Ultima Generazione a processo: Senato, Mic e Comune di Roma parte civile

La facciata del Senato è rimasta imbrattata per due ore, i danni all’ambiente sono indelebili”. A Piazzale Clodio, fuori dal tribunale penale di Roma, l’attivista climatica Chloè Bertini, spiega al megafono le ragioni delle azioni più discusse di Ultima Generazione. Quella sulla facciata di Palazzo Madama, imbrattata di vernice rossa il 2 gennaio scorso per chiedere al governo di interrompere i sussidi pubblici alle fonti fossili, costa a tre di loro un processo per danneggiamento aggravato. Ora Davide, Laura e Alessandro rischiano fino a cinque anni di carcere.

Nella prima udienza, il Senato della Repubblica, il ministero della Cultura e, a sorpresa, anche il Comune di Roma si costituiscono parte civile. Gli imputati scelgono il rito ordinario e il giudice aggiorna il procedimento al prossimo 18 ottobre. Sarà ammesso a testimoniare il geologo Mario Tozzi, insieme con Bjork e Zoe, due attiviste di Ultima Generazione.

I ragazzi “non volevano cagionare danni“, spiega a GEA l’avvocato, Cesare Antetomaso. “Verificheremo se il danno materiale corrisponde a quello lamentato, noi abbiamo nominato un consulente, una docente di Scienza dei materiali, perché verifichi“, fa sapere.

Questo gesto è stato una scossa in mezzo al silenzio“, tuona Chloè al megafono. Intorno a sé ha una quarantina di attivisti, con cartelli e striscioni e qualche rappresentante politico. ‘La disobbedienza civile pacifica non è reato’, ‘Basta con la follia del fossile’, ‘Stop alla criminalizzazione di chi difende il clima’, si legge sui cartelli. “Alcuni politici erano scioccati dalla vernice rossa, a me ha scioccato la rapidità con cui si sono creati spazi di confronto – osserva Chloè -. Noi chiediamo al governo di investire soldi pubblici in maniera coerente”.

Mettere sul banco degli imputati ragazzi giovanissimi che hanno promosso “iniziative che non fanno un soldo di danno è un rovesciamento impressionante del buon senso”, dice Nicola Fratoianni, esponente di AVS, al presidio tra i ragazzi. Spera che la magistratura “faccia le giuste valutazioni” e chiede a chi si è costituito parte civile di ripensarci. L’appello è soprattutto a Ignazio La Russa, presidente del Senato “uomo di militanza e lotta politica”, perché cambi idea. “Possibile – chiede – che non ci concentriamo sull’oggetto della protesta ma solo sul metodo, che comunque non è violento?”.

La richiesta di pene è “spropositata” rispetto a quella che gli attivisti pongono, “una questione giusta“, gli fa eco Angelo Bonelli, che parla di “un negazionismo climatico del governo enorme”. Non condivide il metodo (“se lo condividessi lo farei anche io“), ma confessa di aver violato la legge più volte da giovane per difendere il pianeta. Il punto è un altro, scandisce: “Il governo si è dimenticato di costituirsi parte civile sulla logica stragista a piazza della Loggia. Il cambiamento climatico è emergenza sì o no? Il Senato si costituisce parte civile contro il crimine contro l’umanità che è la crisi climatica sì o no? Bisognerebbe fare una operazione verità”, aggiunge.

Anche il Pd partecipa al presidio. ”Pur non condividendo il loro metodo, capiamo la preoccupazione dei giovani attivisti, che protestano contro un governo a dir poco inerte di fronte alla sfida climatica“, afferma la coordinatrice della segreteria dem, Marta Bonafoni. La protesta, precisa, “non va criminalizzata, vanno invece ascoltate le ragioni di chi si batte contro i cambiamenti climatici. Serve investire non sulla repressione ma su una reale conversione ecologica ed energetica del nostro sistema“. Solidarietà arriva anche dalla Flc Cgil, “da sempre impegnata attivamente sui rischi legati al cambiamento climatico, anche con la partecipazione agli scioperi globali promossi da Fridays For Future“, ricorda. Il sindacato si dice preoccupato che “il Governo criminalizzi le proteste non violente dei ragazzi e delle ragazze, decretando addirittura nuovi reati ad hoc, mentre non usa la stessa durezza contro altri reati, a partire da quello di evasione fiscale“.
Una “strumentalizzazione” per Massimo Milani, deputato di Fratelli d’Italia e Segretario della Commissione Ambiente alla Camera, che bolla la partecipazione del partito di Elly Schlein al presidio  come “grave“: “Come al solito, la sinistra cavalca l’onda delle proteste degli ecovandali“. Si accoda, su Twitter, Raffaella Paita, presidente del gruppo Azione-Italia Viva: “Ecco il nuovo Pd al fianco dei teppisti che imbrattano i monumenti del Paese. E’ il Pd di Schlein: tutto tasse ed estremismo“.

emissioni gas serra

Stretta Usa su emissioni: piano per ridurre CO2 centrali elettriche

Continua l’azione del governo americano a difesa del clima. L’amministrazione di Joe Biden ha annunciato un maxi piano per ridurre le emissioni di CO2 per le centrali elettriche, comprese quelle a gas e carbone, a partire dal 2030, misure tanto attese nell’ambito degli impegni climatici degli Stati Uniti. Queste nuove norme prevedono, tra l’altro, l’obbligo per alcune centrali elettriche a carbone di catturare le proprie emissioni di CO2, invece di immetterle nell’atmosfera. Se entreranno in vigore, sarà la prima volta che l’Environmental Protection Agency (Epa) imporrà restrizioni sulle emissioni di CO2 delle centrali elettriche esistenti. La produzione di elettricità rappresenta circa un quarto delle emissioni di gas serra americane.

Come un precedente tentativo sotto il presidente Obama, è probabile che questi regolamenti vengano combattuti in tribunale. Secondo il direttore dell’Epa, Michael Regan, avranno il potenziale per prevenire l’emissione di “oltre 600 milioni di tonnellate di carbonio entro il 2042“, che equivalgono alle emissioni di “metà delle auto americane in un anno“. Regan ha però avvertito che porterebbero alla chiusura delle centrali elettriche a carbone, ma ha assicurato che avrebbero “un impatto trascurabile sui prezzi dell’elettricità“.

In concreto, le regole proposte variano a seconda del tipo di centrale, del loro livello di utilizzo o anche della loro eventuale data di chiusura prevista. L’agenzia fa affidamento in particolare sulle tecniche di cattura e stoccaggio della CO2, che sono ancora rare e costose. Nel 2022, secondo la US Energy Information Agency, circa il 60% della produzione di elettricità negli Stati Uniti proveniva da gas (40%) o carbone (20%), seguita dal nucleare (18%) e dalle energie rinnovabili ( 21,5%).

Il governo sta scommettendo sul loro sviluppo, dopo aver approvato lo scorso anno una legge (il controverso Inflation Reduction Act) che prevede maggiori crediti d’imposta per le centrali elettriche che utilizzano queste tecniche. Una prima categoria riguarda le centrali termoelettriche a turbina a vapore, cioè prevalentemente a carbone. Secondo le nuove regole, chi intende proseguire dopo il 2040 dovrà installare tecnologie che consentano di catturare il 90% della CO2 emessa dal 2030. Nessuna restrizione, invece, per le centrali a carbone dismesse entro il 2032, o addirittura entro il 2035 per quelle funzionanti a meno del 20% della loro capacità.

L’Epa sostiene che l’installazione di queste tecnologie richiederà tempo e sarà particolarmente conveniente per gli impianti che operano più a lungo. Per le centrali elettriche a gas che utilizzano turbine a combustione, si propongono due percorsi: da un lato la cattura della CO2, dall’altro l’idrogeno a basse emissioni di carbonio. Le nuove centrali elettriche a gas utilizzate ad alta capacità dovranno catturare il 90% della loro CO2 entro il 2035, oppure utilizzare idrogeno a basse emissioni di carbonio al 30% entro il 2032 e al 96% entro il 2038. Si applicano le stesse regole alle più grandi centrali elettriche a gas già esistenti. Regan ha assicurato che queste proposte erano “al 100% in linea” con gli impegni di Joe Biden, che ha promesso una produzione di energia a emissioni zero dal 2035.
Già nel 2015 Barack Obama aveva annunciato un piano per ridurre le emissioni di CO2 delle centrali elettriche, che è stato bloccato prima di entrare in vigore: la Corte Suprema aveva limitato la capacità di agire dell’EPA l’anno scorso. Secondo la sentenza, le regole generali, che avrebbero la conseguenza di imporre una transizione dal carbone ad altre fonti energetiche, esulano dall’autorità dell’agenzia.
Le misure presentate giovedì seguono “l’approccio tradizionale” dell’EPA per agire sotto il ‘Clean air act’, ha assicurato Regan. “Siamo fiduciosi di agire entro questi limiti”, ha affermato. Prima di essere finalizzate, le nuove regole devono essere oggetto di un periodo di dibattito pubblico.

Dai livelli di mercurio nell’Artico lo specchio del cambiamento climatico

Il mercurio, inquinante globale estremamente tossico per salute e ambiente, è al centro di un nuovo studio a guida italiana appena pubblicato sulla rivista scientifica Nature Geoscience. Scienziate e scienziati dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), in collaborazione con altri partner internazionali, hanno esaminato la relazione tra le variazioni climatiche del passato con i livelli di mercurio in Artico per capire quali sono i fattori naturali che influenzano il ciclo biogeochimico di questo elemento.
Nel contesto del progetto EastGRIP (East GReenland Ice core Project) coordinato dal Centre for Ice and Climate di Copenaghen, il team di ricerca ha condotto l’analisi di una carota di ghiaccio proveniente dalla calotta groenlandese, osservando la dinamica del mercurio tra 9.000 e 16.000 anni fa, durante la transizione tra l’ultimo periodo glaciale e l’attuale periodo climatico, l’Olocene. I risultati hanno evidenziato che i livelli di mercurio durante questa transizione sono stati fortemente influenzati dalla riduzione della copertura di ghiaccio marino.

“Il nostro studio mostra che la deposizione di mercurio in Artico è triplicata all’inizio dell’Olocene rispetto all’Ultimo Periodo Glaciale”, spiega Delia Segato, dottoranda in Scienza e Gestione dei Cambiamenti Climatici dell’Università Ca’ Foscari Venezia.Grazie all’analisi e l’interpretazione di archivi paleoclimatici e lo sviluppo di un modello di chimica atmosferica del mercurio”, continua Segato, “lo studio ha concluso che la perdita di ghiaccio marino, specialmente quello perenne, nell’oceano Atlantico sub-polare a causa del riscaldamento climatico avvenuto 11.700 anni fa, è stata la maggior responsabile dell’aumento di deposizione di mercurio in Artico”.

Le emissioni di mercurio, attentamente monitorate a livello internazionale, non sono solamente di origine antropica. Il ciclo biogeochimico del mercurio è controllato anche da diverse fonti naturali, come le attività vulcaniche, nonché da una moltitudine di processi fisici, chimici e biologici che si verificano nel suolo, nell’oceano e nell’atmosfera. “Nelle regioni polari, il ghiaccio marino svolge un ruolo fondamentale nel controllo di questi processi”, spiega Andrea Spolaor, ricercatore presso del Cnr-Isp di Venezia e coautore dello studio. “Infatti, – aggiunge – è stato dimostrato che il ghiaccio marino perenne, spesso di diverse decine di metri di spessore, impedisce il trasferimento del mercurio dall’oceano all’atmosfera, che altrimenti avverrebbe a causa della volatilità di questo metallo”.

“Al contrario, il ghiaccio marino stagionale, essendo più sottile, permeabile e salino, consente il trasferimento del mercurio e favorisce complesse reazioni atmosferiche che coinvolgono il bromo e aumentano la frequenza di eventi di depauperamento atmosferico del mercurio, causando una più rapida deposizione nell’ambiente artico”, conclude Spolaor. “A causa del riscaldamento climatico attuale – dice – l’estensione del ghiaccio marino perenne nell’Artico è diminuita di oltre il 50% rispetto all’inizio delle misurazioni satellitari negli anni ’70. Studi futuri ci aiuteranno a stimare come questo fenomeno influirà sui livelli di mercurio e quali sono i rischi associati per le popolazioni e gli ecosistemi artici”.

Nuovo blitz Ultima Generazione: bloccato traffico a Roma

Dopo i due blocchi stradali della scorsa settimana e dopo la street parade promossa sabato 22 aprile, gli attivisti della campagna ‘Non paghiamo il fossile’, promossa da Ultima Generazione sono tornati a bloccare il traffico a Roma. Questa mattina alle 8:05 ventuno persone hanno bloccato via Appia Nuova, zona Ippodromo delle Capannelle, in entrambi i sensi di marcia. Come si legge in una nota del movimento, una di loro ha incollato le proprie mani all’asfalto per aumentare la durata del blocco.
Per tutta la durata dell’azione i cittadini hanno discusso con gli automobilisti e con i passanti presenti della gravità della situazione climatica corrente e dell’inaccettabilità dell’inazione della politica per mitigarne i danni. Verso le 8:25 sul posto sono arrivate le Forze dell’ordine che alle 8:40 hanno spostato i presenti dalla strada. Infine i cittadini di Ultima Generazione sono stati portati in questura. “Sono Bjork, ho 21 anni e sostengo la campagna Non Paghiamo Il Fossile di Ultima Generazione. L’unico modo che abbiamo per farci ascoltare è rendere la protesta insopportabile, deve essere impossibile ignorarci, e per fare questo purtroppo dobbiamo creare del disagio. Oggi bloccheremo di nuovo il traffico a Roma e io mi incollerò all’asfalto per allungare i tempi dell’azione“, ha dichiarato un attivista. “La cosa peggiore che sta capitando alle persone coinvolte nell’azione – continua – non è quella di essere bloccate nel traffico, e la cosa peggiore che sta capitando a me non è quella di rischiare la fedina penale o di farmi male incollandomi qui, ma il continuo disinteresse del governo verso le nostre vite e il continuo investire nei combustibili fossili, che già ci sta togliendo l’acqua potabile, l’acqua per irrigare i campi, il cibo che cresce dalla terra e le nostre vite”.

Nello stesso momento,  attivisti del gruppo tedesco hanno bloccato il traffico su diversi assi di Berlino chiedendo maggiore impegno sul clima da parte del governo di Olaf Scholz. “Noi stiamo oggi bloccando Berlino in venti (diversi) posti. Stiamo fermando la città in modo che il governo si muova“, ha annunciato Raphael Thelen, un attivista del movimento, in un video trasmesso su Twitter. Un portavoce della polizia di Berlino ha individuato azioni di protesta in 33 luoghi della capitale tedesca, in particolare sulla tangenziale dove gli attivisti, come di consueto, hanno inscenato un sit-in. Le forze di sicurezza stanno cercando di disperdere i manifestanti, vestiti con un giubbotto di sicurezza arancione, che in piccoli gruppi di due o tre sono seduti per terra sulla strada a gambe incrociate.

Clima, 2022 l’anno più secco della storia in Europa: +2,2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali

Il 2022 è stato l’anno più secco in Europa da quando ci sono rilevazioni scientifiche sul clima, cioè la seconda metà del 1800: al primo posto per estensione delle aree colpite dalla siccità, al secondo per riduzione della portata dei fiumi. E’ quanto rivela il rapporto annuale di Copernicus, il servizio Ue di osservazione della Terra, ‘European State of the climate 2022‘. Inoltre, tra il 2018 e il 2022, le temperature medie in Europa sono state superiori di 2,2 gradi Celsius rispetto ai livelli pre-industriali 1850-1900. A livello globale, gli ultimi otto anni sono stati i più caldi mai registrati. Nel 2022, le concentrazioni medie annuali globali di anidride carbonica (CO2) e metano (CH4) hanno raggiunto i livelli più alti mai misurati dal satellite. L’Europa ha vissuto la sua estate più calda mai registrata, aggravata da numerosi eventi estremi tra cui intense ondate di caldo, condizioni di siccità e vasti incendi: nel dettaglio,  il 2022 è stato il secondo anno più caldo mai registrato, con 0,9°C al di sopra della media recente (utilizzando il periodo di riferimento 1991-2020). La scorsa estate è stata la più calda mai registrata in Europa, con 1,4°C al di sopra della media recente.

Il rapporto indica che nel 2022 il 63% dei fiumi europei è stato sotto la media degli anni compresi tra il 1991 e il 2020 e che l’anno scorso è stato il sesto consecutivo di portate sotto la media per i corsi d’acqua del continente. La mancanza di neve invernale e le elevate temperature estive hanno inoltre determinato una perdita record di ghiaccio dai ghiacciai delle Alpi, pari a una perdita di oltre 5 km3 di ghiaccio. Durante l’inverno 2021-2022, gran parte dell’Europa ha registrato infatti meno giorni di neve rispetto alla media, con molte aree fino a 30 giorni in meno. In primavera, le precipitazioni sono state inferiori alla media in gran parte del continente, con maggio che ha visto le precipitazioni più basse mai registrate per il mese. . Secondo Copernicus, il sud dell’Europa ha avuto il numero più alto mai registrato di giorni con “stress termico molto forte” e il trend in tutta Europa è in crescita.

Le emissioni totali di carbonio stimate dagli incendi boschivi nei paesi dell’UE per l’estate 2022 sono state le più alte dal 2007. Anche Francia, Spagna, Germania e Slovenia hanno registrato le emissioni di incendi boschivi estivi più elevate degli ultimi 20 anni, con l’Europa sudoccidentale che ha visto alcuni dei più grandi incendi mai registrati nel continente.

Durante il 2022, anche la Groenlandia ha sperimentato condizioni climatiche estreme, tra cui caldo eccezionale e precipitazioni a settembre, periodo dell’anno in cui la neve è più tipica. Le temperature medie del mese sono state fino a 8°C superiori alla media (le più alte mai registrate) e l’isola è stata colpita da tre diverse ondate di caldo. Questa combinazione ha causato uno scioglimento record della calotta glaciale, con almeno il 23% della calotta glaciale colpita al culmine della prima ondata di caldo.

Unico aspetto positivo, nel 2022, è stata la quantità di radiazione solare ricevuta dal continente: la più elevata in 40 anni, con un trend in crescita nello stesso periodo. La velocità del vento sul territorio europeo l’anno scorso è stata in linea con la media degli ultimi trent’anni. Ma questo vuol dire che è stata sotto la media nell’Europa occidentale, centrale e nordorientale, cioè la maggior parte del territorio, e sopra la media soltanto in quella orientale e sudorientale.

Clima, blitz Ultima Generazione: interrotto traffico al Colosseo

Verso le 7 di questa mattina sei persone aderenti alla campagna ‘Non paghiamo il fossile’, promossa da Ultima Generazione, sono state fermate dalla polizia a Roma. Nonostante questo episodio, verso le 10.20, altri otto cittadini e cittadine aderenti alla stessa campagna hanno bloccato il traffico a Roma in Piazza del Colosseo, all’incrocio con via Labicana. Lo si apprende da una nota di Ultima Generazione in cui si spiega che “tutta la durata dell’azione i cittadini hanno discusso con gli automobilisti e con i passanti presenti della gravità della situazione climatica corrente e dell’inaccettabilità dell’inazione della politica per mitigarne i danni”. Verso le 10.25 sul posto sono arrivate le Forze dell’ordine che hanno spostato i presenti dalla strada. Infine i cittadini di Ultima Generazione sono stati portati in questura. Il tempo effettivo del blocco è stato di circa 25 minuti.

L’unico modo che abbiamo per farci ascoltare è rendere la protesta inascoltabile: deve essere impossibile ignorarci e per fare questo, purtroppo, dobbiamo creare del disagio. La cosa peggiore che sta capitando alle persone in questo momento non è di essere bloccate nel traffico, e la cosa peggiore che sta capitando a me non è quella di rischiare la fedina penale o di farmi male, ma il continuo disinteresse del governo verso le nostre vite e il continuo investire nei combustibili fossili, che già ci sta togliendo l’acqua potabile, l‘acqua per irrigare i campi, il cibo che cresce dalla terra e le nostre vite”, ha dichiarato una cittadina che sostiene la campagna ‘Non paghiamo il fossile’.

Clima, attivisti Ultima Generazione bloccano traffico in viale Tor di Quinto a Roma

Questa mattina, verso le 8.10, nove cittadini e cittadine di Ultima Generazione hanno interrotto il traffico in viale Tor di Quinto, all’altezza di Ponte Milvio. Reggevano degli striscioni con su scritto ‘Non paghiamo il fossile’, la campagna di disobbedienza civile nonviolenta promossa da Ultima Generazione. Per tutta la durata dell’azione i cittadini hanno discusso con gli automobilisti presenti sulla gravità della situazione climatica corrente e “dell’inaccettabilità dell’inazione della politica per mitigarne i danni”. Verso le 8.15 sul posto sono arrivate le forze dell’ordine che alle 8.35 hanno spostato i presenti dalla strada. Infine i cittadini di Ultima Generazione sono stati portati in questura. Il tempo effettivo del blocco è stato di 25 minuti. “Nulla – si legge in una nota del movimento – in confronto ai disagi e ai rallentamenti dovuti alle grandinate straordinarie degli ultimi giorni”.

“Ci dispiace creare disagio a queste persone – spiegano gli attivisti di Ultima Generazione – ma è l’unico modo. Stiamo facendo grossi sacrifici per il bene di tutti e stiamo andando nella direzione giusta, i risultati li stiamo ottenendo. Non possiamo fare finta di nulla, la situazione è drammatica. Ho paura per la mia casa. In Italia nel 91% dei comuni italiani oltre 3 milioni di famiglie vivono in zone a rischio alluvioni e frane. Ce le siamo già dimenticate le persone e i bambini morti nelle Marche e a Ischia? “

Per gli attivisti “bisogna investire nella messa in sicurezza delle case, nell’abbassamento delle emissioni e non nel fossile. Gli eventi climatici estremi nel 2022 sono raddoppiati. Il disagio che stiamo creando noi in questo momento è nettamente inferiore ai disagi creati dalle grandinate di questi giorni. Chiediamo solo un po’ di fiducia agli automobilisti, lo stiamo facendo per tutti”, hanno spiegato le cittadine e i cittadini che hanno preso parte all’azione di questa mattina.

Dal G7 l’impegno per accelerare l’uscita dai combustibili fossili

I Paesi industrializzati del G7 si sono impegnati domenica ad “accelerare” la loro “uscita” dai combustibili fossili in tutti i settori, senza però fissare una nuova scadenza, e hanno deciso di puntare congiuntamente all’azzeramento dell’inquinamento da plastica entro il 2040. L’impegno ad abbandonare i combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) non si applica però a quelli con impianti di cattura e stoccaggio della CO2, secondo il comunicato congiunto dei ministri del clima, dell’energia e dell’ambiente del G7, riuniti da sabato a Sapporo (Giappone settentrionale). Invece di un calendario preciso, i principali Paesi industrializzati (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Canada) hanno vagamente incluso questo obiettivo nei loro sforzi per raggiungere la neutralità energetica del carbonio entro il 2050 “al più tardi“. L’anno scorso si erano già impegnati a decarbonizzare la maggior parte dei loro settori elettrici entro il 2035, obiettivo riconfermato domenica.

A dimostrazione della difficoltà dei negoziati, i Paesi non si sono impegnati a fissare una data per la graduale eliminazione del carbone nel settore elettrico, anche se il Regno Unito, sostenuto dalla Francia, aveva proposto il 2030. Sul fronte ambientale, i Paesi del G7 si sono impegnati a ridurre a zero l’inquinamento aggiuntivo da plastica entro il 2040, in particolare attraverso l’economia circolare, riducendo o abbandonando la plastica monouso e non riciclabile. Germania, Francia, Ue, Regno Unito e Canada fanno già parte di una coalizione internazionale che ha assunto lo stesso impegno lo scorso anno. Ma è la prima volta che Stati Uniti, Giappone e Italia si uniscono a loro. La questione è cruciale: la quantità di rifiuti di plastica è raddoppiata a livello mondiale in vent’anni e solo il 9% di essi viene effettivamente riciclato, secondo l’OCSE. E le Nazioni Unite stimano che la quantità di plastica scaricata negli oceani sarà quasi triplicata entro il 2040.

I membri del G7 hanno dovuto dimostrare unità e determinazione dopo l’ultimo allarmante rapporto di sintesi del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), pubblicato a marzo. Secondo l’IPCC, il riscaldamento globale causato dall’attività umana raggiungerà 1,5°C al di sopra dei livelli preindustriali entro il 2030-2035. Ciò mette ulteriormente a rischio l’obiettivo dell’Accordo di Parigi del 2015 di limitare l’aumento della temperatura a questo livello, o almeno ben al di sotto dei 2°C.

Domenica il G7 ha anche riaffermato il suo impegno a lavorare con altri Paesi sviluppati per raccogliere 100 miliardi di dollari all’anno per i Paesi emergenti per combattere il riscaldamento globale, un impegno che risale al 2009 e che originariamente doveva essere raggiunto entro il 2020. Un vertice per migliorare l’accesso ai finanziamenti per il clima per i Paesi in via di sviluppo, una questione delicata e cruciale, è previsto per la fine di giugno a Parigi.

Dato il contesto geopolitico globale molto teso, con la guerra in Ucraina dall’anno scorso e le proposte conservatrici del Giappone sul gas naturale, le ONG ambientaliste temevano che la riunione di Sapporo si sarebbe risolta in una regressione. Il G7 ha convenuto, come l’anno scorso, che gli investimenti nel gas naturale “possono essere appropriati” per aiutare alcuni Paesi a superare l’attuale crisi energetica. Ma allo stesso tempo è stato sottolineato il primato di una transizione energetica “pulita” e la necessità di ridurre la domanda di gas. Anche l’altra proposta giapponese di far riconoscere l’ammoniaca e l’idrogeno come co-combustibili “puliti” per le centrali termoelettriche è stata circondata da garanzie. Il G7 ha insistito sul fatto che queste tecnologie devono essere sviluppate da fonti “a basse emissioni di carbonio e rinnovabili“.

Le ONG ambientaliste, tuttavia, sono rimaste deluse. “Ci sono alcune buone notizie” negli annunci del G7 “ma manca ancora l’ambizione” di affrontare le sfide, ha detto Daniel Read di Greenpeace.

Extinction Rebellion ‘colpisce’ sede Rai pubblicità di Milano

Nuova azione del gruppo ambientalista Extinction Rebellion. Nella notte, gli attivisti hanno attaccato manifesti sulle vetrate della sede di Rai Pubblicità di Corso Sempione a Milano e scritto sull’asfalto, all’ingresso della sede, ‘No Eni, no greenwashing’.

I manifesti, che imitano quelli delle più famose trasmissioni Rai, incitano l’emittente pubblica ad impegnarsi sul serio nella comunicazione della crisi eco-climatica dove i media hanno un ruolo fondamentale. “Per dimostrare di fare sul serio la Rai deve subito smettere di fare pubblicità alle aziende fossili che sono i principali responsabili del surriscaldamento globale e della crisi ecologica, Eni su tutte”, spiegano gli attivisti in una nota.

“Da poche settimane è uscito il nuovo report della IPCC sulla crisi eco-climatica” afferma Skar, attivista di Extinction Rebellion, “purtroppo ciò che emerge da questo documento importantissimo non sta ricevendo l’attenzione che merita, mentre invece viene lasciato molto spazio alle pubblicità delle aziende dei combustibili fossili che invece ne sono responsabili. Siamo sempre più vicini al punto di non ritorno, superato il quale gli effetti dell’aumento della temperatura della Terra saranno irreversibili. Questo vorrà dire che ci saranno sempre maggiori catastrofi naturali che sarà molto difficile gestire e che costeranno la vita a migliaia e forse milioni di persone!”

Gli attivisti denunciano in particolare le responsabilità della RAI nella comunicazione della crisi eco-climatica: “Abbiamo cercato sul sito della RAI se da qualche parte comparissero dei dati sui suoi finanziatori, ma non abbiamo trovato nulla” spiega Valeria. “Riteniamo che sia inaccettabile vedere in prima serata, durante il Festival di Sanremo, gli spot di Eni Plenitude, che altro non sono se non greenwashing. ENI ancora oggi e per i prossimi decenni ricaverà enormi profitti e manterrà al centro delle sue attività l’estrazione di combustibili fossili, nonostante voglia farci credere il contrario”.

“Al centro della nostra campagna, DiRAI La Verità, c’è la convinzione che i media abbiano un grandissimo potere ed una grandissima responsabilità nel parlare di crisi eco-climatica ed informare la popolazione” dice Sara. “Riteniamo che non la stiano raccontando in maniera corretta a causa della presenza di interessi fossili nel mondo dell’informazione. Quello che chiediamo alla RAI è di essere da esempio per il mondo della comunicazione italiana e rinunciare ai finanziamenti fossili, perché è possibile farlo ed è già stato fatto altrove!”.

 

photo credit: Extinction Rebellion (Instagram)

Maxi-multe per chi vandalizza i monumenti: nel mirino attivisti clima

Protestare vandalizzando i monumenti ha un costo. Il Consiglio dei ministri licenzia il disegno di legge che prevede multe da 20mila a 60mila euro per chi “distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili” beni culturali o paesaggistici. Chi poi deturpa o imbratta è punito con una sanzione che va da 10mila ai 40mila euro. Somme che si aggiungono a quelle cui verranno eventualmente condannati a pagare i trasgressori in sede penale o civile. Si tratta, infatti, di sanzioni amministrative immediatamente irrogabili dal prefetto del luogo dove il fatto è commesso, sulla base delle denunce dei pubblici ufficiali.

Nel mirino del governo ci sono gli attivisti ambientalisti, in particolare quelli di Ultima generazione, che il primo aprile hanno ‘colorato’ di nero la Barcaccia di piazza di Spagna, a Roma, versando del carbone vegetale nella fontana, per denunciare l’emergenza climatica e energetica. Un blitz parte della campagna ‘Non paghiamo il fossile‘, uno dei tanti che il movimento organizza periodicamente.

Super multe per vandali e imbrattatori: una proposta di legge che la Lega aveva depositato a novembre“, rivendica il vicepremier Matteo Salvini sui social. “Gli attacchi ai monumenti e ai siti artistici producono danni economici alla collettività“, spiega il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Per ripulire occorrono “l’intervento di personale altamente specializzato e l’utilizzo di macchinari molto costosi. Chi compie questi atti deve assumersi la responsabilità anche patrimoniale“, denuncia. Secondo i dati della Soprintendenza Speciale di Roma, il ripristino della facciata del Senato, imbrattata di vernice rossa il 2 gennaio, è costato 40mila euro. “Ebbene, chi danneggia deve pagare in prima persona“, sentenzia il ministro.

Di “giustizia distorta” parla il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra. Riflette su come in poco tempo il governo abbia “partorito un nuovo reato contro gli attivisti per il clima“, ma “contro la speculazione edilizia e il consumo di suolo, i grandi inquinatori o chi sversa veleni nell’ambiente” non abbia fatto nulla. E ricorda l’introduzione di un “salvacondotto” per le grandi aziende, “responsabili della stragrande maggioranza delle emissioni, per concordare le tasse da pagare“: “In pratica, se devasti l’ambiente o evadi milioni non ti fanno nulla, se manifesti con della vernice vegetale che non lascia segni ti sbattono in cella. Una follia. Un governo di climafreghisti tutto chiacchiere e distintivo“. I giovani “vanno ascoltati, non puniti“, gli fa eco Ilaria Cucchi, che fa riferimento al reato contro i Rave di inizio legislatura, prima della stretta per chi compie atti contro opere d’arte e beni monumentali: “Un freno, secondo il governo e la maggioranza, ai blitz degli attivisti ambientalisti che risponde solo alla sicurezza e al decoro ma non ai problemi posti da queste ragazze e ragazzi. Un grido d’allarme verso le sorti del Pianeta che non può essere criminalizzato. Saranno sicuramente iniziative estreme ma è estrema la crisi climatica in corso, e devono essere estreme le risposte. E invece un governo negazionista dei cambiamenti climatici pensa di risolvere tutto aumentando le pene o mettendo in carcere gli attivisti“.

Per Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del Pd, “un governo incapace, che mostra ogni giorno che passa la propria inadeguatezza ad affrontare i problemi del Paese, continua ad affidarsi a provvedimenti il cui unico scopo è distrarre l’attenzione agitando le bandiere della propaganda“. Una legge, ricorda, esiste già ed è entrata in vigore lo scorso anno: “prevede pene molto severe per chi danneggia i beni artistici, legge che abbiamo voluto a tutela del nostro straordinario patrimonio artistico e culturale e che venne votata da tutto il Parlamento, maggioranza e opposizione. Basta, anche in questo caso, applicarla. Ma evidentemente questo non importa al governo. Ciò che conta è nascondere i propri fallimenti“.

E’ d’accordo il Movimento 5 Stelle, che accusa Palazzo Chigi di “distrazione di massa” per coprire “l’evidente incapacità di affrontare i dossier più importanti“. Le leggi e le sanzioni esistono già, ribadiscono: nel 2022 è stata introdotta una disciplina dei reati contro i beni culturali, il M5S ha contribuito concretamente alla definizione di quelle norme. L’intervento del governo Meloni, sottolinea il M5S, è “superfluo ma in fondo coerente con la sua assurda linea di contrasto alla transizione ecologica“.

 

Photo credit: Ultima Generazione (Instagram)