Zago (Pro-Gest): “Il 2023 per la carta sarà anno da record negativo dopo il boom del 2022”
Ventotto stabilimenti in 7 regioni, un fatturato nel 2022 da 826 milioni di euro e 50 anni di storia. Sono solo alcuni dei numeri del Gruppo Pro-Gest, principale gruppo cartario italiano. GEA ha incontrato la direttrice generale, oltre che responsabile della divisione Food & Take Away Packaging e della comunicazione, Valentina Zago, durante Ecomondo a Rimini per capire la situazione del settore del riciclo della carta e della produzione del packaging in Italia.
Il Gruppo Pro-Gest ha festeggiato i suoi primi 50 anni. Di questi, gli ultimi tre sono stati sicuramente complicati per tutti, con una serie di crisi che ha portato ai rincari energetici e a quelli delle materie prime, fra cui la carta. Come li avete vissuti?
“La situazione attuale è quella di un mercato in cui forse si intravede una piccola ripresa, sicuramente il 2023 è stato un anno particolarmente duro. Era nell’aria che sarebbe arrivato questo momento, probabilmente si è proteso un po’ di più di quello che si aspettavano le imprese. Per quanto riguarda il nostro comparto, sicuramente a livello di costi delle materie prime abbiamo avuto un’oscillazione incredibile che è anche un po’ anomala nel nostro settore. Al di là della durata di questa crisi, quello che è stato strano è proprio la velocità, il mercato è cambiato repentinamente. Noi siamo passati da metà 2022 con ordini in portafoglio e scorte molto alte, una richiesta di materiale altissima e quindi di conseguenza a prezzi alti di mercato in generale, a settembre 2022, cioè nel giro di tre-quattro mesi, ad avere addirittura i magazzini troppo pieni. E’ stata la resa dei conti post Covid, il mondo è ritornato ad essere quello di una volta e la situazione è cambiata radicalmente”.
E ora qual è la situazione?
“Stiamo vivendo la stessa situazione ma con una grande differenza rispetto al 2022: l’estate scorsa facevamo la guerra con i costi energetici a 200 euro. Adesso sono ritornati sicuramente a delle cifre più accettabili, un anno e mezzo fa eravamo allo sbando totale. Ma non c’è una grande certezza di quanto questa situazione si possa definirla stabile, perché comunque lo spauracchio degli aumenti energetici e delle scorte di gas c’è, la situazione geopolitica non è chiara. Quello della carta è un mercato internazionale, quindi questi trend influiscono. E se ci caliamo nel nostro Paese, mi sento di dire che l’Italia sta attraversando una fase molto difficile che si ripercuote per forza di cose sui consumi delle famiglie. E la nostra industria è molto vicina ai consumi, quindi nel momento in cui lei le produzioni italiane calano e abbiamo una crescita molto vicina allo zero ci troviamo a fare i conti con volumi estremamente ridotti. Si stima che la carta in Italia quest’anno abbia viaggiato tra un 25 e un 30% di riduzione dei volumi. Noi abbiamo fatto un 2022 che è stato il nostro anno record e il 2023 probabilmente sarà il record al contrario”.
Passando invece agli aspetti positivi, durante gli Stati Generali della Green Economy è emerso che l’Italia è un’eccellenza nel riciclo, mentre sul resto procede lentamente. Perché?
“Perché rispetto altre altri tipi di transizione l’abbiamo interiorizzato un po’ tutti. Forse il riciclo risponde anche ad una necessità, quella dello smaltimento degli imballaggi domestici. Fino a 50-60 anni fa la carta si bruciava, però adesso in qualche modo va smaltita. Credo sia proprio cambiata la cultura, è un processo evolutivo. Ci sono tanti processi evolutivi che avrebbero senso quanto quello del riciclo, però non tutti ma performano bene come questo”.
Si discute molto della nuova proposta di regolamento europeo per gli imballaggi. Qual è la vostra posizione?
“Riutilizzo e riciclo sono due principi dell’economia circolare entrambi validi e entrambi giusti da perseguire. Ci sono tantissimi esempi di riutilizzo che hanno estremamente senso e funzionano bene. Penso per esempio al vuoto a rendere nel vetro. Ma per altre cose non sono d’accordo. Ad esempio nell’industria della carta, dove abbiamo investito negli ultimi 60 anni per perseguire degli obiettivi, credo che questo concetto non sia applicabile in un modo sostenibile. Trovo sia una questione di principio che non valuta gli effettivi benefici. Quindi, se posso essere d’accordo con alcune forme di riutilizzo, ritengo che vengano assolutamente sottovalutati gli impatti che possano avere altre forme. Sono a favore del riutilizzo, se riutilizziamo qualcosa di esistente. Ma se devo creare qualcosa di nuovo, che inevitabilmente ha un impatto, e poi per sostenere questo processo ho degli ulteriori impatti, sto duplicando o triplicando quello che può essere invece l’impatto di un processo già esistente che funziona. Non capisco per quale motivo stiamo pensando di andare in questa direzione. È come rinnegare anni e anni di investimenti”.