Ucraina, Mattarella: Effetti guerra globali, grave danno a crisi climatica

Quello scatenato dall’aggressione Russia in Ucrainanon è un conflitto con effetti soltanto nel territorio che ne è teatro, le conseguenze della guerra riguardano tutti. A cerchi concentrici le sofferenze si vanno allargando colpendo altri popoli e nazioni“. Lo dice il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso di saluto prima del Concerto al Quirinale eseguito dall’Orchestra del Teatro ‘La Fenice’, diretta dal Maestro Myung Whun Chung, in occasione della Festa della Repubblica, mentre in platea ad ascoltarlo ci sono le alte cariche, tra le quali il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. “Accanto alle vittime e alle devastazioni provocate sul terreno dello scontro – aggiunge -, la rottura determinata nelle relazioni internazionali si riverbererà sempre più sulla sicurezza alimentare per molti Paesi“.

Questo “reca grave danno al perseguimento degli obiettivi legati all’emergenza climatica“, avvisa il capo dello Stato. Che lancia un altro allarme: “Un conflitto come quello in corso ha, inevitabilmente, effetti globali“. Perché “intercetta e fa retrocedere il progresso della condizione dell’umanità, ci interpella tutti – sottolinea -. La comunità internazionale vede pesantemente messi in discussione i risultati faticosamente raggiunti negli ultimi decenni. Sembra l’avversarsi di scenari che vedono l’umanità protagonista della propria rovina. Con utilità e coraggio, occorre porre fine alle insensatezze della guerra e promuovere le ragioni della pace“.

siccità

Scipione, aiutaci a scacciare gli Inattivisti

Ci prepariamo a un’altra forte ondata di caldo e di siccità, lo potete leggere anche nei nostri articoli e lanci di agenzia. È l’occasione per ricordarci di stare all’erta nei confronti del cosiddetto ‘inattivismo’, il veleno più tossico a cui dobbiamo far fronte mentre siamo alle prese con il cambiamento climatico. Ne parlava una ricerca pubblicata due anni fa (l’1 luglio 2020) dalla Cambridge University Press: Discourses of climate delay (William F. Lamb et altri), ovvero ‘Discorsi sul ritardo climatico’). Ne ha parlato anche il climatologo Michael Mann nel suo libro ‘La guerra del clima’.

Lamb e i suoi colleghi scrivevano che “I ‘discorsi sul ritardo climatico’ pervadono gli attuali dibattiti sull’azione per il clima. Questi discorsi accettano l’esistenza del cambiamento climatico, ma giustificano l’inazione o gli sforzi inadeguati. Nelle discussioni contemporanee su quali azioni dovrebbero essere intraprese, da chi e con quale velocità, i sostenitori del ritardo climatico sostengono la necessità di un’azione minima o di un’azione intrapresa da altri. Concentrano l’attenzione sugli effetti sociali negativi delle politiche climatiche e sollevano il dubbio che la mitigazione sia possibile”. In pratica, non abbiamo ancora capito nulla. Gli stessi che fino a pochissimo tempo fa negavano l’esistenza stessa del cambiamento climatico, oggi non possono più farlo di fronte all’evidenza assoluta ma trovano un altro modo per ostacolare ogni possibile azione. Lo fanno, spiegano i ricercatori, sostenendo che qualcun altro deve iniziare ad agire prima di me/noi, che non è possibile mitigare il cambiamento climatico, che un cambiamento radicale non è necessario, che il cambiamento sarà devastante, enfatizzante ogni possibile effetto negativo del cambiamento e ‘dimenticando’ tutti gli effetti positivi (anche economici e geopolitici) compreso il fatto che la direzione in cui stiamo andando senza cambiamenti renderebbe la vita umana sempre più complessa.

Oggi siamo già in attesa di Scipione. Parliamo di un anticiclone, ovvero una zona di alta pressione in cui la condizione meteorologica è stabilmente serena. Si prospettano temperature fino a 40 gradi e soprattutto l’acuirsi della siccità, già grave date le scarse precipitazioni invernali e le ormai quasi esaurite riserve di neve in alta montagna (anch’essa scarsissima nel corso dello scorso inverno).

L’emergenza è seria e tra gli altri ce lo ricordano le associazioni degli agricoltori che hanno già lanciato l’allarme perché sono a rischio coltivazioni di cereali e frutta. Ma ce lo hanno ricordato nei giorni scorsi i gestori dei rifugi alpini, che potrebbero non avere acqua (o energia) già a fine giugno anticipando gli effetti di quanto potrebbe accadere più a valle. E ce lo hanno ricordato gli scienziati che hanno rilevato la mancano di due metri di neve su uno dei ghiacciai del Gran Paradiso, in Valle d’Aosta.

Ma l’inattivismo è in agguato, sempre. E assume risvolti grotteschi. Mentre ascolto e leggo questa serie di appelli mi torna alla mente un episodio: l’intervista ascoltata – incredulo – in tv a Pasqua, quando il presidente di una delle società che gestiscono impianti sciistici sulle Alpi (inutile fare il nome, interessa il concetto non la gogna sulla persona) tracciava gongolante un bilancio della stagione: “È andata benissimo, per noi l’assenza di precipitazioni è stata un bene perché c’era sempre il sole e quindi eravamo regolarmente pieni di sciatori. La neve potevamo spararla con i cannoni, tanto l’acqua da queste parti per il momento non manca”. Va bene la soddisfazione per il risultato economico positivo, ma vantare anche un disastro ambientale come fattore positivo mi è parso davvero incredibile. Speriamo che Scipione ci aiuti almeno a cancellare un po’ di Inattivismo.

Orchidee

Guerra e clima: il tormento delle orchidee della Thailandia

Pandemia, guerra in Ucraina, cambiamento climatico: le coltivazioni di orchidee della Thailandia sono in subbuglio, afflitte dall’aumento dei costi delle materie prime e dal calo della domanda. Il Paese, il più grande produttore ed esportatore al mondo di questi fiori recisi, ha circa 800 aziende agricole. Una su cinque ha chiuso dall’inizio della pandemia da Covid-19, secondo la Thai Orchid Exporters Association. Somchai Lerdrungwitayachai gestisce una coltivazione di 20 ettari nella provincia di Nakhon Pathom, 80 chilometri a nord-ovest di Bangkok. Negli enormi viali coperti per proteggere le fragili piante dal caldo soffocante, cresce una varietà unica: la Dendrobium Sonia, una specie ibrida con delicati petali bianchi e viola, molto popolare in Cina, Giappone e Stati Uniti. Circa 50 lavoratori tagliano i fiori, li immergono in una soluzione chimica, avvolgono gli steli in una fiala di plastica contenente vitamine e nutrienti per prolungare la loro freschezza fino a due settimane. Ma i tempi sono duri. Somchai ha attinto ai suoi risparmi per due anni per pagare i dipendenti. Il prezzo dei fertilizzanti e dei pesticidi “è salito del 30%” con la crisi sanitaria e la guerra in Ucraina, ha detto il coltivatore a Afp. E le vendite in Cina, che rappresentavano l’80% delle sue esportazioni prima della pandemia, sono arrivate ai minimi storici. “Nessuno compra orchidee e il trasporto è molto complicato“, spiega. Su strada, i suoi camion devono attraversare il Laos per raggiungere la Cina. I controlli messi in atto da Pechino tra i due paesi causano chilometri di ingorghi. I veicoli bloccati impiegano dagli otto ai dieci giorni per arrivare a destinazione, rispetto ai tre giorni precedenti.

SCARICATE SULLE STRADE

Peggio ancora, la frontiera a volte rimane chiusa e gli autisti sono costretti a scaricare a bordo strada i carichi che non sono sopravvissuti al trasporto. Mentre Somchai consegna i suoi fiori direttamente all’estero, la maggior parte degli agricoltori passa attraverso grandi esportatori con sede a Bangkok. Wuthichai Pipatmanomai, insieme a suo padre, gestisce la Sun International Flower, una delle principali società di esportazione. Prima della pandemia, l’azienda consegnava 3,6 milioni di orchidee al mese in Cina, Giappone, Vietnam e Stati Uniti. Oggi, solo 1,2 milioni escono dal suo magazzino e ha dovuto lasciare a casa la metà dei suoi dipendenti. Per lui, “il 2022 sembra ancora un brutto anno“. Il costo del trasporto aereo internazionale è “triplicato o quadruplicato” con l’aumento del prezzo del petrolio. Di conseguenza, ha dovuto aumentare il suo prezzo unitario del 20% e diversi importatori lo hanno abbandonato, soprattutto in Europa, preferendo concentrarsi su fiori locali. “Abbiamo chiesto alle autorità una compensazione finanziaria, ma non abbiamo ottenuto nulla“, dice Wuthichai, che è anche vicepresidente dell’associazione degli esportatori.

CAMBIAMENTO CLIMATICO

Il cambiamento climatico è un’altra preoccupazione. All’inizio di aprile, la temperatura è scesa da 36 a 21 gradi in un giorno nel centro del paese, un calo che ha avuto gravi conseguenze sulla produzione. “Temiamo che questo tipo di fenomeno si verifichi sempre più spesso“, dice l’esportatore. L’unica speranza è che le vendite in Giappone rimangano stabili e che quelle negli Stati Uniti siano in ripresa con l’inizio della stagione dei matrimoni e delle lauree. La speranza dell’esportatore è di vendere 20 milioni di orchidee quest’anno. Anche al mercato di Bangkok le vendite sono rallentate. Anche se il Paese ha riaperto ai turisti, “tutti hanno ancora paura di venire ai mercati“, dice Waew. “Ogni giorno, 600 fiori rimangono nelle mie mani“. Piuttosto che buttare via i fiori invenduti, li ricicla, tenendo solo i petali che vengono venduti a basso prezzo per le decorazioni.

(Photo by LILLIAN SUWANRUMPHA / AFP)

Alluvione

Appello delle Nazioni Unite: “Stop alla spirale di autodistruzione”

L’umanità sta affondando. Il numero crescente di disastri ambientali in tutto il mondo aumenta la necessità di fermare “la spirale di autodistruzione“. A lanciare l’appello è l’Onu che, nell’ultimo rapporto presentato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio di disastri, rileva che negli ultimi due decenni ogni anno si sono verificati tra 350 e 500 disastri di media e grande portata, con un costo in media di circa 170 miliardi di dollari all’anno dal 2012. La colpa è indubbiamente dell’uomo che ha una “percezione errata dei rischi associati all’aumento del riscaldamento globale“, questo a causa di una “sottovalutazione” dei rischi e a sentimenti di “ottimismo” e “invincibilità“.

Il numero di disastri dovrebbe salire a 560 all’anno – o 1,5 al giorno – entro il 2030 (da 400 nel 2015), mettendo a rischio milioni di vite. “Il mondo deve fare di più per integrare il rischio di disastri nel modo in cui viviamo, costruiamo e investiamo“, ha detto il vicesegretario generale delle Nazioni Unite, Amina Mohammed, nell’esporre il rapporto. “Dobbiamo trasformare il nostro compiacimento collettivo in azione. Insieme possiamo rallentare il ritmo dei disastri evitabili“, ha aggiunto.

Secondo Mami Mizutori, rappresentante speciale del segretario generale per la riduzione del rischio di disastri, “i paesi devono investire tempo e risorse per capire e ridurre i danni“. Per lui infatti, è “ignorando deliberatamente i rischi e non integrandoli nel processo decisionale che il mondo finanzia la propria distruzione”.

 

 

terra

Giornata della Terra: perché è indispensabile investire nel Pianeta

Il 22 aprile, si celebra come ogni anno da 52 anni a questa parte la Giornata Mondiale della Terra (Earth Day), promossa dalle Nazioni Unite e ‘onorata’ in circa 150 Paesi del Mondo. Il tema delle celebrazioni di quest’anno è ‘Investire nel nostro Pianeta’. Il miglior investimento possibile, potremmo aggiungere.

Questa celebrazione affonda le sue radici fino al 1969, quando nella conferenza Unesco di San Francisco, l’attivista John McConnell propose di onorare il Pianeta su cui viviamo e la pace con una giornata dedicata, in cui concentrare iniziative e manifestazioni con l’obiettivo di mettere a fuoco i (molti) drammi ambientali e promuovere la necessità di affrontarli per garantirci un futuro di benessere. Questa Giornata venne sancita in un Proclama firmato dal Segretario generale delle Nazioni Unite, U Thant, e dallo stesso McConnell. Da allora, l’attenzione all’ambiente è cresciuta enormemente nel mondo, ma in misura ancora maggiore sono cresciuti i problemi: tanto che gli scienziati sono arrivati ormai a implorare la politica di agire, per scongiurare conseguenze catastrofiche.

La dichiarazione che introduce alla celebrazione della Giornata della Terra 2022 è molto chiara: “Questo è il momento di cambiare tutto: il clima economico, il clima politico e il modo in cui agiamo sul clima. Ora è il momento di dare spazio all’inarrestabile coraggio di preservare e proteggere la nostra salute, le nostre famiglie e i nostri mezzi di sussistenza. Per la Giornata Mondiale della Terra 2022, dobbiamo agire (coraggiosamente), innovare (ampiamente) e creare sviluppo (equamente). Ci sarà bisogno di tutti noi. Tutti insieme. Imprese, governi e cittadini – tutti responsabilizzati e tutti responsabili. Una partnership per il Pianeta”. Poche, semplici e chiarissime parole per ribadire quanto è chiaro da tempo: abbiamo la necessità assoluta di diventare sostenibili, di non consumare risorse in maniera sconsiderata e per giunta poco efficiente. Rispettare la salute del Pianeta, ovvero fare in modo che si conservi l’equilibrio che ha permesso di preservare quelle condizioni fisiche, chimiche, biologiche che rendono possibile la vita nelle forme in cui la conosciamo e ci permettono di prosperare, è un dovere etico ma ugualmente una necessità assoluta: per noi stessi, intesi come esseri umani, e per tutte le specie che popolano la Terra (e consentono la nostra esistenza)…

Si tratta di garantire il nostro futuro, non di garantirlo al Pianeta o alla Natura che in qualche modo si adatteranno a diverse percentuali di CO2, a diverse temperature, ecc… Concetti fondamentali che gli scienziati ribadiscono da decenni, prima totalmente inascoltati, poi ascoltati (poco) e blanditi con finte soluzioni e scarso coraggio, scarsa capacità di progettare il futuro. Concetti che vengono sottolineati anche da chi studia le scienze economiche, non solo quelle ambientali. Un esempio per tutti rende evidente la situazione. Nel rapporto pubblicato il 2 maggio 2019 dal Fondo Monetario Internazionale e dal titolo ‘Global Fossil Fuel Subsidies Remain Large: An Update Based on Country-Level Estimates’ (I sussidi globali per i combustibili fossili rimangono grandi: Un aggiornamento basato su stime a livello nazionale) viene sottolineato come i sussidi pubblici – Sussidi pubblici, è bene ripeterlo e sottolinearlo – ai produttori di petrolio nel solo 2017 ammontarono a 5200 miliardi di dollari, cifra equivalente al 6,5 per cento del PIL globale. Un dato esorbitante e che stupisce la maggior parte delle persone, abituate a credere che la redditività dell’estrazione petrolifera sia immensa e quindi certamente non bisognosa di sussidi pubblici. Inoltre, sentiamo da decenni – come replica agli appelli del mondo scientifico – che le fonti rinnovabili sono poco convenienti economicamente, ‘a meno che non ci siano sovvenzioni pubbliche’. E mentre ideologicamente si sostengono queste tesi – oggi anche false dal punto di vista finanziario – i sussidi sostengono l’estrazione di petrolio.

Scrive testualmente il Fondo Monetario Internazionale: “I sussidi hanno lo scopo di proteggere i consumatori mantenendo i prezzi bassi. Ma hanno anche un costo elevato. I sussidi sono costosi da finanziare per i governi – e quindi per i contribuenti – e possono ostacolare gli sforzi dei governi per ridurre i deficit di bilancio. Sono anche in competizione con altre spese pubbliche prioritarie per strade, scuole e sanità”. E: “Tutti i consumatori, sia ricchi che poveri, beneficiano dei sussidi pagando prezzi più bassi. I governi potrebbero ottenere più ‘bang for their buck’ (ritorno per il denaro speso, ndr) rimuovendo o riducendo i sussidi e indirizzando il denaro direttamente a programmi che aiutano solo i poveri”. Quindi: “I sussidi incoraggiano il consumo eccessivo di energia, che accelera l’esaurimento delle risorse naturali (petrolio, gas e carbone che non sono rinnovabili, ndr). Riducono anche l’incentivo all’investimento nell’efficienza energetica e in altre forme di energia più pulita. Incoraggiando lo spreco di energia, i sussidi energetici possono anche esacerbare la vulnerabilità esterna dei paesi alla volatilità dei prezzi internazionali dell’energia. Concludendo: “I guadagni fiscali, ambientali e di benessere derivanti dalla rimozione dei sussidi energetici sono sostanziali. A livello globale, i guadagni delle entrate nel 2015 sono stati stimati in circa 2,8 trilioni di dollari (3,8% del PIL globale) e 3,2 trilioni di dollari (4% del PIL globale) nel 2017. Queste riforme possono anche generare sostanziali benefici ambientali, come la riduzione delle emissioni di CO2 e delle morti premature dovute all’inquinamento atmosferico”.

Non a caso, nella stessa giornata in cui questo rapporto vedeva la luce, si tenne un incontro dal titolo ‘Nature is our capital’ ovvero ‘La natura è il nostro capitale’. Quando qualcuno, ideologicamente, spiega che la tutela dell’ambiente non deve intaccare il ciclo economico così come lo conosciamo perché ‘prima il pane, poi l’ambiente’ dovremmo avere già chiaro con chi abbiamo a che fare: con qualcuno che non ha capito – o ha interesse a non capire – che per avere il pane è necessario un campo che produca grano, da ridurre a farina e unire ad acqua e sale. Tutti elementi che ci fornisce la Terra. Per questo dobbiamo celebrarla, tutelarla e rispettarla avendo il coraggio di seguire quelle indicazioni scientifiche (anche di scienze economiche) che da decenni ci dicono che la tutela dell’ambiente significa anche crescita economica e tutela del lavoro, della salute e della sicurezza di tutti. Non ci arriveremo in pochi giorni, ma dobbiamo metterci a correre. La Giornata Mondiale della Terra è l’occasione per ribadirlo tutti insieme.

siccità africa

Corno d’Africa, una catastrofe: 20 milioni di persone a rischio fame

A un mese dall’inizio – almeno sul calendario – della stagione delle piogge, nel Corno d’Africa la situazione è sull’orlo della catastrofe. Non piove da mesi e se questa condizione dovesse proseguire, il numero di persone a rischio fame a causa della siccità potrebbe aumentare vertiginosamente dalla stima attuale di 14 milioni a 20 milioni entro il 2022. È l’allarme lanciato dal World Food Programme dell’Onu.

A RISCHIO SOMALIA, KENYA ED ETIOPIA

In Somalia, spiega l’Onu, il 40% della popolazione sta vivendo in una condizione di estrema insicurezza alimentare, che al momento non vede spiragli di miglioramento. In Kenya, mezzo milione di persone, soprattutto nella zona nord del paese, la cui economia si basa principalmente sul bestiame, sono ormai dirette verso una “grave crisi alimentare” e in Etiopia, già devastata da una guerra che dura da 17 mesi, la malnutrizione ha giù superato i livelli di emergenza.

AGIRE SUBITO, MA MANCANO RISORSE

L’agenzia dell’Onu ha stimato che servirebbe un finanziamento di almeno 438 milioni di euro nei prossimi sei mesi per sostenere quest’area dell’Africa, una delle zone più povere del mondo. “Sappiamo dall’esperienza passata che è vitale agire in anticipo se si vuole evitare una catastrofe umanitaria, tuttavia fino ad oggi la nostra capacità di risposta è stata limitata dalla mancanza di fondi”, ha detto Michael Dunford, Direttore regionale del WFP per l’Africa orientale. “È dall’anno scorso – ha aggiunto – che il WFP e altre agenzie umanitarie continuano a rivolgersi alla comunità internazionale, ma le misure richieste non si sono mai concretizzate nei fondi necessari”.

L’IMPATTO DELLA GUERRA IN UCRAINA

La situazione è resa ancora più grave dalle ricadute del conflitto in Ucraina, con il costo del cibo e del carburante alle stelle. Il Corno d’Africa sarà probabilmente l’area più colpita dall’impatto della guerra: il costo del paniere alimentare è già aumentato, in particolare in Etiopia (+66%) e Somalia (+36%), due Paesi che dipendono fortemente dal grano proveniente dal bacino del Mar Nero. Allo stesso tempo, il conflitto ha contribuito all’aumento dei prezzi di cibo e di carburante e all’interruzione delle catene di approvvigionamento.

LA PIU’ GRAVE SICCITA’ DAL 1981

In Etiopia si sta verificando la più grave siccità dal 1981: milioni capi di bestiame sono morti e i raccolti non hanno dato i loro frutti. Nel sud del Paese sono oltre 7 milioni le persone che si svegliano affamate ogni giorno. Il WFP è sul campo con attività di assistenza alimentare e nutrizionale di emergenza, programmi di alimentazione scolastica, adattamento ai cambiamenti climatici e attività di costruzione della resilienza. L’agenzia dell’Onu ha stimato un fabbisogno di di 239 milioni di dollari nei prossimi sei mesi per rispondere all’emergenza.

INSICUREZZA ALIMENTARE PER 3 MILIONI DI KENIOTI

In Kenya, in meno di due anni, il numero di persone bisognose di assistenza è più che quadruplicato. Secondo lo Short Rains Assessment, la rapida escalation della siccità ha lasciato 3,1 milioni di persone in condizioni di grave insicurezza alimentare, tra cui mezzo milione che stanno affrontando livelli di fame di emergenza. Il WFP ha urgentemente bisogno di 42 milioni di dollari per i prossimi sei mesi per soddisfare i bisogni delle comunità più colpite nelle parti settentrionali e orientali del Paese.

IL DRAMMA DELLA SOMALIA

In Somalia, circa 6 milioni di persone (il 40% della popolazione) vive in condizioni di insicurezza alimentare acuta e senza la pioggia il numero è destinato a crescere. L’Onu ha già avviato programmi speciali di assistenza alimentare e nutrizionale di emergenza per sostenere almeno 3 milioni di persone entro fine giugno. Ma senza nuovi fondi non sarà possibile sostenere il resto della popolazione.

Giornata delle Foreste: il legno è dalla parte del clima

Il legno? Permette a milioni di persone in tutto il mondo di rendere l’acqua potabile, di cuocere il cibo e di costruire case ed è una risorsa rinnovabile quando le foreste vengono gestite in maniera sostenibile. In occasione della Giornata internazionale delle foreste, che si svolge il 21 marzo, la Fao pubblicherà un nuovo rapporto dal titolo ‘Prodotti forestali nella bioeconomia globale: favorire la sostituzione con prodotti a base di legno e contribuire agli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Oss)’, che spiega come il passaggio dai prodotti a base fossile a quelli a base di legno possa aiutare a combattere il cambiamento climatico e a conseguire gli Oss.

Nella stessa giornata il direttore generale della FAO, QU Dongyu, insieme agli studenti di agraria e ad altre istituzioni partner, sarà al Parco archeologico dell’Appia Antica dove verranno piantati 40 alberi donati dalla Regione Lazio, nell’ambito del progetto OSSIGENO (OXYGEN), un’iniziativa per compensare le emissioni di carbonio e proteggere la biodiversità.