Mattarella: “Transizione energetica concreta per mettere al sicuro il Pianeta”

Un anno addietro, rivolgendomi a voi in questa occasione, definivo i sette anni precedenti come impegnativi e complessi.
Lo è stato anche l’anno trascorso, così denso di eventi politici e istituzionali di rilievo.

L’elezione del Presidente della Repubblica, con la scelta del Parlamento e dei delegati delle Regioni che, in modo per me inatteso, mi impegna per un secondo mandato.

Lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni politiche, tenutesi, per la prima volta, in autunno.

Il chiaro risultato elettorale ha consentito la veloce nascita del nuovo governo, guidato, per la prima volta, da una donna.

E’ questa una novità di grande significato sociale e culturale, che era da tempo matura nel nostro Paese, oggi divenuta realtà.

Nell’arco di pochi anni si sono alternate al governo pressoché tutte le forze politiche presenti in Parlamento, in diverse coalizioni parlamentari.

Quanto avvenuto le ha poste, tutte, in tempi diversi, di fronte alla necessità di misurarsi con le difficoltà del governare.

Riconoscere la complessità, esercitare la responsabilità delle scelte, confrontarsi con i limiti imposti da una realtà sempre più caratterizzata da fenomeni globali: dalla pandemia alla guerra, dalla crisi energetica a quella alimentare, dai cambiamenti climatici ai fenomeni migratori.

La concretezza della realtà ha così convocato ciascuno alla responsabilità.

Sollecita tutti ad applicarsi all’urgenza di problemi che attendono risposte.

La nostra democrazia si è dimostrata dunque, ancora una volta, una democrazia matura, compiuta, anche per questa esperienza, da tutti acquisita, di rappresentare e governare un grande Paese.

E’ questa consapevolezza, nel rispetto della dialettica tra maggioranza e opposizione, che induce a una comune visione del nostro sistema democratico, al rispetto di regole che non possono essere disattese, del ruolo di ciascuno nella vita politica della Repubblica.

Questo corrisponde allo spirito della Costituzione.

Domani, primo gennaio, sarà il settantacinquesimo anniversario della sua entrata in vigore.

La Costituzione resta la nostra bussola, il suo rispetto il nostro primario dovere; anche il mio.

Siamo in attesa di accogliere il nuovo anno ma anche in queste ore il pensiero non riesce a distogliersi dalla guerra che sta insanguinando il nostro Continente.

Il 2022 è stato l’anno della folle guerra scatenata dalla Federazione russa. La risposta dell’Italia, dell’Europa e dell’Occidente è stata un pieno sostegno al Paese aggredito e al popolo ucraino, il quale con coraggio sta difendendo la propria libertà e i propri diritti.

Se questo è stato l’anno della guerra, dobbiamo concentrare gli sforzi affinché il 2023 sia l’anno della fine delle ostilità, del silenzio delle armi, del fermarsi di questa disumana scia di sangue, di morti, di sofferenze.

La pace è parte fondativa dell’identità europea e, fin dall’inizio del conflitto, l’Europa cerca spiragli per raggiungerla nella giustizia e nella libertà.

Alla pace esorta costantemente Papa Francesco, cui rivolgo, con grande affetto, un saluto riconoscente, esprimendogli il sentito cordoglio dell’Italia per la morte del Papa emerito Benedetto XVI.

Si prova profonda tristezza per le tante vite umane perdute e perché, ogni giorno, vengono distrutte case, ospedali, scuole, teatri, trasformando città e paesi in un cumulo di rovine. Vengono bruciate, per armamenti, immani quantità di risorse finanziarie che, se destinate alla fame nel mondo, alla lotta alle malattie o alla povertà, sarebbero di sollievo per l’umanità.

Di questi ulteriori gravi danni, la responsabilità ricade interamente su chi ha aggredito e non su chi si difende o su chi lo aiuta a difendersi.

Pensiamoci: se l’aggressione avesse successo, altre la seguirebbero, con altre guerre, dai confini imprevedibili.

Non ci rassegniamo a questo presente.

Il futuro non può essere questo.

La speranza di pace è fondata anche sul rifiuto di una visione che fa tornare indietro la storia, di un oscurantismo fuori dal tempo e dalla ragione. Si basa soprattutto sulla forza della libertà. Sulla volontà di affermare la civiltà dei diritti.

Qualcosa che è radicato nel cuore delle donne e degli uomini. Ancor più forte nelle nuove generazioni.

Lo testimoniano le giovani dell’Iran, con il loro coraggio. Le donne afghane che lottano per la loro libertà. Quei ragazzi russi, che sfidano la repressione per dire il loro no alla guerra.

Gli ultimi anni sono stati duri. Ciò che abbiamo vissuto ha provocato o ha aggravato tensioni sociali, fratture, povertà.

Dal Covid – purtroppo non ancora sconfitto definitivamente – abbiamo tratto insegnamenti da non dimenticare.

Abbiamo compreso che la scienza, le istituzioni civili, la solidarietà concreta sono risorse preziose di una comunità, e tanto più sono efficaci quanto più sono capaci di integrarsi, di sostenersi a vicenda. Quanto più producono fiducia e responsabilità nelle persone.

Occorre operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese rappresentato dal Servizio sanitario nazionale si rafforzi, ponendo sempre più al centro la persona e i suoi bisogni concreti, nel territorio in cui vive.

So bene quanti italiani affrontano questi mesi con grandi preoccupazioni. L’inflazione, i costi dell’energia, le difficoltà di tante famiglie e imprese, l’aumento della povertà e del bisogno.

La carenza di lavoro sottrae diritti e dignità: ancora troppo alto è il prezzo che paghiamo alla disoccupazione e alla precarietà.

Allarma soprattutto la condizione di tanti ragazzi in difficoltà. La povertà minorile, dall’inizio della crisi globale del 2008 a oggi, è quadruplicata.

Le differenze legate a fattori sociali, economici, organizzativi, sanitari tra i diversi territori del nostro Paese – tra Nord e Meridione, per le isole minori, per le zone interne – creano ingiustizie, feriscono il diritto all’uguaglianza.

Ci guida ancora la Costituzione, laddove prescrive che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che ledono i diritti delle persone, la loro piena realizzazione. Senza distinzioni.

La Repubblica siamo tutti noi. Insieme.

Lo Stato nelle sue articolazioni, le Regioni, i Comuni, le Province. Le istituzioni, il Governo, il Parlamento. Le donne e gli uomini che lavorano nella pubblica amministrazione. I corpi intermedi, le associazioni. La vitalità del terzo settore, la generosità del volontariato.

La Repubblica – la nostra Patria – è costituita dalle donne e dagli uomini che si impegnano per le loro famiglie.

La Repubblica è nel senso civico di chi paga le imposte perché questo serve a far funzionare l’Italia e quindi al bene comune.

La Repubblica è nel sacrificio di chi, indossando una divisa, rischia per garantire la sicurezza di tutti. In Italia come in tante missioni internazionali.

La Repubblica è nella fatica di chi lavora e nell’ansia di chi cerca il lavoro. Nell’impegno di chi studia. Nello spirito di solidarietà di chi si cura del prossimo. Nell’iniziativa di chi fa impresa e crea occupazione.

Rimuovere gli ostacoli è un impegno da condividere, che richiede unità di intenti, coesione, forza morale.

E’ grazie a tutto questo che l’Italia ha resistito e ha ottenuto risultati che inducono alla fiducia.

La nostra capacità di reagire alla crisi generata dalla pandemia è dimostrata dall’importante crescita economica che si è avuta nel 2021 e nel 2022.

Le nostre imprese, a ogni livello, sono state in grado, appena possibile, di ripartire con slancio: hanno avuto la forza di reagire e, spesso, di rinnovarsi.

Le esportazioni dei nostri prodotti hanno tenuto e sono anzi aumentate.

L’Italia è tornata in brevissimo tempo a essere meta di migliaia di turisti da ogni parte del mondo. La bellezza dei nostri luoghi e della nostra natura ha ripreso a esercitare una formidabile capacità attrattiva.

Dunque ci sono ragioni concrete che nutrono la nostra speranza ma è necessario uno sguardo d’orizzonte, una visione del futuro.

Pensiamo alle nuove tecnologie, ai risultati straordinari della ricerca scientifica, della medicina, alle nuove frontiere dello spazio, alle esplorazioni sottomarine. Scenari impensabili fino a pochi anni fa e ora davanti a noi.

Sfide globali, sempre.

Perché è la modernità, con il suo continuo cambiamento, a essere globale.

Ed è in questo scenario, per larghi verso inedito, che misuriamo il valore e l’attualità delle nostre scelte strategiche: l’Europa, la scelta occidentale, le nostre alleanze. La nostra primaria responsabilità nell’area che definiamo Mediterraneo allargato. Il nostro rapporto privilegiato con l’Africa.

Dobbiamo stare dentro il nostro tempo, non in quello passato, con intelligenza e passione.

Per farlo dobbiamo cambiare lo sguardo con cui interpretiamo la realtà. Dobbiamo imparare a leggere il presente con gli occhi di domani.

Pensare di rigettare il cambiamento, di rinunciare alla modernità non è soltanto un errore: è anche un’illusione. Il cambiamento va guidato, l’innovazione va interpretata per migliorare la nostra condizione di vita, ma non può essere rimossa.

La sfida, piuttosto, è progettare il domani con coraggio.

Mettere al sicuro il pianeta, e quindi il nostro futuro, il futuro dell’umanità, significa affrontare anzitutto con concretezza la questione della transizione energetica.

L’energia è ciò che permette alle nostre società di vivere e progredire. Il complesso lavoro che occorre per passare dalle fonti tradizionali, inquinanti e dannose per salute e ambiente, alle energie rinnovabili, rappresenta la nuova frontiera dei nostri sistemi economici.

Non è un caso se su questi temi, e in particolare per l’affermazione di una nuova cultura ecologista, registriamo la mobilitazione e la partecipazione da parte di tanti giovani.

L’altro cambiamento che stiamo vivendo, e di cui probabilmente fatichiamo tuttora a comprendere la portata, riguarda la trasformazione digitale.

L’uso delle tecnologie digitali ha già modificato le nostre vite, le nostre abitudini e probabilmente i modi di pensare e vivere le relazioni interpersonali. Le nuove generazioni vivono già pienamente questa nuova dimensione.

La quantità e la qualità dei dati, la loro velocità possono essere elementi posti al servizio della crescita delle persone e delle comunità. Possono consentire di superare arretratezze e divari, semplificare la vita dei cittadini e modernizzare la nostra società.

Occorre compiere scelte adeguate, promuovendo una cultura digitale che garantisca le libertà dei cittadini.

Il terzo grande investimento sul futuro è quello sulla scuola, l’università, la ricerca scientifica. E’ lì che prepariamo i protagonisti del mondo di domani. Lì che formiamo le ragazze e i ragazzi che dovranno misurarsi con la complessità di quei fenomeni globali che richiederanno competenze adeguate, che oggi non sempre riusciamo a garantire.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza spinge l’Italia verso questi traguardi. Non possiamo permetterci di perdere questa occasione.

Lo dobbiamo ai nostri giovani e al loro futuro.

Parlando dei giovani vorrei – per un momento – rivolgermi direttamente a loro: siamo tutti colpiti dalla tragedia dei tanti morti sulle strade.

Troppi ragazzi perdono la vita di notte per incidenti d’auto, a causa della velocità, della leggerezza, del consumo di alcol o di stupefacenti. Quando guidate avete nelle vostre mani la vostra vita e quella degli altri. Non distruggetela per un momento di imprudenza. Non cancellate il vostro futuro.

Care concittadine e cari concittadini, guardiamo al domani con uno sguardo nuovo. Guardiamo al domani con gli occhi dei giovani.

Guardiamo i loro volti, raccogliamo le loro speranza. Facciamole nostre.

Facciamo sì che il futuro delle giovani generazioni non sia soltanto quel che resta del presente ma sia il frutto di un esercizio di coscienza da parte nostra. Sfuggendo la pretesa di scegliere per loro, di condizionarne il percorso.

La Repubblica vive della partecipazione di tutti.

E’ questo il senso della libertà garantita dalla nostra democrazia.

E’ anzitutto questa la ragione per cui abbiamo fiducia.

Auguri, buon anno!

Sergio Mattarella

photo credit: www.quirinale.it

Westwood, l’imperatrice che ha fatto la rivoluzione del clima

Vivienne Westwood ci lascia, ma lascia al mondo una eredità inquantificabile. Cinquant’anni di lotte politiche in passerella, usata sempre, da modella e da stilista, come gigantesco megafono.

Imperatrice del punk‘, designer britannica di punta, attivista ambientale tra le più note al mondo. “La rivoluzione climatica è punk. Il punk vive! Stesso atteggiamento, ma con idee più sviluppate, più solide e spero più efficaci nel cambiare la Terra di quanto non siano state in passato”, raccontava nella sua autobiografia pubblicata nel 2014. “Difendere le idee mi rende felice”, confidò all’amico Ian Kelly, coautore con lei del volume.

Il mondo ha bisogno di persone come Vivienne per fare la differenza nel modo giusto“, ha scritto il suo marchio di alta moda dando la notizia su Twitter. “Abbiamo lavorato fino alla fine e mi ha lasciato molto da portare avanti. Grazie, tesoro mio”, ha aggiunto il marito e partner creativo, Andreas Kronthaler. Nel 2016, ha ceduto la direzione artistica della sua etichetta a lui, austriaco di 25 anni più giovane. Cambiamento sì, ma nella continuità di ciò che è stato il marchio Westwood: un marchio ribelle, trasgressivo e impegnato.

Nel 2008 Westwood è stata la prima a chiedere all’industria della moda di tenere conto dei cambiamenti climatici e a esortare i consumatori a non comprare continuamente abiti. Posizione che le costò non poche critiche nel mondo della moda. Nel 2016, per la sfilata della collezione Red Label SS, le modelle entrarono in scena manifestando contro il fracking. In passerella è scesa con lei anche la campagna Save The Arctic per fermare le trivellazioni e la pesca industriale nell’Artico. Con Marie Claire e People Tree ha realizzato t-shirt per raccogliere fondi da devolvere alle tribù indigene della foresta pluviale. E, alla cerimonia di chiusura delle Paraolimpiadi di Londra nel 2012, annunciò il suo progetto ambientalista srotolando uno striscione che recitava ‘Climate Revolution‘.

L’altra grande battaglia è stata la difesa di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, arrestato nel 2019 dopo aver trascorso più di sette anni come rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra. Lo stesso anno ha denunciato durante uno dei suoi cortei “la corruzione del governo e la morte della giustizia”. Un anno dopo, è apparsa in una gabbia gigante davanti a un tribunale di Londra per protestare contro la sua estradizione. WikiLeaks ha twittato la notizia della morte della Westwood con foto di lei e Julin Assange fianco a fianco, con indosso la stessa maglietta disegnata dalla Westwood, e aggiungendo: “Rest in Power“.

 

photo credit: AFP

Arriva il piano di adattamento ai cambiamenti climatici. Pichetto: “Strumento essenziale”

Il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici c’è. Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica l’ha approvato, come promesso, prima della fine dell’anno e l’impresa non era semplice, considerato che il dossier era fermo da anni.

Il testo, aggiornato rispetto alla versione del 2018, viene ora sottoposto alla consultazione pubblica prevista dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica. E’ uno strumento di programmazione “essenziale per un paese come il nostro, segnato da una grave fragilità idrogeologica”, osserva il ministro, Gilberto Pichetto Fratin. Le tragedie recenti di Ischia e delle Marche hanno ricordato quanto sia “assolutamente necessaria in Italia una corretta gestione del territorio e la realizzazione di quelle opere di adattamento per rendere le nostre città, le campagne e le zone montuose, le aree interne e quelle costiere più resilienti ai cambiamenti climatici”, sottolinea.

Più in particolare, l’obiettivo del Piano è fornire un quadro di indirizzo nazionale per implementare azioni volte a ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, migliorare la capacità di adattamento dei sistemi naturali, sociali ed economici, nonché trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare con le nuove condizioni climatiche. La proposta di Piano è stata già illustrata alle Regioni nel corso di due riunioni che si sono tenute il 7 novembre e il 20 dicembre scorso.

Esaminate le osservazioni e conclusa la procedura di VAS, il testo andrà all’approvazione definitiva con decreto del Ministro. Si procederà poi all’insediamento dell’Osservatorio Nazionale, che dovrà garantire l’immediata operatività del Piano attraverso l’individuazione delle azioni di adattamento nei diversi settori. L’Osservatorio definirà le priorità, individuerà i soggetti interessati e le fonti di finanziamento, oltre che le misure per rimuovere gli ostacoli all’adattamento. I risultati di questa attività potranno convergere in piani settoriali o intersettoriali, nei quali saranno delineati gli interventi da attuare.

emissioni industriali

Intesa Ue sulla riforma Ets, nasce il Fondo sociale clima da 86 mld

Dopo trenta ore di discussione, i negoziatori dell’Unione europea hanno raggiunto domenica mattina presto un accordo per riformare il sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (l’Ets – Emission Trading System), il mercato europeo del carbonio, sbloccando anche l’intesa per creare un Fondo sociale per il clima per ammortizzare i costi della transizione e finalizzando i dettagli rimasti da definire per l’entrata in vigore della tassa sul carbonio alle frontiere.

I negoziatori dell’Eurocamera e del Consiglio, con la mediazione della Commissione Ue, hanno iniziato venerdì pomeriggio una vera e propria maratona negoziale (a Bruxelles viene chiamato ‘trilogo jumbo’) per chiudere una volta per tutte la partita su tre dei dossier più importanti del pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, il piano presentato a luglio 2021 per abbattere le emissioni di CO₂ del 55 per cento entro il 2030: la revisione del sistema di scambio di quote di emissioni dell’Ue (l’Ets), il fondo sociale per il clima e le parti ‘mancanti’ dell’accordo trovato la scorsa settimana sul meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere (CBAM).

Il mercato europeo del carbonio è operativo dal 2005 e copre il settore energetico, industriale e i voli commerciali dentro l’Ue, obbligando poco più di 10mila centrali elettriche e fabbriche ad alta intensità energetica (come l’acciaio o la chimica) a comprare un permesso per ogni tonnellata di CO₂ emessa, come disincentivo finanziario per far inquinare di meno: meno inquini, meno paghi. Finora ha coperto circa il 40 per cento di tutte le emissioni dell’Ue. Il mercato si fonda su un numero assoluto di certificati di carbonio, che devono essere acquistati all’asta e possono quindi essere scambiati dai partecipanti al mercato, creando un prezzo per la CO₂ (che attualmente si aggira a 85 euro per tonnellata). Il sistema conserva un numero annuale di permessi che vengono assegnati gratuitamente alle industrie, per non svantaggiarle troppo.

Con il sistema attuale, le emissioni di CO₂ nei settori coperti dall’Ets dovrebbero diminuire del 43 per cento entro il 2030, per questo la Commissione Ue ha promosso una revisione per portare ad aumentare il target. L’accordo raggiunto nella notte tra i colegislatori i settori coperti dovranno ridurre le proprie emissioni del 62 per cento rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030, un aumento significativo rispetto all’attuale ambizione. Parte centrale della riforma Ets sarà la creazione di un secondo mercato del carbonio separato per gli edifici e il trasporto su strada (ETS2), che sarà operativo dal 2027 con un prezzo del carbonio limitato a 45 euro fino al 2030. La creazione del secondo Ets sarà accompagnata da un Fondo sociale per il clima da 86,7 miliardi di euro da mobilitare tra 2026 e 2032 finanziato con parte delle entrate di questo secondo mercato del carbonio, pensato per ammortizzare i costi per le famiglie di questa rivoluzione dell’Ets. Punto centrale nei negoziati è stata la tempistica e la traiettoria per ridurre gradualmente le quote gratuite che ancora vengono conservate nel mercato del carbonio, preservando la competitività delle industrie e in attesa dell’entrata in vigore della tassa sul carbonio alle frontiere (che in maniera speculare all’Ets tasserà le emissioni dei beni che vengono importati nell’Ue). In base all’accordo, quasi la metà (48,5 per cento) delle quote gratuite nell’Ets sarà annullata entro il 2030, mentre saranno completamente eliminate entro il 2034 in contemporanea all’entrata in attività della tassa sul carbonio ai confini dell’Ue – che applicherà inizialmente a ferro e acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno -, pensata per scoraggiare la tendenza delle imprese a delocalizzare la produzione dove i vincoli climatici sono meno stringenti.

A partire dal 2024 saranno monitorate anche le emissioni derivanti dall’incenerimento dei rifiuti, per essere incluse nel mercato di emissioni dal 2028. Tuttavia, gli Stati membri hanno la possibilità di posticipare l’applicazione al 2030 dopo una dichiarazione. L’accordo prevede inoltre che maggiori fondi siano stanziati per tecnologie innovative, attraverso l’Ets: il Fondo per l’Innovazione passerà dagli attuali 450 a 575 milioni di quote; mentre il Fondo per la modernizzazione sarà aumentato mettendo all’asta un ulteriore 2,5 per cento di quote che sosterranno i paesi dell’Ue con un PIL pro capite inferiore al 75 per cento della media dell’UE. Gli Stati saranno ora obbligati a spendere tutte le entrate nazionali derivanti dalla vendita all’asta delle quote Ets per attività legate al clima.

Il secondo Ets per edifici e dei trasporti – su cui, nei mesi, si sono riversate le principali preoccupazioni di entrambi i colegislatori – sarà introdotto a partire dal 2027, con un prezzo limitato a 45 euro fino al 2030. Per ammortizzare i costi sociali di questo secondo Ets, un anno prima (nel 2026) nascerà il Fondo sociale per il clima (‘Climate Social Fund), con cui nel periodo 2026-2032 circa 86,7 miliardi di euro saranno assegnati all’azione sociale per il clima che va dalla ristrutturazione degli alloggi sociali al sostegno diretto al reddito. La Commissione europea proponeva un fondo da 72,2 miliardi di euro per sette anni (2025-2032), di cui quasi 8 miliardi sarebbero andati all’Italia in quanto terzo beneficiario. I negoziatori si sono accordati su una clausola per cui se i prezzi dell’energia (petrolio e gas) sono superiori a 99 euro, il nuovo Ets non sarà introdotto nel 2027, ma solo un anno dopo. Per ricevere i finanziamenti, gli Stati membri dovranno presentare a Bruxelles dei ‘Piani per il clima sociale’, previa consultazione con le autorità locali e regionali, le parti economiche e sociali e la società civile.

Prima che possa entrare in vigore, l’accordo dovrà essere approvato singolarmente da Parlamento e Consiglio, quindi non prima dell’inizio 2023. L’intesa è però stata salutata da molti come un passo fondamentale nei negoziati in corso a Bruxelles sull’ambizioso ‘Fit for 55’ e sarà di certo ricordato come uno dei traguardi più importanti dell’attuale presidenza della Repubblica ceca alla guida semestrale dell’Ue. “L’accordo è una vittoria per il clima e per la politica climatica europea e ci consentirà di raggiungere gli obiettivi climatici nei principali settori dell’economia, assicurandoci al tempo stesso che i cittadini e le microimprese più vulnerabili siano efficacemente supportati nella transizione climatica”, ha sottolineato Marian Jurečka, ministro dell’ambiente ceco.

Energia, clima e competitività: il Cese chiede soluzioni a livello europeo

L’energia come arma in tempo di guerra e il mercato dell’energia rimescolato dal contesto geopolitico: sono questi alcuni dei temi al centro del seminario organizzato a Bruxelles dal Comitato economico e sociale europeo che ha preceduto la Plenaria, in corso il 14 e il 15 dicembre. Ad affrontare il tema, per primi, i vertici del Cese. A partire dalla presidente Christa Schweng, con una riflessione sull’importanza del fatto che “nella transizione green e digitale” nessuno venga “lasciato indietro”, e dal vicepresidente Cilian Lohan che spiega come “la crisi energetica ha messo in difficoltà il green deal, spesso viene usata come scusa per rallentare l’azione climatica”. Già, perché energia e clima sono strettamente connessi. Così come lo è, allo stesso modo, il benessere economico dell’Europa, colpito dai rincari energetici e dall’inflazione.

Lo sa bene Alena Mastantuono, membro del Cese e delegata permanente della Camera del Commercio Ceca all’Eurocamera, che parla di un rischio concreto per la competitività. “La sicurezza delle forniture di energia – spiega – deve essere la priorità numero uno: se non avremo abbastanza forniture i prezzi cresceranno e saremo sempre meno competitivi rispetto a Usa e Cina. All’Europa servono soluzioni a livello europeo”. Quali, quindi, le soluzioni? “Accelerare sulle rinnovabili”, sicuramente, ma “guardare anche all’idrogeno”. Strizzando l’occhio pure al nucleareper la sicurezza energetica, ma ogni paese può decidere in merito. Io arrivo dal centro Europa (Repubblica Ceca, ndr): non abbiamo accesso al mare e non c’è molto sole. Sono importanti le interconnessioni. Il sistema energetico del mio Paese – spiega Mastantuono – è basato su nucleare e carbone. Le condizioni geomorfologiche non sono uguali per tutti i Paesi, bisogna considerare anche il tasso di industrializzazione. Deve essere una decisione di ogni stato”. Non è del tutto d’accordo Thomas Kattnig, membro del Cese e dell’Austrian Trade Union Federation: “Sta agli Stati decidere, ma dobbiamo considerare anche il lato oscuro del nucleare. Ci sono alternative migliori che possiamo sviluppare, come l’idrogeno verde”.

Meno controverse le posizioni sulle rinnovabili. Tutti d’accordo: sono fondamentali. Ma, per esempio sul fotovoltaico, “siamo dipendenti dalla Cina e dobbiamo portare l’industria in Europa per aumentare anche i posti di lavoro”, sottolinea Mastantuono. Per questo, secondo Kattnig, “se vogliamo usare più rinnovabili e evitare di esportare denaro verso altre aree economiche dobbiamo cambiare l’industria. Abbiamo un’opportunità sulla produzione di pannelli solari e batterie. Negli ultimi 20 anni abbiamo risparmiato, ma non ci sono stati abbastanza investimenti a causa dell’austerità: ora è importante spendere per creare un futuro, investire nel campo giusto. Va combattuta la crisi climatica e migliorata la nostra qualità della vita usando energie rinnovabili”. E’ d’accordo anche Lutz Ribbe, membro tedesco del Cese direttore del Department for Nature Conservation Policy della fondazione EuroNatur: “Dobbiamo ridurre la nostra dipendenza dall’importazione di energia. L’energia può essere usata come un’arma. Se importiamo energia, esportiamo soldi. Mentre noi possiamo produrre energia meglio, in maggiori quantità e a un prezzo più basso. Dovremmo essere i numeri uno al mondo nella produzione di energia rinnovabile”.

Emergenza clima: i ghiacciai si ritirano. Legambiente: “Piano adattamento entro fine anno”

Irriconoscibili, spogli, crepati. Così sono i ghiacciai dopo l’estate più calda di sempre. “Siamo tornati su quelli che avevamo osservato due anni fa, vista l’annata particolarmente pesante. Abbiamo ritrovato un’emorragia di ghiaccio, torrenti gonfi e contemporaneamente siccità dappertutto, laghi scomparsi. La Marmolada è diventata una regina nuda, completamente scoperta dal ghiaccio“, racconta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente, presentando il report finale ‘Carovana dei ghiacciai’ del Cigno verde.

La crisi climatica corre più veloce che mai, “a un ritmo impensabile anche dagli stessi esperti“, avverte il presidente nazionale, Stefano Ciafani. Le montagne sono la sentinella principale dei cambiamenti. I pascoli secchi intorno ai ghiacciai non riescono a stoccare l’anidride carbonica: “C’è stata una riduzione di stoccaggio del 30-40%”, denuncia Bonardo.

Dalla tragedia della Marmolada, all’alluvione delle Marche, fino alla frana di Ischia: nell’anno più drammatico per il Paese, Legambiente torna a chiedere con urgenza “una reale governance del territorio e dei rischi“, sollecita strategie adeguate e piani di adattamento al clima su scala regionale e locale, a tutela dei territori e delle comunità: “E’ fondamentale che il Governo Meloni approvi il Piano di adattamento climatico entro fine anno come annunciato e metta in campo gli strumenti e le risorse per attuarlo nel prossimo futuro. È altrettanto fondamentale procedere speditamente allo sviluppo delle politiche di mitigazione, partendo dall’aggiornamento del PNIEC agli obiettivi del programma europeo RePower EU”, afferma il presidente, Stefano Ciafani.

Il piano di adattamento ai cambiamenti climatici resta una “priorità assoluta” per il governo, assicura il ministro per il mare e la protezione civile, Nello Musumeci: “E‘ una vergogna che dopo sei anni non sia stato ancora reso operativo”, denuncia. “Non puoi fare prevenzione se non hai prima la previsione. Io non vado alla ricerca di responsabilità, dico soltanto di recuperare il tempo impegnato. Quando si ha nelle mani un piano di previsione che può mettere in pericolo la sicurezza di un territorio, si lavora anche di notte pur di arrivare ai tempi necessari e sei anni su questo strumento di previsione sono già tanti“.

Quanto ai ghiacciai, nello specifico, sulle Alpi Occidentali c’è in media un arretramento frontale annuo di circa 40 metri. Importante è il ritiro di 200 metri della fronte del Ghiacciaio del Gran Paradiso. I ghiacciai del Timorion (in Valsavaranche) e del Ruitor (La Thuile) con una perdita di spessore pari a 4,6 metri di acqua equivalente, registrano la peggiore perdita degli ultimi ventidue anni. Il Miage, in 14 anni, ha perso circa 100 miliardi di litri di acqua: il suo lago glaciale appare e scompare, negli ultimi tre anni in maniera sempre più rapida e repentina (in passato si verificava circa ogni 5/10 anni). ‘Sorvegliati speciali’ i ghiacciai Planpincieux e Grandes Jorasses in Val Ferret per il rischio di crolli di ghiaccio che potrebbero coinvolgere gli insediamenti e le infrastrutture del fondovalle. Nel settore centrale delle Alpi, emblematico il Ghiacciaio del Lupo che, solo nel 2022, nel suo bilancio di massa registra una perdita del 60% rispetto a quanto perso nell’arco di 12 anni. Il Fellaria perde in 4 anni quasi 26 metri di spessore di ghiaccio. Tra i fenomeni di collasso delle fronti spicca quello del Ghiacciaio del Ventina (Gruppo del Monte Disgrazia), che in un anno ha perso 200 metri della sua lingua. Per quanto concerne le Alpi Orientali, del grande Ghiacciaio del Careser (Val di Pejo), rimangono placche di pochissimi ettari, la sua superficie si è ridotta dell’86%. Numerosi gli arretramenti delle fronti, in gran parte dovuti alla cesura delle parti frontali, oltre un chilometro per la Vedretta de la Mare e a 600 metri per il Ghiacciaio di Lares (Gruppo dell’Adamello). E il Ghiacciaio della Marmolada tra quindici anni potrebbe scomparire del tutto, dopo che nell’ultimo secolo ha perso più del 70% in superficie e oltre il 90% in volume. In linea con gli altri due settori le perdite di spessore registrate per i ghiacciai di Malavalle e della Vedretta Pendente. Unica eccezione è il Ghiacciaio Occidentale del Montasio, piccolo ma resistente che, pur avendo subito in un secolo una perdita di volume del 75% e una riduzione di spessore pari a 40 metri, dal 2005 risulta stabilizzato, in controtendenza rispetto agli altri ghiacciai alpini.

Clima, grande assente sul piccolo e grande schermo

Sia in tv sia al cinema, la fiction ha dimostrato il suo potere di cambiare e indirizzare il comune sentire in molti ambiti. Relativamente poco, però, se si parla di cambiamento climatico. Su un totale di 37.453 sceneggiature cinematografiche e televisive analizzate dai ricercatori della University of Southern California (Usc), infatti, solo 1.046 (ovvero il 2,8%) includevano parole legate al clima e solo lo 0,6% menzionava specificamente il “cambiamento climatico”.

“La stragrande maggioranza dei film e degli spettacoli che guardiamo sono ambientati in una realtà parallela in cui il cambiamento climatico non esiste, il che lascia l’illusione agli spettatori”, spiega Anna Jane Joyner, fondatrice di Good Energy, specializzata nella consulenza agli sceneggiatori sul tema del clima. Tuttavia, la narrativa è stata una leva potente per rompere i tabù e cambiare la mentalità, ad esempio sulle questioni dell’omosessualità e della parità di genere. “Gli autori che si preoccupano del cambiamento climatico possono pensare che il pubblico non sia sensibile a questo fenomeno, ma non è così”, aggiunge Erica Rosenthal, della University of Southern California. Nella sua ricerca Rosenthal ha studiato come gli spettatori formino relazioni “para-sociali” con i personaggi dello schermo che li rendono consapevoli di nuove idee e possono portarli a cambiare idee e comportamenti, ad esempio in materia di immigrazione o controllo delle armi. “Molte persone sono profondamente preoccupate per il cambiamento climatico, ma ne parlano appena”, aggiunge Anna Jane Joyner. “Anche se viene menzionato solo di sfuggita in un programma che ci piace, in modo inconscio, convalida il fatto che questa preoccupazione è normale”, un prerequisito fondamentale per arrivare all’azione.

Ma attenzione, a volte le buone intenzioni possono essere controproducenti. Le insidie principali sono due: la visione apocalittica, che può risultare demotivante, e i personaggi bigotti, che assillano gli altri a rinunciare alla loro auto di grossa cilindrata o alle cannucce di plastica. “A nessuno piace essere rimproverato”, osserva Joyner. Le azioni semplici possono essere più utili: per esempio vedere persone che esprimono preoccupazione per il clima, che prendono i trasporti pubblici o che non sprecano cibo. “Vediamo molte storie di eventi meteorologici estremi, ma raramente vengono collegati al cambiamento climatico, mentre sarebbe abbastanza facile farlo”, aggiunge Rosenthal.

Pochi film su questo tema hanno lasciato il segno, tranne forse il kolossal di Roland Emmerich ‘The Day After Tomorrow’, uscito quasi 20 anni fa. Nel 2021, il Festival di Cannes ha dedicato una sezione della sua selezione ai film sull’ecologia, ma l’esperienza non si è ripetuta.

Clima, Vigliotti (Bei): Diventare banca ‘green’ dell’Ue, scelta strategica

La nuova missione è quella della sostenibilità, quella vera. Tanto da ripensare il mandato di un organismo sempre strategico, e oggi ancora di più. “Quella di diventare la banca per il clima dell’Ue è una scelta strategica”. Così Gelsomina Vigliotti, vicepresidente della Banca europea per gli investimenti (Bei), porta alla nona edizione di ‘How Can We Govern Europe’, l’evento organizzato da Eunews e GEA, la questione della green economy e del suo finanziamento, perché non più rinviabile. Oggi più che mai sono “sempre più urgenti azioni per tutela dell’ambiente, il cui degrado può essere fonte di nuove malattie”. La pandemia di Covid ha acceso i riflettori sull’aspetto della salute legato ai modelli di vita e di produzione. Mentre il conflitto russo-ucraino ricorda che “sono sempre più urgenti azioni per una maggiore efficienza energetica e per le rinnvoabili”.

La Bei tutto questo l’ha compreso molto bene e non è rimasta a guardare. Vigliotti tiene a sottolineare come la scelta di promuovere finanziamenti verdi “è condivisa dai nostri azionisti”, vale a dire i 27 Stati membri. L’obiettivo che si è posto l’istituto di credito di Lussemburgo è quello di raggiungere “investimenti per mille miliardi per il clima entro il 2030”, e già oggi la Bei “è la principale fonte di finanziamento di progetti verdi in tutto il mondo”. Un impegno che, a detta della vicepresidente, non è che l’inizio di un percorso. “Eventi come desertificazione, alluvioni, siccità, sottolineano la necessità immediata di strutture di difesa” al fenomeno dei cambiamenti climatici e ai fenomeni meteorologici estremi che ne derivano. Una sfida non semplice né scontata, poiché serviranno “ingenti risorse finanziare per evitare che i costi del cambiamento climatico si traducano in rischi per la stessa sopravvivenza”. Diventare la banca europea per il clima è dunque una scelta per certi aspetti obbligata, che la Banca europea per gli investimenti ha preso prima di molti. Vigliotti ricorda che la Bei ha già iniziato a emettere Green Bond, che in Italia sono serviti, tra le altre cose, a potenziare l’alta velocità ferroviaria.

L’impegno della Bei per la sostenibilità non finisce qui. “Neutralità climatica vuol dire indipendenza energetica”, sottolinea, e non a caso. Il riferimento è ai fatti che dal 24 febbraio di quest’anno restano di continua attualità. “Dobbiamo uscire dalla dipendenza che abbiamo avuto dalla Russia”. Qui, voler essere la banca per il clima dell’Ue vuol dire “contribuire agli obiettivi di RepowerEu”, il piano per l’indipendenza energetica lanciato dalla Commissione von der Leyen. In tal senso “i nostri finanziamenti saranno destinati a rinnovabili, efficienza energetica, strutture di ricarica elettrica e nuove tecnologie come l’idrogeno”.

Aumentano le infezioni di malaria, Hiv e tubercolosi: colpa del cambiamento climatico

Tra le innumerevoli conseguenze del cambiamento climatico c’è anche quella sulla salute delle persone. Secondo il Fondo mondiale della lotta contro l’Aids, la malaria e la tubercolosi il surriscaldamento globale contribuisce pesantemente alla diffusione delle malattie infettive. Il direttore esecutivo del Fondo, Peter Sands, ha annunciato che nel 2022 si sta assistendo a una “escalation” dell’impatto del cambiamento sulla salute e sulla vita umana. Ad esempio, se finora l’aumento della diffusione della malaria è stato finora guidato dalla crescente frequenza e devastazione delle tempeste tropicali, “con le inondazioni in Pakistan, ha assunto una dimensione completamente nuova”, ha spiegato.

Il meccanismo attraverso il quale il cambiamento climatico “alla fine ucciderà le persone” è il suo impatto sulle malattie infettive, ha ricordato Sands, osservando che alcune parti dell’Africa finora “immuni” dalla malaria, stanno correndo un grande rischio, poiché le temperature aumentano e consentono alle zanzare di moltiplicarsi. La popolazione, però, non è affatto immune, con tutte le conseguenze del caso, compreso un aumento del tasso di mortalità.

Rischi anche sul fronte della tubercolosi, che si diffonde facilmente “nei luoghi in cui molte persone si concentrano in uno spazio ristretto, con un’alimentazione inadeguata” e condizioni igieniche precarie, ricorda Sands. E le migrazioni dovute al cambiamento climatico non faranno che aumentare le probabilità di contrarre questa malattia. La pandemia di Covid19, inoltre, non ci avrebbe insegnato molto. Se dovesse ricapitare una diffusione così rapida di una malattia, ha detto l’esperto, “non saremmo comunque preparati”.

Entro la fine del 2022, il Fondo investirà la cifra record di circa 5,4 miliardi di dollari per la mitigazione del rischio. I maggiori donatori dell’organizzazione con sede a Ginevra sono i governi del G7, guidati da Stati Uniti e Francia. “Il 2022 è stato un anno brutale”, ha insistito Sands, “nelle comunità più povere del mondo, l’Hiv, la tubercolosi e la malaria stanno uccidendo molte più persone del Covid-19”. Basti pensare che circa il 95% dei decessi per malaria in tutto il mondo si concentra in 31 Paesi. Sei paesi africani, quali Nigeria (23%), Repubblica Democratica del Congo (11%), Repubblica Unita di Tanzania (5%), Mozambico (4%), Niger (4%) e Burkina Faso (4%), riportano da soli oltre il 50% di tutti i decessi per malaria registrati nel 2019.

 

(Photo credits: AFP)

Su Twitter aumentano i post degli scettici sul clima: 4 volte più veloci di quelli per la salvaguardia

Twitter è un social per gli scettici del clima. O, quantomeno, è quanto emerge dallo studio pubblicato su Nature Climate Change dall’Alan Turing Institute e redatto, fra gli altri, da esperti delle università italiane Ca’ Foscari di Venezia, La Sapienza di Roma e Università degli studi di Firenze. Nell’articolo si legge infatti che lo scetticismo sul clima sta crescendo quattro volte più velocemente dei contenuti a favore del clima su Twitter.

In un’analisi dei tweet dal 2014 al 2021 durante le conferenze annuali della Cop, i ricercatori hanno scoperto che i tweet degli scettici sui cambiamenti climatici sono stati condivisi 16 volte di più durante la Cop26 rispetto alla Cop21. Gli autori dello studio hanno scoperto che questo aumento dei tweet scettici sul clima online è stato alimentato dalla crescente “attività di destra” che si oppone all’azione per il clima. Lo studio ha mostrato che nel complesso, la polarizzazione su Twitter in relazione al clima è stata bassa durante la Cop21 fino alla Cop26 e ha identificato il 2019 come anno chiave in cui è cresciuto lo scetticismo climatico su Twitter. I ricercatori affermano che una possibile ragione dell’aumento negli ultimi anni potrebbe essere dovuta a un contraccolpo contro i gruppi di attivisti per il clima, come Extinction Rebellion e Just Stop Oil, che agiscono per attirare l’attenzione sulla crisi.

Agire in modo rapido ed efficace sulla crisi climatica si basa in gran parte su un ampio consenso e collaborazione internazionale. La crescita della polarizzazione online potrebbe rischiare una situazione di stallo politico se alimenta l’antagonismo nei confronti dell’azione per il clima. I responsabili politici dovrebbero considerare cosa sta causando esattamente questo aumento dello scetticismo online e trovare modi per affrontarlo”, spiega il professor Mark Girolami, chief scientist presso The Alan Turing Institute.

Gli autori affermano che i gruppi che si oppongono all’azione per il clima screditano i vertici organizzati dall’Onu accusandoli di ipocrisia. Ma hanno anche incredibilmente scoperto che gli scettici sul clima e i gruppi pro-clima condividono l’esposizione delle critiche sull’ipocrisia percepita su Twitter, in particolare sull’uso di jet privati. E ricerche precedenti hanno dimostrato che questo tipo di contenuto ha maggiori probabilità di diventare virale online.

Il significativo aumento dello scetticismo sul clima online è davvero preoccupante – commenta Andrea Baronchelli, autore principale del testo –. I social media possono fungere da camera dell’eco in cui le convinzioni esistenti delle persone vengono rafforzate. È davvero importante che le autorità di regolamentazione continuino a trovare modi per garantire che i contenuti condivisi online siano accurati”.