Ma insomma, gli Stati vogliono un accordo sul price cap del gas?

La storia del price cap, ovvero di porre un limite europeo al prezzo del gas, ha iniziato a puzzare pesantemente quando il 9 novembre il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha attaccato frontalmente la presidente della Commissione Ursula von der Leyen in Parlamento. Il belga accusava la tedesca di non essersi data da fare a sufficienza per presentare una proposta ai ministri dell’Unione.

Von de Leyen l’ha presa con filosofia, ha taciuto per una giornata, poi ha risposto. Ed ha risposto ricordando che abbondantemente prima dell’estate la Commissione, spinta anche da Mario Draghi, aveva espresso la necessità di un provvedimento del genere, proposta caduta però nel pressoché totale silenzio dei governi. Poi il 18 ottobre arrivò una prima idea scritta dai funzionari di von der Leyen, anche quella, vista e accantonata senza alcun seguito. Il 9 novembre bel bello Michel prende e attacca. Era iniziato lo scaricabarile (per non dire che il Belgio, Paese del quale Michel è stato primo ministro è tra i governi capofila a favore di un price cap).

La proposta della Commissione alla fine è arrivata di nuovo sul tavolo dei ministri. C’è voluto tempo per conoscerla tutta, è arrivata a pezzi e bocconi, prima estremamente vaga, poi sempre più dettagliata, fino al testo finale, sostanzialmente respinto dal Consiglio energia del 24 novembre. Ma non respinto del tutto, perché una nuova riunione per discuterne è alle viste il 13 dicembre, in un vertice convocato lì per lì, su due piedi (ed infatti manca ancora l’invito ufficiale). La Commissione ha già fatto sapere che non ci sarà una nuova proposta: “si mettessero d’accordo loro, a questo punto”.

Che gioco stanno giocando i governi? Un gioco di rinvio ad oltranza, scaricando però la responsabilità non sulla loro incapacità, forse anche impossibilità, a fare sintesi, ma sulla presunta o “vaghezza” o “timidezza” o “inutilità”, o “eccessività” della proposta della Commissione.

Il testo uscito dagli uffici della commissaria Kadri Simson è in effetti complesso, pieno di condizionalità, potrebbe anche non essere una buona proposta. Ma la verità è che è oggettivamente impossibile fare una proposta perché gli Stati ad ogni passo che vien fatto oppongono nuove resistenze, nuovi “ma”, nuovi giudizi di insufficienza. Si capisce dunque che la Commissione sia riluttante a presentare un testo che certamente verrà impallinato, anche perché dai governi non è venuta alcuna indicazione univoca per lavorare in una direzione o in un’altra.

Anche il fronte della quindicina di Stati favorevoli è in realtà ben poco compatto, con Paesi come il Belgio che già stanno lavorando a forme di price cap nazionali, o come l’italiano che nella totale incertezza del nuovo ministro Pichetto Fratin sembrano non aver un’idea chiara di dove stanno, perché e di dove vogliono arrivare.

I tedeschi son lì che difendono ad ogni prezzo (è il caso di dirlo) la loro interpretazione di sicurezza delle forniture, gli olandesi che non vogliono veder smontato il mercato del gas che ospitano ma che per praticamente univoca opinione oramai non funziona più e non si può più aggiustare.

Per una volta si può dire che la Commissione è impotente, di fronte alla oramai quasi evidente volontà degli Stati di non avere un price cap.

Manon Aubry

Aubry (Sinistra Ue): “Serve alternativa sociale e climatica a destra”

Le implicazioni delle elezioni italiane a livello europeo, il “pericolo” dell’estrema destra al governo e le priorità per affrontare la crisi energetica e climatica. L’eurodeputata francese e co-presidente del gruppo della Sinistra al Parlamento europeo, Manon Aubry, ha spiegato a GEA la sua prospettiva sul voto italiano del 25 settembre e cosa dovrebbe prevedere l’agenda del centro-sinistra per allinearsi alle aspettative delle forze progressiste a Bruxelles.

Cosa si aspetta dalle elezioni del 25 settembre?
“I sondaggi sembrano dire che vincerà la coalizione di destra/estrema destra e che il Partito Democratico non riuscirà a trovare una maggioranza dopo aver rifiutato di allearsi con i Cinque Stelle. Ma i sondaggi danno solo una tendenza e la campagna elettorale è appena iniziata”.

La preoccupa qualcosa in particolare?
“L’ascesa dei neofascisti e il potere accumulato dall’estrema destra in Italia. Se riuscissero a guidare un governo con la Lega e Berlusconi, sarebbe una cosa terribile per il popolo italiano”.

Cosa auspicherebbe per l’Italia?
“In questo contesto, abbiamo bisogno di un’alternativa forte alla destra, in grado di affrontare sia la crisi sociale sia quella climatica, di rispondere alle esigenze della gente, in particolare all’aumento dei prezzi, e di abbandonare le precedenti politiche liberali. Questa è anche l’unica risposta alle crescenti forze xenofobe”.

Quali sono i punti-chiave di un’agenda di sinistra?
“Le elezioni presidenziali e legislative francesi hanno dimostrato che la sinistra può accrescere il proprio sostegno popolare avendo una posizione politica chiara: allontanarsi dai dogmi neoliberisti e cambiare radicalmente il sistema economico. Hanno anche dimostrato che le agende femministe, antirazziste ed ecologiche devono essere al centro di una piattaforma di sinistra”.

Ed è soddisfatta dalle proposte elettorali del centro-sinistra italiano?
“Purtroppo il centro-sinistra italiano non ha imparato nessuna di queste lezioni. In passato ha approvato leggi a favore della precarizzazione del mercato del lavoro, innalzando l’età pensionabile (tra le più alte d’Europa). E temo che, in caso di vittoria, manterranno la stessa filosofia di liberismo economico, che li rende più vicini a Macron in Francia che alla nostra coalizione di sinistra Nupes”.

Per quanto riguarda il Piano nazionale di ripresa e resilienza dell’Italia, c’è da temere un fallimento con un prossimo governo, qualunque esso sia?
“Penso che sia il Next Generation Eu a rischiare di fallire, soprattutto a causa delle sue condizionalità economiche. Ero ovviamente favorevole a garantire la solidarietà europea e ad aiutare finanziariamente gli Stati membri più a rischio durante la pandemia. Ma all’epoca avevamo avvertito che le condizioni di austerità avrebbero creato enormi problemi in futuro”.

Problemi che intravede ora?
“La situazione è ancora più grave oggi, con un’inflazione senza precedenti, un aumento delle disuguaglianze e la classe operaia che fatica a sbarcare il lunario. E la risposta sarebbe quella di tagliare la spesa pubblica, i servizi pubblici, lo Stato sociale? Dobbiamo fare l’esatto contrario: la nostra priorità dovrebbe essere quella di porre un tetto ai prezzi dell’energia, proteggere i beni essenziali dalle regole del mercato e tassare gli speculatori che stanno lucrando sulla crisi”.

gas

I ritardi dell’Ue sugli acquisti congiunti di gas

Non c’è data ancora per il primo acquisto congiunto di energia da parte dell’Unione europea. Anche se una piattaforma energetica comune, oggi, è più importante che mai di fronte alle minacce della Russia, che è pronta a tagliare completamente le forniture all’Europa.

Sulla scia dell’acquisto comune dei vaccini durante la pandemia Covid-19, di fronte alla crisi energetica connessa alla guerra in Ucraina, Bruxelles ha lanciato lo scorso 7 aprile una piattaforma energetica a cui gli Stati membri possono aderire su base volontaria per negoziare e cercare approvvigionamenti di gas (e poi anche idrogeno e gas naturale liquefatto) prima del prossimo inverno per mantenere anche i prezzi più contenuti potendo gestire la domanda a livello comunitario e non nazionale.

La realtà è anche che, proprio come è stato per l’acquisto congiunto di vaccini, la Commissione europea cerca attraverso la piattaforma comune anche di evitare che ci sia concorrenza tra i Paesi membri dell’Ue nell’acquisto di forniture, data la necessità di accelerare con la diversificazione dei fornitori e riempire le riserve. La Russia è il più grande fornitore di gas all’Europa. Fino allo scorso anno, Bruxelles ha importato da Mosca il 40% delle sue forniture di gas. Con l’inizio della guerra di Russia in Ucraina e l’impegno dei leader Ue a porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili russi entro il 2027 (nel piano RePowerEu), la percentuale si è già ridotta a meno del 30%, che però richiede uno sforzo ulteriore di compensazione.

La piattaforma è stata lanciata e il lavoro organizzato attraverso una serie di task force che saranno istituite su base regionale: la prima è nata a Sofia, in Bulgaria, per monitorare il fabbisogno di gas ed elettricità, i prezzi e i flussi del gas in Bulgaria e con i vicini dell’Europa sudorientale; la seconda è stata creata all’inizio del mese per occuparsi dei Paesi dell’Europa centro-orientale (Italia, Austria, Germania, Repubblica ceca, Ungheria, Polonia, Slovenia, Croazia e Slovacchia) insieme a Ucraina e Moldavia. Ora però mancano gli acquisti comuni e la Commissione Ue, interpellata, sceglie di non commentare.

Fonti europee spiegano che in questo momento si stanno studiando ancora varie formule per rendere operativa la piattaforma, che sta richiedendo più lavoro giuridico e tecnico di quanto la Commissione si sarebbe aspettata. Questo perché gli acquisti comuni non sono in capo ai governi ma agli operatori privati, quindi “occorre trovare un veicolo giuridico che consenta loro di agire”.

Martedì scorso, gli Stati membri dell’Ue hanno dato via libera al piano per una riduzione volontaria del 15% della domanda di gas (sulla media dei consumi degli ultimi cinque anni) tra agosto e marzo, per prepararsi a possibili interruzioni dell’approvvigionamento questo inverno da parte di Mosca. Nel testo dell’accordo raggiunto al Consiglio energia, i governi hanno aggiunto l’esortazione ad accelerare sugli acquisti comuni di gas, anche perché serviranno ad aiutarli a riempire le riserve come richiesto da Bruxelles all’80% della capacità entro il primo novembre (la media europea è poco sopra il 66%, mentre l’Italia è sopra il 71%), mentre Mosca continua a centellinare il gas all’Europa continuando a ridurre i flussi dal gasdotto Nord Stream 1, che collega la Russia direttamente alla Germania settentrionale attraverso il Mar Baltico.

Draghi

La crisi italiana spaventa Bruxelles. Quale futuro per Pnrr e sostenibilità?

Se Roma è nella bufera, Bruxelles trema. È sempre stato così, per le crisi politiche in Italia e nei Paesi chiave dell’Unione, ma questa volta c’è qualche preoccupazione in più. Se, come ci spiegava un membro di un gabinetto di vertice della Commissione europea “che ci sia una crisi di governo in Italia, in sé, non ci sorprende più di tanto, ci siano abituati da decenni”, ora, di fronte al più grande intervento finanziario mai organizzato dall’Unione europea e disegnato proprio attorno alle esigenze dell’Italia “siamo davvero preoccupati, e tanto”. Perché il piano Next Generation Eu, all’interno del quale è il Pnrr italiano, riguarda tutta l’Unione ma non può funzionare senza l’Italia, alla quale sono andate ben la metà delle risorse messe a disposizione dei 27.

Il pacchetto di interventi è stato pensato per dare a Roma la possibilità di agganciarsi al carro delle economie più forti dell’Unione, ammodernando il suo sistema produttivo in chiave sostenibile. Non è un progetto come tanti altri, e parole come “rivoluzionario”, “storico”, “epocale” si sono sprecate per descriverne l’importanza. All’inizio il piano era stato affidato nelle mani del governo Pd/5 Stelle ma poi, con grande sollievo, chiaramente percepito qui a Bruxelles, era passato alle cure di Mario Draghi, considerato in Europa e nel Mondo una delle persone più esperte e affidabili. Insomma, a Bruxelles ci si sentiva relativamente tranquilli che questa volta l’Italia avrebbe in primo luogo speso i soldi (cosa che non avviene regolarmente con i fondi Ue) e che li avrebbe spesi bene, sostenendo con la sua crescita quella del resto dell’Unione.

Nel frattempo era arrivata la pandemia, e poi la guerra, e il comportamento lineare, chiaramente europeista, del governo Draghi ha permesso all’Italia di giocare un ruolo da protagonista negli ultimi mesi, che sempre più avrebbe potuto crescere viste le incertezze del governo tedesco e le obiettive difficoltà parlamentari di quello francese.

Eppure, come ha sintetizzato senza celare la rabbia il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, il balletto degli irresponsabili contro Draghi può provocare una tempesta perfetta“. L’ex presidente del Consiglio ha poi invitato a “voler bene all’Italia” nei “mesi difficili” che arriveranno, con i timori all’orizzonte per l’attuazione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) e gli investimenti necessari per la transizione verde. Essendo italiano Gentiloni ha potuto dirlo, il bon ton brussellese impedisce ai commissari di esprimere giudizi su Paesi che non siano il loro, ma il sentimento espresso è con ogni probabilità condiviso da molti.

Anche per l’incertezza di quel che seguirà. L’Unione europea un po’ per interesse, un po’ perché ama evitare i rischi, ama la stabilità, la continuità. Così come ha apprezzato che Giuseppe Conte, anche se non particolarmente stimato, rimanesse alla guida anche nel secondo governo della legislatura che sta per chiudersi, così ha imparato che storicamente, seppur con alcuni forti strattoni, di solito i governi italiani che si sono succeduti hanno conservato un atteggiamento per lo meno tendenzialmente collaborativo ed europeista.

Ora invece l’Italia pare muoversi verso qualcosa di radicalmente nuovo, con la possibilità di avere una presidente del Consiglio strettissimamente legata al premier ungherese Victor Orban, la bestia nera per l’Unione, quello che mette regolarmente i bastoni tra le ruote dei meccanismi dell’Ue, quello che ammicca a Vladimir Putin. Giorgia Meloni da mesi gira l’Europa (è la leader dei Conservatori europei) spiegando la sua idea sul futuro del 27, che è pieno di paletti e di punti ancora non espressi.

Per Bruxelles sarebbe un vero salto nel buio, e non può non tremare.

Von der Leyen domani in Azerbaigian, l’Ue cerca l’intesa sul gas

Se all’inizio dell’invasione dell’Ucraina un’interruzione “grave” delle forniture di gas russo all’Europa era solo possibile, oggi l’Unione europea è sempre più certa che ci sarà e dunque accelera il lavoro per diversificare i fornitori di energia. Lunedì 18 luglio, ha confermato venerdì (15 luglio) l’esecutivo comunitario, la presidente Ursula von der Leyen e la sua commissaria per l’energia, Kadri Simson, voleranno in Azerbaigian per “rafforzare ulteriormente la cooperazione esistente” tra i due partner. Cooperazione sopratutto energetica, di fronte a un possibile taglio alle forniture di gas dal principale fornitore all’Europa, la Russia.

Del viaggio a Baku dell’esecutivo comunitario aveva parlato per la prima volta lo scorso 27 giugno la commissaria Simson, al termine di un Consiglio dei ministri europei dell’energia in cui si era mostrata preoccupata della possibilità concreta di vedersi tagliare completamente il gas dalla Russia. Bruxelles si prepara dunque a siglare un memorandum d’intesa con l’Azerbaigian per aumentare le importazioni di gas provenienti dalla regione. “Il corridoio meridionale del gas ha un ruolo centrale da svolgere nell’approvvigionamento di gas naturale dell’Ue, in particolare per l’Europa sudorientale“, si legge in una nota dell’esecutivo comunitario in cui è stata comunicata la traversata.

Il memorandum dovrebbe spianare la strada al raddoppio della capacità del Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto TAP che trasporta in Europa il gas naturale proveniente dal giacimento gigante di Shah Deniz nel settore azero del Mar Caspio. Il gasdotto è lungo 878 km e si collega con il Trans Anatolian Pipeline (TANAP) al confine turco-greco a Kipoi, attraversa la Grecia e l’Albania e il Mar Adriatico, prima di approdare in Italia, a San Foca (in Puglia). A gennaio 2022 ha erogato circa 8 miliardi di metri cubi standard, con la previsione di raggiungere i 10 miliardi di metri cubi nell’estate 2022. Le trattative con Baku sono iniziate già lo scorso febbraio – nell’ottica di diminuire la dipendenza delle forniture dalla Russia, da cui provengono il 40% delle importazioni di gas all’Europa – per aumentare la capacità di erogazione massima da 10 miliardi di metri cubi l’anno a circa 20, raddoppiandone quindi la capacità.

A metà giugno Bruxelles aveva già siglato un memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente. L’insicurezza per ulteriori tagli alla fornitura di gas russo è aumentata questa settimana quando è iniziata la manutenzione programmata del gasdotto Nord Stream 1 che porta gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico. Impianti fermi almeno fino al 21 luglio, ma si teme un prolungamento del fermo anche oltre. A quanto riferito da Bruxelles, l’Ue e l’Azerbaigian stanno anche lavorando insieme per costruire un partenariato a lungo termine sull’energia pulita e l’efficienza energetica e negoziando un nuovo accordo globale, che consentirà una cooperazione rafforzata in un’ampia gamma di settori, tra cui la diversificazione economica, gli investimenti e il commercio.

Questa volta nel nuovo clima italiano ci avevano creduto anche a Bruxelles

Pochi giorni fa ero in un palazzo storico a Roma, in una splendida sala decorata con arazzi. Tutto splendido ma… faceva, per me, un gran caldo. “Mi spiace, ma sai, qui seguiamo le indicazioni del governo sull’uso dell’aria condizionata, anche per l’ambiente è meglio“, mi ha spiegato un amico che lì lavora. La sala era al palazzo del Quirinale, dove l’Ad della nostra società editoriale stava per essere ricevuto dal presidente Sergio Mattarella, ed io ero stato inserito nella lista degli ospiti dell’incontro. Io ho sudato, ma Mattarella no. Sono partito da qui perché una frase detta giovedì scorso dal commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, mi ha confermato in un’idea che ho in testa. Parlando della crisi di governo in Italia, Gentiloni ha detto, tra l’altro che “è il momento di fare fronte comune […] se lavoriamo insieme possiamo evitare la tempesta“.

Ecco, Gentiloni sarà pure italiano, ma la posizione che ha espresso è quella grazie alla quale l’Unione europea, superando storiche ed enormi divisioni, ha deciso uno slancio comune per superare la crisi creata dalla pandemia e, sulla scia dei principi del Green Deal, ha lanciato quello che in Italia chiamiamo ‘Pnrr’, il piano di ristrutturazione e rilancio delle economie dei Ventisette, che è partito, guarda caso, proprio per uno slancio fornito dall’allora “pensionato” Mario Draghi, che chiese con determinazione un intervento di questo tipo, prima con un intervento sul Financial Times e poi in un evento pubblico.

L’idea passò, come è noto, e passò anche per l’impegno che si prese Mattarella a far sì che il piano avesse successo anche in Italia, Paese al quale è stata destinata quasi la metà delle risorse complessive, perché il più in difficoltà, il più indietro su molti fronti del Green Deal, perché troppo grande per poter andare a gambe all’aria senza portarsi dietro buona parte del resto d’Europa.
La “Transizione verde” italiana poi è partita, ed è partita proprio con Draghi alla guida del governo. Mattarella e Draghi, un binomio che per i nostri partner è una garanzia di affidabilità, ed una buona ragione per sperare in un successo.

Restando alle parole di Gentiloni dunque a Bruxelles si segue “con preoccupato stupore” quel che sta accadendo in Italia. La preoccupazione è che una crisi “al buio” possa fermare il grande progetto del Next Generation EU (nel quale nasce il Pnrr), che la Transizione italiana possa subire una battuta d’arresto pericolosa, proprio quando si è vicini al rilascio della seconda tranche di finanziamenti, proprio quando i progetti devono essere “messi a terra“, devono iniziare ad essere realizzati.

La Transizione italiana non riguarda solo noi italiani, riguarda tutta l’Unione. Questa volta non si stratta di una crisi “normale” di quelle che a Bruxelles sono abituati a vedere in Italia, tanto che per la crisi in sé “non abbiano neanche tanta sorpresa“, ci dice un alto funzionario della Commissione. L’esito di questa fase è decisivo per il Green deal italiano, e un blocco, un rinvio sine die, una rimessa in discussione dei piani faticosamente discussi con la Commissione ed accettati dai partner, questa volta potrebbe costarci molto caro, potrebbe essere la fine per la crescita, sostenibile (o meno) del Paese che già ora si presenta come maglia nera in troppe classifiche.

(Photo credits: John MACDOUGALL / AFP)

draghi

Draghi: “Dipendenza da gas russo scesa al 25%, stoccaggi procedono bene”

Stanno arrivando i primi risultati provenienti dagli sforzi fatti per diversificare le forniture di gas, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’energia russa. Durante la conferenza stampa che si è tenuta al termine del Consiglio europeo, il premier Mario Draghi ha analizzato con una certa soddisfazione gli sviluppi di una situazione da monitorare costantemente per colpa della guerra russo-ucraina: “Voglio ricordare che l’anno scorso dipendevamo per il 40% dal gas russo, oggi siamo arrivati al 25%, quindi le misure che il governo ha messo in campo già dall’inizio della guerra si stanno rivelando utili“, l’annuncio. In altre parole gli altri fornitori di gas cominciano a sostituire il flusso in arrivo dalla Russia. E non solo: “Per gli stoccaggi ci stiamo preparando per l’inverno e, al momento, stanno andando molto bene“.

Per quanto riguarda invece il discorso relativo al price cap, l’obiezione è solo una: “La paura di nuovi tagli da Mosca”, avverte Draghi. “Ci deve essere solidarietà, ma anche una risposta alle richieste di controllare il tetto sul prezzo del gas”. Nonostante la proposta avanzata dal premier di convocare un vertice straordinario a luglio per affrontare l’argomento, i piani per la Ue restano quelli di discuterne solo all’Eurosummit, che avrà luogo a ottobre. Ma c’è comunque soddisfazione: “Immaginavo – spiega l’ex presidente Bce – che alla fine saremmo finiti nel solito rinvio, con un linguaggio un po’ vago“. Al contrario, “le cose si stanno muovendo, ma le cose non vengono da sole e spesso non subito o non così rapidamente”. In ogni caso, Draghi è sicuro che al G7 se ne parlerà: “Gli Usa sono consapevoli delle difficoltà che stiamo incontrando per le sanzioni, che sono molto pesanti per noi. Gli Stati Uniti hanno già deciso qualche misura di aiuto nel portare gas liquido in Europa, ma sono cifre molto contenute ancora. Sono preoccupati soprattutto del prezzo del petrolio, in quel senso è stata avanzata l’ipotesi di un price cap” anche per il greggio.

(Photo credits: JOHN THYS / AFP)

Un 2 giugno ‘diverso’ a Bruxelles anche in chiave mobilità elettrica

Una Festa del 2 giugno diversa dal solito quest’anno, a partire da Roma, dove alla tradizionale parata militare i capofila sono stati gli infermieri, i medici, il personale sanitario che hanno combattuto una vera guerra contro il Covid, contando anche molte, forse troppe, vittime nelle loro stesse fila. Sono questi gli eroi moderni che vorremmo celebrare, non quelli che devono difendere la propria vita con le armi contro un’aggressore. Ma questo, anche questo, purtroppo è quel che il mondo ci sta offrendo.

Tornando alla Festa del 2 giugno, nella quale celebriamo la nascita della nostra Repubblica, mi ha particolarmente e positivamente colpito l’immagine che l’Italia ha saputo dare di sé nella celebrazione qui a Bruxelles.

Era diventato un evento un po’ stanco, ripetitivo: un’ammucchiata di italiani, per lo più attempati, che si riunivano presso la splendida residenza dell’ambasciatore in Belgio, per mangiare qualcosa di faticosamente conquistato ad un buffet (di solito comunque decente). Ci si diceva quanto è bello essere italiani, quante belle cose sappiamo fare, sbucava sempre una Cinquecento o una montagna di Ferrero rocher (perché è vero che si trovano nelle ambasciate). Sudore, saluti e baci e poi tutti a casa. Erano anni che non andavo.

Sarà stato per la salmonella nello stabilimento Ferrero di Arlon, ma quest’anno i rocher non c’erano. C’era la Cinquecento, parcheggiata con discrezione lungo la strada: c’era un modello anni ’70, poi uno attuale, poi una Ferrari, innegabili eccellenze italiane, il tutto in chiave di promozione della mobilità elettrica, con una bella colonnina messa da Enel proprio all’ingresso del passo carraio della Residenza.

Quel che mi è piaciuto però quest’anno qui a Bruxelles è stato che la festa era sì a casa dell’ambasciatore presso il Belgio, così come deve essere, perché è lui che rappresenta l’Italia presso il regno, e dunque noi cittadini italiani, ma era stata organizzata da tutti i numerosi ambasciatori italiani che risiedono nella capitale europea. Si dice “fare sistema”, è un’espressione orrenda, ma il senso del lavorare in maniera unitaria e coordinata che l’Italia sta tentando di fare da qualche tempo qui c’era. Perché abbiamo l’ambasciatore presso il Belgio, al quale tutti i cittadini e le imprese italiane fanno riferimento nel loro quotidiano vivere ed operare qui. Un operare che si esplica nella vita civile del Paese, ma anche nel lavoro politico e materiale presso le istituzioni, e qui entra in campo l’ambasciatore Rappresentante dell’Italia presso l’UE, c’è a Bruxelles anche la NATO, il cui lavoro in questo momento è più che mai legato a gran parte della vita politica ed economia dell’Italia, e quindi c’era anche questo ambasciatore. Un pochino in disparte perché la natura del suo lavoro lo richiede, ecco anche l’ambasciatore presso il Comitato politico e di sicurezza dell’Unione. C’era il governo, con il sottosegretario agli Affari europei, e c’era ovviamente il nostro commissario europeo e qualche europarlamentare.

C’erano tanti giovani, qualche imprenditore, una manciata di giornalisti, due vicepremier belgi, qualche intellettuale e tanti cittadini, ma non troppi, una volta tanto le presenze sono state “ragionate” su quello che l’Italia fa e rappresenta a Bruxelles. Insomma un’Italia meno retorica, non nostalgica, che ha dimostrato di essere a casa sua in Europa.

Ursula von der Leyen

RePowerEU, il piano Ue da 300 mld per l’indipendenza energetica dalla Russia

Diversificare i fornitori di energia, abbattere i consumi energetici nelle case e nelle industrie ad alta intensità (le energivore) attraverso l’efficienza e aumentare la capacità di energia rinnovabile nel mix dell’Unione. Sono questi i tre pilastri del piano dell’Unione Europea ‘RePowerEU’ per azzerare la dipendenza dai combustibili fossili russi entro il 2027, annunciato lo scorso 8 marzo e presentato mercoledì nei dettagli dalla Commissione Europea.

Azioni e risorse finanziarie con l’obiettivo di rendere il sistema energetico dell’Ue più resiliente di fronte a crisi come quella trainata dalla guerra in Ucraina, ma anche fermare le importazioni di combustibili fossili russi, che stanno alimentando la guerra e il Cremlino. “Oggi portiamo la nostra ambizione a un altro livello per assicurarci di diventare quanto prima indipendenti dai combustibili fossili russi”, ha affermato la presidente dell’esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, scesa in conferenza stampa per annunciare il piano. Secondo le stime di Bruxelles, mettendo in atto tutte le misure del piano l’Ue sarà in grado di liberarsi di almeno 155 miliardi di metri cubi di gas fossile, che è pari al volume (di gas) importato dalla Russia nel 2021. Quasi due terzi di questa riduzione può essere ottenuta entro la fine del 2022.

Von der Leyen ha stimato che saranno mobilitati quasi 300 miliardi di euro, di cui circa 72 miliardi in sovvenzioni e 225 miliardi in prestiti: il 95% dei finanziamenti “andrà a sostenere la transizione verde per le rinnovabili”. Nel piano, Bruxelles ha stimato che avrà bisogno di ulteriori 210 miliardi di euro di investimenti fino al 2027, che dovranno arrivare sia dal pubblico che dal privato. Circa 225 miliardi di euro di prestiti ancora non utilizzati dallo strumento di ripresa e resilienza (Recovery and resilience facility) varato per il COVID saranno incanalati a sostegno di queste misure, quindi investimenti per rinnovabili e risparmio energetico. Altri 20 miliardi di euro di sovvenzioni arriveranno dalla vendita all’asta di quote di carbonio del sistema di scambio di emissioni dell’UE – il sistema ETS – che oggi sono ferme nella riserva di Stabilità del Mercato. Attraverso l’attuale quadro finanziario (2021-2027), la Commissione intende inoltre dirottare una parte dei fondi della politica di coesione (circa 100 miliardi di euro) e della politica agricola comune, la PAC (circa 7,5 miliardi) per investire in energie rinnovabili, idrogeno e infrastrutture. In autunno la Commissione raddoppierà i fondi disponibili per il bando 2022 del Fondo per l’innovazione, portandoli a circa 3 miliardi di euro.

Per abbattere i consumi energetici, la Commissione propone di rafforzare le misure di efficienza a lungo termine, compreso un aumento dal 9% al 13% dell’obiettivo vincolante contenuto nella revisione della direttiva efficienza proposta a luglio 2021 nell’ambito del pacchetto “Fit for 55”. In una comunicazione specifica dedicata al “risparmio energetico” Bruxelles descrive in dettaglio i cambiamenti comportamentali a breve termine che potrebbero ridurre la domanda di gas e petrolio del 5% e incoraggia gli Stati membri ad avviare campagne di comunicazione specifiche rivolte alle famiglie e all’industria e a utilizzare misure fiscali per il risparmio.

infograficaA lungo termine, l’Esecutivo comunitario vuole che l’energia rinnovabile – solare ed eolica – producano almeno il 66% dell’elettricità nel mix complessivo, raddoppiando la quota attuale del 33%. Per questo ha proposto anche di aumentare l’obiettivo principale per il 2030 per le energie rinnovabili dal 40% al 45% (anche questo target proposto neanche un anno fa nel pacchetto ‘Fit for 55’) e previsto una strategia dedicata al solare per raddoppiare la capacità solare fotovoltaica entro il 2025 e installare almeno 600 Gigawatt entro il 2030.

Bruxelles fissa a 10 milioni di tonnellate di produzione interna di idrogeno rinnovabile e 10 milioni di tonnellate di importazioni entro il 2030 l’obiettivo per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi e sostituire il gas naturale, il carbone e il petrolio nelle industrie e nei settori dei trasporti difficili da decarbonizzare. Per accelerare la diffusione di idrogeno verde su larga scala, la Commissione ha stanziato 200 milioni di euro per la ricerca e pubblicherà nelle prossime settimane due atti delegati sulla definizione e la produzione di idrogeno rinnovabile “per garantire che la produzione porti a una decarbonizzazione netta”, si legge nella comunicazione. Per portare la produzione di biometano ad almeno 35 miliardi di metri cubi entro il 2030, lancerà un piano d’azione e una nuova partnership industriale con incentivi finanziari che arriveranno soprattutto dalla nuova PAC.

Nelle prossime settimane Bruxelles presenterà la sua proposta per un meccanismo per gli acquisti congiunti di gas a livello comunitario, ispirato a quanto ha fatto con gli appalti congiunti per comprare i vaccini anti-Covid e scongiurare concorrenza tra gli Stati membri. Sarà aperto anche al vicinato, dall’Ucraina alla Moldavia. “In questo modo, possiamo proteggere le importazioni di cui abbiamo bisogno, senza concorrenza tra gli Stati membri”, ha spiegato von der Leyen. Non solo idrogeno e gas verdi. Bruxelles riconosce nel piano di dover prolungare nel tempo lo sfruttamento di centrali a carbone e nucleare per la produzione di energia elettrica che arrivi da fonti alternative al gas. La Commissione stima che l’energia prodotta da carbone dovrà aumentare a 100 terawattora (tWh), il 5% in più rispetto a quanto corrisponde attualmente e dal nucleare fino a 44 TWh. Fonti comunitarie assicurano che si tratterà di una misura limitata nel tempo e soprattutto non richiederà investimenti in nuove infrastrutture, quindi nuove centrali.