Svolta sulla carne coltivata: da start up francese arriva la prima richiesta all’Ue per il foie gras

È arrivata la prima richiesta in assoluto di autorizzazione per produrre e vendere carne coltivata nell’Ue. A farlo è stata la start-up francese Gourmey che ha presentato una domanda alle autorità di regolamentazione dell’Ue per ottenere l’autorizzazione del suo foie gras coltivato. Non solo: Gourmey ha avanzato la stessa richiesta anche a Singapore, Svizzera, Regno Unito e Stati Uniti. Lo ha comunicato la stessa start-up con un comunicato ufficiale: “Gourmey, azienda pionieristica francese di alimenti coltivati con sede a Parigi, annuncia di aver presentato domanda alla Food and Drug Administration (Fda) degli Stati Uniti, alla Singapore Food Agency (Sfa), alla Food Standards Agency (Fsa) nel Regno Unito, all’Ufficio federale svizzero per la sicurezza alimentare e veterinaria (Fsvo) e alla Commissione europea (Ce) e all’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) per offrire il suo prodotto di punta ad amanti del cibo, chef e ristoranti, offrendo una nuova scelta per gli amanti del foie gras a livello globale”, ha scritto.

La start-up ha ricordato che gli enti regolatori di tutto il mondo hanno stabilito “solidi quadri normativi per valutare la sicurezza di nuovi alimenti” sulla carne coltivata, con Stati Uniti, Singapore e Israele che ne hanno già approvato la vendita. Nell’Ue, questa è la prima volta che un’azienda richiede il via libera alla Commissione. Gourmey ha puntualizzato di non utilizzare cellule geneticamente modificate e che, “quindi, la sua domanda rientra nell’ambito della normativa sui nuovi alimenti”.

A sostegno della richiesta, la realtà francese ha preparato “un dossier in conformità con le normative pertinenti e le linee guida dell’Efsa”, che è considerato “il gold standard nella sicurezza e nella valutazione” del rischio. “Non vediamo l’ora di continuare a lavorare a stretto contatto con le autorità di regolamentazione per garantire la piena conformità ai requisiti di sicurezza durante queste procedure. Siamo fiduciosi che i nostri prodotti soddisferanno questi standard altamente esigenti, in modo che chiunque lo desideri possa godere di nuove esperienze gourmet in tutto il mondo“, ha dichiarato il Ceo di Gourmey, Nicolas Morin-Forest.

È fantastico vedere che è stata presentata la prima richiesta per vendere carne coltivata nell’Ue. Ciò dimostra che l’innovazione alimentare può coesistere con le nostre tradizioni culinarie, offrendo ai consumatori foie gras prodotto in un modo che potrebbe ridurre l’impatto ambientale e le preoccupazioni per il benessere degli animali, sostenere gli investimenti e creare posti di lavoro a prova di futuro”, ha commentato Seth Roberts, Senior Policy Manager presso The Good Food Institute (Gfi) Europe, organizzazione internazionale senza scopo di lucro e Think tank.

Il Gfi ha ricordato che, per essere commercializzata in Ue, la carne coltivata deve essere approvata dall’Efsa e che l’autorizzazione è disciplinata dal Regolamento sui nuovi prodotti alimentari, “uno dei quadri normativi più rigorosi al mondo in materia di sicurezza alimentare”. Inoltre, “il processo di valutazione, che comprenderà un esame approfondito della sicurezza e del valore nutrizionale del prodotto, dovrebbe durare almeno 18 mesi. Una volta approvato, il prodotto potrà essere commercializzato nel mercato Ue”, ha illustrato. La domanda di autorizzazione quindi non equivale alla messa in commercio e il foie gras coltivato di Gourmey sarà valutato “in modo minuzioso durante le fasi di valutazione e gestione del rischio dell’Efsa” perché il regolamento Ue sui nuovi alimenti “garantisce un processo approfondito e basato su evidenze scientifiche”. E “la valutazione riguarda anche i potenziali impatti sociali ed economici e coinvolge i rappresentanti degli Stati Membri. La Commissione europea e gli Stati membri, quindi, terranno conto di tutti questi aspetti per garantire una valutazione completa”, ha specificato il Think tank. Infine, Francesca Gallelli, consulente per gli affari pubblici del Good Food Institute Europe, ha evidenziato che, “come hanno recentemente sottolineato alcuni ministri europei, la tutela dei prodotti tradizionali non deve diventare un ostacolo all’innovazione alimentare e alla libera scelta del consumatore”.

Cellule animali coltivate nel riso: ecco come nasce il cibo ibrido

(Photocredit: Yonsei University)

Dal pollo allevato in laboratorio alle proteine derivate dai grilli, come “speranza” per un pianeta che sta lottando contro l’impatto ambientale ed etico dell’agricoltura industriale. Ora gli scienziati coreani aggiungono una nuova ricetta alla lista: il riso di manzo coltivato, creato facendo crescere cellule muscolari e di grasso animale all’interno dei chicchi del cereale. Il metodo, presentato sulla rivista Matter, si traduce in un alimento ibrido nutriente e saporito che, secondo gli scienziati, una volta commercializzato, potrebbe offrire un’alternativa proteica più accessibile e con un’impronta di carbonio minore.

“Immaginate di ottenere tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno dal riso proteico coltivato in cellule”, spiega il primo autore Sohyeon Park, che ha condotto lo studio presso l’Università Yonsei, in Corea del Sud. “Il riso ha già un alto livello di nutrienti, ma l’aggiunta di cellule provenienti dal bestiame può aumentarlo ulteriormente”.
Negli animali, le impalcature biologiche aiutano a guidare e sostenere la crescita tridimensionale delle cellule per formare tessuti e organi. Per produrre la carne in coltura cellulare, il team ha imitato questo ambiente, utilizzando il riso. I chicchi sono porosi e hanno strutture organizzate, fornendo un’impalcatura solida per ospitare le cellule di origine animale negli angoli e nelle fessure. Alcune molecole presenti nel riso possono anche nutrire e promuovere la crescita di queste cellule, rendendolo una piattaforma ideale.

Il team ha innanzitutto rivestito il riso con gelatina di pesce, un ingrediente sicuro e commestibile che aiuta le cellule ad aderire meglio alla superficie. Le cellule staminali muscolari e grasse della mucca sono state poi ‘seminate’ nel riso e lasciate in coltura per 9-11 giorni. Il prodotto finale soddisfa i requisiti di sicurezza alimentare e ha un basso rischio di scatenare allergie alimentari.

Per caratterizzare il riso ibrido, i ricercatori lo hanno cotto a vapore e hanno eseguito diverse analisi su valore nutrizionale, odore e consistenza. I risultati hanno rivelato che ha l’8% in più di proteine e il 7% in più di grassi rispetto al riso normale, pur essendo più solido e fragile.

“Di solito otteniamo le proteine di cui abbiamo bisogno dal bestiame, ma l’allevamento consuma molte risorse e acqua e rilascia molti gas serra”, spiega Park. Il riso del team ha un’impronta di carbonio significativamente inferiore: per ogni 100 g di proteine prodotte, si stima che rilasci meno di 6,27 kg di CO2, mentre la carne bovina ne rilascia 49,89 kg. Se commercializzato, potrebbe costare circa 2,23 dollari al chilogrammo, mentre la carne bovina costa circa 15 dollari.

Dato che presenta bassi rischi per la sicurezza alimentare e un processo di produzione relativamente semplice, il team è ottimista sulla commercializzazione del prodotto. Ma prima che arrivi sulle nostre tavole, l’équipe ha in programma di creare nel chicco condizioni migliori per la crescita delle cellule muscolari e grasse, in modo da aumentarne ulteriormente il valore nutrizionale.

Carne sintetica, scoperto sistema per abbattere i costi di produzione

L’agricoltura cellulare – cioè la produzione di carne a partire da cellule coltivate anziché prelevate da animali da allevamento – sta compiendo passi da gigante, tanto da renderla l’opzione più praticabile per l’industria alimentare. Uno di questi progressi è stato compiuto dal Tufts University Center for Cellular Agriculture (TUCCA), guidato da David Kaplan, Stern Family Professor of Engineering, che ha creato cellule muscolari bovine in grado di produrre i propri fattori di crescita. Una svolta che potrebbe ridurre significativamente i costi di produzione.

In questo studio, pubblicato sulla rivista Cell Reports Sustainability, i ricercatori hanno modificato le cellule staminali per produrre il proprio fattore di crescita dei fibroblasti (FGF), che innesca la crescita delle cellule muscolari scheletriche, quelle che si trovano in una bistecca o in un hamburger.
“L’FGF non è esattamente un nutriente”, ha dichiarato Andrew Stout, all’epoca ricercatore principale del progetto e ora direttore scientifico del Tufts Cellular Agriculture Commercialization Lab. “È più che altro un’istruzione per le cellule a comportarsi in un certo modo. Quello che abbiamo fatto è stato ingegnerizzare le cellule staminali muscolari bovine affinché producessero questi fattori di crescita e attivassero da sole le vie di segnalazione”.

I fattori di crescita contribuiscono alla maggior parte del costo di produzione della carne coltivata (fino a oltre il 90%) anche perché devono essere reintegrati ogni pochi giorni. Questo limita la possibilità di fornire un prodotto accessibile ai consumatori. L’eliminazione di questo ingrediente dai terreni di coltura consente un enorme risparmio sui costi.

Stout è a capo di diversi progetti di ricerca presso il Cellular Agriculture Commercialization Lab della Tufts University, uno spazio di incubazione tecnologica creato per prendere le innovazioni dell’università e svilupparle fino al punto in cui possono essere applicate su scala industriale in un contesto commerciale.

“Anche se abbiamo ridotto in modo significativo il costo dei supporti, c’è ancora qualche ottimizzazione da fare per renderli pronti per l’industria”, ha spiegato. Ad esempio, è stata riscontrata una crescita più lenta con le cellule ingegnerizzate, “ma credo che potremo supere” l’intoppo. Questo approccio potrebbe anche portare a una più semplice approvazione normativa del prodotto alimentare finale, poiché la regolamentazione è più severa per l’aggiunta di geni estranei rispetto alla modifica di quelli nativi.

La strategia funzionerà anche per altri tipi di carne, come il pollo, il maiale o il pesce? Stout pensa di sì. “Tutte le cellule muscolari e molti altri tipi di cellule si affidano tipicamente all’FGF per crescere”, ha precisato. “Crediamo che progressi come questo – hanno aggiunto i ricercatori – ci porteranno molto più vicini a vedere carne coltivata a prezzi accessibili nei nostri supermercati locali entro i prossimi anni”.

Carne sintetica, Scordamaglia: “Nuovi criteri di valutazione seri da Efsa”

Nuovi criteri di valutazione seri, oggettivi e completi da parte dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) con cui trattare l’immissione in commercio di carne e altri ‘nuovi alimenti’ coltivati in laboratorio. Mentre a Bruxelles si riaccende il dibattito sul cibo sintetico con un’iniziativa che vede l’Italia protagonista insieme a Francia e Austria, l’amministratore delegato di Filiera Italia e direttore mercati, politiche europee ed internazionalizzazione di Coldiretti, Luigi Scordamaglia, indica a GEA la via da seguire su un tema che a Bruxelles e in Italia riscalda gli animi. Roma, Vienna e Parigi – sostenute da almeno dieci delegazioni – hanno portato oggi (23 gennaio) all’attenzione del Consiglio Ue Agricoltura un documento per chiedere alla Commissione europea una valutazione dell’impatto dell’immissione in commercio di carne coltivata. Anche se, al momento, a Bruxelles non è arrivata ancora nessuna richiesta in tale direzione.

In Europa sta prendendo forma una nuova Alleanza contro il cibo coltivato in laboratorio. L’Italia quindi non è sola…

“Il passaggio di oggi è importantissimo, a cominciare dal titolo del documento che viene discusso che non è ‘No ai prodotti sintetici’ ma è finalizzato alla salvaguardia dei prodotti di qualità, della terra e degli agricoltori. La questione che si pone il documento – con sempre maggiore appoggio trasversale da parte di altri Paesi – è quale tipologia di modello agroalimentare vuole l’Unione europea, tra un modello fatto di legame con la terra e la tradizione o un futuro di omologazione in cui ci si limita a ingerire dei prodotti sintetici, omologati, solo per soddisfare esigenze nutrizionali di base. Questo è un interrogativo profondo che il documento in apertura si pone”.

E quali sono le richieste?

“E’ un approccio tutt’altro che ideologico, non c’è alcuno schieramento di destra o sinistra. Ci si chiede e si chiede alla Commissione europea di ragionare su un fatto molto semplice: sempre più le evidenze scientifiche mettono in evidenza potenziali rischi mai esistiti prima nei novel food, dunque prima di prendere in considerazione qualsiasi richiesta di autorizzazione al commercio la Commissione dovrebbe rivedere le attuali linee guida (previste dall’Efsa per raccomandare all’Ue l’immissione al commercio) che non comportano ad oggi test clinici o preclinici, tutta una serie di criteri di valutazione che finora non servivano perché non sono mai stati presentati alimenti di questo tipo e che oggi alla luce di questi potenziali rischi diventano essenziali. Il documento dice in maniera più concreta che esistono potenziali rischi per la salute che le attuali linee guida dell’Efsa non prendono in considerazione e quindi serve fermarsi un attimo, modificare questi criteri e introdurne di nuovi”.

Non è prematuro condurre una battaglia di questo tipo dal momento che ad oggi non è stata avanzata alcuna richiesta di immissione in commercio?

“Se fosse arrivata oggi una richiesta di autorizzazione al commercio sarebbe avvenuta dentro le attuali linee guida dell’Efsa per i novel food, si sarebbe fatta una valutazione di contenuto nutrizionale come si è applicata ai novel food che sono stati autorizzati in passato. Quello che si sta chiedendo è di adeguare il sistema di valutazione prima che arrivino le domande di autorizzazione, adeguarli a tecnologie che attualmente non sono previste. Con il documento si sta dicendo di accendere una luce su questo tema, di non lasciarlo passare inosservato e valutiamo scientificamente cosa serve nelle linee guida dell’Efsa per avere un criterio di valutazione serio, oggettivo e completo”.

La Commissione europea ha rimandato la proposta sull’etichettatura nutrizionale armonizzata, ma la presidenza belga ha organizzato per il 25 aprile un simposio scientifico dedicato al tema al sistema di etichettatura a semaforo Nutriscore. Cosa si aspetta?

“Il Nutriscore, dando il bollino verde a prodotti sintetici, tende a dare un giudizio non sulla qualità complessiva dell’alimento e della dieta, ma sull’apporto nutrizionale anche se è chimicamente o sinteticamente rappresentato. Anche il Nutriscore va verso un’omologazione della dieta. Ben venga ogni approfondimento scientifico purché sia veramente scientifico. Nei Paesi in cui il Nutriscore è diffuso (Francia, Belgio, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi, ndr) il tasso di obesità non si è ridotto, anzi è aumentato e questo perché non è il singolo alimento ma la dieta, lo stile di vita corretto, la qualità di ciò che mangiamo che incide sull’obesità che è il vero nemico da abbattere”.

Il Belgio è uno dei Paesi che ha adottato il Nutriscore, questo fattore rischia di orientare troppo il dibattito?

“E’ negativo se il dibattito scientifico viene costruito ad hoc e di parte. Io non credo che il Nutriscore sia un problema solo per l’Italia. L’alternativa all’omologazione della dieta non è solo la dieta mediterranea, il Nutriscore va contro il modo di mangiare, nel più ampio senso culturale, di tutti i Paesi. Il Nutricore è un’omologazione in cui l’alimentazione sintetica è sempre più vista come ingurgitare una serie, un elenco chimico di nutrienti invece che complessivamente fare l’esperienza di cibo di qualità”.

Stop carne sintetica è legge. Lollobrigida: “Provvedimento coraggioso, siamo i primi”

Stop dalla Camera a produzione, consumo e commercio di cibi e mangimi sintetici. E’ legge il ddl proposto dai ministri dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, e della Salute, Orazio Schillaci. Dopo l’approvazione in Senato del 20 luglio, arriva l’ok di Montecitorio, con 159 Sì, 53 No e 34 astenuti. La misura vieta anche l’uso di “nomi ingannevoli” per gli alimenti derivati da proteine vegetali prodotti in laboratorio. Non si potrà quindi più chiamare bistecca un prodotto proveniente da soia o hamburger proveniente da tofu.

“Un provvedimento coraggioso, chiesto dai cittadini con milioni di firme, che pone l’Italia all’avanguardia nel mondo“, rivendica sui social Lollobrigida. “Siamo la prima nazione a vietarla – precisa – con buona pace delle multinazionali che speravano di fare profitti mostruosi mettendo a rischio il lavoro e la salute dei cittadini”.

Il ministro la definisce una delle leggi “più democratiche” mai avute nella nazione, dato il sostegno importante alla petizione. Tra i firmatari, rappresentanti istituzionali di tutti i partiti presenti in Parlamento. “Alle pressioni e agli interessi delle grandi lobbies alimentari straniere abbiamo risposto con un secco no”, gli fa eco il sottosegretario Patrizio La Pietra. Ora la legge andrà notificata all’Europa: “Riteniamo che non ci sia nulla da temere”, garantisce Lollobrigida. Punta a convincere gli altri Paesi a seguire la scelta dell’Italia, “non ci vogliamo proprio arrivare alla certificazione di queste procedure per trasformare il cibo coltivato in qualcosa di utilizzabile”, afferma.

E a chi solleva la questione della sicurezza alimentare, il ministro risponde senza dubbi: “Sostenerlo significa dire che non si vogliono dare alimenti di qualità a tutti. Non ci arrendiamo all’idea che ci sia un mondo nel quale una élite possa continuare a mangiar bene e miliardi di persone siano costrette a nutrirsi con prodotti alla stregua di un carburante per sopravvivere. Una società divisa in due non appartiene alla nostra cultura e la respingiamo fermamente”. 

Stop alla carne coltivata, ultimo passaggio alla Camera. Ma è scontro con l’opposizione

L’ultimo step. Dopo il via libera del Senato, ora manca solo il passaggio nell’aula di Montecitorio per approvare in via definitiva il disegno di legge che vieta la produzione e l’immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati, nonché il divieto della denominazione di carne per quei prodotti trasformati contenenti proteine vegetali. In poche parole, quello che due scuole di pensiero chiama, rispettivamente, carne sintetica (i contrari) o carne coltivata (i favorevoli). Il ddl è firmato dal ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida, che sin dal primo momento in cui il tema è balzato agli onori delle cronache per la discussione aperta a Bruxelles, si era schierato decisamente dalla parte del no. Soprattutto per difendere la qualità dei prodotti italiani e dei produttori. Da questo assunto prende corpo il provvedimento.

Tesi che non ha mai convinto una parte consistente delle opposizioni. Ad esempio i Cinquestelle, che invece sono molto d’accordo con questa nuova tecnica, al punto che il garante e co-fondatore del Movimento, Beppe Grillo, tramite il suo blog, diffuse nel marzo scorso un post per raccontare l’esperienza della società californiana Good Meat, che ha ricevuto il via libera della Food and drug administration per vendere il suo prodotto a base di pollo coltivato in laboratorio. Da allora la posizione del M5S non è mai cambiata: “Un provvedimento ideologico, che non porta alcun vantaggio all’Italia o agli italiani, se non ad alcune specifiche categorie“, commenta infatti la deputata Carmen Di Lauro, bocciando il ddl del governo e della maggioranza in discussione alla Camera. “Pur di difendere gli interessi di allevatori e produttori di carne, il governo se ne infischia della salute degli esseri umani, dell’ambiente, del benessere animale e del progresso scientifico“, rincara la dose la parlamentare pentastellata. Che è in buona compagnia, perché dal Pd è il capogruppo in commissione Agricoltura di Montecitorio, Stefano Vaccari, intervenendo in aula durante la discussione generale sul ddl, ad accusare l’esecutivo di aver varato “un provvedimento nato per dare fiato alla propaganda piuttosto che per intervenire su un tema complesso che avrebbe richiesto equilibrio, responsabilità e assonanza con le indicazioni dell’Unione europea“. Non è da meno Eleonora Evi, co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputata di Avs: “Oscurantista, retrogrado, ideologico, dannoso e potenzialmente un salasso per i cittadini italiani: questa è, a mio avviso, la descrizione di questo ddl che non smentisce l’azione repressiva e punitiva che questo governo ha dimostrato finora“.

La maggioranza, però, non si scompone e tira dritto. “Il governo sta dimostrando grande coraggio nel difendere i prodotti di qualità e questo disegno di legge sulla Carne sintetica lo dimostra. Con questo provvedimento salvaguardiamo il prodotto d’eccellenza italiano e, allo stesso tempo, il valore del lavoro di agricoltori e allevatori“, replica alle accuse la vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Augusta Montaruli. “La carne coltivata è pericolosa“, commenta in aula il vicepresidente di Noi moderati, Pino Bicchielli. Che aggiunge: “Gli esperimenti sulla carne coltivata sono un grande business, e vengono spesso giustificati col tema della sostenibilità ambientale, ma per Coldiretti viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche, consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali e, soprattutto, non ci sono garanzie sulle conseguenze dell’assunzione da parte del corpo umano di prodotti sostanzialmente chimici“. L’ultima parola spetta comunque all’aula di Montecitorio. Anche se non sono in vista ‘sorprese’ dell’ultimo secondo.

Slow Food: “Le carni sintetiche sono l’affare del futuro”

Carne sintetica, farina di grilli e larve. Secondo chi sta sperimentando i cosiddetti ‘novel food’, quelli cioè o inventati in laboratorio o a base di insetti, sono il cibo del futuro. E lo sarebbero per il suo valore etico, visto che eviterebbero la macellazione di animali, nel caso della carne, ma anche ambientale, perché consentirebbero di fare a meno degli allevamenti. Etica e ambiente ne accompagnano la narrazione, soprattutto negli Stati Uniti. E ora anche in Europa: la Commissione Ue ha infatti autorizzato l’immissione nel mercato europeo di vermi della farina e dell’uso alimentare del grillo domestico in polvere. Per quanto riguarda la carne sintetica, la direzione sembrerebbe quella di approvarne la vendita, a patto che si rispettino gli standard nutrizionali.

Ma, a ben guardare, “sembra più l’affare del futuro per un bel po’ di gruppi finanziari e multinazionali. Il rischio evidente è che il cibo, diventato una commodity, una merce di scambio sui grandi mercati internazionali come tante altre, diventi oggetto di una deriva tecnologica che lo priva di qualunque significato culturale, del legame con i territori e con le comunità che ci vivono, con i loro saperi e tradizioni”. È quanto dichiara Barbara Nappini (nella foto), presidente di Slow Food Italia. Per l’associazione fondata da Carlo Petrini, infatti, sotto il profilo ambientale l’impatto della carne sintetica è tutt’altro che indifferente, per via dei grandi consumi energetici dei bioreattori necessari alla sua produzione. “Un dato importante, ma non sufficientemente rilevato, – spiega Nappini – è che i prodotti a base di carne coltivata sono iperprocessati, contengono coloranti, aromatizzanti, addensanti, necessari per conferire loro la forma di hamburger o crocchetta, per dare consistenza e sapore di carne. La carne è sviluppata grazie a ormoni e lieviti ogm. Come del resto i sostituti della carne a base vegetale, già sul mercato anche in Italia”.

Secondo la filosofia di Slow Food il futuro di una produzione alimentare buona, pulita e giusta per tutti sta in una scelta più consapevole delle proteine da portare in tavola. Ad esempio, ridurre i consumi di carne e privilegiare, in alternativa alle carni da allevamenti industriali, prodotti di aziende sostenibili dove gli animali sono allevati con rispetto. Oppure, la riduzione nel consumo di carne può essere compensata con legumi da coltivazioni che rispettano la terra e non con la soia proveniente da altri continenti. “Non c’è bisogno di altri sostituti altamente processati”, continua Nappini che solleva il tema dei finanziatori del settore della carne sintetica. “Alcuni di questi sono le stesse multinazionali responsabili dei danni prodotti dal sistema agroalimentare e zootecnico negli ultimi decenni – spiega. – Tra i finanziatori della ricerca sulla carne in vitro ci sono ad esempio anche Cargill e Tyson Foods. Come evitare che questo nuovo mercato sia occupato e controllato da potenti corporations? A breve la UE affronterà decisioni analoghe e i consumatori dovranno essere tutelati”.

In questo senso SlowFood chiede trasparenza in etichetta perché “è lo strumento più importante a disposizione dei consumatori per sapere cosa mettono nel carrello e fa parte di questo principio non consentire l’uso di termini fuorvianti”. “Se vengono definiti in etichetta i prodotti da agricoltura cellulare con termini quali “carne” o “hamburger” o “bistecca”, la confusione sul mercato sarà totale”, continua Nappini. Già nel 2020 Slow Food aveva realizzato la ricerca ‘I sostituti della carne’, esaminando vari studi scientifici per approfondire gli effetti della loro introduzione sul mercato, con un’attenzione particolare alle implicazioni sulla salute umana, l’ambiente, il mondo produttivo. “Il marketing sbrigativo a favore della carne coltivata e dei sostituti della carne ottenuti da cellule vegetali, potrebbero colpire non solo l’allevamento industrializzato che sta minando le risorse del pianeta, ma anche gli allevatori sostenibili e virtuosi, più fragili, già penalizzati dal mercato e poco sostenuti delle istituzioni”.

Carne sintetica, dalla produzione ai vantaggi nel consumo

Creare la carne in vitro non è più fantascienza; non solo è possibile, ma è proprio in quella direzione che il mercato alimentare si sta già muovendo. Dopo gli Stati Uniti, dove la carne sintetica ha avuto il via libera dalla Food and Drug Administration (Fda), l’ente del governo statunitense che regola i prodotti alimentari e i farmaci, anche la Commissione europea ha parlato a un possibile ok al cibo prodotto in laboratorio, a patto che rispetti gli standard nutrizionali.

La carne sintetica, detta anche coltivata, artificiale o ‘clean meat’ in inglese è il risultato di un processo di coltivazione cellulare operata in laboratorio su cellule animali staminali, ovvero cellule che possono generare una grande varietà di tessuti animali se opportunamente “condizionate”. È carne a tutti gli effetti ma non prevede l’allevamento di un intero animale e nemmeno di un processo di macellazione quindi risulta essere ‘cruelty free’, cioè ottenuta senza sofferenza animale.

Come si produce. A differenza della carne ‘classica’ che ha bisogno della mucca o del maiale, nella produzione di carne sintetica si ricreano in laboratorio esclusivamente le cellule e di conseguenza i tessuti di nostro interesse. Grazie ai recenti progressi della scienza si è in grado, tramite tecniche di ingegneria cellulare, di indirizzare le cellule verso lo sviluppo di una specifica tipologia generando artificialmente cellule muscolari, nervi e tessuti connettivi. In questa maniera da una singola cellula si possono creare milioni e milioni di cellule che andranno a comporre un vero e proprio muscolo, successivamente trasformato in carne. Le cellule vengono inizialmente isolate da un animale e sviluppate all’interno di linee cellulari che vengono poi congelate. Piccoli campioni di queste linee possono poi essere trasferiti nei bioreattori – in genere di grandi vasche d’acciaio – dove le cellule vengono alimentate con dei terreni di coltura che contengono i nutrienti di cui hanno bisogno per dividersi. Una volta che sono cresciute e si sono differenziate formando il tipo di tessuto corretto, le cellule possono essere raccolte e utilizzate in prodotti a base di carne sintetica. Coltivare le cellule con questo processo, tuttavia, è ancora estremamente costoso. Produrre della carne in laboratorio (almeno inizialmente) è molto più dispendioso che produrre carne in maniera tradizionale, considerando che si sono anche costi indiretti di gestione da includere. Prevedere i costi è particolarmente difficilmente perché i protocolli non sono ancora del tutto standardizzati e non è facile predire come la produzione massiva (detta anche scale up industriale) possa incidere sui costi fissi e variabili.

Carne vegetale. La carne sintetica non ha nulla di vegetale e, per questo motivo, non va confuso con la carne vegetale. Quest’ultima infatti, chiamata anche ‘fake meat’ (carne falsa), è un alimento composto da soli ingredienti vegetali. La sua composizione ha però l’obiettivo di replicare, nel modo più fedele possibile, il gusto, l’aspetto e le proprietà nutritive della carne originale. Tale prodotto quindi, a differenza della carne sintetica, può essere usato all’interno di una alimentazione vegetariana o vegana. Le principali tipologie di carne vegetale oggi presenti in commercio sono il seitan ed il muscolo di grano.

Sostenibilità ambientale. Il consumo mondiale di carne è previsto aumentare del 40-70% entro il 2050 ed è quindi necessario ridurre gli effetti nocivi della sua produzione. La carne ha un altissimo impatto ambientale nonché contribuisce al riscaldamento globale, alla deforestazione, al consumo di suolo, acqua ed energia. Circa un terzo delle emissioni di gas serra a livello globale è riconducibile all’industria alimentare, il 18% solo a gli allevamenti. Queste stime sono destinate ad aumentare in futuro per rispondere alla sempre più crescente domanda di cibo. La scelta di produrre carne in laboratorio può restare un’opzione valida per quattro principali ragioni: come tutte le tecnologie, inizialmente dispendiose, se vengono avviate ad uno scale up industriale i costi si abbassano. La regola è molto semplice: più Paesi e aziende iniziano a produrre una determinata cosa e più i costi per la singola unità nel tempo si abbassano. Le ricadute ambientali sarebbero positive, andando a ridurre alla lunga le spese per le politiche di lotta al cambiamento climatico. La produzione di carne in laboratorio potrebbe portare con sé interessanti prospettive di sviluppo in campo biomedico, rendendo queste tecnologie maggiormente abbordabili anche in altri settori. Infine un ulteriore vantaggio sarebbe la sicurezza alimentare che un prodotto ottenuto in condizioni standard e strettamente controllate porterebbe con sé. L’assenza di contaminanti biologici, chimici e fisici sarebbe possibile con dei limiti molto più rigidi e ben oltre gli attuali risultati ottenibili nel mercato, vista la purezza delle condizioni di produzione necessarie all’ottenimento del prodotto.

Larve insetti farina

Novel food, è dibattito acceso su vantaggi e sicurezza

Sulle tavole del futuro ci saranno sempre più spesso carni sintetiche e insetti. E dopo l’ok della Food and Drug Administration negli Stati Uniti per le bistecche ‘da laboratorio’ e il via libera dell’Unione europea all’utilizzo di nuovi insetti alimentari, questo momento sembra sempre più vicino. Le alzate di scudi non si sono fatte attendere. Coldiretti ha già lanciato l’allarme affermando che potrebbero essere introdotte a breve a livello europeo “le prime richieste di autorizzazione all’immissione in commercio che coinvolgono Efsa e Commissione Ue” per la carne sintetica, “mentre entro il primo semestre 2023 negli Usa potrebbero entrare in commercio i primi prodotti sintetici”.
“Cibo Frankenstein” lo definisce la Confederazione Nazionale dei Coltivatori Diretti, che sostiene che la carne da laboratorio “non salva gli animali perché viene fabbricata sfruttando i feti delle mucche, non salva l’ambiente perché consuma più acqua ed energia di molti allevamenti tradizionali, non aiuta la salute perché non c’è garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare, non è neppure carne ma un prodotto sintetico e ingegnerizzato”. Insomma, ci sarebbe una “precisa strategia delle multinazionali che puntano a modificare stili alimentari naturali fondati sulla qualità e la tradizione”.

Non è andata meglio con gli insetti, con un dibattito acceso, anche a livello politico, dopo che Bruxelles ha approvato l’immissione sul mercato come nuovo alimento dell’Acheta domesticus, ovvero il grillo, sotto forma di polvere parzialmente sgrassata. Dal 26 gennaio, inoltre, possono essere commercializzate nell’Unione europea anche le larve del verme della farina minore (Alphitobus diaperinus) congelate, in pasta ed essiccate, che si vanno ad aggiungere alle larve gialle della farina e alla locusta migratoria. Ma l’elenco è pronto ad allungarsi ancora, con altre otto domande in lista d’attesa. Oltre un italiano su due (il 54%), secondo un sondaggio di Coldiretti/Ixe, sarebbe contrario agli insetti in tavola, ma l’Ue prosegue il suo iter forte del regolamento sui “novel food” approvato nel 2018, ricordando che il procedimento prevede sia l’autorizzazione della Commissione europea sia quello dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare.

Ma quali sarebbero i vantaggi di questi nuovi cibi? Secondo il Wwf gli allevamenti sono responsabili del 14,5% delle emissioni di gas serra e quelli intensivi la causa principale delle pratiche di deforestazione nel mondo. Senza considerare che per un chilo di carne bovina servono in media 11.500 litri d’acqua, mentre per la stessa quantità di carne “da laboratorio” ci si muove tra i 367 e i 521 litri. Inoltre, quest’ultima metterebbe al sicuro dalle epidemie e impedirebbe l’uso di antibiotici sul bestiame, con effetti positivi anche sull’antibiotico-resistenza a livello umano.
Lo stesso vale per gli insetti, in grado di dare una risposta concreta all’aumento del costo delle proteine animali, riducendo in parallelo le emissioni e lo spreco alimentare. Oltre a essere estremamente proteici, con una quota di proteine che sfiora il 70%, quasi tre volte maggiore rispetto alla carne rossa. Un cibo per tutti, quindi, che unisce i vantaggi per l’alimentazione e quelli per l’ambiente. I grilli, ad esempio, emettono meno dello 0,1% delle emissioni di gas serra delle mucche per produrre la medesima quantità di proteine.

Gli insetti e le carne sintetiche saranno anche al centro di uno dei quattro panel del convegno “L’evoluzione dell’agroalimentare italiano ed europeo tra sostenibilità e benessere”, organizzato da Gea, Eunews – testate di Withub – e Fondazione Art. 49 in collaborazione con il Parlamento europeo e con il patrocinio della Commissione europea. L’appuntamento del 9 marzo a Roma, presso Europa Experience, darà la stura al ciclo di sei eventi Withub previsti per il 2023: un momento di scambio e confronto tra esponenti di primo piano delle istituzioni nazionali ed europee con esperti, operatori di settore, organizzazioni di categoria e portatori di interesse. Gli altri argomenti che saranno affrontati durante i panel del convegno saranno nutri-score e packaging, le avvertenze sanitarie sulle etichette degli alcolici; l’innovazione e il PNRR per l’agricoltura sostenibile.

Altro tema caldo nell’ambito della tematica novel food è quello della sicurezza di questi nuovi alimenti. Per quanto riguarda la carne sintetica, oltre ai vantaggi certificati da numerosi studi scientifici, è interessante notare come Animal Equality Italia, Animal Law Italia, CIWF Italia, Essere Animali, LAV e LNDC Animal Protection abbiano diffuso un comunicato congiunto in cui vengono smontate le tesi relative alla scarsa salubrità proposte da Coldiretti. “Se Coldiretti vuole davvero parlare di inquinamento, lo faccia senza trascurare l’enorme impatto dell’allevamento di animali. E in riferimento all’espressione ‘cellule impazzite’, riferita alle cellule staminali di origine animale utilizzate per produrre carne coltivata, dobbiamo ricordare che questi procedimenti di coltura cellulare sono utilizzati dalla comunità scientifica da decenni”, si legge nella nota. E ancora: “Quali sarebbero i rischi per la salute umana? Perché per noi sono molto più evidenti quelli relativi all’allevamento intensivo, in cui vi è un uso sistematico di farmaci, fattore che spiana la strada ai superbatteri e all’antibiotico-resistenza. Rischio che per la carne in vitro non sussiste”. Quindi, concludono le associazioni, “la carne coltivata potrebbe rappresentare un’alternativa per tutti coloro che non si vogliono nutrire della sofferenza di altre creature senzienti e non vogliono arrecare danni all’ambiente”.

D’altro canto, sul fronte degli insetti c’è da segnalare che la ventina di categorie alimentari (dai biscotti alle zuppe, passando per pane e cioccolata) in cui è presente la larva del verme della farina minore devono presentare un’etichetta che segnala, su indicazione dell’Esfa, come il consumo non sia consigliabile ai minori di 18 anni, così come il fatto che siano possibili reazioni in soggetti allergici ai crostacei e agli acari della polvere.
Insomma, pro e contro su ciò che finirà sulle tavole dei consumatori, a dimostrazione di come, sui cibi del futuro, il dibattito sia destinato a rimanere aperto ancora a lungo.