Legge natura, i verdi italiani festeggiano: “Abbiamo fermato i ladri di futuro”

Il Parlamento europeo dà il via libera alla legge sulla natura. Una “giornata storica”: la rivincita dei progressisti sui conservatori, una battaglia che gli ecologisti italiani rivendicano a gran voce. “L’offensiva di Meloni e della destra sovranista in Europa è stata respinta“, gioisce Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde, parlamentare di Alleanza Verdi Sinistra. E’ in piazza Montecitorio con i colleghi di partito e brandisce cartelli che recitano ‘Abbiamo fermato i ladri di futuro’. La legge è “fondamentale per il futuro delle nuove generazioni“, afferma. E questa destra che “sparge fake news per difendere gli interessi dei cementificatori” oggi si ferma grazie a un’alleanza progressista, ecologista, che, è convinto, “può essere una speranza per il futuro dell’Europa“.

Non è un buon periodo per Giorgia Meloni, recrimina Nicola Fratoianni. Cita i guai giudiziari e le polemiche che in un modo o nell’altro coinvolgono i suoi compagni di partito, e i suoi componenti dell’esecutivo. Dal presidente del Senato Ignazio La Russa alla ministra del Turismo Daniela Santanché, passando per le gaffe del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. “Oggi un altro colpo a lei e ai ‘climafreghisti’ di tutta Europa”, scandisce. La bocciatura del Parlamento europeo rispetto alla mozione di rigetto della legge sulla natura è ottima, ma “annuncia il terreno del conflitto” dei prossimi anni, annuncia. La transizione e la conversione ecologica restano il punto di riferimento per chi si batte per la giustizia sociale e ambientale”.

Venerdì 7 luglio, a Roma, di questo si è parlato in un vertice congiunto con i Verdi tedeschi: “Si è costruita una importante alleanza del Parlamento europeo”, ribadisce Bonelli. Accusa il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, di “spargere bugie come il suo solito, dicendo che sarà un danno per gli agricoltori”. Segnala che, in Europa, la destra italiana “ha votato contro una legge che chiede di mettere in sicurezza i fiumi anche dal rischio idrogeologico“.
Una grandissima vittoria “per niente scontata“, spiega a Gea la capogruppo di Avs Luana Zanella. I Verdi tedeschi, racconta, erano “molto preoccupati” per l’esito della votazione. “Avevamo bisogno di una norma così articolata, che salvaguarda l’80% dei siti preziosi per la biodiversità, compresi quelli del mare profondo e per i siti all’interno delle città, alcuni dei quali sono vere e proprie oasi. Riforestando, rinaturalizzando, garantendo le praterie, contrastiamo anche il riscaldamento globale”, ricorda.

Gioiscono le associazioni ambientaliste, ma lanciano un monito all’esecutivo: “Per il nostro Paese apre una riflessione perché il Governo Meloni deve ripensare la propria posizione in vista dei negoziati del Consiglio con il Parlamento per l’adozione finale della legge”, osserva Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente. La legge che passa è “indebolita”, per il Wwf, che festeggia comunque il voto, contro una “assurda campagna di disinformazione senza precedenti volta a fermarlo, guidata da politici di destra e conservatori e dalle lobby dell’agrindustria e della pesca intensiva”.

In particolare, la posizione adottata dal Parlamento ha cancellato l’articolo che avrebbe ripristinato la natura nei terreni agricoli, comprese le torbiere, rinunciando a un elemento essenziale per aumentare la capacità dell’Europa di sequestrare il carbonio. Particolarmente grave è considerata la cancellazione delle azioni dedicate alla tutela degli impollinatori e un ulteriore fonte di indebolimento deriva dall’emendamento – approvato – sulla necessità di effettuare una valutazione dell’eventuale impatto sulla sicurezza alimentare europea della Legge, ritardandone l’implementazione.
“Senza natura non c’è cibo, senza natura l’essere umano non sopravvive sul pianeta. E fino ad oggi, anche in Europa, la natura è stata sacrificata, soffocata e distrutta“, fa eco l’eurodeputata di Europa Verde Eleonora Evi. Che si rivolge direttamente alle destre: “Se ne facciano una ragione, la Legge sul Ripristino della Natura è stata approvata dal Parlamento europeo, è sostenuta dalla maggior parte dei governi europei e soprattutto è richiesta a gran voce dalla scienza e dalle cittadine e dai cittadini”.

Oltre 30mila reati ambientali nel 2022: impennata del 29% del ciclo del cemento

Nel 2022 non si arresta la morsa delle ecomafie. I reati contri l’ambiente restano ben saldi sopra la soglia dei 30.000, esattamente sono 30.686, in lieve crescita rispetto al 2021 (+0,3%), alla media di 84 reati al giorno, 3,5 ogni ora. Crescono anche gli illeciti amministrativi che toccano quota 67.030 (con un incremento sul 2021 del +13,1%): sommando queste due voci – reati e illeciti amministrativi – le violazioni delle norme poste a tutela dell’ambiente sfiorano quota 100.000 (97.716 quelle contestate, alla media di 268 al giorno, 11 ogni ora). A fare il punto è il nuovo rapporto Ecomafia 2023, realizzato da Legambiente, edito da Edizioni Ambiente, media partner Nuova Ecologia. Il rapporto, presentato oggi a Roma nella Sala della Regina della Camera dei deputati, in un evento insignito della Medaglia del Presidente della Repubblica, mette in fila dati e numeri sulle illegalità ambientali nella Penisola.

Ciclo illegale del cemento, reati contro la fauna e ciclo dei rifiuti sono le tre principali filiere su cui nel 2022 si è registrato il maggior numero di illeciti. A farla da padrone quelli relativi al cemento illegale, (dall’abusivismo edilizio agli appalti) che ammontano a 12.216, pari al 39,8% del totale, con una crescita del +28,7% rispetto al 2021. Crescono del 26,5% le persone denunciate (ben 12.430), del 97% le ordinanze di custodia cautelare, che sono state 65, addirittura del 298,5% il valore dei sequestri e delle sanzioni amministrative, per oltre 211 milioni di euro. Viene stimato in crescita, da 1,8 a 2 miliardi di euro, anche il business dell’abusivismo edilizio. Seguono i reati contro la fauna con 6.481 illeciti penali (+4,3% rispetto al 2021) e 5.486 persone denunciate (+7,6%).

Scende al terzo posto il ciclo illegale dei rifiuti con una riduzione sia del numero di illeciti penali, 5.606, (−33,8%), sia delle persone denunciate (6.087, −41%), ma aumentano le inchieste in cui viene contestata l’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (268 contro le 151 del 2021). Crescono anche gli illeciti amministrativi (10.591, +21,4%) e in misura leggermente minore le sanzioni, che sono state 10.358, pari al +16,2%. Al quarto posto, dopo il terribile 2021, i reati legati a roghi dolosi, colposi e generici (5.207, con una riduzione del – 3,3%). In aumento i controlli, le persone denunciate (768, una media di oltre due al giorno, +16,7%) e i sequestri (122, con un +14%). Come sempre, un capitolo a parte viene dedicato all’analisi delle attività di forze dell’ordine e Capitanerie di porto nel settore agroalimentare, che hanno portato all’accertamento di 41.305 reati e illeciti amministrativi. Sul fronte archeomafia, sono 404 i furti d’arte nel 2022.

Infine, a pesare e a preoccupare è il virus della corruzione ambientale – censite da Legambiente dal 1° agosto 2022 al 30 aprile 2023 ben 58 inchieste su fenomeni di corruzione connessi ad attività con impatto ambientale – il numero e il peso dei Comuni sciolti per mafia (22 quelli analizzati nel Rapporto, a cui si è aggiunto il recentissimo scioglimento di quello di Rende, in provincia di Cosenza), e la crescita dei clan mafiosi: dal 1994 ad oggi sono 375 quelli censiti da Legambiente. Il fatturato illegale delle diverse “filiere” analizzate nel Rapporto resta stabile a 8,8 miliardi di euro.

La Campania si conferma al primo posto per numero di reati contro l’ambiente (ben 4.020, pari al 13,1% del totale nazionale), persone denunciate (3.358), sequestri effettuati (995) e sanzioni amministrative comminate (10.011). Seguita dalla Puglia, che sale di una posizione rispetto al 2021, con 3.054 reati. Terza la Sicilia, con 2.905 reati. Sale al quarto posto il Lazio (2.642 reati), che supera la Calabria, mentre la Lombardia, sesta con 2.141 infrazioni penali e prima regione del Nord, “scavalca” la Toscana, in settima posizione. Balzo in avanti dell’Emilia-Romagna, che passa dal dodicesimo all’ottavo posto, con 1.468 reati (circa il 35% in più rispetto al 2021). A livello provinciale, Roma con 1.315 illeciti si conferma quella con più reati ambientali. Tra le new entry si segnala la provincia di Livorno, nona in graduatoria, con 565 infrazioni.

Per Legambiente quella contro l’ecomafia è una doppia sfida, che si può vincere da un lato rafforzando le attività di prevenzione e di controllo nel nostro Paese, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo delle risorse stanziate con il Piano nazionale di ripresa e resilienza; dall’altro mettendo mano con urgenza, a partire dall’Europa, a un quadro normativo condiviso su scala internazionale, con cui affrontare una criminalità organizzata ambientale che non conosce confini.

Dieci le proposte di modifica normativa presentate oggi dall’associazione ambientalista per rendere più efficace l’azione delle istituzioni a partire dall’approvazione delle riforme che mancano all’appello, anche in vista della prossima direttiva Ue sui crimini ambientali, di cui l’Italia deve sostenere con forza l’approvazione entro l’attuale legislatura europea. È necessario, sul versante nazionale, rivedere, in particolare per quanto riguarda il meccanismo del cosiddetto subappalto “a cascata”, quanto previsto dal nuovo Codice degli appalti e garantire il costante monitoraggio degli investimenti previsti per il PNRR. Dal punto di vista legislativo, occorre approvare il disegno di legge contro le agromafie; introdurre nel Codice penale i delitti contro la fauna; emanare i decreti attuativi della legge 132/2016 che ha istituito il Sistema Nazionale per la protezione per l’ambiente; garantire l’accesso gratuito alla giustizia per le associazioni iscritte, come Legambiente, nel Runts, il Registro unico nazionale del Terzo settore.

Mai come in questo momento storico – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambientesi devono alzare le antenne per scovare inquinatori ed ecomafiosi. E bisogna farlo presto, dentro e fuori i confini nazionali, perché stiamo entrando nella fase operativa del PNRR. L’Italia può e deve svolgere un ruolo importante perché la transizione ecologica sia pulita anche nella fedina penale, come prevede l’aggiornamento della direttiva sulla tutela dell’ambiente, da approvare entro la fine della legislatura europea, ma soprattutto deve recuperare i ritardi accumulati finora, dando seguito alle dieci proposte inserite nel nostro Rapporto Ecomafia”.

I numeri, le analisi e le considerazioni che emergono dal nostro rapporto Ecomafia – spiega Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio ambiente e legalità Legambienteanche grazie ai diversi contributi raccolti, confermano il lavoro importante svolto da forze dell’ordine, Capitanerie di porto, enti di controllo e magistratura. E dovrebbero sollecitare risposte coerenti ed efficaci da parte di chi ha responsabilità politiche e istituzionali. Accade purtroppo spesso il contrario: deregulation, come quelle inserite nel nuovo Codice degli appalti, invece di semplificazioni; condoni edilizi più o meno mascherati, invece di ruspe”.

 

Effetto Lula, la deforestazione dell’Amazzonia diminuita del 33% nel 2023

Photocredit Afp

 

La deforestazione nella foresta amazzonica brasiliana è diminuita del 33,6% tra gennaio e giugno 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, secondo i dati ufficiali pubblicati giovedì. La lotta contro lo sfruttamento della foresta amazzonica è uno dei principali obiettivi del governo di Luiz Inacio Lula da Silva, rieletto presidente del Brasile il 1° gennaio. Le immagini satellitari dell’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (Inpe) mostrano che nella prima metà dell’anno sono stati deforestati 2.649 km2 , rispetto ai 3.988 km2 tra gennaio e giugno 2022. A quel tempo, il leader di estrema destra Jair Bolsonaro, che è stato pesantemente criticato per la sua gestione dell’Amazzonia, era ancora al potere. “Abbiamo raggiunto un punto in cui la deforestazione in Amazzonia sta diminuendo costantemente“, ha dichiarato la ministra dell’Ambiente Marina Silva in una conferenza stampa. Ha dichiarato che questi risultati sono il frutto della “decisione del Presidente Lula di fare della lotta al cambiamento climatico e alla deforestazione una politica di governo“.

Nel solo mese di giugno, la deforestazione è diminuita del 41% rispetto al 2022. Dopo la sua rielezione, Lula ha promesso di annullare le politiche ambientali del suo predecessore e di porre fine alla deforestazione illegale entro il 2030. Durante il mandato di Jair Bolsonaro (2019-2022), la deforestazione in Amazzonia è aumentata del 75% rispetto alla media del decennio precedente. A giugno, Lula ha presentato il suo piano d’azione in materia, che prevedeva il sequestro immediato della metà delle aree disboscate illegalmente all’interno di zone protette, la creazione di altri tre milioni di ettari di queste aree protette entro il 2027 e l’assunzione di migliaia di specialisti del settore.

Questo annuncio ha fatto seguito alla decisione dei parlamentari di limitare in modo significativo il portafoglio del Ministero dell’Ambiente, eliminando i suoi poteri di gestione delle risorse idriche e del catasto rurale. Per raggiungere i suoi obiettivi, Lula cerca regolarmente di convincere i Paesi più ricchi a finanziare la conservazione delle foreste. Norvegia e Germania hanno già contribuito al Fondo per l’Amazzonia creato a questo scopo. L’ambiente è al centro dei negoziati tra il Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Venezuela) e l’UE, che ha recentemente esortato i Paesi sudamericani a essere più esigenti nella lotta contro i crimini ambientali, prima di poter finalizzare un accordo bilaterale di libero scambio.

Avvocato Bortolotto

Avv. Bortolotto: “Le leggi sull’ambiente volano per nuovo sviluppo industriale”

Una normativa meno stringente in termini di vincoli paesaggisti, un grande piano energetico europeo di lungo periodo, un impegno anche personale verso una transizione energetica che sia concretamente realizzabile. Sono gli spunti offerti in un’intervista a GEA dall’avvocato Maurizio Bortolotto, socio fondatore dello Studio Gebbia Bortolotto Penalisti Associati, componente di numerosi organismi di vigilanza di aziende nazionali e multinazionale ed esperto di diritto penale d’impresa, con particolare riguardo ai sistemi di governance e compliance e alle implicazioni relative alle responsabilità derivanti dal D.lgs. 231/01, ai reati contro la pubblica amministrazione, alla materia della sicurezza sul lavoro e alla tutela ambientale.

Le leggi a difesa dell’ambiente sono viste come un po’ come vincolo allo sviluppo, è davvero così?
“Secondo me, al contrario, sono state un volano perché, a partire dalla normativa dell’ambiente e sicurezza, hanno profondamente cambiato la nostra industria, e l’hanno cambiata dall’interno. Gli anni ’70 ’80 ’90 sono stati quelli dell’amianto, gli anni di una industrializzazione molto forte, molto selvaggia, si può dire senza regole. Secondo me la domanda da porsi ora è quale modello di sviluppo vogliamo avere noi da tramandare anche ai nostri figli. Tutti i sistemi di certificazione, Uni-Iso 14.001 per l’ambiente, Uni-Iso 45.001 per la sicurezza, hanno indubbiamente migliorato la gestione integrata, non posso pensare che siano stati un freno. E’ vero anche però che una deregolamentazione sarebbe possibile, come fanno alcuni Paesi non europei, penso in primis alla Cina, però con il rischio di grandi disastri ambientali”.

Esiste quindi una sintesi tra transizione ecologica, difesa dell’ambiente, costi sociali ed economici?
“Lavorando molto nel settore dell’energia quello che stupisce non è il progetto di una transizione energetica ma come è stato impostato. Perché noi dobbiamo pensare a un mondo in cui le persone siano al centro: allora, ad esempio, la fine dei motori endotermici imposta per legge è una cosa che probabilmente riuscirà a fare la California ma nessun altro al mondo. E questo crea un problema dal punto di vista industriale molto grave, perché noi non abbiamo strutture per realizzare macchine elettriche, mentre i cinesi sì. E questo, a sua volta, crea un problema di concorrenza: rischiamo di distruggere l’industria europea per favorire un’industria straniera con una ricaduta sui posti di lavoro molto significativa. Ma soprattutto, quello che sta emergendo in quest’ultimo periodo, è il rischio che si tratti di una transizione che favorisca prettamente la upper class: una persona non particolarmente abbiente non può comprarsi un’auto elettrica con i costi di oggi. Mi sembra una rivoluzione energetica che ha un impatto sociale non indifferente per una certa fascia di popolazione”.

E quindi?
“Io credo che si possa e si debba attuare una riconversione energetica, ma questa ha dei costi e sono dei costi che dobbiamo affrontare tutti insieme, perché se no diventa discriminatorio. Io ricordo sempre che la guerra in Ucraina ha portato alla riapertura delle centrali a carbone. Però nessuno ne parla, perché in questo momento non si può fare diversamente. E tra l’altro continuiamo a vivere sempre meglio, ad avere sempre condizionatori più potenti, macchine più potenti… Tutto questo ha dei costi energetici molto forti che non sono compatibili con la visione dell’ambiente che ci viene prospettata. Bisogna far pace con questa cosa. O si accetta una società con meno privilegi, ma forse più tollerante del sistema ambientale in generale, della salute di tutti noi, oppure bisogna capire che più consumiamo più costiamo”.

Da questo punto di vista il diritto come può agire?
“Il diritto può agire nel momento in cui il legislatore ha le idee chiare, se no qualunque norma è sbagliata, perché è falsata da un’errata interpretazione della realtà. Quindi io dico che ci vuole un grande piano energetico europeo di lungo periodo, che non è fatto a vent’anni. Bisogna avere una prospettiva a cinquant’anni”.

L’Europa sta portando avanti il ‘green deal’…
“Sì ma pensiamo alla direttiva sulle case green: non mi pare una normativa che sia applicabile alla realtà italiana perché non si può andare dalla gente che guadagna 1.200 euro al mese e dire che nei prossimi dieci anni deve investire 30.000 euro l’anno per rendere la casa ecocompatibile. È surreale questa richiesta”.

Secondo lei questa corsa al green rischia di costringere le aziende a fare greenwashing?
“Il vero problema è che i parametri non sono codificati. C’è la necessità di regolamentare questo settore con una normativa europea che deve valere per tutti. E che forse c’è già, come dicevamo, ma dovrebbe essere unificata e i criteri dovrebbero essere certi e applicabili a tutti. Soprattutto, devono essere accessibili a step, con un programma di lungo corso. Diversamente ognuno può dire di essere green a modo suo”.

Il vostro studio ha messo a punto una strategia Esg.
“Abbiamo fatto una riflessione seria che ha rappresentato un costo per noi. Tra le policy introdotte figurano quelle mirate a ridurre al minimo l’impatto dell’attività professionale sull’ambiente; a tutelare gli interessi dei propri clienti attraverso l’utilizzo di applicativi e sistemi digitali per la condivisione delle informazioni relative alle pratiche; a favorire il work-life balance dei collaboratori e dipendenti; e a sostenere, in maniera concreta, progetti dedicati al supporto delle categorie più deboli. Dal punto di vista ambientale abbiamo introdotto bottiglie di vetro, abbiamo introdotto sulla mobilità sostenibile una parte dove si consiglia ove possibile di utilizzare dei sistemi alternativi. Cerchiamo di stampare il meno possibile su carta”.

A livello generale, secondo lei la normativa ‘ambientale’ dovrebbe essere meno stringente?
“L’unico vincolo che metterei è quello idrogeologico perché in Italia è un problema. Vi sono vincoli paesaggistici molto datati nel tempo e che hanno una forte matrice ideologica. Io cercherei di essere un pochino più pragmatico. Ma anche qui, attenzione: non è che le alluvioni o i disastri ambientali che abbiamo visto in questi anni sono stati causati da campi fotovoltaici o da campi eolici. Sono stati dettati da uno sviluppo di piani regolatori dissennati o dalla mancata pulizia dell’alveo dei torrenti. Il tema, quindi, è quello di concentrarci su quello che ha veramente bisogno il Paese oggi evitando facili suggestioni o mode passeggere che spesso sono slegate dalle reali esigenze delle collettività”.

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I 60 anni di Philip Morris in Italia: focus su sostenibilità e contro inquinamento ambientale

Philip Morris celebra sessant’anni in Italia. Anni durante i quali l’impegno nel Paese è sempre cresciuto, arrivando a realizzare una filiera integrata che oggi coinvolge in tutta Italia oltre 38.000 persone impegnate verso un unico obiettivo: realizzare un futuro senza fumo. È proprio alle persone che hanno reso l’Italia protagonista di questa trasformazione che l’azienda dedica la campagna di comunicazione ’60 anni di Philip Morris in Italia. Una storia di innovazione’.

Pochi avrebbero immaginato che da una fabbrica di filtri per sigarette sarebbe nata una delle più grandi trasformazioni industriali volta a rendere le sigarette un ricordo del passato, anche attraverso la sostituzione delle sigarette con prodotti senza combustione per quei fumatori adulti che altrimenti continuerebbero a fumare. Una trasformazione attenta a generare valore condiviso per la società, con ricadute positive su tutta la filiera, dal tessuto sociale a quello economico e occupazionale. Tutto questo è stato possibile grazie alle persone, a partire dalle 35 con le quali abbiamo iniziato nel 1963 alle oltre 38 mila di oggi impegnate in tutta la filiera”, ha commentato Marco Hannappel, presidente e amministratore delegato di Philip Morris Italia e presidente Europa Sud-Occidentale di Philip Morris International.

Una storia, quella di Philip Morris in Italia, che ha visto costanti investimenti accompagnati da un’attenzione sempre crescente ai temi di sostenibilità ambientale e sociale, per dare un contributo concreto alla transizione verso il modello di sviluppo sostenibile delineato dall’Agenda 2030 e sviluppare una strategia ESG di lungo periodo.

LA STORIA. La storia dell’azienda nel Paese inizia nel 1963, negli anni del “miracolo economico italiano”, a Zola Predosa, in provincia di Bologna, con l’apertura del sito produttivo di Intertaba S.p.A., specializzato nella produzione di filtri ad alto contenuto tecnologico per il Monopolio italiano. Negli anni successivi l’azienda continua a crescere, ponendo le basi per la svolta che renderà l’Italia il centro della trasformazione dell’intero gruppo Philip Morris a livello mondiale. Dai primi anni duemila Philip Morris inizia un percorso volto a sostenere lo sviluppo di una filiera agricola che metta al centro i coltivatori. Un percorso che grazie agli accordi pluriennali con il ministero dell’Agricoltura e Coldiretti genera investimenti per oltre 2 miliardi di euro a favore di 1.000 imprese agricole e oltre 22.000 agricoltori in Campania, Umbria, Veneto e Toscana. Una filiera corta che negli anni è diventato un modello internazionale di sostenibilità, digitalizzazione e competitività. Nel 2014 l’annuncio della realizzazione, sempre in provincia di Bologna, del primo polo produttivo al mondo per la realizzazione di prodotti innovativi del tabacco senza combustione: Philip Morris Manufacturing & Technology Bologna diventa il centro internazionale per “costruire un futuro senza fumo”, anche mediante la sostituzione delle sigarette con prodotti innovativi senza combustione per quei fumatori adulti che altrimenti continuerebbero a fumare. Un investimento di oltre 1,2 miliardi di euro reso possibile grazie alle competenze sviluppate sui filtri ad alto contenuto tecnologico e alla collaborazione instaurata con i partner locali della filiera agricola, del packaging e della meccatronica.

SOSTENIBILITA’ INDUSTRIALE. L’Italia acquisisce così centralità nella strategia di Philip Morris International a livello globale, aprendo la strada a un flusso di investimenti che arricchiscono la filiera dell’azienda nel Paese: nel 2021 viene annunciata la realizzazione, presso il polo di Bologna, del Centro per l’Eccellenza Industriale, il più grande al mondo del gruppo per innovazione di prodotto, di processo e per le buone pratiche di sostenibilità industriale; nel 2022 l’azienda inaugura il suo centro per l’alta formazione e lo sviluppo delle competenze legate all’Industria 4.0: il Philip Morris Institute for Manufacturing Competences; l’inaugurazione di tre DISC (Digital Information Service Center) a Taranto, Caserta e Terni, centri avanzati di assistenza sui prodotti innovativi senza combustione, completa la filiera dal seme fino ai servizi al consumatore. Nell’ambito della dimensione sociale, nel corso di questi anni l’azienda si è concentrata sulla popolazione della propria filiera con progetti che garantissero salute, sicurezza, pari opportunità e benessere. Le certificazioni ‘Top Employer’ e ‘Equal Salary’, conseguite da anni, dimostrano la grande attenzione dell’azienda ed il suo continuo impegno per creare un contesto di lavoro giusto ed inclusivo.

I COMPORTAMENTI AMBIENTALI. Dal 2019 l’azienda si è impegnata per coinvolgere i propri consumatori verso comportamenti ambientali più consapevoli e responsabili: ‘CAMBIAGESTO’, la più grande campagna di sensibilizzazione per prevenire l’inquinamento da mozziconi mai realizzata in Italia, ne è un esempio di grande successo. Del 2021 la sottoscrizione del Codice di Autoregolamentazione promosso da Eurispes per la comunicazione e vendita attenta e responsabile dei prodotti senza combustione. L’azienda ha inoltre dimostrato in questi anni un impegno continuo e costante verso le tematiche di sostenibilità ambientale, affrontate sia in ambito agricolo che manifatturiero. La certificazione ‘Alliance for Water Stewardship (AWS)’, ottenuta per la prima volta nel 2019 e giunta ormai al suo livello GOLD per il sito produttivo di Bologna, ha testimoniato l’utilizzo responsabile delle risorse idriche del territorio, riconfermando l’impegno dell’azienda a favore di uno sviluppo sostenibile. Dal punto di vista energetico l’azienda ha messo in atto un piano congiunto di iniziative volte a minimizzare il proprio impatto ambientale, come la realizzazione di un parco fotovoltaico a copertura del 75% del sito di Crespellano e l’importante progetto ‘Zero Carbon Tech’, ancora in corso per garantire il raggiungimento della Carbon Neutrality del sito produttivo entro il 2025. In ambito agricolo in tutti questi anni l’azienda ha investito non solo in progetti di ricerca ed innovazione, come il Leaf Innovation Hub, per favorire la transizione green della filiera tabacchicola, ma anche direttamente in progetti per promuovere la biodiversità e la tutela delle risorse naturali (BeeLeaf).

Martinelli (Amazon): Obiettivo raggiunto con progetto pilota su Raee e batterie da e-commerce

Siamo molto orgogliosi di aver potuto realizzare con il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica e i consorzi questo progetto pilota volto a garantire la raccolta e lo smaltimento dei prodotti Raee e batterie che vengono immessi sul mercato attraverso la vendita di questi prodotti da parte di coloro che utilizzano la nostra vetrina“. Lo dice la Policy and Strategy Director di Amazon Italia, Bianca Martinelli, a GEA, a margine della presentazione dei risultati dell’accordo di programma tra il Mase, Amazon Services Europe Sarl e i consorzi Erp Italia, Erion Weee, Erion Energy per la sperimentazione di un modello di Responsabilità estesa del produttore per gli online marketplace, con specifico riferimento ai alle pile, alle batterie e ai Raee. “L’obiettivo, raggiunto, di questo accordo è garantire che tutti i prodotti immessi sul mercato, venduti attraverso il nostro marketplace, abbiano un sistema di raccolta e di smaltimento corretto – spiega -. Per questo Amazon, con i consorzi e il ministero, attraverso il tavolo tecnico, ha messo a punto un sistema che possa consentire un modello semplificato per la quantificazione dell’immesso sul mercato, la definizione dei contributi per lo smaltimento che devono essere calcolati sulla base dei diversi prodotti immessi sul mercato e, poi, il pagamento ai consorzi per la gestione delle loro attività“.

Mattarella

Mattarella: Sostenibilità, finanza, innovazione per futuro del Pianeta

Il futuro del Pianeta passa da una “governance adeguata“, che resta lo “strumento per vincere le sfide globali“. Lo dice il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella sua Palermo, per la sedicesima edizione del Simposio Cotec Europa, dedicata al tema ‘Innovazione nella finanza sostenibile’, assieme al Re di Spagna, Felipe VI, e al presidente della Repubblica del Portogallo, Marcelo Rebelo de Sousa. Il discorso del capo dello Stato è ad ampio raggio, ma con un preciso punto di partenza: “Sostenibilità, finanza e innovazione” sono “parole chiave” che “trovano largo spazio nell’agenda internazionale e interpellano i Governi“. Per questo la riflessione sul potere trasformativo dell’innovazione tocca tutti i settori “anche quello della finanza e sul ruolo di quest’ultima nel mobilitare risorse per obiettivi di inclusione e crescita“. Mattarella guarda a quelle che definisce “trasformazioni gemelle“, la transizione digitale e quella ecologica e “al significato che assumono per una gestione responsabile dell’avvenire del pianeta e un modello di sviluppo equo“.

Perché “si tratti dell’ambiente, della salute, dell’istruzione, della lotta alla povertà, della tutela dei diritti fondamentali, il combinato di tali sfide appare immane e certamente tale da necessitare non solo la mobilitazione di risorse di matrice pubblica ma anche il coinvolgimento della società civile“. Gli effetti del cambiamento climaticosono sotto gli occhi di tutti“, dunque, alla “pressante esigenza di fornire risposte attendibili e durature” si aggiunge la “necessità di porre riparo a disuguaglianze che accrescono, in molteplici aree del globo“. Equità è un termine che ricorre spesso negli interventi pubblici del presidente della Repubblica, anche per questo motivo rileva come “pandemia e rinnovate tensioni internazionali, a partire dalla guerra scatenata dalla Federazione Russa contro l’indipendenza dell’Ucraina, hanno provocato un rallentamento delle economie, con una contrazione delle capacità di spesa in tutti i Paesi, soprattutto in quelli a più basso reddito“.

Tra l’altro, avverte, “le tensioni geopolitiche rischiano di alimentare progressive fratture nei rapporti internazionali, tali da compromettere il contesto degli accordi raggiunti in sede globale nello stesso sistema delle Nazioni Unite“. Con il rischio di “riproporre la narrativa di un mondo diviso tra un ‘club’ di Paesi agiati e arroccati nel loro egoismo, di Paesi protagonisti, come i Brics, di un impetuoso, talvolta contraddittorio, ciclo di sviluppo e, infine, di Paesi del sud abbandonati a un destino di povertà“. Una lettura respinta da Italia, Spagna e Portogallo, che non vogliono “arrendersi a una deriva di questo tipo“. Però, spiega Mattarella, “non possiamo farci guidare soltanto dalle emergenze“, quindi “l‘impegno nella realizzazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite richiama a un’azione ad ampio raggio, in grado di coinvolgere più attori possibili“. Ergo “La sola mobilitazione di risorse pubbliche, come è stato osservato, risulterebbe in ogni caso insufficiente” e diventa “vitale dar vita a un processo virtuoso con il coinvolgimento del settore privato in partenariati che moltiplichino le capacità di spesa“. Ma “il sistema finanziario deve applicare meccanismi e regole efficaci per indirizzare sempre più risorse private verso settori e progetti sostenibili da un punto di vista ambientale e sociale“.

Il capo dello Stato, inoltre, considera “del tutto incongruo” che i Paesi emergenti e quelli in via di sviluppo “accettino di pagare il prezzo ambientale e sociale che ha pesato sui Paesi di più remota industrializzazione nel loro percorso di crescita“. In questo scenario si inserisce il monito sulla “riforma dell’architettura finanziaria internazionale” che Mattarella considera “una prima sfida per rendere disponibili maggiori risorse per lo sviluppo, principalmente attraverso riforme mirate ad una migliore efficienza delle banche multilaterali di settore“, non dimenticando che “la diplomazia della crescita sostenibile identifica anzitutto nel capitale umano la forza trainante di un futuro fatto di sostenibilità, innovazione e inclusività“.

L’Italia “è chiamata a fare la sua parte“, ricorda ancora il presidente della Repubblica, elencando i prossimi appuntamenti multilaterali: il secondo vertice Onu sui Sistemi Alimentari di luglio, il G20 e la Cop28. Ma allo stesso tempo “occorre proseguire una riflessione condivisa sulle innovazioni che effettivamente possano sostenere un’agenda di accelerazione verso gli obiettivi delineati in sede Onu” e su questi temi “Spagna, Portogallo, Italia, con l’Unione europea, possono assolvere a un ruolo importante“, come quello di “favorire il consolidamento e l’integrazione delle finanze pubbliche dei Paesi emergenti, anche per aumentare la loro capacità di attrarre finanziamenti internazionali destinati all’ammodernamento sostenibile“. E poi l’innovazione, cogliendo “l’opportunità di finanziare la formazione, la ricerca e l’applicazione di nuove tecnologie nei Paesi partner“. Perché il domani passa anche da questi fattori.

Quell’indimenticabile “Cari amici di Gea, grazie per l’intervista”

Cari amici di Gea, un grazie cordiale per avermi chiesto questa intervista”.

Era settembre 2022, Gea aveva da poco compiuto i suoi primi sei mesi di vita, eppure Silvio Berlusconi si era posto con noi come se fossimo un’agenzia di stampa che di anni ne ha sessanta o forse più. Non aveva avuto la puzza sotto il naso, non aveva usato il bilancino dell’opportunismo per dire sì o no a una chiacchierata in clima pre-elettorale. L’aveva fatta e basta, dilungandosi sulle bollette – che allora più di adesso stavano opprimendo gli italiani -, sui rigassificatori di Piombino e Ravenna per arrivare più in fretta all’autonomia energetica, sull’ambiente e sulla necessità di salvare il Pianeta salvaguardando il clima. Un milione di alberi da piantumare, aveva confermato. E aveva anche tirato le orecchie alla Ue per le auto elettriche che mettevano in ginocchio un’intera filiera produttiva. Una lunga ed esaustiva videointervista, l’eredità politica in ambito ecologico ed energetico del senatore di Arcore che di lì a poco avrebbe prodotto Gilberto Pichetto Fratin ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica.

Al di là e al di sopra di qualsiasi giudizio politico che lasciamo alla sensibilità di ciascuno, noi di Gea Silvio Berlusconi vogliamo ricordarlo così, con quel “grazie per avermi chiesto l’intervista” quando, in realtà, eravamo noi a doverlo ringraziare. Un comunicatore eccellente, il Cav, un affabulatore eccezionale fin da quando avemmo l’opportunità di conoscerlo a Milanello, nella sala del caminetto, divanetti bianchi, chiacchiere in libertà sul calcio di Arrigo Sacchi, Paolo Maldini e Marco van Basten. Una vita fa, assaiprima che decidesse di “scendere in campo” per giocare la partita politica. Un fuoriclasse della parola, questo è innegabile per tutti. E della disponibilità.

foreste

Foreste polmone d’Italia. Pichetto: Patrimonio da tutelare a tutto campo

Nove milioni di ettari, una superficie di aree protette da oltre 3,8 milioni di ettari e parchi nazionali di oltre 250mila ettari. Sono i numeri del patrimonio forestale italiano, che il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, a ragion veduta, definisce “immenso, il più ricco di biodiversità d’Europa“.

Ma un tesoro così prezioso va tutelato e curato, con costanza e abnegazione, due delle qualità più spiccate dei Carabinieri, che tramite il Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari “è custode del nostro meraviglioso patrimonio boschivo e delle specie che lo abitano, tramite una complessa azione combinata: monitoraggio e controllo del territorio, prevenzione e repressione degli illeciti connessi, studi e ricerca ed educazione alla legalità ambientale“, ricorda il comandante generale dell’Arma, Teo Luzi, al convegno The Forest Factor ‘Più natura per combattere il riscaldamento globale’.

Sul palco dell’Aula magna dell’università Roma Tre sono tanti gli attori, nazionali e internazionali, a prendere la parola. “La grande novità degli ultimi mesi è l’inserimento nella Costituzione della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi e l’indicazione che la legge dello Stato deve disciplinare ‘i modi e le forme della tutela degli animali“, sottolinea ancora Pichetto. Aggiungendo che “il nuovo dettato Costituzionale è una sfida per il Parlamento che lo deve attuare, e per il Governo che deve agire in linea con nuovi i principi indicati nella Carta“. Per il responsabile del Mase le azioni del ministero e quello dei Carabinieri “sono importantissime, perché sono la tutela e il controllo del nostro territorio”. Del resto, “i due terzi dell’Italia sono montagne e collina, dunque è necessario un presidio puntuale, che l’Arma dei Carabinieri fa. È un’operazione a tutto campo che ha come obiettivo quello di conservare la biodiversità e tutelare il nostro territorio. Agendo nell’ottica di contrastare il cambiamento climatico, aumentare la forestazione del Paese, anche con una manutenzione e un controllo opportuno“.

Ci sono molti aspetti che molta parte, forse troppa, dei cittadini non conosce di questo prezioso patrimonio. Non a caso il generale Luzi puntualizza che “l’Italia è depositaria di una grande cultura ambientale e abbiamo anche la responsabilità di portarla in giro per il mondo, ma non è una forma di colonizzazione. È un confronto con altre culture e una condivisione di temi e obiettivi“. Anche perché “le foreste, pur giocando un ruolo cruciale nella lotta alla povertà e nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile grazie ai loro impagabili benefici ecologici, economici e sociali, sono sempre al centro di pericoli derivanti da incendi, parassiti, siccità e disboscamento“, avvisa il comandante generale dei Carabinieri. Denunciando: “Il protrarsi della deforestazione sta riducendo questa difesa ed oltre il 30% delle nuove malattie segnalate dal 1960 ad oggi sono da attribuirsi a cambiamenti nell’uso del suolo, inclusa la deforestazione. I nostri boschi sono anche farmacie naturali“. I numeri sono impressionanti: “Delle oltre 60mila specie di alberi presenti nel mondo tantissime hanno valore medicinale. Eppure continuiamo a depredarli“.

A livello globale, spiega ancora Luzi, “il mondo sta perdendo 10 milioni di ettari di foresta ogni anno a causa della deforestazione, più o meno quanto la superficie dell’Islanda”. Per questo l’Arma “soprattutto attraverso il Cufa, è custode del nostro meraviglioso patrimonio boschivo e delle specie che lo abitano” e “la presenza capillare di circa 1.000 presidi della specialità forestale, costituisce un insostituibile elemento di prossimità ambientale, di interfaccia tra uomo e natura, tra produzione e conservazione sotto il segno della legalità e di aiuto alle comunità“.

L’attenzione deve essere massima, però, anche dalle istituzioni, soprattutto quelle locali. Al Forest Factor ne parla il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, che pone l’accento su un aspetto in particolare: “La natura deve tornare ad essere amica della comunità. Dobbiamo educare fin da piccoli i nostri giovani cittadini ad amare, custodire e renderla preziosa – aggiunge -. Anche in ambienti antropizzati, su cui l’attenzione deve essere particolare“. Per il governatore “dobbiamo restituire ai nostri cittadini un amore verso l’ambiente e la natura e non far vivere i parchi come nemici della comunità“. Un obiettivo che politica, istituzioni e società civile stanno facendo diventare sempre più centrale e prioritario.

La ‘discarica’ Himalaya: 1,6 tonnellate di rifiuti di plastica

Montagne di lattine, tende, tubi e bottiglie in PVC: la plastica è ovunque, anche sulle vette più alte del mondo. Un esploratore francese e il suo team hanno appena trovato 1,6 tonnellate di rifiuti di plastica sull’Himalaya, proprio mentre si stanno avviando i negoziati per cercare di ridurre questo tipo inquinamento a livello mondiale. “È una vera e propria discarica. Dietro ogni roccia si trovano bombole di ossigeno, lattine, teli da tenda, scarpe, è davvero assurdo“, racconta Luc Boisnard dal Nepal, di ritorno dal suo primo tentativo di scalare il Makalu, a 8.485 metri, dove spera di tornare presto. L’obiettivo di questo 53enne direttore d’azienda e alpinista di lunga data è quello di ripulire le alte vette, molte delle quali “sono diventate anche gigantesche pattumiere“.

Himalayan Clean-Up è il nome dell’operazione e dell’associazione che ha creato intorno ad essa. La spedizione sul Makalu, partita a fine marzo, è la sua seconda dopo la scalata dell’Everest nel 2010. Contemporaneamente, un altro membro dell’associazione è appena tornato dall’Annapurna (8.091 m). Da queste due ascensioni, i due uomini, aiutati ciascuno da una decina di sherpa, hanno già riportato indietro 3,7 tonnellate di rifiuti, il 45% dei quali è plastica (1.100 kg sul Makalu e 550 kg sull’Annapurna). È l’ennesima dimostrazione dell’onnipresenza di questo materiale derivato dal petrolio, proprio mentre lunedì inizia a Parigi il secondo ciclo di negoziati per cercare di elaborare un trattato giuridicamente vincolante sotto l’egida delle Nazioni Unite per porre fine all’inquinamento da plastica entro la fine del 2024. Durante la sua prima spedizione sul tetto del mondo, Boisnard aveva già riportato indietro una tonnellata di rifiuti, tra cui 550 kg di plastica.

La maggior parte di questi rifiuti sono residui di spedizioni ad alta quota, accumulati a partire dal 1920, quando la regione fu aperta per la prima volta al turismo. Nel tentativo di alleggerire i loro zaini – e a volte con scarso rispetto per l’ambiente – alcuni alpinisti in erba lasciano deliberatamente alcuni dei loro effetti personali intorno ai campi base o addirittura sui sentieri che portano alle vette. Alcuni di essi “vengono anche gettati nei ghiacciai dell’Himalaya, dove non riemergeranno per altri 200 anni“, afferma Boisnard. Queste plastiche si disintegrano lentamente, inquinando a lungo termine non solo i paesaggi ma anche i fiumi. Già nel 2019, uno studio scientifico aveva dimostrato la presenza di microplastiche (fibre di poliestere, acrilico, nylon e polipropilene) al di sopra degli 8.000 metri, anche nella neve.

Oltre alla questione dei rifiuti, il primo obiettivo del futuro trattato sulla plastica sarà quello di “ridurre l’uso e la produzione di plastica”. In 20 anni la produzione di plastica è più che raddoppiata, raggiungendo i 460 milioni di tonnellate all’anno, e potrebbe triplicare ancora entro il 2060 se non si interviene. Due terzi vengono gettati via dopo uno o pochi utilizzi e meno del 10% dei rifiuti di plastica viene riciclato. Oltre che sulle montagne, la plastica di tutte le dimensioni si trova in massa anche sul fondo degli oceani, nei ghiacci, nello stomaco degli uccelli… e talvolta nel sangue umano, nel latte materno o nella placenta.