prodotti alimentari

I bambini che danno una mano in cucina mangiano più frutta e verdura: la ricerca del Crea

Far approcciare i bambini al cibo attraverso il gioco e il divertimento permette di far loro apprezzare gli alimenti che si portano in tavola. L’assunto – già divulgato, soprattutto in questi ultimi anni durante i quali imperversano in televisione programmi dedicati alla cucina, da nutrizionisti, pediatri e psicologi –  è avvallato anche dalla recente indagine svolta da ricercatori del Crea-Alimenti e Nutrizione Annalisa Di Nucci, Umberto Scognamiglio, Federica Grant e Laura Rossi.

Lo studio – pubblicato sulla rivista Frontiers in Nutrition – si è svolto su un campione di 99 bambini in età scolare della regione Lazio, ma rappresentativo anche a livello nazionale. Obiettivo: esaminare i cambiamenti delle loro abitudini nutrizionali nel corso e nel post pandemia da Covid-19 e l’eventuale impatto sui fenomeni di ripudio di cibi specifici utilizzando la ‘Scala della neofobia alimentare (Cfns)’. I risultati hanno mostrato che, per gran parte del campione (97%), il rifiuto selettivo del cibo non è cambiato durante il periodo della pandemia. Circa il 70% dei partecipanti non ha mutato le proprie abitudini alimentari, con alcune eccezioni che hanno riguardato alcuni sottogruppi che hanno riportato un aumento del consumo di frutta (22,2%), verdura (19,2%) e legumi (21,2%). Com’era prevedibile, a causa delle misure restrittive, è stato rilevante l’impatto della pandemia sulla sedentarietà, che è passata dal 25,3 al 70,7%. La neofobia (il rifiuto selettivo di alcuni cibi) non è stata associata allo stato ponderale (p-value 0,5). Tuttavia, nei bambini normopeso è stata riscontrata una più alta prevalenza di neofobia di livello intermedio (78,4%). È stato interessante notare come durante l’isolamento sociale, il 39,4% dei bambini studiati sono stati coinvolti nella preparazione dei pasti e come sia aumentata la percentuale che ha condiviso tutti i pasti con la famiglia (32,3% vs. 78,8%). Durante la pandemia, inoltre, la convivenza forzata determinata dal lockdown ha prodotto l’aumento del numero dei pasti consumati in famiglia. Inoltre, nel periodo di convivenza forzata la condivisione dei pasti si è associata alla scelta di verdure e legumi: circa il 95% dei bambini che ha consumato maggiormente questi alimenti, infatti, aveva effettuato entrambi i pasti principali nel nucleo familiare e nel 35% dei casi è risultato che ne mangiavano di più rispetto a quanto accadeva nel periodo pre-pandemico.

Fondamentali, affinché i bambini apprezzino maggiormente il cibo, i comportamenti dei genitori. Se mamma e papà disapprovano il rifiuto del figlio di fronte a un cibo che non gradisce, il livello di ripudio di cibi diventerà intermedio o addirittura alto; viceversa, preparare i cibi meno graditi con tecniche e piccoli accorgimenti di impiattamento fa sì che siano più apprezzati dai piccoli di casa e che i livelli di neofobia siano bassi (valore p <0,05).
Una delle cause del basso consumo di frutta e verdura nei bambini potrebbe essere la neofobia alimentare – commenta Umberto Scognamiglio ricercatore CREA Alimenti e Nutrizione che ha coordinato lo studio – definita come la riluttanza a mangiare cibi nuovi o sconosciuti: un comportamento molto comune tra i bambini con un ben definito esordio ed evoluzione. Il nostro studio dimostra come le strategie educative adottate dal genitore al momento del pasto possano influenzare in modo determinante le abitudini alimentari e il livello di neofobia del bambino”.

Al via Plan’Eat, progetto europeo guidato dal Crea per un cibo amico dell’ambiente

Il cibo amico dell’ambiente è una possibilità reale. Attraverso il progetto Horizon PLAN’EAT, Trasformazione dei sistemi alimentari per comportamenti alimentari più sani e più sostenibili, il Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e analisi dell’economia agraria) intende infatti promuovere l’adozione generalizzata di abitudini alimentari corrette e rispettose per l’ambiente con un approccio multi-sistemico e un ruolo attivo della filiera agroalimentare.

Il progetto Horizon coinvolge 24 tra enti e organizzazioni di 12 Paesi europei (Italia, Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Ungheria, Irlanda, Olanda, Polonia, Svezia e Regno Unito) e ha l’obiettivo finale di fornire all’Unione europea gli strumenti per l’attuazione di politiche nutrizionali e di sostenibilità efficaci, con un possibile grado di armonizzazione tra i diversi Paesi Membri, e ad includere i temi della sana alimentazione e della sostenibilità nelle Linee Guida Nutrizionali delle nazioni europee.

A coordinare le azioni è il Crea che, attraverso lo studio approfondito dei fattori che determinano le abitudini alimentari, cercherà di mettere punto efficaci raccomandazioni, strumenti e interventi ad hoc per gli attori della filiera alimentare per rendere la produzione sempre più compatibile con le raccomandazioni dietetiche, migliorando salute e sostenibilità delle scelte alimentari. Nel dettaglio, il centro di ricerca Alimenti e Nutrizione si occuperà di raccogliere i dati sui consumi e costumi alimentari della popolazione dei 12 paesi europei partecipanti, dividendola in 9 fasce vulnerabili, ossia gruppi di popolazione che hanno esigenze nutrizionali particolari come bambini e anziani oppure gruppi di popolazione che non hanno accesso a una dieta sana, come gli individui a basso reddito o a bassa scolarità. Sulla base dei risultati ottenuti, saranno formulate proposte mirate di diete e raccomandazioni che possano gradualmente sostituire abitudini alimentari dannose per l’organismo.

I consumatori – dichiara Laura Rossi, ricercatrice del Crea Alimenti e Nutrizione e coordinatrice di PLAN’EAT saranno i protagonisti del progetto perché primi destinatari delle raccomandazioni. Verranno effettuati 9 Living Labs, che coinvolgeranno, oltre alla popolazione generale, determinati sottogruppi di popolazione (bambini, adolescenti, persone con basso reddito e anziani) in diverse aree europee, per mappare i loro pattern dietetici e analizzarli sotto il punto di vista ambientale, socioeconomico e salutare”. In particolare, PLAN’EAT adotterà un approccio sistemico a più livelli, interessando il settore della filiera alimentare, la sfera ambientale e quella individuale. Infatti, uno degli obiettivi strategici del progetto è la promozione di stili di vita alimentari che coniughino la sostenibilità nutrizionale e la promozione della salute con la protezione dell’ambiente e delle risorse energetiche. L’operazione culturale a favore di un’alimentazione sostenibile, a cui si lavora da diverso tempo, consiste nel favorire l’allineamento dei consumi di cibo alle raccomandazioni delle Linee Guida realizzate dal Crea, che suggeriscono di orientarsi maggiormente verso prodotti vegetali rispetto a quelli animali, con una preferenza, in quest’ultimo caso, per alimenti a minor impatto ambientale, come il latte, le uova, i pesci piccoli del Mediterraneo e il pollo. Senza tralasciare l’adozione di una serie di “sane” abitudini, come l’acquisto da filiere corte e locali di prodotti con pochi input esterni.

L’Italia ha pagato 8,6 mld a Putin da inizio guerra per gas e petrolio

Bloomberg scrive che l’economia russa rischia una forte crisi, Mosca invece fa sapere che quest’anno il Pil calerà di appena il 2,9%. La decisione di Mosca di interrompere il flusso del Nord Stream per alcuni osservatori sta a indicare che, senza export di metano, Putin vedrebbe ridurre drasticamente i propri introiti. Altri sostengono che le sanzioni stanno facendo male più all’Europa che alla Russia. Chi ha provato a fare luce sui numeri è il Center for Research on Energy and Clean Air (Crea), un think tank indipendente finlandese, secondo il quale la Russia ha guadagnato 158 miliardi di euro di entrate dalle esportazioni di combustibili fossili nei primi sei mesi di guerra (dal 24 febbraio al 24 agosto), poco meno di un miliardo al giorno. E la Ue ne ha importato il 54%, per un valore di circa 85 miliardi di euro. Più precisamente le esportazioni di combustibili fossili hanno contribuito con circa 43 miliardi al bilancio federale russo dall’inizio dell’invasione, contribuendo a finanziare la stessa guerra in Ucraina, sottolinea il Crea.

La principale importatrice di combustibili fossili è stata appunto la Ue (85,1 miliardi di euro), seguita da Cina (34,9 miliardi), Turchia (10,7), India (6,6), Giappone (2,5 miliardi), Egitto (2,3) e Corea del Sud (2 miliardi di euro). A sua volta, all’interno della Ue, la parte del leone la fa la Germania con 19 miliardi di euro pagati a Mosca per importare principalmente gas e petrolio, poi segue l’Olanda (11,1 miliardi soprattutto per il petrolio) nonostante sia la base della borsa che fa impazzire il prezzo del gas e nonostante sia seduta su decine di miliardi di metri cubi inutilizzati a Groningen, al terzo posto l’Italia che in 180 giorni ha versato nelle casse di Putin 8,6 miliardi pari a circa 50 milioni al giorno per ricevere in cambio gas via Tarvisio (sempre meno), petrolio, derivanti dal petrolio e un po’ di carbone (materia prima sulla quale è scattato l’embargo a inizio agosto). In pratica il nostro Paese durante i sei mesi che hanno sconvolto il mondo ha versato più soldi a Putin dell’India, che recentemente ha confermato di non voler applicare sanzioni verso il Cremlino e di voler intensificare gli acquisti di metano e greggio da Mosca. Fuori dal podio europeo troviamo infine la Polonia (7,4 miliardi di euro di prodotti fossili importati), Francia (5,5 miliardi), Bulgaria (5,2), Belgio (4,5) e Spagna 3,3).

Tornando sull’Italia nei due mesi che hanno preceduto il blocco all’import di carbone russo, abbiamo continuato a comprarne in compagnia di Olanda, Polonia, Germania e Spagna. Più o meno gli stessi Paesi che nelle ultime settimane si sono convertiti al carbone sudafricano che parte dal Richards Bay Coal Terminal benché la domanda fosse già cresciuta del 40% da gennaio a maggio. A proposito di carbone, ieri il prezzo del Newcastle Coal ha toccato i massimi a 463 euro a tonnellata. Ad agosto, i ricavi e i volumi delle esportazioni di combustibili fossili della Russia sono leggermente rimbalzati dal minimo raggiunto a giugno, nonostante le esportazioni russe siano diminuite del 18% rispetto al livello record raggiunto all’inizio dell’invasione (febbraio-marzo). Infatti rispetto all’inizio dell’invasione, le riduzioni delle importazioni di combustibili fossili russi sono costate al Paese 170 milioni di euro al giorno in mancate entrate in luglio e agosto. Il calo complessivo dei volumi delle esportazioni è stato determinato da un calo delle esportazioni verso la Ue, che sono diminuite del 35%.

Da notare infine un dato: dopo l’Europa il più grande importatore dalla Russia è la Cina. E la spesa maggiore di Pechino è per il petrolio, per il quale ha investito circa 25 miliardi. Il gas? Pesa molto meno dell’import di carbone: un paio di miliardi per il metano, quasi 4 per il carbone. E pure l’India è affamata di petrolio e non di gas. Per cui sorge una domanda: se il gas russo non va in Europa, a chi lo venderà Mosca?

(Photo credits: Odd ANDERSEN / AFP)