Che ne è stato degli obiettivi della Cop15? L’Italia li ha raggiunti tutti

Diciannove Paesi su 34 non sono riusciti a rispettare pienamente gli impegni climatici assunti 15 anni anni fa a Copenaghen con obiettivi al 2020. E’ quanto emerge da un nuovo studio condotto da ricercatori della University College London (Ucl), pubblicato su Nature Climate Change. Il team ha confrontato le emissioni nette di carbonio effettive di oltre 30 nazioni con gli obiettivi di riduzione delle emissioni promessi nel 2009 durante il vertice sul clima di Copenhagen. E da questa analisi l’Italia esce vincente.

Il lavoro guidato dai ricercatori dell’Ucl e dell’Università Tsinghua è il primo sforzo per valutare in modo esaustivo in che misura i Paesi sono stati in grado di rispettare gli impegni di riduzione del Contributo Nazionale Determinato assunti durante la COP15.

Delle 34 nazioni analizzate nello studio, 15 hanno raggiunto con successo i loro obiettivi (Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti.), mentre 12 hanno fallito completamente (Australia, Austria, Canada, Cipro, Irlanda, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svizzera). I restanti sette Paesi (Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria, Lussemburgo, Malta e Polonia) rientrano in una categoria che gli autori dello studio hanno definito “gruppo a metà strada”: nazioni che hanno ridotto le emissioni di carbonio all’interno dei propri confini, ma lo hanno fatto in parte utilizzando il commercio per spostare le emissioni che avrebbero prodotto in altri Paesi. Conosciuta come “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio” o “trasferimento di carbonio”, questa esternalizzazione è una preoccupazione crescente tra i responsabili delle politiche ambientali.

Per ‘seguire’ questa ‘fuga’ di CO2, i ricercatori hanno utilizzato un metodo di tracciamento delle emissioni “basato sul consumo” che fornisce uno schema più completo per calcolare le emissioni totali di carbonio di un Paese. Non tiene conto solo delle emissioni derivanti dalle attività economiche all’interno dei confini territoriali della nazione, ma anche dell’impronta di carbonio dei beni importati e prodotti all’estero.

L’autore principale, il professor Jing Meng (UCL Bartlett School of Sustainable Construction), spiega che “la nostra preoccupazione è che i Paesi che hanno faticato a raggiungere gli impegni presi nel 2009 incontreranno probabilmente difficoltà ancora più consistenti nel ridurre ulteriormente le emissioni.”

Questi obiettivi di emissione sono stati fissati nel 2009 al vertice internazionale sul clima COP15 di Copenaghen. In quell’occasione, nonostante l’impossibilità di raggiungere un accordo globale, i singoli Paesi del mondo hanno stabilito i propri obiettivi individuali di riduzione delle emissioni. Ciò significa che gli obiettivi stabiliti variano notevolmente, dal modesto ma riuscito impegno della Croazia di ridurre le emissioni di carbonio del 5%, allo sforzo relativamente ambizioso ma infruttuoso della Svizzera di abbassarle 20-30% entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990.

La ricerca evidenzia anche le disparità tra i diversi punti di partenza dei Paesi. Sebbene quattro Paesi dell’Europa orientale – Estonia, Lituania, Lettonia e Romania – siano riusciti a raggiungere i loro obiettivi, i ricercatori sottolineano che ciò è dovuto soprattutto al fatto che gran parte dell’industria della regione utilizzava tecnologie obsolete e altamente inefficienti, risalenti ai primi anni ’90, che sono state abbandonate di recente.

Inoltre, i ricercatori avvertono che i Paesi che hanno faticato di più a raggiungere gli obiettivi della COP15 probabilmente incontreranno sfide ancora più grandi in futuro, dato che dovranno far fronte a una domanda di energia ancora maggiore con l’ulteriore espansione e sviluppo delle loro economie.

I principali modi in cui i Paesi sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi di emissione sono stati l’aumento della quantità di energia pulita prodotta, in particolare la transizione dal carbone, e un uso più efficiente dell’energia prodotta. I Paesi che non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi sono stati in gran parte incapaci di farlo perché l’aumento del consumo associato all’aumento del Pil pro capite e alla crescita della popolazione ha superato i loro sforzi per aumentare l’efficienza.

Il più recente Accordo di Parigi, firmato nel 2015 alla COP21, ha stabilito un quadro globale più ambizioso e completo per ridurre le emissioni di carbonio che ha sostituito questi contributi determinati a livello nazionale.

Cop15, raggiunto accordo storico sulla biodiversità: “Proteggere il 30% del pianeta entro il 2030”

Nella notte canadese, la mattina di lunedì in Italia, a Montréal i Paesi di tutto il mondo hanno raggiunto un accordo storico nel tentativo di fermare la distruzione della biodiversità e delle sue risorse, essenziali per l’umanità. Dopo quattro anni di difficili negoziati, dieci giorni e una notte di maratona diplomatica, più di 190 Stati hanno raggiunto un accordo sotto l’egida della Cina, presidente della Cop15, nonostante l’opposizione della Repubblica Democratica del Congo. Questo “patto di pace con la natura”, noto come accordo di Kunming-Montreal, include l’obiettivo di proteggere il 30% della terra e del mare del pianeta entro il 2030. Questo obiettivo, il più noto tra la ventina di misure, è stato presentato come l’equivalente in termini di biodiversità dell’obiettivo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Ad oggi, il 17% della terra e l’8% del mare sono protetti. Ma il testo prevede anche garanzie per i popoli indigeni, custodi dell’80% della biodiversità residua della Terra, proponendo di ripristinare il 30% delle terre degradate e di dimezzare il rischio di pesticidi. E nel tentativo di risolvere l’ancora scottante questione finanziaria tra Nord e Sud, la Cina propone anche di raggiungere “almeno 20 miliardi di dollari” di aiuti internazionali annuali per la biodiversità entro il 2025 e “almeno 30 miliardi entro il 2030”.

“L’accordo è stato adottato”, ha dichiarato Huang Runqiu, presidente cinese della Cop15, durante una sessione plenaria nella tarda notte canadese, la mattinata italiana, prima di far cadere il martelletto tra gli applausi dei delegati dall’aria stanca. “Insieme abbiamo fatto un passo avanti storico”, ha dichiarato Steven Guilbeault, ministro dell’Ambiente del Canada, Paese ospitante del vertice.

“La maggior parte delle persone dice che è meglio di quanto ci aspettassimo da entrambe le parti, per i Paesi ricchi e per quelli in via di sviluppo. Questo è il segno di un buon testo”, ha dichiarato all’Afp Lee White, ministro dell’Ambiente del Gabon. Per Masha Kalinina del Pew Charitable Trusts, “proteggere almeno il 30% della terra e del mare entro il 2030 è la nuova stella polare che useremo per navigare verso il recupero della natura”. “Alci, tartarughe marine, pappagalli, rinoceronti, felci rare sono tra i milioni di specie le cui prospettive future saranno notevolmente migliorate” da questo accordo, ha aggiunto Brian O’Donnell, della Ong Campaign for Nature. Questo testo è “un significativo passo avanti nella lotta per la protezione della vita sulla Terra, ma non sarà sufficiente”, ha dichiarato all’Afp Bert Wander dell’OngAvaaz. “I governi dovrebbero ascoltare la scienza e aumentare rapidamente le loro ambizioni di proteggere metà della Terra entro il 2030”, ha aggiunto.

Le Ong sono divise su questo tema. Brian O’Donnell della Ong Campaign for Nature ha affermato che il testo “dà alla natura una possibilità“: le prospettive per i leopardi, le farfalle, le tartarughe marine, le foreste e le persone potranno migliorare drasticamente. Ma An Lambrechts di Greenpeace International si è detta preoccupata per una “bozza di accordo debole” che “non fermerà, e tanto meno invertirà, la perdita di biodiversità“. Potrebbe anche essere un “invito aperto al greenwashing“, ha detto. Altri temono che le scadenze siano troppo lontane rispetto all’attuale urgenza. Il 75% degli ecosistemi mondiali è stato alterato dall’attività umana, più di un milione di specie sono minacciate di estinzione e la prosperità del mondo è a rischio: più della metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai suoi servizi. Inoltre, il precedente piano decennale firmato in Giappone nel 2010 non ha raggiunto quasi nessuno dei suoi obiettivi, in parte a causa della mancanza di meccanismi di applicazione efficaci. Il capo delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto un “patto di pace con la natura“, affermando che l’umanità è diventata una “arma di estinzione di massa“.

La questione del finanziamento ha rappresentato un punto di stallo nei colloqui degli ultimi dieci giorni ed è rimasta al centro dei dibattiti anche durante la sessione plenaria di adozione, registrando l’obiezione di diversi Paesi africani. In cambio dei loro sforzi, i Paesi meno sviluppati hanno chiesto ai Paesi ricchi 100 miliardi di dollari all’anno. Si tratta di una cifra pari ad almeno 10 volte gli attuali aiuti internazionali per la biodiversità. Braulio Dias, che rappresenta il futuro governo brasiliano di Luiz Inacio Lula da Silva, domenica aveva chiesto ancora una volta “una migliore mobilitazione delle risorse” – in altre parole, un aumento degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, una preoccupazione ripresa in particolare dal Congo. Oltre ai sussidi, i Paesi del Sud hanno spinto con forza per la creazione di un fondo globale dedicato alla biodiversità – una questione di principio – simile a quello ottenuto a novembre per aiutarli a far fronte ai danni climatici. Su questo punto, la Cina propone come compromesso di creare un ramo dedicato alla biodiversità all’interno dell’attuale Fondo mondiale per l’ambiente (Gef), il cui funzionamento attuale è considerato molto carente dai Paesi meno sviluppati.

Photo credits: Twitter @UNBiodiversity

Cop15, negoziati ancora in corso: vicino accordo per biodiversità

I Paesi di tutto il mondo, riuniti da 10 giorni a Montreal (Canada) per la Cop15, si sono avvicinati domenica, a un giorno dalla conclusione del vertice, a un accordo per proteggere meglio la biodiversità del pianeta, dopo i progressi compiuti sulle aree protette e lo sblocco di nuove risorse finanziarie. Ma diversi punti sono ancora in discussione, con alcuni Paesi del Sud che continuano a chiedere maggiori finanziamenti e i Paesi ricchi che negoziano per aumentare alcune ambizioni. Questo “patto di pace con la natura“, di cui il pianeta ha estremo bisogno per fermare la distruzione della biodiversità e delle sue risorse essenziali per l’umanità, deve essere concluso entro martedì. I Paesi stanno lavorando da domenica mattina su una bozza di accordo presentata dalla presidenza cinese della Cop15. Il testo, che potrebbe diventare l’accordo di Kunming-Montreal, include l’obiettivo di proteggere il 30% della terra e del mare del pianeta entro il 2030. Questo obiettivo, il più noto tra la ventina di misure, è stato presentato come l’equivalente in termini di biodiversità dell’obiettivo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. Ad oggi, il 17% della terra e l’8% del mare sono protetti. Ma il testo prevede anche garanzie per i popoli indigeni, custodi dell’80% della biodiversità residua della Terra.

E nel tentativo di risolvere l’ancora scottante questione finanziaria tra Nord e Sud, la Cina propone anche di raggiungere “almeno 20 miliardi di dollari” di aiuti internazionali annuali per la biodiversità entro il 2025 e “almeno 30 miliardi entro il 2030“. “Penso che siamo molto vicini a un accordo“, ha dichiarato Steven Guilbeault, ministro dell’Ambiente del Canada, Paese ospitante del vertice, affermando che ci sono solo “ritocchi” da fare nelle prossime ore. Ma il commissario europeo per l’ambiente Virginijus Sinkevicius è stato più cauto, avvertendo che le cifre dei finanziamenti in discussione potrebbero essere difficili da raggiungere. “Se altri Paesi si impegnano a raggiungere questi obiettivi, come la Cina, penso che possa essere realistico“, ha detto, invitando anche gli Stati arabi a fare la loro parte.

La questione del finanziamento, che è stata un punto di stallo nei colloqui degli ultimi 10 giorni, rimane cruciale. In cambio dei loro sforzi, i Paesi meno sviluppati chiedono ai Paesi ricchi 100 miliardi di dollari all’anno. Si tratta di una cifra pari ad almeno 10 volte gli attuali aiuti internazionali per la biodiversità. Braulio Dias, che rappresenta il futuro governo brasiliano di Luiz Inacio Lula da Silva, domenica ha chiesto ancora una volta “una migliore mobilitazione delle risorse” – in altre parole, un aumento degli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, una preoccupazione ripresa in particolare dal Congo. Oltre ai sussidi, i Paesi del Sud stanno spingendo con forza per la creazione di un fondo globale dedicato alla biodiversità – una questione di principio – simile a quello ottenuto a novembre per aiutarli a far fronte ai danni climatici. Su questo punto, la Cina propone come compromesso di creare un ramo dedicato alla biodiversità all’interno dell’attuale Fondo mondiale per l’ambiente (GEF), il cui funzionamento attuale è considerato molto carente dai Paesi meno sviluppati.

Le ONG sono divise su questo tema. Brian O’Donnell della ONG Campaign for Nature ha affermato che il testo “dà alla natura una possibilità“. Se verrà approvato, le prospettive per i leopardi, le farfalle, le tartarughe marine, le foreste e le persone miglioreranno drasticamente. Ma An Lambrechts di Greenpeace International si è detta preoccupata per una “bozza di accordo debole” che “non fermerà, e tanto meno invertirà, la perdita di biodiversità“. Potrebbe anche essere un “invito aperto al greenwashing“, ha detto. Altri temono che le scadenze siano troppo lontane rispetto all’attuale urgenza. Il 75% degli ecosistemi mondiali è stato alterato dall’attività umana, più di un milione di specie sono minacciate di estinzione e la prosperità del mondo è a rischio: più della metà del PIL mondiale dipende dalla natura e dai suoi servizi. Inoltre, il precedente piano decennale firmato in Giappone nel 2010 non ha raggiunto quasi nessuno dei suoi obiettivi, in parte a causa della mancanza di meccanismi di applicazione efficaci. Il capo delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto un “patto di pace con la natura“, affermando che l’umanità è diventata una “arma di estinzione di massa“.

Al via la Cop15. L’Onu: “Le crisi del clima e della biodiversità sono collegate, è urgente agire”

Archiviata la Cop27, da oggi si alza il sipario della Cop15 sulla biodiversità, che si svolgerà a Montréal sino a lunedì 19 dicembre. Dopo l’arresto forzato causato dalla pandemia, quasi duecento Paesi si ritrovano per cercare di elaborare un nuovo quadro globale per la protezione della natura. Tuttavia, dopo tre anni di negoziati minuziosi, ci sono ancora molti punti in sospeso. Nonostante questo, Elizabeth Maruma Mrema, responsabile della Convenzione Onu sulla Diversità Biologica (Cbd), in un’intervista all’Afp spiega che resta “ottimista” e che confida in un “momento Parigi” per la natura, riferendosi allo storico accordo del 2015 per limitare il riscaldamento globale e al fatto che le crisi del clima e della biodiversità siano inestricabilmente legate, per cui è “urgente agire”.

“La biodiversità deve avere successo, perché è da qui che nascono le soluzioni per l’attuazione dell’Accordo di Parigi. La natura è importante quanto il clima” e le due questioni devono essere affrontate “insieme”, sottolinea Elizabeth Maruma Mrema. Siamo vicini al “punto di svolta”, ma “non è troppo tardi” prima che non rimanga “nulla per i nostri figli”. Insistendo sul drammatico punto di partenza, ricorda che il declino della biodiversità sta raggiungendo “un livello senza precedenti nella storia: stimiamo che il 90% degli ecosistemi sia stato colpito finora e che più di un milione di specie sia a rischio di estinzione”.
Nel corso di questa Cop, “l’importante è che venga adottato un quadro di riferimento, e tutti noi avremo interesse a garantirne l’attuazione per evitare di tornare al punto di partenza”, aggiunge la tanzaniana, rallegrandosi del fatto che dal 2010 si sia imparato qualcosa. In quell’anno, infatti, i 196 Paesi firmatari della Convenzione sulla diversità biologica (Cbd) si sono impegnati ad attuare misure, note come Obiettivi di Aichi, per arrestare il declino della biodiversità entro il 2020. Ma quasi nessuno degli obiettivi è stato raggiunto. Questa volta, però, secondo Elizabeth Maruma Mrema c’è l’impegno di tutte le parti interessate e il rinvio di due anni ha permesso ampie consultazioni: “Il quadro – specifica –  dovrebbe essere adottato contemporaneamente a un meccanismo di monitoraggio” e poi “tutti gli obiettivi saranno accompagnati da traguardi quantificati”. Come non è invece stato per l’ultimo accordo.

Ma l’approvazione di obiettivi ambiziosi e quantificati sarà subordinata a impegni finanziari da parte del Nord verso il Sud, uno dei “punti complicati” dei negoziati, riconosce Elizabeth Maruma Mrema. Come per i colloqui sul clima, alcuni Paesi vogliono avere “la garanzia che saranno disponibili risorse finanziarie sufficienti per attuare le misure”. Tra i circa venti obiettivi in discussione, l’ambizione principale, denominata 30×30, mira a porre almeno il 30% della terra e del mare del mondo sotto una protezione legale minima entro il 2030, rispetto al 17% e al 10% del precedente accordo del 2010. Per Elizabeth Maruma Mrema, tuttavia, questo è solo “uno dei 22 obiettivi” e sarà essenziale guardare all’accordo “nel suo complesso. Se vogliamo invertire la perdita di biodiversità entro il 2030. Allora significa che tutti gli obiettivi devono essere implementati, non solo uno”, conclude.

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Suore in campo per le Cop: Consenso su non proliferazione fossili

La salute del Pianeta è in bilico, intervenire è urgente, ma ancora più importante è che si intervenga uniti. L‘Unione internazionale delle Superiori generali guarda alla Cop 27 di Sharm el-Sheikh (6-18 novembre), alla Cop 15 di Montreal (7-19 dicembre) e lancia una dichiarazione per la cura della casa comune.

All’interno della dichiarazione l’appello delle religiose ad “agire velocemente per arrestare il crollo della biodiversità, assicurando che, entro il 2030, almeno metà della Terra e degli oceani diventino aree protette, ricostituire gli ecosistemi devastati e ridurre la dipendenza globale dai combustibili fossili”. Ma anche l’invito a “raggiungere il consenso globale sul Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili e a sottoscrivere l’accordo di un nuovo quadro globale per la biodiversità”.

Noi suore siamo convinte della necessità di un approccio integrale, integrante e inclusivo per la realizzazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli Obiettivi della Laudato Si’”, scandisce suor Patricia Murray, segretaria esecutiva della Uisg. “Le suore e i loro alleati – garantisce – sono in prima linea nel movimento che intavola conversazioni globali sui bisogni delle comunità più vulnerabili”.

Chiama così all’impegno le oltre 600mila religiose che l’Unione rappresenta nel mondo e che operano nell’ambito della salute, della lotta alla fame e dell’assistenza all’infanzia. Chiede di “integrare le voci delle comunità marginalizzate nel dibattito globale riguardante le questioni ambientali”. ‘Sisters for the Environment: Integrating Voices from the Margins’ (Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini) è il titolo della dichiarazione, lanciata oggi dall’headquarter UISG di Roma, con il sostegno del Global Solidarity Fund (GSF).

È necessario ascoltare con attenzione le voci di quanti sono stati colpiti dai disastri ambientali – insistono le religiose nel testo – sia per il riconoscimento della loro dignità di esseri umani sia, con un approccio pragmatico, per imparare dalla loro resilienza“. Si tratta dunque di fare dei più vulnerabili attori protagonisti sullo scacchiere internazionale, assicurando che le loro voci siano centrali nel dialogo globale per il cambiamento e che non siano relegate a una advocacy periferica e isolata.

In particolare, si legge nel documento, “bisogna accogliere i suggerimenti delle comunità indigene per fermare o modificare i progetti che interessano le loro terre, e garantire che l’opinione esperta delle comunità sia parte degli sforzi per la mitigazione dei cambiamenti climatici e il crollo della biodiversità”. Altri due punti fondamentali del dossier riguardano la necessità di integrare le risposte al cambiamento climatico e alla perdita di biodiversità, riconoscendo la natura interconnessa delle sfide ecologiche, e di unire la cura per l’ambiente a quella per le persone più deboli, rifiutando la visione antropocentrica “alla base delle abitudini di consumo più distruttive”.

 

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Papa guarda a Cop27 e Cop15: “La Terra geme, fermiamo distruzione”

Lo spettro di una catastrofe nucleare aleggia sull’Europa e, dall’altro lato dell’Oceano, procede senza sosta la devastazione della foresta Amazzonica, il grande polmone del Pianeta. Nella Giornata mondiale di preghiera per il Creato, Papa Francesco lancia un nuovo appello per difendere l’ambiente: “In balìa dei nostri eccessi consumistici, la sorella Madre Terra geme e ci implora di fermare i nostri abusi e la sua distruzione, afferma alla fine dell’udienza generale.

Il 4 ottobre, nella festa di San Francesco d’Assisi, si chiude il ‘Tempo per il creato’: “Possa favorire in tutti l’impegno concreto a prendersi cura della nostra casa comune“, ricorda il padre della prima enciclica ambientale della storia.

Bergoglio guarda ai due vertici Onu cruciali per il futuro della Terra, la Cop27, in Egitto dal 6 al 18 novembre, e la Cop15, in Canada dal 7 al 19 dicembre: “Possano unire la famiglia umana nell’affrontare decisamente la doppia crisi del clima e della riduzione della biodiversità“, è la speranza.

Prima, in Italia il Pontefice ha un doppio appuntamento con risvolti ambientali. Sabato 24 settembre sarà ad Assisi per partecipare in presenza alla ‘Davos’ cattolica, ‘Economy of Francesco’, movimento internazionale di giovani economisti, imprenditori e change-makers impegnati in un processo di cambiamento verso una nuova economia. Ad accompagnarli da tre anni, tra gli altri esperti, c’è l’attivista indiana Vandana Shiva.

Il giorno successivo, domenica 25 settembre, sarà a Matera per chiudere il 27esimo Congresso Eucaristico Nazionale (22-25 settembre), che quest’anno ha come tema ‘Torniamo al gusto del pane’. A fare da fil rouge alle giornate sarà il tema della comunione, della partecipazione e della missione, in un’ottica di conversione ecologica, pastorale e culturale.

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Africa a rischio desertificazione. In arrivo la Grande Muraglia Verde

Misure concrete per fermare l’aumento della desertificazione. È l’obiettivo al quale mira la Cop15, la Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD). Ad Abidjan, in Costa d’Avorio, si riuniscono oggi nove capi di stato africani, tra cui il presidente del Niger Mohamed Bazoum, il suo omologo congolese Felix Tshisekedi e Faure Gnassingbé del Togo, dovrebbero partecipare all’incontro con il presidente ivoriano Alassane Ouattara. Il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen parteciperanno ai dibattiti in videoconferenza.

TERRA. VITA. PATRIMONIO: DA UN MONDO PRECARIO A UN FUTURO PROSPERO

Il tema dell’evento è ‘Terra. Vita. Patrimonio: Da un mondo precario a un futuro prospero’ è “una chiamata all’azione per assicurare che la terra, che è la nostra fonte di vita su questo pianeta, continui a dare i suoi benefici alle generazioni presenti e future“, ha affermato l’UNCCD in una dichiarazione. “La conferenza presterà particolare attenzione al ripristino di un miliardo di ettari di terra degradata entro il 2030, assicurando la sostenibilità dell’uso della terra di fronte agli impatti del cambiamento climatico, e combattendo l’aumento dei rischi di disastri come siccità, tempeste di sabbia e polvere e incendi boschivi“, ha sottolineato l’agenzia delle Nazioni Unite.

GRANDE MURAGLIA VERDE

Il continente africano è particolarmente colpito dalla desertificazione, soprattutto nel Sahel. La questione della Grande Muraglia Verde, un progetto faraonico che mira a ripristinare cento milioni di ettari di terra arida in Africa entro il 2030 su una striscia di 8.000 km dal Senegal a Gibuti, dovrebbe essere affrontata durante la riunione, che si concluderà il 20 maggio.

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Riuniti a Ginevra 200 Paesi per difesa della biodiversità

I membri della Convenzione per la diversità biologica (CBD) dell’Onu sono riuniti a Ginevra per la stesura di un testo congiunto volto a proteggere la natura – con un limite temporale fissato al 2050 (tappa intermedia al 2030) – che sarà adottato dalla Cop15 per la biodiversità entro quest’anno.
Nel 2010 i circa 200 Stati che compongono la Convenzione avevano ideato il Piano strategico per la biodiversità 2011-2020, composto da 20 obiettivi (chiamati anche Aichi Targets, dal nome del luogo in cui si era svolto il summit); a 12 anni di distanza, però, i risultati raggiunti non sono soddisfacenti. Questo fallimento si spiega principalmente con “una mancanza di volontà politica, a cui i membri (della Convenzione) non hanno dato priorità”, spiega ad AFP Anna Heslop, dell’ONG ClientEarth, che segue i negoziati a Ginevra. Gli obiettivi di Aichi, afferma, “non erano il problema”, ma lo è stato la mancanza “della loro attuazione. Non possiamo permetterci di essere dove siamo tra 10 anni”, avverte, perché la biodiversità sta scomparendo a un ritmo vertiginoso a causa della pressione dell’uomo.

Ciò di cui abbiamo bisogno è un quadro migliore per incoraggiare i membri” della Convenzione “a pianificare, riferire (ciò che fanno) e una comunità internazionale che agisca. Mantenere uniti questi tre elementi è una sfida”, commenta un negoziatore di un Paese del nord. Attualmente, ogni Stato elabora il proprio piano nazionale per la biodiversità su basi diverse, rendendo difficili i confronti. Un altro elemento che rende complicato tenere il punto della situazione è che le relazioni che danno conto dei progressi compiuti vengono talvolta pubblicate in ritardo. A Ginevra, le delegazioni stanno lavorando allo sviluppo di indicatori comuni. “È utile armonizzare i formati di rendicontazione e gli NBSAP (National Biodiversity Strategies and Action Plans), per valutare più facilmente dove siamo a livello globale”, spiega Anna Heslop.