Piano Draghi: servono 800 mld annui in più. Il doppio del piano Marshall

Riforme senza precedenti, “rapide e urgenti” che tocchino tutte le istituzioni. E investimenti record, da almeno 700-800 miliardi di euro annui aggiuntivi, corrispondenti al 4,4-4,7% del Pil dell’Ue nel 2023. Per fare un paragone, il doppio del Piano Marshall, che all’epoca (1948-51) corrispondeva all’1-2% del Pil dell’Unione. E’ ciò di cui l’Europa avrebbe bisogno per rilanciarsi, secondo l’ex presidente della Bce Mario Draghi, che oggi ha consegnato a Bruxelles il suo report sulla competitività.

Le chiavi sono innovazione, decarbonizzazione e indipendenza strategica. Per raggiungere gli obiettivi indicati nella relazione, però, sarebbe necessario che la quota di investimenti dell’Ue passasse dall’attuale 22% circa del Pil al 27%, “invertendo un declino pluridecennale nella maggior parte delle grandi economie dell’Ue“, sottolinea Draghi nel dossier, ricordando che “gli investimenti produttivi non sono all’altezza di questa sfida“.

La prima delle tre grandi trasformazioni che l’Europa si trova a dover affrontare è la necessità di accelerare l’innovazione e trovare nuovi motori di crescita. In secondo luogo, il Vecchio Continente dovrà ridurre i prezzi elevati dell’energia continuando a decarbonizzare e a passare a un’economia circolare. Bisognerà infine reagire a un mondo geopoliticamente meno stabile, in cui le dipendenze si trasformano in vulnerabilità e l’Europa non può più contare sugli altri per la sua sicurezza.

Per l’ex governatore, se l’Europa non riesce a diventare più produttiva, saremo costretti a scegliere. “Non saremo in grado di diventare contemporaneamente leader nelle nuove tecnologie, faro della responsabilità climatica e attore indipendente sulla scena mondiale. Non saremo in grado di finanziare il nostro modello sociale. Dovremo ridimensionare alcune, se non tutte, le nostre ambizioni“.

Sono dunque circa 170 le proposte per un radicale cambiamento della strategia industriale dell’Ue. Ma non si parte da zero. L’essenziale sarà riorientare profondamente gli sforzi collettivi per colmare il divario di innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate. “L’Europa è bloccata in una struttura industriale statica, con poche nuove imprese che si affermano per sconvolgere le industrie esistenti o sviluppare nuovi motori di crescita“, evidenzia il dossier. Le imprese dell’Ue sono specializzate in tecnologie mature in cui il potenziale di innovazione è limitato, spendono meno in ricerca e innovazione (R&I): 270 miliardi di euro in meno rispetto alle loro controparti statunitensi nel 2021. Il problema non è che “l’Europa manchi di idee o di ambizione. Abbiamo molti ricercatori e imprenditori di talento che depositano brevetti. Ma l’innovazione è bloccata nella fase successiva: non riusciamo a tradurre l’innovazione in commercializzazione e le aziende innovative che vogliono crescere in Europa sono ostacolate in ogni fase da normative incoerenti e restrittive“, è il monito.

Se la chiave della crescita sta nell’aumento della produttività, per rilanciare la competitività, tre sono le barriere che ci ostacolano. In primo luogo, l’Europa “manca di concentrazione“, sottolinea il documento. Vengono cioè definiti gli obiettivi comuni, ma non le priorità chiare o le azioni politiche congiunte. In secondo luogo, l’Europa “sta sprecando le sue risorse comuni“: “Abbiamo una grande capacità di spesa collettiva, ma la diluiamo in molteplici strumenti nazionali e comunitari“, spiega Draghi. Nell’industria della difesa manca l’unione delle forze per aiutare le aziende a integrarsi e a raggiungere una dimensione di scala, ad esempio.

In terzo luogo, l’Europa “non si coordina dove è importante“. Nel contesto dell’Ue, collegare le politiche richiede un alto grado di coordinamento tra gli sforzi nazionali e quelli dell’Unione. “Tuttavia, a causa del suo processo decisionale lento e disaggregato, l’Ue è meno in grado di produrre una risposta di questo tipo“.

Il rapporto è redatto “in un momento difficile per il nostro continente“, ammette l’ex presidente del Consiglio italiano, che invita ad “abbandonare l’illusione che solo la procrastinazione possa preservare il consenso“. Siamo arrivati al punto in cui, senza agire, “dovremo compromettere il nostro benessere, il nostro ambiente o la nostra libertà“.

Draghi scuote l’Ue: “Crisi perenne, non ignorare realtà. Autoconservazione a rischio”

Per anni è stato ripetuto che il burrone era vicino, ma quando le stesse parole le pronuncia una personalità esterna alla lotta politica, l’effetto è dirompente. Mario Draghi presenta il suo rapporto sulla competitività dell’Unione, lanciando un solo, grande appello: “L’autoconservazione dell’Europa è a rischio”.

Per questo servono “almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui”, il doppio del Piano Marshall, per coprire il fabbisogno finanziario dell’Ue e raggiungere gli obiettivi. Attualmente, infatti, gli “investimenti produttivi sono deboli nonostante l’ampio risparmio privato”. L’ex presidente della Bce parla apertamente di “lunga agonia” prima che il grande sogno di Altiero Spinelli si spenga definitivamente, considerando che “entro il 2040 ci saranno 20 milioni di persone in meno nel mercato del lavoro” e i cittadini “diventano sempre più poveri”.

Non è più tempo di contare le differenze, occorre sommare i punti di contatto: “Siamo già in modalità di crisi perenne e non riconoscerlo significa ignorare la realtà e andare verso una situazione che nessuno vuole”, esplicita meglio il senso del suo discorso e del lavoro consegnato oggi, con “170 proposte concrete a livello generale poi declinate in sotto-proposte di vario tipo”.

Sui tavoli che contano a Bruxelles c’è una fotografia meticolosa, puntale e molto dettagliata di come oggi 27 economie separate non siano sufficienti a insidiare il primato degli Usa, ma anche della Cina. Ragion per cui parla della necessità di avere “una politica estera comune” anche in termini economici, dunque finanziamenti “per progetti di interesse comune o transfrontalieri in comune” per reggere agli urti dell’instabilità geopolitica e affrancarsi dalle varie dipendenze da cui, ancora oggi, l’Europa non riesce a sganciarsi. Prima tra tutte, quella per l’approvvigionamento di materie prime critiche, la base, cioè, per ogni politica industriale. Mentre oggigiorno “manca una strategia globale che copra tutte le fasi della filiera (dall’esplorazione al riciclaggio)” nel Vecchio continente. Bisogna riaprire le miniere e allentare il cordone che ci tiene legati a fornitori extra-Ue. Ovviamente, allo stesso tempo, occorre trattenere determinate produzioni su suolo europeo, anche per questioni di sicurezza.

Draghi mette in fila parole chiave sulle quali puntare dal prossimo quinquennio per rimettere sui binari della crescita il gigante europeo con i piedi d’argilla: “Innovazione, resilienza, decarbonizzazione”. Sulla transizione ecologica batte molto, anche in funzione della competizione con la Cina, che rappresenta “una minaccia allo sviluppo industriale pulito” dell’Europa. Che potrebbe – se volesse, questo è il non detto che aleggia spesso nella mattinata belga – proporre un modello differente, sicuramente più appetibile in termini di investimenti. Magari non di costi, ma alla fine il vecchio adagio resta attuale: ‘risparmio non è mai guadagno’. Non sempre, almeno.

Tutti obiettivi molto ambiziosi, ma non impossibili da raggiungere. Ci vuole una grande forza di volontà, come lascia capire proprio Draghi rispondendo alla domanda di un cronista in conferenza stampa se, dal suo punto di vista, basteranno le risorse proprie dell’Ue a finanziare tutti questi progetti: “Dipende da quanti Stati membri vogliono contribuire al Bilancio dell’Unione”. Draghi è consapevole che non basterà far da soli, dunque ecco aprirsi un altro punto caldissimo del Rapporto: serve una riforma del bilancio europeo, per renderlo più smart e mirato. A partire dalla revisione dei fondi coesione “Andrebbero forse utilizzati in maniera diversa rispetto a quanto accade oggi” indirizzandoli su “digitalizzazione, trasporti, istruzione, connettività”. Temi legati a doppio nodo con l’innovazione.

Dal rapporto Draghi sulla competitività, l’Europa avrebbe migliaia di spunti da sviluppare. Ora tocca capire da dove partire. L’unica certezza è che il tempo sta scadendo inesorabilmente, cosa di cui è consapevole anche la riconfermata presidente Ursula von der Leyen, alla quale spetta il compito di costruire una Commissione e una maggioranza in grado di tracciare una rotta. “La crescita è rallentata, non possiamo più ignorarlo”, rimarca l’ex Bce. Avvisando l’Europa che tutto questo va fatto tenendo fede alla sua natura costituente: “Garantire pienamente valori come prosperità, pace, democrazia, in un mondo sostenibile. Se non può farlo, allora l’Ue ha perso la sua ragion d’essere”.

Ue, Draghi: “Aumentare produttività e ridurre i costi, serve mercato europeo energia”

Photo credit: sito Fundacion Yuste

 

Tutto si può dire, tranne che Mario Draghi non abbia le idee ben chiare su dove mettere le mani per modellare una nuova Ue. L’ex presidente della Bce ripropone alcune idee già enunciate in questi mesi, ma accentua i toni su alcuni punti nuovi. La base di partenza di tutto è “aumentare la produttività“, perché dalla vicenda del gas russo alla difficoltà di reperire le materie prime critiche, la lotta ai cambiamenti climatici e quelli tecnologici, così come il rapido invecchiamento della popolazione europea, diventano sfide cruciali da vincere assolutamente. Per riuscire nell’intento, però, occorre “crescere più velocemente e meglio“. Draghi ne parla a lungo nel discorso che tiene al Monastero di San Jerónimo de Yuste, in Spagna, dove riceve dalle mani del Re Felipe VI il premio europeo Carlos V.

Nei prossimi giorni l’ex premier consegnerà i risultati del lavoro commissionatogli da Ursula von der Leyen sul futuro della competitività, ma negli ultimi due mesi, con l’avvicinarsi delle elezioni europee, il suo nome era circolato tra i possibili candidati alla guida dell’esecutivo Ue o del Consiglio, sponsorizzato soprattutto dal presidente francese, Emmanuel Macron. La partita dei Top Jobs, intanto, sembra avviata sul binario della riconferma della attuale presidente, ma i suggerimenti di Draghi potrebbero risultare molto utili a chiunque si accomoderà sulla sedia più arroventata di Bruxelles.

Lo stato dell’arte è nei dati che porta in Spagna. “La crescita della produttività europea sta rallentando da tempo” e la differenza di crescita rispetto agli Usa inizia a pesare, perché “dovuta principalmente al settore tecnologico e alla digitalizzazione in generale“, spiega l’ex Bce. Che avvisa: “Il divario potrebbe aumentare ulteriormente con il rapido sviluppo e la diffusione dell’Intelligenza artificiale“. Del resto, “circa il 70% dei modelli fondamentali di Ia viene sviluppato negli Stati Uniti e solo tre aziende statunitensi rappresentano il 65% del mercato globale del cloud computing”. Allo stesso modo il sistema dei dazi può servire, ma con un approccio generale pragmatico, cauto e coerente“. Perché “non vogliamo diventare protezionisti in Europa, ma non possiamo restare passivi se le azioni degli altri minacciano la nostra prosperità“.

Altro punto cruciale del discorso di Draghi riguarda i costi da ridurre, soprattutto quelli dell’energia, che “stanno portando a una riduzione degli investimenti in Europa“. Il mix tra “investimenti infrastrutturali lenti e non ottimali, sia per le rinnovabili che per le reti” e “regole di mercato che non disaccoppiano completamente il prezzo dell’energia rinnovabile e nucleare dai quelli più alti e volatili dei combustibili fossili, impedendo alle industrie e alle famiglie di cogliere appieno i benefici dell’energia pulita nelle loro bollette“, impone una riflessione sulla “costruzione di un vero mercato europeo dell’energia“, da cui dipende, peraltro, l’aumento della produttività.

Per far lievitare gli investimenti, poi, l’Europa deve “non solo incrementare il livello della domanda attraverso una spesa più elevata, ma anche garantire che questa si concentri all’interno dei nostri confini” e “il modo più efficiente per farlo sarebbe aumentare la spesa comune“. Esortando l’Ue a porre tra le sue “priorità collettiveRicerca e innovazione e rilanciare rapidamente la diffusione dell’innovazione nella propria economia.

Nella riflessione di Draghi, infine, trova ampio spazio il tema della transizione green. A suo modo di vedere “anche rendere più efficace la spesa pubblica non sarà sufficiente“, dunque “il fabbisogno di finanziamenti per la transizione verde e digitale è enorme” e “dovremo anche mobilitare il risparmio privato su una scala senza precedenti, ben al di là di quanto possa fare il settore bancario“, raccogliendo questi fondi principalmente nei “mercati del capitale di rischio, delle azioni e delle obbligazioni“.

Industriali Ue incontrano Draghi: “Urge strategia su competitività, in ritardo su sfida Usa-Cina”

Nuovo passo avanti per tracciare la road map del sistema industriale europeo. L’ex premier, Mario Draghi, dopo aver ascoltato a Milano gli imprenditori i leader delle imprese del Vecchio continente, a Bruxelles ha incontrato una delegazione di BusinessEurope, guidata dal suo presidente Fredrik Persson, alla presenza del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, unico leader di una confederazione nazionale di industriali invitato al summit.

All’ex Bce, che ha ricevuto il compito dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, di stilare un rapporto sulle prospettive dell’industria del Vecchio continente, è stata sottolineata “l’urgente necessità di un approccio strategico alla competitività dell’Unione europea come sede imprenditoriale e come luogo in cui investire”, si legge in una nota di Be. Spiegando che l’incontro è servito per “fornire input al professor Draghi con l’obiettivo di sostenerlo nel suo sforzo di produrre proposte rivoluzionarie su come migliorare la competitività delle imprese”. Per Persson il settore “si trova attualmente in una situazione molto difficile” ma “abbiamo grandi aspettative dell’imminente relazione di Mario Draghi, poiché il suo importante lavoro dovrebbe portare ad azioni concrete per riportare l’economia europea in cima all’agenda e rimetterla sulla buona strada nel prossimo ciclo istituzionale”.

Positive anche le sensazioni di Bonomi dopo l’incontro con l’ex premier, durante il quale il leader di Confindustria ha sottolineato che finora “la politica europea non ha compreso l’urgenza che abbiamo sui temi della competitività”, racconta ai microfoni di Rainews. Perché “Stati Uniti e Cina ci hanno lanciato una sfida molto importante e ci sembra che l’Europea stia prendendo troppo tempo nel rispondere – aggiunge -. A Draghi abbiamo posto due temi per noi urgenti: l’energia, che costa quattro volte quella che pagano i nostri competitor americani, e la iper regolamentazione europea, su alcuni temi comprensibile mentre su altri non vediamo la necessità di perdere tempo e aumentare i costi”.

Approfondendo la questione energia, il presidente di Confindustria mette in luce che “a livello europeo abbiamo un problema di infrastrutture”, che va affrontato – ammonisce – se “riteniamo di diventare i campioni mondiali sulla sostenibilità ambientale”.

Venerdì Draghi sarà al primo seminario dell’anno della Commissione europea, che vedrà la presidente, Ursula von der Leyen, e gli altri membri del collegio riunirsi nella cittadina di Jodoigne, in Belgio, a pochi chilometri dalla capitale. Un’occasione per fare un punto sui mesi appena trascorsi e delineare le iniziative faro che la Commissione intende attuare negli ultimi prima della fine legislatura, che sarà scandita a giugno dalle elezioni europee.