Italia Paese più circolare d’Europa: 1/5 di quello che produciamo viene dal riciclo

L’Italia si conferma il Paese più circolare d’Europa, seguita da Germania, Francia e Spagna, soprattutto per il riciclo dei RAEE (87,1%) e degli imballaggi (71,7%).
Cresce anche il riciclo dei rifiuti urbani (49,2% contro il 48,6% della media Ue), un settore che vede la Germania al primo posto (69,1%). La foto la scatta il sesto Rapporto nazionale sull’economia circolare, realizzato da Circular Economy Network (Cen) ed Enea.

E il risparmio non è solo quello delle famiglie. Quasi un quinto di quello che produciamo viene dal riciclo: nel tasso di utilizzo circolare di materia siamo secondi solo alla Francia. E primi tra le 5 principali economie dell’Unione europea nella capacità di utilizzare al meglio la materia: nel nostro Paese la produttività delle risorse vale mediamente 3,7 euro per chilo, contro la media UE di 2,5 euro per chilo. Il nostro sistema economico e produttivo ama insomma la circolarità, e a farlo sono anche le piccole e medie imprese: il 65% dichiara di mettere in atto pratiche di economia circolare, oltre il doppio rispetto al 2021.

Sono dati di grande attualità perché, a un mese esatto dalle elezioni europee, l’economia circolare è una delle poste in gioco: il futuro del Green Deal passa attraverso la circolarità. E l’Italia da sempre ha un ruolo di primissimo ordine in Europa su questo fronte.

Per la prima volta, in questa edizione del Rapporto, le performance di circolarità delle cinque maggiori economie dell’Unione Europea (Italia, Francia, Germania, Spagna e Polonia) sono state comparate usando gli indicatori della Commissione europea: produzione e consumo, gestione dei rifiuti, materie prime seconde, competitività e innovazione, sostenibilità ecologica e resilienza.
Anche con questi “nuovi” indicatori, risulta confermato il primato dell’Italia (45 punti) in termini di economia circolare, seguita da Germania (38), Francia (30) Polonia e Spagna (26). Il risultato positivo dell’Italia deriva soprattutto dalla gestione dei rifiuti.

Siamo primi in classifica per il tasso di riciclo dei rifiuti. Nello specifico, nel 2021 abbiamo avuto un tasso di riciclo dei rifiuti di imballaggio del 71,7%, 8% in più della media UE27 (64%). Inoltre, il riciclo dei rifiuti urbani in Italia è cresciuto del 3,4% tra il 2017 e il 2022, raggiungendo il 49,2%. La media UE è del 48,6%, la Germania “vince” con il 69,1%.
Torniamo in testa con il riciclaggio dei RAEE: nel 2021 è stato pari all’87,1% (meno due punti percentuali rispetto al 2017), con una media UE dell’81,3%. Tutto ciò a fronte di una produzione media pro capite dei rifiuti urbani di 513 kg nel 2022 nella UE; mentre in Italia siamo passati dai 504 kg/ab del 2018 ai 494 kg/ ab del 2022.

Nel 2022, la produttività delle risorse in Italia ha generato, per ogni chilo di risorse consumate, 3,7 euro di PIL, +2,7% rispetto al 2018. La media UE, nel 2022, è stata 2,5 euro/kg. Anche il dato degli altri quattro principali Paesi europei è inferiore a quello dell’Italia.

Quanto al tasso di utilizzo circolare di materia, cioè il rapporto tra l’uso di materie prime seconde generate col riciclo e il consumo complessivo di materiali, l’Italia conferma la sua posizione nel 2022, con un valore pari al 18,7%.

Gli investimenti in alcune attività di economia circolare nell’UE27 sono stati pari a 121,6 Mld di euro, lo 0,8% del PIL, nel 2021. L’Italia con 12,4 Mld di euro (0,7% del PIL) risulta al terzo posto, dietro a Germania e Francia. Rispetto al 2017, in questo ambito, segniamo però un aumento del 14,5%.

E poi l’economia circolare crea lavoro. Nel 2021 nella UE27 gli occupati in alcune attività dell’economia circolare erano 4,3 milioni, il 2,1% del totale; in Italia 613.000, cioè il 2,4%, +4%
rispetto al 2017; siamo secondi dopo la Germania, che conta in questi settori 785.000 lavoratori (1,7% sul totale).

Il valore aggiunto dell’intera UE relativo ad alcune attività dell’economia circolare nel 2021 è stato di 299,5 Mld di euro, il 2,1% del totale dell’economia; in Italia è pari a 43,6 Mld di euro, 2,5% del totale (era il 2,1% nel 2017). Anche Spagna e Germania lo hanno incrementato, mentre Francia e Polonia l’hanno ridotto.

Dunque, va tutto bene? Non proprio. Ad esempio, il consumo dei materiali in Italia nel 2022 è stato di 12,8 tonnellate/abitante, minore della media europea (14,9 t/ab) ma in crescita (+8,5%) rispetto alle 11,8 t/ab del 2018. Ancora, sempre nel 2022, la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di materiali (46,8%) è più del doppio della media europea (22,4%), anche se in calo (-3,8%) rispetto al 2018. Infine, per ciò che riguarda i brevetti relativi alla gestione dei rifiuti e al riciclaggio, nel 2020 per ogni milione di abitanti ne sono stati depositati 0,46, cioè complessivamente 206 nell’Unione Europea. In Italia solo 21 brevetti (0,36 per milione di abitanti): -25% rispetto al 2016. Nel loro insieme gli indicatori di trend della circolarità, basati sulla dinamica degli ultimi cinque anni, segnalano una certa difficoltà dell’Italia a mantenere la sua posizione di leadership.

Puntare sulla circolarità deve essere la via maestra per accelerare la transizione ecologica e climatica e aumentare la competitività delle nostre imprese”, osserva Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network. “Ancora di più per un Paese povero di materie prime e soprattutto, nel contesto attuale, caratterizzato da una bassa crescita e dai vincoli stringenti del rientro del debito pubblico. L’Italia può e deve fare di più per promuovere e migliorare la circolarità della nostra economia, con misure a monte dell’uso dei prodotti per contrastare sprechi, consumismo e aumentare efficienza e risparmio di risorse nelle produzioni; nell’uso dei prodotti, promuovendo l’uso prolungato, il riutilizzo, la riparazione, l’uso condiviso; e a fine uso, potenziando e migliorando la qualità del riciclo e l’utilizzo delle materie prime seconde”.

“Per avere risultati vincenti e duraturi è necessario rivoluzionare il modo in cui i prodotti vengono progettati e realizzati, integrando criteri di circolarità nei processi produttivi”, gli fa eco la direttrice del Dipartimento Sostenibilità dell’Enea, Claudia Brunori, che ha presentato un approfondimento sull’ecodesign.

Da pneumatici fuori uso ad accessori d’alta moda: in via Veneto il défilé circolare

Sono lontani i ruggenti anni ’60 della Dolce Vita, quando Via Veneto non si trovava solo al centro di Roma, era metaforicamente al centro del mondo. Per un giorno però la storica via degli hotel di lusso e dell’Harry’s Bar è tornata vetrina di un nuovo modo di intendere l’alta moda.

Una serata in cui tessuti di alto pregio, con tagli sartoriali e design innovativi, sono stati abbinati a manufatti in gomma riciclata da pneumatici fuori uso, in una dimensione distopica e onirica, per raccontare attraverso l’arte l’importanza sempre più urgente della tutela dell’ambiente.

Roma è di Moda‘, spettacolo-evento curato da Stefano Dominella, diretto da Guillermo Mariotto e coordinato da Zètema, il 28 luglio ha raccontato l’alto artigianato Made in Italy attraverso la moda ecosostenibile.

E’ Ecopneus, in Italia, il principale operatore della gestione dei Pneumatici Fuori Uso. Li trasforma in elementi ornamentali in gomma riciclata che impreziosiscono le creazioni di stilisti sensibili alla sostenibilità e che grazie a processi di upcycling e recycling hanno dato una seconda vita a tessuti e a materiali di scarto.

Le potenzialità della gomma riciclata sono “infinite“, per il Direttore Generale di Ecopneus Federico Dossena: “Il materiale è al tempo stesso versatile, elastico, resistente, con molteplici possibilità di personalizzazione. Noi ci rivolgiamo a un pubblico tradizionalmente industriale, promuoviamo la gomma nelle sue applicazioni tecniche e pratiche. Qui l’obiettivo che ci siamo posti è di portare un messaggio di sostenibilità’ ed economia circolare per ispirare ogni ambito delle attività produttive. E l’arte rappresenta senza dubbio un volano importante, un settore apparentemente lontano dal nostro ma con cui condividiamo una visione comune, l’impegno ad essere sempre più sostenibile”. Rendendo tangibile e reale un contenuto di grande attualità, gli abiti contribuiscono alla mission di Ecopneus di informare e sensibilizzare a una “cultura del riciclo”, unica strada possibile per il futuro.

Un connubio artistico e una collaborazione che pone l’attenzione sulla sostenibilità attraverso un linguaggio universale, la moda. Sono “abiti-messaggio”, creazioni che, grazie a inserti in materiale riciclato da Pfu, diventano un manifesto ambientalista.

La gomma riciclata si declina in  settori anche molto diversi tra loro: dai prodotti per l’edilizia come gli isolanti acustici e antivibranti, allo sport, con playground per parco giochi, campi da calcio, pavimentazioni sportive polivalenti e prodotti per il benessere animale. C’è anche il settore delle strade e infrastrutture dove accanto agli asfalti “modificati” silenziosi e duraturi, si possono produrre piste ciclabili, arredi urbani ed elementi per sicurezza stradale. Poi ci sono i prodotti di design, l’oggettistica e anche nuovi compound realizzati unendo gomma riciclata e materiali termoplastici.

Ogni anno Ecopneus gestisce raccolta, trattamento e recupero di mediamente circa 200mila tonnellate di PFU, trasformate in gomma riciclata per applicazioni nello sport, nelle infrastrutture, il benessere animale, l’arredo, l’energia. In 10 anni di attività è stata evitata l’immissione in atmosfera di oltre 3,36 milioni di tonnellate di CO2, risparmiati materiali per 3,3 milioni di tonnellate ed evitato il consumo di circa 15,5 milioni di m3 di acqua.

Levi’s: l’intramontabile guarda al futuro, il 501 diventa circolare

1985. Nick Kamen entra in una lavanderia a gettoni di una New York degli anni ’50, sfila t-shirt nera e jeans sulle note di ‘I Heard It Through the Grapevine’, infila tutto in lavatrice e resta in boxer, leggendo un quotidiano, in attesa di poterli re-indossare. ‘Levi’s 501 or nothing’, recitava lo slogan.

Se il jeans è il capo “circolare” per eccellenza – indossato fino al cedimento, accorciato, trasformato in borse, toppe, accessori d’ogni tipo -, il 501 è probabilmente il modello più conosciuto della storia. Intramontabile, fedele a se stesso per 149 anni (tanti ne ha compiuti a maggio) eppure capace di stare al passo con i tempi.

Era necessario, perché l’industria dei jeans è tra le più insostenibili del mondo della moda.

Per crearne un paio tradizionali occorrono circa 7.500 litri di acqua, tra la produzione del cotone e le lavorazioni di finissaggio. Il ‘mea culpa’ pubblico di Levi’s è una delle operazioni di comunicazione aziendale più riuscite: “Lo confessiamo – ammette l’azienda – Non siamo sempre andati nella direzione giusta. Essere un marchio di abbigliamento estremamente sostenibile è un obiettivo che ci sta a cuore, e ci stiamo ancora lavorando. Abbiamo fatto passi da gigante in diversi ambiti e ci sforziamo di migliorare in altri, ma la strada è ancora lunga”.

Nasce così, quest’anno, il 501 Designed for Circularity, un modello realizzato con cotone organico riciclato al 100%. Nei processi di lavorazione del capo vengono eliminati tutti gli elementi inquinanti, per evitare di interrompere il processo di riciclo del cotone.

Anche lo slogan ora sposta il focus dalla creazione del mito alla consapevolezza del cliente: ‘Buy better, wear longer’ (‘Compra meglio, indossa più a lungo’).

L’azienda fa ricerca su innovazioni che allunghino la vita dei prodotti: canapa cotonizzata, Levi’s WellThread, Water<Less, con cui si riducono il consumo di acqua e gli sprechi in generale. “La nostra concezione di durevolezza va ben oltre il semplice uso quotidiano. I prodotti sono concepiti per essere vissuti e per diventare ancora più belli con gli anni”, spiegano.

Dall’introduzione del progetto Water<Less, lanciato nel 2011, il risparmio di acqua è stato di oltre 4,2 miliardi di litri. Sono stati riutilizzati e riciclati 9,6 miliardi di litri d’acqua. Il 75% del cotone usato al momento proviene da fonti più sostenibili (l’obiettivo del 100% è stato fissato per il 2025, anno in cui si prevede di alimentare con il 100% di energia rinnovabile gli impianti di proprietà), e circa l’80% dei prodotti è confezionato in stabilimenti che applicano programmi Worker Well-Being, a tutela dei lavoratori. La strada da fare è ancora lunga, ma il sentiero è quello giusto.