Aereo

Carburanti sostenibili soluzione per decarbonizzare industria aerea

Sottoposta a pressioni per ridurre la sua impronta ambientale, l’industria aerea si è impegnata ad abbattere drasticamente le sue emissioni di CO2 ma ha ancora molta strada da fare per rispettare i suoi impegni. Secondo l’Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile (ICAO), un’agenzia delle Nazioni Unite, l’aviazione rappresenta tra il 2 e il 3% delle emissioni globali di CO2. Anche se indebolito dalla pandemia, si prevede che il traffico aereo globale raggiungerà i 10 miliardi di passeggeri nel 2050, più del doppio del livello del 2019. Questo significa altrettante emissioni in più se non si fa nulla.

L’Associazione Internazionale del Trasporto Aereo (Iata), che rappresenta la stragrande maggioranza delle compagnie aeree, e l’industria aeronautica si sono impegnati a ridurre le emissioni nette di CO2 a zero entro il 2050. Quarantadue Paesi, tra cui l’UE, il Regno Unito e gli Stati Uniti, nella ‘Dichiarazione di Tolosa’ di febbraio hanno chiesto ai Paesi di tutto il mondo di approvare questo obiettivo in occasione della prossima assemblea dell’ICAO a fine settembre.

L’impatto delle scie degli aerei sul riscaldamento globale, tuttavia, non è stato oggetto di alcun impegno per la loro riduzione in questa fase. Anche se ancora poco valutato, sembra essere “importante almeno quanto le emissioni di CO2“, secondo uno studio dell’Agenzia europea per la sicurezza aerea (EASA). L’industria conta sui miglioramenti tecnologici e infrastrutturali – nuovi materiali, motori più parsimoniosi, migliore gestione del sistema di traffico aereo – per fare un po’ di strada. Il produttore di motori CFM, una joint venture tra GE e Safran, sta lavorando con il suo progetto Rise per un futuro motore disponibile nel 2035 che ridurrà il consumo di carburante di oltre il 20%.

Secondo il settore aeronautico europeo (compagnie aeree e produttori), tutti questi miglioramenti tecnologici permetteranno di raggiungere quasi la metà dei guadagni previsti. La Iata ritiene che essi contribuiranno solo al 14% dello sforzo necessario. Una parte di questo sforzo – l’8% secondo gli europei, il 19% secondo la Iata – proverrà da un sistema di cattura e commercio del carbonio.

I carburanti sostenibili per l’aviazione (SAF) rappresentano la maggior parte degli sforzi per la decarbonizzazione dell’aviazione – due terzi degli sforzi secondo la Iata, un terzo secondo l’industria aerea europea. Si ottengono da biomasse, oli di scarto e persino, in futuro, dalla cattura della CO2 e dall’idrogeno verde per la produzione di carburanti sintetici. Hanno il vantaggio di poter essere utilizzati direttamente negli aerei di oggi e di poter ridurre le emissioni di CO2 fino all’80% rispetto alla paraffina durante il loro intero ciclo di vita. Airbus e Boeing si sono impegnati a far volare i loro aerei con il 100% di SAF entro il 2030, ma questi carburanti rappresentano attualmente meno dello 0,1% del carburante bruciato dall’aviazione e sono da due a quattro volte più costosi della paraffina. Per incoraggiare la loro produzione, l’UE sta valutando l’obbligo graduale di incorporare il FAS nella paraffina, mentre gli Stati Uniti stanno valutando crediti d’imposta.

La propulsione elettrica è attualmente limitata a piccoli aerei e ai futuri taxi volanti nelle aree urbane. Il peso delle batterie necessarie per immagazzinare l’energia la rende inadatta agli aerei di linea. Un’area di sviluppo è la propulsione ibrida elettrica: durante alcune fasi del volo, come il decollo, un motore elettrico fornisce energia supplementare al motore a combustione. A lungo termine, sono in corso ricerche sulle celle a combustibile per alimentare un motore elettrico senza bisogno di batterie: l’elettricità verrebbe prodotta a bordo da una reazione chimica tra l’ossigeno prelevato dall’aria e l’idrogeno liquido contenuto in serbatoi. Questa ricerca differisce da quella sugli aerei alimentati a idrogeno, dove l’idrogeno verrebbe bruciato direttamente in un motore a combustione. Il progetto guidato da Airbus mira ad avere un primo aereo in servizio entro il 2035, probabilmente un velivolo a corto raggio con meno di 100 posti, secondo il suo presidente Guillaume Faury. Ma l’idrogeno è quasi quattro volte più ingombrante della paraffina, rendendo impossibile il suo utilizzo per le tratte a lungo raggio, per le quali il SAF rimarrà l’unico carburante.

malpensa

Gli aeroporti Malpensa-Linate accelerano sulla sostenibilità

La strada verso una mobilità più sostenibile passa anche attraverso gli aeroporti. Collaborare allo sviluppo di una gestione più efficiente e sostenibile delle operazioni aeroportuali negli scali milanesi è l’obiettivo della lettera di intenti firmata pochi giorni fa da Sea (Società Esercizi Aeroportuali) ed easyJet, che prosegue sulla rotta tracciata per la decarbonizzazione del settore. Un accordo che nasce anche dalla convinzione comune che raggiungere l’obiettivo di un volo a zero emissioni entro il 2050 richieda “lo sforzo congiunto di tutta la filiera, dalle compagnie aeree ai gestori aeroportuali“. Il patto tra easyJet (compagnia numero uno negli aeroporti milanesi) e Sea (gruppo che gestisce i sistemi di Milano Malpensa e Linate), definisce le aree su cui le due società lavoreranno insieme, ovvero l’uso di Saf (Sustainable aviation fuel), i requisiti infrastrutturali collegati alla propulsione a idrogeno, il miglioramento nella gestione e nel riciclo dei rifiuti, oltre all’utilizzo a terra di mezzi a zero emissioni.

L’accordo, peraltro, giunge nel momento più opportuno, dato che con il piano ReFuelEU Aviation inserito nel pacchetto sul ‘Fit for 55’, la Commissione Ue intende aumentare almeno all’85% la quota di combustibili sostenibili entro il 2050, includere idrogeno ed elettricità nei mix di biocarburanti e dar vita a un fondo per l’aviazione sostenibile così da incoraggiare gli investimenti in tecnologie a zero emissioni.

Spinti dal desiderio di imprimere un vero cambiamento nel settore dell’aviazione, non vediamo l’ora di iniziare a lavorare insieme a progetti innovativi in grado di rendere gli aeroporti di Malpensa e Linate ancora più efficienti e sostenibili“, annuncia Lorenzo Lagorio, country manager di easyJet Italia, secondo cui “la decarbonizzazione dell’aviazione rappresenta uno sforzo trasversale all’intero settore che tutte le parti coinvolte devono intraprendere in maniera congiunta“.

L’accordo tra Sea e la compagnia aerea prevede inoltre la creazione di un gruppo di lavoro che si incontrerà regolarmente e monitorerà il progresso delle singole iniziative sviluppate nell’ambito di questa collaborazione. Il progetto è ambizioso, soprattutto in relazione agli obiettivi Ue entro metà secolo. “Siamo consapevoli che se si vuole centrare l’obiettivo di un trasporto aereo a emissioni zero entro il 2050, occorre accelerare le iniziative e moltiplicare le collaborazioni – chiarisce Armando Brunini, amministratore delegato di Seae questo accordo con easyJet, prima compagnia aerea per voli e passeggeri a Malpensa, permetterà di fare un salto di qualità su vari fronti impattanti la sostenibilità ed in particolare sulla progressiva introduzione di carburanti sostenibili.

La decarbonizzazione dell’industria aeronautica è uno degli obiettivi dell’Agenda Onu e aderendo alla campagna ‘Race to Zero’, easyJet ha confermato il proprio impegno di voler raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050. La compagnia ha inoltre recentemente annunciato un target intermedio di riduzione delle emissioni di CO2 del 35% rispetto all’anno fiscale 2020, da raggiungere entro il 2035. La compagnia sta collaborando con partner del settore, tra cui Airbus, Rolls-Royce, GKN Aerospace, Cranfield Aerospace Solutions e Wright Electric, per accelerare lo sviluppo di tecnologie a zero emissioni di anidride carbonica e delle relative infrastrutture necessarie. Nel breve termine, easyJet si sta concentrando anche sull’efficienza, facendo volare i propri mezzi al pieno della loro capienza e integrando la flotta con aerei sempre più innovativi. Tra questi gli aeromobili Airbus NEO che vantano un’efficienza di carburante superiore di almeno il 15% rispetto agli aerei da sostituire e riducono il rumore del 50%. Dal 2000 easyJet sarebbe riuscita a ridurre di un terzo le proprie emissioni di anidride carbonica per passeggero al chilometro.

La Nato si allinea al Green Deal Ue, verso la neutralità climatica al 2050

Ridurre le emissioni di gas serra civili e militari di almeno il 45% entro il 2030, per arrivare alla neutralità climatica entro la metà del secolo. La Nato si allinea agli obiettivi ‘verdi’ del Green Deal europeo e ha annunciato martedì (28 giugno) i primi target di riduzione delle emissioni di gas serra dell’Alleanza Atlantica che oggi conta 30 Paesi membri.

Ad annunciarli dal palco di Madrid, dove fino al 30 giugno è in corso il Vertice Nato, è il segretario generale Jens Stoltenberg, avvertendo del fatto che “non sarà facile, ma si può fare“. Spiega di aver “condotto analisi approfondite su come farlo” e una grande parte di questo percorso sarà la transizione verso l’indipendenza dai combustibili fossili, di cui oggi sono dipendenti la gran parte dei Paesi che ne fanno parte. “Tutti i nostri Paesi alleati si già sono impegnati a ridurre le proprie emissioni per essere in linea con gli obiettivi del Patto di Parigi”. L’adattamento delle loro forze armate “contribuirà a questo” obiettivo, inclusa una tecnologia più verde, come le energie rinnovabili, “i combustibili sintetici rispettosi del clima e soluzioni più efficienti dal punto di vista energetico“, ha menzionato.

Alla tre giorni di vertice di Madrid, l’Alleanza Atlantica aggiornerà il suo ‘Strategic Concept’, il programma di azione aggiornato l’ultima volta dieci anni fa, che guarderà al prossimo decennio della Nato fondandosi sul concetto di ‘Resilienza’, che questa volta riguarderà anche la resilienza ai cambiamenti climatici, considerandoli “un moltiplicatore di crisi“. Stoltenberg ha spiegato che il documento definirà il cambiamento climatico come “una sfida decisiva nel tempo, che per gli alleati significherà tre cose: “aumentare la nostra comprensione, adattare le nostre alleanze e ridurre le nostre emissioni“.

Sulla riduzione delle emissioni, il segretario Nato presenterà ai Paesi alleati in questi giorni la prima metodologia per calcolare le emissioni di gas serra, sia civili che militari, provenienti dalla Nato. Comprensiva di un indicatore su “cosa contare e come contarlo”, e “lo renderò disponibile a tutti gli alleati per fare in modo che possano calcolare il loro impatto ambientale delle emissioni che vengono prodotte”. Partendo dal presupposto che tutto ciò che può essere quantificato”, come le emissioni di gas a effetto serra “può essere anche ridotto.

Stoltenberg ha parlato della necessità di riduzione dell’uso dei combustibili fossili anche in chiave strategica. La guerra in Ucraina “mostra i rischi di essere troppo dipendenti da materie prime che sono importati da regimi autoritari” e il modo con cui Mosca usa il gas come arma ci rende chiaro che dobbiamo “bisogna abbandonare presto il petrolio e il gas russi“, ha detto mettendo in guardia sul fatto che “non dobbiamo però finire per dipendere da un altro regime autoritario“. Il riferimento esplicito è proprio alla Cina da cui arrivano “molte materie prime che sono necessarie alle tecnologie verdi“. Imperativo per l’Unione europea come anche per la NATO “diversificare fonti e fornitori” di energia.

(Photo credits: JAVIER SORIANO / AFP)

cina

Decarbonizzazione, tante promesse ‘facili’ e i casi di India e Cina

Secondo un’analisi gli Stati, le autorità locali e le aziende stanno moltiplicando gli impegni per la “neutralità delle emissioni di carbonio, ma molti di essi presentano “gravi difetti“. Tra i grandi inquinatori, la maggior parte dei Paesi sviluppati ha assunto l’impegno di essere neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio entro il 2050. Cina e India puntano rispettivamente al 2060 e al 2070. “L’uso di questo concetto è esploso“, afferma Frederic Hans, esperto di politica climatica presso l’ONG NewClimate Institute e autore principale di questa analisi per il Net Zero Tracker. “Ma se si fissa un obiettivo senza comunicare le riduzioni di emissioni che esso comporta, non si può essere ritenuti responsabili delle proprie azioni“, afferma.

Lo studio analizza i dati relativi a 4.000 governi, città, regioni e grandi aziende, concentrandosi sulla qualità degli obiettivi e sul fatto che siano accompagnati da una chiara tabella di marcia. Gli impegni degli Stati coprono circa il 90% del Pil globale, sei volte di più rispetto a tre anni fa. E 235 grandi città hanno ora il loro. Anche un terzo delle maggiori società quotate in Borsa nel mondo ha assunto impegni di carbon neutrality (702 rispetto a 417 nel dicembre 2020). “Siamo in un momento decisivo in cui la pressione dei pari a prendere impegni rapidamente, in particolare nel mondo degli affari, potrebbe portare o a un greenwashing di massa o a un cambiamento fondamentale verso la decarbonizzazione” dell’economia, analizza un altro autore dello studio, Takeshi Kuramochi, anch’egli del NewClimate Institute.

Per quanto riguarda i governi, il 65% degli impegni nazionali è ora oggetto di una legislazione o di documenti ufficiali, rispetto a solo il 10% alla fine del 2020. Ma delle 702 aziende intervistate, solo la metà ha obiettivi intermedi, un livello “inaccettabilmente basso“, secondo lo studio. E solo il 38% delle aziende include tutte le emissioni, sia dirette (produzione) che indirette (fornitori e utilizzo), nei propri impegni di neutralità. Il rapporto osserva anche che i maggiori inquinatori privati, in particolare nel settore dei combustibili fossili, sono tra quelli che hanno più probabilità di avere obiettivi: “Questo riflette senza dubbio la pressione sociale su questi settori, ma è forse più simbolico, o addirittura puro greenwashing, che una vera leadership sulle questioni climatiche“.

Ma l’effetto potrebbe anche essere virtuoso, incoraggiando “le aziende ad aumentare le proprie ambizioni e anche i regolatori“, sostiene Frederic Hans. A marzo, l’Onu ha investito un gruppo di esperti per sviluppare standard e una valutazione degli impegni di carbon neutrality degli attori non statali, in particolare delle aziende. Secondo gli esperti climatici delle Nazioni Unite, le emissioni devono raggiungere il picco entro il 2025 e dimezzarsi entro il 2030 rispetto al 2010 per avere una possibilità di raggiungere l’obiettivo più ambizioso dell’accordo di Parigi.

Astypalea

L’isola greca di Stampalia diventa il paradiso della mobilità sostenibile

La mobilità del futuro sta già diventando realtà sull’isola greca di Stampalia (Astypalea), poco meno di 100 km quadrati, 1200 abitanti e 36mila turisti all’anno in mezzo all’Egeo. Da un paio di anni è in corso un progetto per trasformare questo territorio roccioso bagnato dall’acqua in un esempio di mobilità sostenibile e produzione di energia verde per renderla completamente indipendente. A guidare la sfida, insieme al governo greco, c’è Volkswagen. Con il progetto Smart & Sustainable Island entro il 2026 Stampalia sarà in gran parte convertita alla mobilità e all’energia sostenibile, con veicoli 100% elettrici, servizi di mobilità intelligenti e un sistema energetico ibrido green.

Nei giorni scorsi, alla presenza del primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, e del Ceo del Gruppo Volkswagen, Herbert Diess, sono stati attivati il servizio di ride sharing Astybus e il servizio di sharing astyGO (auto, scooter e biciclette elettriche). Entrambi si basano esclusivamente su veicoli 100% elettrici e garantiscono un notevole miglioramento della mobilità sull’isola rispetto al precedente sistema di trasporto pubblico.

Il progetto congiunto del Gruppo Volkswagen e della Repubblica Ellenica è un laboratorio per la decarbonizzazione in Europa. “Il dibattito sul passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili – spiega Herbert Diess – ha guadagnato nuovamente slancio in Europa. Il Gruppo Volkswagen è un motore del cambiamento e guida la transizione verso la mobilità elettrica in Europa. Qui a Stampalia stiamo introducendo nuovi servizi di mobilità, compiendo un ulteriore passo verso il futuro dei trasporti. È entusiasmante vedere il progetto crescere, con persone disposte a cambiare le proprie abitudini. È la dimostrazione che una rapida transizione verso mobilità ed energia green è possibile, se le aziende e i governi lavorano fianco a fianco”.

L’iniziativa, ricorda afferma Kostas Fragogiannis, viceministro degli Affari Esteri per la diplomazia economica, “riflette tutti i vantaggi comparati della Grecia di oggi, ovvero come la tradizionale ricchezza naturale e il prezioso capitale umano possano, con il sostegno di una leadership politica che affronta il futuro e le sue sfide con sguardo aperto e lungimirante, portare la Grecia in prima linea nel mondo“.

STOP A SERVIZI DI MOBILITÀ TRADIZIONALE

I servizi di mobilità prendono così il posto di una linea di autobus tradizionale, che finora ha coperto un’offerta di trasporto pubblico limitata a Stampalia. A differenza di questa, i nuovi servizi saranno attivi tutto l’anno e collegheranno molte più località dell’isola. Astybus sarà operativo con cinque Volkswagen ID. Buzz1 una volta che il modello arriverà su strada, nell’autunno del 2022. Fino ad allora, il servizio sarà gestito con una flotta di ID.42. Tramite astyGO, invece, i clienti possono noleggiare auto elettriche Volkswagen, scooter elettrici e biciclette elettriche Ducati. Tutti i veicoli sono prenotabili tramite smartphone, con l’applicazione astyMOVE. Il numero di veicoli elettrici a Stampalia è in crescita costante. Dopo il passaggio alla mobilità elettrica della polizia, delle autorità aeroportuali e dell’amministrazione comunale, avvenuto lo scorso anno, ora è la volta della prima ambulanza elettrica di tutta la Grecia. Un primo e-taxi trasporta i clienti su tutta l’isola e, di recente, il primo cliente privato ha ricevuto la propria ID.33.

FOTOVOLTAICO PER ALIMENTARE FLOTTA ELETTRICA

Il sistema energetico sarà gradualmente convertito all’energia rinnovabile proveniente da fonti locali. La scorsa settimana è stato messo in funzione un secondo impianto fotovoltaico, che alimenterà l’attuale flotta elettrica con energia verde. Inoltre, il governo greco ha pubblicato un bando per l’ulteriore trasformazione del sistema energetico. Entro il 2023, un nuovo parco solare fornirà circa 3 megawatt di elettricità green, coprendo il 100% del fabbisogno per la ricarica di veicoli elettrici e oltre il 50% della domanda complessiva dell’isola. Entro il 2026, il nuovo sistema energetico sarà ulteriormente ampliato per arrivare a coprire più dell’80% del fabbisogno energetico complessivo. Finora sono stati utilizzati generatori Diesel.

PROGETTO PROMOSSO DAI RESIDENTI

Secondo i risultati preliminari di un primo sondaggio, gli abitanti di Stampalia sono molto interessati ai veicoli elettrici e ai servizi di mobilità. Oltre il 65% degli intervistati ha dichiarato di essere generalmente disposto a passare a un veicolo elettrico, potendo usufruire di incentivi all’acquisto. Se il rispetto dell’ambiente è il vantaggio principale dei veicoli elettrici, le barriere riguardano costi e l’infrastruttura di ricarica. Il ride sharing e il servizio di sharing dei veicoli potrebbero cambiare in modo significativo le abitudini di mobilità. Quasi il 50% degli intervistati ha dichiarato che, a determinate condizioni, prenderà in considerazione l’idea di abbandonare il proprio veicolo di proprietà e passare all’utilizzo dei nuovi servizi di mobilità.

Roberto Cingolani

Cingolani: “Indipendenza dal gas russo? Dal prossimo anno”

Ormai è imperativo togliersi dai piedi il carbone, con cui si fanno funzionare le vecchie turbine, e quantomeno sostituirlo col gas da subito. Cosa che l’Italia ha già fatto da molto tempo, però altri Paesi purtroppo non lo hanno fatto“. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, non usa mezzi termini e nemmeno giri di parole per esprimere ciò che gli sta a cuore. “Per avere un’idea: 1 kilowattora prodotto bruciando carbone oggi produce all’incirca 1.000 grammi di Co2, lo stesso kilowattora prodotto da gas, in termini di Co2 ne produce circa 300-350 grammi. Se si va con le rinnovabili, a seconda se sia solare o eolico, si va dai 30 ai 10 grammi di Co2. Poi c’è il nucleare, che ne produce dai 5 agli 8 grammi. Questo è il livello di sporcizia, di Co2, prodotta dai vari sistemi per kilowattora. L’equazione è facile si dovrebbe andare verso le rinnovabili immediatamente e quando ci saranno delle fonti sicure, forse, si potrà ragionare. Questa è la strada per avere elettricità pulita“, la riflessione tutta d’un fiato.

Ospite a ‘Green and Blue’, l’appuntamento sull’ambiente organizzato da Repubblica, il ministro della transizione ecologica affronta molti temi, compreso quello dell’indipendenza dalle forniture energetiche dalla Russia: “Indipendenza? L’anno prossimo è un po’ presto“, la constatazione di Cingolani. “Abbiamo accordi con sei Stati africani dove ci sono giacimenti in cui la nostra Oil&Gas nazionale ha investito – spiega -. Sono circa 25 miliardi di metri cubi che vanno a rimpiazzare, sostanzialmente, i 29-30 miliardi russi. La curva di queste nuove forniture parte quest’anno con qualche miliardo di metri cubi, 18 miliardi l’anno prossimo e circa 25 miliardi quando andrà a regime dal 2024“. L’orizzonte temporale è abbastanza definito: “Dovremmo essere in grado per il secondo semestre del 2024, ovvero l’inverno 2024-2025, di poter dire che non prendiamo più il gas dalla Russia“.

Queste nuove forniture sono diversificate, quindi ci danno un po’ più di respiro“, aggiunge Cingolani. Il ministro spiega poi che “consistono per circa la metà in gas immesso direttamente nei nostri gasdotti (che vanno da sud verso nord) e un’altra metà di gas liquefatto, che viene portato via nave. Per usare questo Gnl porteremo al 100% gli attuali 3 rigassificatori italiani, che lavorano al 60%. Poi ne installeremo due nuovi, galleggianti, dunque reversibili“. Inoltre, “è importante, vorrei far notare, che rimpiazziamo 30 miliardi metri cubi con 25 miliardi – afferma ancora Cingolani – La differenza è risparmiata sin d’ora grazie all’aumento delle rinnovabili, che in questo momento stanno salendo molto rapidamente, e a una politica di risparmio assolutamente non draconiana. Questo ci consente di dire che se riusciremo a finire gli stoccaggi di quest’anno secondo programma, saremo indipendenti dalla fornitura russa nell’arco di 30 mesi, mantenendo una rotta di decarbonizzazione al 55%: cosa non scontata e che credo, in questo momento, solo l’Italia in Europa può dire di essere in grado di fare“.

*in aggiornamento

Rinnovabili

PoliMi: “Il 2021 un anno sprecato per le rinnovabili”

1,3 Gigawatt. È la capacità di rinnovabili installata in Italia nel 2021. Tanto? Poco? Dipende. È molto più rispetto all’anno precedente, e allo stesso tempo è un tasso di installazione troppo debole per gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e al 2050. Ma 1,3 Gigawatt – e qui viene il dato più curioso – equivale anche alla potenza che abbiamo perso fino ad oggi a causa dell’invecchiamento di impianti fotovoltaici installati oltre dieci anni fa, e mai rinnovati. In altre parole: installiamo oggi per colmare una perdita che potrebbe essere evitabile.

La proiezione è calcolata all’interno del Renewable Energy Report del Politecnico di Milano, appena pubblicato. Un report che, non a caso, ha parlato del 2021 come ennesimo “anno sprecato” per il mercato delle rinnovabili. Ma che indica il tema del revamping e del repowering delle installazioni esistenti come una delle leve per investire sul futuro in maniera integrata.

Anche perché il patrimonio di impianti ormai datati è grande. Il 75% delle potenza fotovoltaica oggi a disposizione in Italia è stata installata tra il 2010 e il 2013, nell’ambito degli incentivi del Conto Energia. Una stagione importante quella, “che ha avuto il pregio di farci prendere coscienza sul ruolo e sul potenziale delle rinnovabili nel mix energetico” spiega Davide Chiaroni, cofondatore dell’Energy&Strategy del Politecnico di Milano, “anche se, col senno di poi, un sistema di incentivazione forse troppo generoso”, che aveva portato in pochissimi anni a una corsa all’installazione improvvisa.

Una delle eredità di quella stagione”, continua Chiaroni, “è stata una diffusione sul territorio di progetti non sempre ben ottimizzati, spesso realizzati da imprese che installavano per la prima volta. Impianti che oggi producono tra il 6,2% e 8,5% in meno”. Diventa allora fondamentale intervenire per non perdere gli sforzi fatti. Con ricostruzioni, rifacimenti, riattivazioni e potenziamenti. “Anche perché dal punto di vista tecnologico” continua Chiaroni, “un impianto fotovoltaico oggi, a parità di superficie coperta, riuscirebbe a produrre oltre il 20% in più”.

Certo, non è semplice attivare una campagna di riqualificazione efficace. Soprattutto per stimolare chi, dieci anni fa, ha investito su taglie di impianti né troppo grandi né troppo piccole, e che quindi può non avere un interesse economico importante nell’intervenire nuovamente. “Un punto di partenza possono essere proposte che invitano i proprietari a sentirsi responsabili verso la comunità” conclude Chiaroni. Il futuro energetico ci riguarda da vicino.

idrogeno verde

Idrogeno verde come principale vettore per la decarbonizzazione

Arrivare a coprire entro il 2050 fino a circa un quarto del fabbisogno totale di energia, riducendo nel contempo le emissioni di CO2 di 560 milioni di tonnellate. Sono queste le potenzialità, delineate nel report ‘Hydrogen Roadmap Europe: Un percorso sostenibile per la transizione energetica europea’, che fanno dell’idrogeno verde un’indiscutibile alleato sulla strada verso la decarbonizzazione. Un’arma cruciale soprattutto per alcuni comparti industriali come la chimica e la siderurgia, ma anche nel campo dell’aviazione e dei trasporti marittimi.

L’idrogeno verde è il primo vettore della transizione energetica in virtù delle sue caratteristiche: è infatti sostenibile al 100% perché derivante dall’elettrolisi dell’acqua in speciali celle elettrochimiche alimentate da elettricità prodotta da fonti rinnovabili. Oggi le principali forme di produzione di idrogeno sono basate sull’utilizzo di materie prime e combustibili fossili, e vanno dunque a impattare sull’ambiente. Mentre il cosiddetto idrogeno blu prevede l’adozione di sistemi di cattura del carbonio alla fine di questo processo, ma con costi di cattura e stoccaggio della CO2 ancora proibitivi.

Cosa frena allora il pieno sviluppo di un’economia basata sull’idrogeno verde? Anche in questo caso la controindicazione viene dagli elevati costi. Secondo un’elaborazione di Snam del 2019, soltanto nel 2030 l’idrogeno verde sarà conveniente come quello grigio, ricavato dal metano. Fino a pochi anni fa l’ostacolo principale era l’elevato costo di produzione delle energie rinnovabili. Ma ora che questo problema è stato in gran parte superato, all’orizzonte si affacciano altre sfide. L’Agenzia Internazionale dell’Energia ha individuato tre principali categorie di problemi da risolvere. Il primo è l’incertezza politica e tecnologica, che rischia di rendere lo sviluppo di progetti innovativi non sufficientemente attrattivo dal punto di vista finanziario. Altro nodo da sciogliere è la complessità della catena del valore e la necessità di sviluppo di un’infrastruttura adeguata al trasporto e alla distribuzione dell’idrogeno verde. Infine, vanno definiti regolamentazioni e standard condivisi ed accettati a livello internazionale.

idrogeno

Serve dunque uno sforzo coordinato a livello globale, con l’Europa che è pronta a fare la propria parte. La strategia sull’idrogeno varata da Bruxelles prevede investimenti tra 180 e 470 miliardi di euro fino al 2050, sia per aumentare la capacità di elettrolisi, sia per adeguare la produzione di energie rinnovabili al fabbisogno degli stessi elettrolizzatori. Il piano italiano per avviare l’economia dell’idrogeno a basse emissioni di carbonio mette invece sul piatto 10 miliardi di euro fino al 2030, con un impatto stimato anche sul mondo del lavoro legato alla creazione di 200mila posti di lavoro. Tra i progetti capofila c’è quello su Acciaierie Italia, l’ex Ilva: la nuova società che mette insieme capitali pubblici e privati punta forte sull’idrogeno e, attraverso investimenti per 4,7 miliardi di euro, mira ad arrivare a produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio nel 2025, abbattendo di circa il 40% la CO2 e del 30% le polveri sottili. Mentre il target decennale è la totale eliminazione del carbon coke, virando sull’idrogeno. Anche un player di primissimo piano del comparto energetico come Enel ha già avviato progetti sull’idrogeno verde, puntando su un modello ‘diffuso’ che prevede gli elettolizzatori installati vicino ai siti di consumo, in modo da ridurre la necessità di infrastrutture di trasporto di H2 e aumentare stabilità del sistema di alimentazione elettrica. Il gruppo prevede di aumentare la propria capacità di idrogeno verde a oltre 2 GW entro il 2030.

Petrolio cina

Schizza il prezzo del carbone, Ue schiacciata da Cina e India

Può sembrare un paradosso, invece non lo è. Nella stagione in cui si spinge il più possibile per trovare (e sfruttare) fonti energetiche alternative, in particolare quelle ‘pulitissime’ generate dal vento e dal sole, il rischio che il processo di decarbonizzazione si fermi è molto alto. I fossili sono tornati di moda, prova ne sia che negli ultimi mesi il prezzo del carbone è in costante ascesa. C’è chi ha calcolato un rialzo del 600% rispetto a gennaio del 2020, parecchio di più degli idrocarburi e del gas, il nostro incubo quotidiano da quando è scoppiata la guerra in Ucraina e ci si sta sforzando per stoppare le erogazioni da Mosca.

Pare che la ‘colpa’ sia di Cina e India, bisognose di compensare il disavanzo della produzione interna insufficiente per soddisfare i propri bisogni. Pare, anche, che a questi due giganti mondiali – ma non sono i soli, sia chiaro – interessi poco di arrivare alla Carbon neutrality nei prossimi anni. L’esatto contrario di ciò che sta accadendo in Europa, fermamente convinta di dover portare a termine la mission stabilita nell’Accordo di Parigi. Nel 2050, in teoria, i gas serra dovrebbero essere azzerati ma, se la situazione continua a essere questa, diventa un esercizio quasi utopistico immaginare il raggiungimento di un obiettivo tanto importante per la vita del nostro pianeta e, più concretamente, di noi e dei nostri figli.

Il percorso virtuoso intrapreso dalla Ue incide appena per il 7% sulle emissioni globali di CO2. Detto male: l’Europa può sforzarsi si essere virtuosa e green il più possibile però si tratterà sempre di una goccia d’acqua nell’oceano dell’inquinamento mondiale. Di sicuro, il conflitto ucraino non aiuta, come testimonia il ritorno prepotente degli idrocarburi sulla scena internazionale. Se il gas manca, ci si aggrappa a tutto pur di far funzionare – banalizzando – i condizionatori d’estate e i termosifoni d’inverno. E la salute nostra e della Terra può aspettare…

Cingolani: “Contento di come stiamo gestendo la crisi del gas”

Non sono settimane facili per Roberto Cingolani, il ministro della Transizione Ecologica, costretto dal conflitto tra Russia e Ucraina a gestire situazioni inimmaginabili e di estrema delicatezza. “Se rifarei il ministro? E chi se lo immaginava un anno fa, quando mi ha chiamato il presidente Draghi, che sarebbe scoppiata una guerra? Ma quando uno dà la sua parola e presta questo servizio non si può tirare indietro perché è troppo difficile”, dice con un filo di voce. Aggiungendo che “la vita non è giusta, ma la vita è quella e va affrontata. Bisogna andare avanti e tenere la barra dritta”. Anche perché la congiuntura geopolitica non consente alternative.

Ministro Cingolani, saremo banali ma cominciamo dal gas. Kadri Simson, commissaria europea per l’Energia, sostiene che il gas sarà comunque imprescindibile nel futuro. Gas che noi italiani stiamo cercando di acquistare da nuovi interlocutori per liberarci dal giogo russo. Così, però, invece che da Mosca dipenderemo da altri.

“Noi intanto dobbiamo rimpiazzare al più presto 29 miliardi di metri cubi di gas che ci fornisce ogni anno la Russia per questioni umanitarie e politiche. Adesso ci stiamo occupando di questo a tempo pieno, siamo molto avanti, c’è un percorso di differenziazione che procede speditamente. Anche perché stiamo accelerando le rinnovabili e possiamo mantenere la nostra road map -55%. Sono già contento di poter dire che con questa catastrofe bellica, a differenza di altri Paesi, non abbiamo alcun piano con sorgenti sporche, lo scenario peggiore è che rimaniamo sul track attuale”.

Sì ma la dipendenza?

“Sono vent’anni che questo paese dice no a tutto… Vent’anni fa producevamo tra i 15 e i 20 miliardi di metri cubi di gas nostro, da nostri giacimenti, Si è deciso di andare sostanzialmente a zero. Oggi ne produciamo tre. Questa cosa avrebbe avuto senso se avessimo ridotto di altrettanto la quota di consumo globale. Invece abbiamo ferito gravemente l’industria del nostro gas andando a comprare il gas fuori e facendo esattamente lo stesso danno ambientale. Allora: dopo 20 anni in cui nessuno ammette l’errore, adesso ci lamentiamo di dipendere dagli altri pagando Iva e trasporti, chiudendo le nostre aziende? In un mese questo problema non si risolve. La differenziazione che stiamo portando avanti sfrutta il fatto che l’Italia ha la fortuna di avere 5 gasdotti, siamo connessi a Sud a Nord e a Est, e questo ci consente anche di differenziare geograficamente. Poi avremo due rigassificatori nuovi, non permanenti. Già il fatto di poter distribuire la pressione su 4-5 Paesi, per quanto instabili, è diverso che aver un unico interlocutore, che è la Russia. Comunque la colpa è legata agli errori del passato, per non aver sfruttato le nostre risorse naturali ma anche per aver detto no a qualunque tipo di alternativa energetica. Speriamo che questa lezione ci serva per allargare il portafoglio energetico“.

A proposito di fonti alternative. Lei ha accennato una volta al nucleare ed è scoppiato il finimondo…

“Io ho detto quello che pensavo sul nucleare e l’Europa ha dimostrato che avevo ragione al di là delle ideologie. Molti Paesi hanno reagito a Chernobyl e Fukushima con una chiusura, noi avevamo già i referendum che stabilivano qualcosa e io non posso che rispettare la volontà popolare. In questo momento non mi imbarcherei nella costruzione di una centrale di seconda o terza generazione, quelle francesi per essere chiari. Credo che iniziare oggi con questa tecnologia significa che quando potrà essere utilizzabile sarà vecchia. Io penso sia giusto spingere sull’innovazione. La quarta generazione, che poi sono motori di rompighiaccio nucleari, sono progetti piccoli modulari che si assemblano e possono anche essere messi sotto terra. Un energy mix ampio deve avere tutto”.

In tutto questo, con il ritorno al carbone per colpa della guerra, la transizione ecologica rallenterà? Greta direbbe blablabla…

“Non ritengo che Greta sia un riferimento dal punto di vista delle competenze. Il blablabla è una semplificazione di chi non ha mai fatto nulla e proclamarsi primi della classe è una semplificazione di chi è presuntuoso. Noi abbiamo gas e rinnovabili, paghiamo un energy mix stretto, un portafogli di energia non molto ampio, però il nostro phase out del carbone va avanti rapidamente. Direi anche che sulle rinnovabili ora c’è un’accelerazione impressionante. Non sono fautore di una nazione che va tutta a rinnovabili, tecnicamente in questo momento non è possibile per un problema di rete, di distribuzione regionale delle capacità di spostamento della rete e anche per un problema di accumuli. Quindi è troppo semplicistico dire installiamo in fretta grandissime quantità di rinnovabili perché tanto la rete non gestirebbe bene e gli accumuli sarebbero un problema”.

L’idrogeno affascina ma costa

“Costa quello verde, perché quanto più sei pulito tanto più costi. Ricordiamoci che l’idrogeno è un ottimo accumulatore”.

Come si pone il greenwashing? È diventata una necessità?

“Greenwashing mi sembra un neologismo che serva in queste infinite battaglie da tastiera. Quando una azienda o uno Stato ha un piano di decarbonizzazione o di recupero acqua, queste sono azioni che hanno ‘kpi’ misurabili, per cui al netto delle chiacchiere se io riesco a ridurre in un processo la Co2 o lo spreco di acqua, queste sono cose che si misurano, non c’è greenwash che tiene. Che poi qualcuno in nome del green dica cosa gli pare, ci sta anche, ma non condannerei per il gusto di condannare”.

Come vede l’Italia tra 8 anni, nel 2030?

“Prima della guerra avevo un’idea, adesso vorrei capire come va a finire. Due mesi fa, sembra due ere fa, vedevo un’Italia che aveva 5 anni per mettersi in una traiettoria virtuso a livello ambientale, tecnologico e sociale. Che poi avrebbe vissuto 25 anni sulle sue forze. Speriamo che questa guerra, finisca perché la decarbonizzazione è andata in secondo piano e si devono recuperare gli interessi generali per i grandi temi”.