento al Cambiamento Climatico, approvato alla fine del 2023, è chiuso in un cassetto. Da quel cassetto deve uscire al più presto perché il lavoro da fare è tanto e non è certo ‘limitato’ al dissesto idrogeologico”.

Il dossier indica anche un tema raramente affrontato, quello che l’Ipcc, il Panel scientifico delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, definisce ‘Maladaptation’ (cattivo adattamento): la situazione che si verifica quando le azioni intraprese per aiutare le comunità ad adattarsi al cambiamento climatico, determinano, al contrario, un aumento della vulnerabilità stessa. Da tutti i contributi del report emergono almeno due indicazioni: l’adattamento non può essere un ghetto, ma deve pervadere tutte le politiche pubbliche e private, fino ad arrivare a un nuovo modello di città, adeguando risorse, organizzazione e strumenti; i meccanismi partecipativi, il coinvolgimento di popolazione e stakeholders sono essenziali per questo processo.

Clima, in Ue non c’è l’accordo dei 27 sugli obiettivi al 2040. Decisione attesa per fine anno

L’Europa sta perdendo la sua leadership in materia di clima? Il blocco tra i 27 paesi membri sull’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra nel 2040 persiste e rischia di non essere risolto prima della conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a novembre in Brasile.
Venerdì a Bruxelles, un incontro tra diplomatici ha messo nuovamente in luce le divisioni tra gli europei. A questo punto, non esiste una chiara maggioranza all’interno dell’Unione europea a sostegno dell’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni di gas serra nel 2040 rispetto al 1990 proposto dalla Commissione.

Diversi paesi, tra cui Francia, Germania, Italia e Polonia, hanno chiesto di rinviare la discussione a un vertice tra capi di Stato e di governo nel mese di ottobre. La Danimarca, che detiene la presidenza di turno dell’Unione europea, sperava di raggiungere un compromesso già il 18 settembre durante una riunione dei ministri dell’ambiente. Ma i diplomatici danesi hanno dovuto fare marcia indietro, contro la loro volontà, e ora puntano a un accordo “entro la fine dell’anno”. La grande conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP30) è prevista dal 10 al 21 novembre a Belem, in Brasile. E martedì la Commissione europea si diceva ancora convinta che l’Unione avrebbe avuto entro quella data un “obiettivo ambizioso” da “portare sulla scena internazionale”. Questo calendario è ora a rischio.

Nei corridoi di Bruxelles, alcuni diplomatici evocano la possibilità che l’Unione europea si presenti a Belém con una forbice di riduzione delle emissioni di gas serra, ma senza una cifra definitiva. In nome della difesa della loro industria, Stati come l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca hanno ripetutamente ribadito la loro opposizione alla riduzione del 90% raccomandata dalla Commissione. All’inizio di luglio Bruxelles ha introdotto delle “flessibilità” nel metodo di calcolo: la possibilità di acquisire crediti di carbonio internazionali, pari al 3% del totale, che finanzierebbero progetti al di fuori dell’Europa. Ma questa concessione non è stata sufficiente a convincerli.

Da parte sua, la Francia ha mantenuto una posizione ambigua, criticando il metodo della Commissione e chiedendo garanzie sulla difesa del nucleare o sul finanziamento delle “industrie pulite”. Dal punto di vista dei suoi obblighi internazionali, Parigi sottolinea che l’Ue deve solo presentare un percorso per il 2035 – e non per il 2040 – alla COP30 e chiede di separare le due discussioni.

Se l’obiettivo climatico 2040 fosse sottoposto a votazione a livello di capi di Stato e di governo, sarebbe necessaria l’unanimità, molto difficile da raggiungere. Una votazione a livello di ministri dell’ambiente richiede invece solo una maggioranza qualificata. Alle Nazioni Unite si teme che l’Ue perda l’effetto trainante che ha avuto finora sulle questioni ambientali. “Tutti sanno perfettamente che rimaniamo tra i più ambiziosi in materia di azione per il clima”, ha risposto all’AFP il commissario europeo Wopke Hoekstra.

Mario Tozzi: “Convincere un negazionista? Non gioco a scacchi con i piccioni”

La scuola? “Non è preparata su questi temi”. Convincere un negazionista? “Non gioco a scacchi con i piccioni”. Mario Tozzi, geologo, divulgatore, domenica 20 luglio tornerà sul palco e lo farà insieme al polistrumentista Enzo Favata a Rocca di Sant’Apollinare, a Marsciano, in provincia di Perugia, in occasione di ‘Suoni controvento’ , il festival a impatto zero di musica, teatro, letteratura, gaming e incontri su temi di attualità che coinvolge 24 comuni dell’Umbria, tra borghi e palcoscenici naturali. La manifestazione, giunta alla sua IX edizione, è promossa da Aucma (Associazione umbra della canzone e della musica d’autore).

Tozzi e Favata porteranno in scena ‘Mediterraneo’ , un racconto attraverso il punto di vista della geologia e della musica, tra passato e futuro. Un progetto, dice Tozzi a GEA, nato “dall’idea della capacità di raccontare storie che è quello che fanno i jazzisti e che faccio anche io come divulgatore”. Una passione, la sua, venuta alla luce “grazie a occasioni fortunate, al caso. Raccontare mi è sempre piaciuto, al di là delle lezioni universitarie, a un certo punto ho visto che ciò che dicevo veniva apprezzato anche in contesti differenti, con un pubblico ‘meno adatto’ E da cosa nasce cosa”.

La situazione, racconta il geologo, è a un punto più che critico e “i nodi stanno venendo al pettine”. La crisi climatica “è il problema principale, perché da questa dipendono le altre”, a partire dal dramma della perdita di biodiversità. “E la colpa è nostra – dice – anche se noi non verremo sterminati”. Basti pensare – punta il dito il divulgatore – alla caccia: “C’è un pianeta in cui cui la gente si diverte andando a sparare agli animali”. E, ancora, “all’espansione delle città e delle infrastrutture e poi alla crisi delle risorse che vanno ad assottigliarsi”. Materie prime “che non si riciclano mai al 100% perché qualcosa nel processo si perde”. In sostanza, “stiamo portando il pianeta al suo limite massimo, ma non ne abbiamo un altro, non c’è un piano B”, ammette.

E se è vero che, movimenti come Fridays For Future e Ultima Generazione “hanno portato un grande cambiamento”, tra i più giovani, accendendo la miccia della preoccupazione per il cambiamenti climatico, “il Covid e la repressione delle azioni di protesta” hanno fatto “arenare” questo processo che “non si è più ripreso”, dice Tozzi. “I nuovi decreti rendono impossibile manifestare il dissenso partecipato e non c’è stata alcuna solidarietà da parte del mondo adulto. La spinta la vedo esaurita”. Eppure numerose ricerche confermano che il tema del clima è fondamentale per la Gen Z e le successive. “Servirebbe una scuola preparata su questi temi” per formare davvero le nuove generazioni, spiega il divulgatore a GEA, “ma gli insegnanti e i libri sono inadeguati al ruolo”.

Insomma, “serve una sensibilità degli adulti che non c’è” per educare i più giovani che, invece “devono fare da soli”, spesso utilizzando i social network e imbattendosi nel mondo infinito delle fake news e dei negazionisti. Ma un dialogo con chi rifiuta di vedere il cambiamento climatico è possibile? “Io non voglio parlare con loro – dice Tozzi – perché agiscono e parlano sulla base della convenienza economica, non accettano la scienza che è invece unanime” nel riconoscere il problema e “puntano solo a creare confusione. Si perderebbe del tempo” a cercare di convincere chi “non accetta la verità scientifica”. “Io non gioco a scacchi con i piccioni – chiosa il geologo – perché non sanno le regole”, lasciano escrementi ovunque “e poi se ne vanno impettiti”.

Leone XIV celebra prima messa green e chiede conversione dei negazionisti climatici

Un altare nei giardini delle ville pontificie di Castel Gandolfo. Uno stagno come navata centrale, il cielo come soffitto. E’ il luogo che Leone XIV sceglie per celebrare la prima messa green della Chiesa, con il formulario introdotto il 3 luglio per la Custodia del Creato, tra quelli delle ‘necessità civili’ del Messale Romano.  A ‘vegliare’ sull’altare mobile della sagrestia pontificia la statua della Madonnina del Borgo Laudato si’, visitato dal Papa in occasione del suo primo sopralluogo a Castel Gandolfo. Lui la definisce una “cattedrale naturale“.

Tanti disastri naturali che ancora vediamo nel mondo, quasi tutti i giorni in tanti luoghi, in tanti Paesi, sono in parte causati anche dagli eccessi dell’essere umano, col suo stile di vita”, denuncia il pontefice, che prega per la conversione di “tante persone, dentro e fuori della Chiesa, che ancora non riconoscono l’urgenza di curare la casa comune”.

In ritiro per due settimane di riposo, il Papa arriva a piedi, seguito dal segretario, don Edgar Rimaycuna, monsignor Leonardo Sapienza e dal cardinale Michael Czerny, prefetto dello Sviluppo umano integrale (il dicastero che si occupa delle questioni ambientali), accolto dal cardinale Fabio Baggio e da padre Manuel Dorantes.

E’ una celebrazione in forma privata, assistono soltanto una cinquantina di persone, dipendenti e collaboratori del Borgo Laudato si, voluto da Papa Francesco. Un ‘laboratorio’ nel quale “vivere quell’armonia con il creato che è per noi guarigione e riconciliazione, elaborando modalità nuove ed efficaci di custodire la natura a noi affidata”, spiega. Nell’omelia, pronunciata in parte a braccio, Robert Prevost ricorda che la missione della Chiesa è quella di custodire il creato, di portarvi pace e riconciliazione: “Noi ascoltiamo il grido della terra, noi ascoltiamo il grido dei poveri, perché questo grido è giunto al cuore di Dio. La nostra indignazione – tuona – è la sua indignazione. Il nostro lavoro è il suo lavoro”.

Vaticano chiede remissione debito ecologico: “Non è solidarietà ma giustizia riparatoria”

Nell’anno Santo, il mondo riparta dalla remissione del debito ecologico. Lo chiede il dicastero dello Sviluppo Umano Integrale, in una nota tematica in cinque lingue. Nel documento, il Vaticano spiega come il debito finanziario e quello ecologico siano due facce della stessa medaglia. Se sui Paesi in via di sviluppo grava un debito economico che ha radici lontane e che la pandemia ha acuito, questi soffrono anche le conseguenze più gravi della crisi climatica, pur non essendo tra i maggiori responsabili.

Sono le economie più industrializzate le principali artefici della crisi climatica. Sono storicamente state responsabili della quota maggiore di emissioni di gas serra e hanno costruito la propria prosperità anche attraverso lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali presenti nei territori dei Paesi in via di sviluppo, spesso a scapito delle comunità e degli ecosistemi locali. Uno squilibrio che ha portato molti a ritenere che i Paesi in via di sviluppo vantino, nei confronti dei Paesi più industrializzati, un vero e proprio credito ecologico, che dovrebbe almeno in parte compensare il debito finanziario da cui sono gravati.

Le zone del mondo ‘depredate’ sono infatti prive “delle risorse economiche e infrastrutturali necessarie per adattarsi o reagire”, cumulando così crisi economica e crisi ambientale, con inevitabili conseguenze sullo sviluppo umano della popolazione. In questa prospettiva, il condono del debito finanziario che grava sui Paesi più poveri non dovrebbe essere visto come un gesto di solidarietà e generosità, ma come un gesto di giustizia riparatoria. Non sarebbe un atto punitivo, ma un viatico alla costruzione di una “nuova alleanza tra i popoli”, osserva il dicastero, che abbia a cuore la giustizia sociale e la cura del creato. Sulla spinta del Giubileo della Speranza e “ispirata dalle parole di Papa Leone XIV, la Chiesa, fedele ai principi della Dottrina Sociale, rinnova il suo impegno pastorale per la giustizia ecologica, sociale e ambientale”, viene spiegato. Per questo il documento chiede alle Chiese particolari di favorire, nei diversi contesti sociali, una conversione ecologica integrale “personale e comunitaria”.

In molti Paesi, l’attenzione è “distratta” da questioni di grande rilievo che interrogano i modelli di crescita, le concentrazioni di ricchezza, le contraddizioni del diritto, suggerendo coraggiosi cambi di paradigma. Il paradigma dell’ecologia integrale impegna a un’applicazione della Dottrina Sociale della Chiesa nei diversi contesti e nelle reali sfide cui le persone sono esposte a ogni latitudine. L’invito è a “consolidare legami di conoscenza e di cooperazione fra Chiese particolari del mondo, approfittando anche della facilità con cui le nuove tecnologie consentono incontri fra persone e gruppi”.

L’8 giugno è la Giornata mondiale degli oceani: attesa per la Conferenza Onu di Nizza

Si celebra l’8 giugno la Giornata mondiale degli Oceani, in occasione dell’anniversario della Conferenza mondiale su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro. Si tratta di un’occasione per riflettere sui benefici che sono in grado di fornirci e il dovere che incombe su ogni individuo e sulla collettività di interagire con gli oceani in modo sostenibile, affinché siano soddisfatte le attuali esigenze, senza compromettere quelle delle generazioni future.

Quella di quest’anno si preannuncia come la più grande giornata mai realizzata per l’azione a favore degli oceani e del clima e porta avanti il tema scelto per l’edizione 2024, cioè catalizzare l’azione per i nostri oceani e il clima. Ed è ciò che si cercherà di fare a Nizza, in Francia, dal 9 al 13 giugno, in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani del 2025, incentrata su ‘Accelerare l’azione e mobilitare tutti gli attori per la conservazione e l’uso sostenibile degli oceani’. Si punterà sull’attuazione dell’Obiettivo di sviluppo sostenibile 14, con tre priorità principali, per produrre un ambizioso Piano d’azione di Nizza per gli oceani. In particolare, lavorare per il completamento dei processi multilaterali legati all’oceano, mobilitare risorse finanziarie e sostenere lo sviluppo di un’economia blu sostenibile, rafforzare e diffondere meglio le conoscenze legate alle scienze marine per migliorare il processo decisionale.

E proprio in vista della Conferenza dell’Onu, giovedì l’Unione europea ha adottato il Patto europeo per gli Oceani, che riunisce le politiche oceaniche dell’Ue in un unico quadro di riferimento e che sarà presentato proprio a Nizza il 9 giugno dalla presidente Ursula von der Leyen. Sei le priorità individuate: proteggere e ripristinare la salute degli oceani; rafforzare la competitività dell’economia blu sostenibile dell’Ue; sostenere le comunità costiere, insulari e le regioni ultraperiferiche; promuovere la ricerca, la conoscenza, le competenze e l’innovazione oceaniche; rafforzare la sicurezza e la difesa marina, anche con una flotta europea di droni all’avanguardia che sfrutterà tecnologie come l’intelligenza artificiale e sensori avanzati per il monitoraggio; rafforzare la diplomazia oceanica dell’Ue e la governance internazionale degli oceani.

L’impatto del cambiamento climatico sugli oceani è devastante. Secondo gli ultimi dati diffusi da Copernicus, il riscaldamento degli oceani nel 2024 ha portato a nuove temperature record. L’oceano è più caldo che mai, non solo in superficie, ma anche in profondità, fino ai 2000 metri superiori. Dal 2023 al 2024, il contenuto termico oceanico (OHC) a livello globale, nella parte superiore dei 2000 metri, è aumentato di 16 zettajoule (10 21 Joule), ovvero circa 40 volte la produzione totale di elettricità mondiale nel 2023. E l’aumento della temperatura media della superficie del mare dalla fine degli anni ’50 è stato impressionante.

Un oceano più caldo influisce sulla vita marina e provoca gravi danni. “Il modo principale in cui l’oceano influenza costantemente il clima è aumentando il vapore acqueo, un potente gas serra, nell’atmosfera fino a livelli estremi pericolosi”, spiega Kevin Trenberth, ricercatore senior presso il National Center for Atmospheric Research. “Un riscaldamento maggiore porta a maggiori rischi di siccità e incendi boschivi e alimenta il rischio di inondazioni e tempeste di ogni tipo, inclusi uragani e tifoni”.

Negli ultimi 12 mesi, ben 138 Paesi hanno registrato le temperature più calde di sempre. Siccità, ondate di calore, inondazioni e incendi boschivi hanno colpito, tra gli altri, Africa, Asia meridionale, Filippine, Brasile, Europa, Stati Uniti, Cile e la Grande Barriera Corallina. Dal 1980, ad esempio, i disastri climatici sono costati agli Stati Uniti quasi 3 trilioni di dollari. Il calore degli oceani è la misura migliore per monitorare il cambiamento climatico.

inquinamento plastica

E’ la Giornata mondiale dell’ambiente: inquinamento da plastica osservato speciale

Si celebra oggi, 5 giugno, la Giornata mondiale dell’ambiente, istituita nel 1972 dalle Nazioni Unite in occasione della Conferenza di Stoccolma sull’ambiente umano per incoraggiare la consapevolezza e l’azione a livello mondiale a favore dell’ambiente. Il tema scelto quest’anno è la lotta all’inquinamento da plastica con un appello all’azione collettiva per contrastarlo.

La Giornata di quest’anno cade esattamente due mesi prima che i paesi si riuniscano nuovamente per continuare a negoziare un trattato globale per porre fine all’inquinamento da plastica. Dal 5 al 14 agosto, infatti, a Ginevra si svolgerà la seconda parte della quinta sessione dell’Assemblea ambientale delle Nazioni Unite per chiedere uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica, anche nell’ambiente marino.

Secondo i dati raccolti dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), ogni anno circa 100.000 mammiferi e un milione di uccelli marini muoiono a causa dell’intrappolamento all’interno delle reti da pesca abbandonate o dopo aver ingerito i frammenti che esse rilasciano in mare. L’86% dei rifiuti marini rinvenuti sui fondali è riconducibile ad attività di pesca, con una netta prevalenza di lenze, cime e reti abbandonate, perse o dismesse. Le reti fantasma rappresentano, quindi, una delle forme più insidiose di inquinamento marino.

“L’inquinamento causato dalla plastica – dice il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres proprio in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente – sta soffocando il nostro pianeta, danneggiando gli ecosistemi, il benessere e il clima. I rifiuti di plastica ostruiscono i fiumi, inquinano gli oceani e mettono in pericolo la fauna selvatica. E mentre si scompone in parti sempre più piccole, si infiltra in ogni angolo della Terra: dalla cima del monte Everest alle profondità dell’oceano, dal cervello umano al latte materno”.