Ue, il Parlamento europeo rinvia la legge sulla deforestazione: maggioranza Ursula in crisi

Cade la ‘maggioranza Ursula’, si conferma quella ‘Venezuela’, e si compattano gli schieramenti delle forze politiche italiane: da un lato Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia; dall’altro Partito democratico, Alleanza Verdi-Sinistra, Movimento 5 Stelle. Il tema è il regolamento Ue sulla deforestazione importata, uno dei testi più importanti del Green deal, già approvato e in vigore. Ora il rinvio di un anno dell’attuazione di questa legge, proposto dalla Commissione europea, e gli emendamenti al testo – avanzati a sorpresa dal Partito popolare europeo al Parlamento e passati col sostegno dell’estrema destra – sembrano tracciare uno spartiacque dei due blocchi politici, ma anche delle due legislature targate von der Leyen: se la prima ha cercato di portare sul tavolo la questione ambientale, la seconda si preannuncia quella del freno, o addirittura della retromarcia. E, alla fine, la partita di oggi l’hanno vinta il Ppe e le forze di estrema destra dell’Aula, “dimostrando ancora una volta – come ha commentato la Lega – non solo che un’altra maggioranza è possibile: è già realtà”. La ‘maggioranza Venezuela’, come è stata ribattezzata dal voto di settembre sulla condanna al regime di Maduro che ha sancito l’esistenza di una maggioranza alternativa a destra.

Secondo il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, il rinvio “rappresenta una grande vittoria per l’Italia che, insieme a molti altri Governi di matrice politica diversa, aveva proposto di rinviarne l’applicazione poiché avrebbe causato effetti devastanti sulla produzione e trasformazione agricola”. Per Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo (Ecr), “si è raggiunto il giusto compromesso tra tutela della natura e sostenibilità economica e sociale”. Di “doppia vittoria del Ppe e di Forza Italia”, parla Flavio Tosi, europarlamentare di Forza Italia-Ppe: “Giusto proteggere l’ambiente, ma la transizione verde deve avvenire nei tempi giusti e non deve danneggiare le nostre aziende”, evidenzia.

Secondo la delegazione del Pd a Bruxelles, invece, “il Ppe ha deciso di stracciare gli accordi con la maggioranza europeista” e “questa volta a farne le spese è l’ambiente, protetto dal regolamento deforestazione che mira a garantire la produzione di una serie di beni chiave immessi sul mercato dell’Ue non contribuisca più alla deforestazione e al degrado forestale nell’Ue e nel resto del mondo”. Il M5S, con Valentina Palmisano, lega il voto di oggi agli eventi estremi. “Il mondo è flagellato da eventi climatici estremi come alluvioni, bombe d’acqua e siccità che causano morte e distruzione ma la priorità della destra è quella di annacquare la legge europea che lotta contro la deforestazione approvata nella scorsa legislatura”, sottolinea. Mentre i Verdi chiedono a von der Leyen “di ritirare la proposta di rinvio”, così da “evitare una completa violazione della legge e ulteriore incertezza per le aziende”.

Alla fine, il rinvio è stato approvato con 371 voti favorevoli, 240 contrari e 30 astenuti. A dire ‘no’ sono stati socialisti, verdi e sinistra, con la stessa compattezza con cui i popolari e l’estrema destra hanno sostenuto il testo. Si sono spaccati i liberali: 20 no, 24 astensioni e 29 sì. Una delle modifiche più rilevanti introdotte è la creazione di una quarta categoria di Paesi: a fianco a quelli a basso, medio e alto rischio, arrivano gli Stati “senza rischio”, quelli da cui poter continuare a importare prodotti senza nuovi obblighi. E ad approvarla è stata la stessa formazione: Ppe, Ecr, Patrioti (PfE) e Sovranisti (Esn).

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INFOGRAFICA INTERATTIVA Amazzonia, tasso di deforestazione quasi dimezzato rispetto al 2022

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento della deforestazione dell’Amazzonia dal 2008. TerraBrasilis, piattaforma sviluppata dall’unità di ricerca del Ministero brasiliano della Scienza, della Tecnologia e delle Innovazioni (Inpe), ha rilevato che nel corso del 2023 il tasso di deforestazione si è quasi dimezzato rispetto al 2022 (7.665 km2 contro 12.695 km2). Il monitoraggio satellitare ha quindi evidenziato un trend ‘positivo’, confermando quello dello scorso maggio che aveva mostrato come nei primi mesi del 2023 c’era stato un calo del 64% nell’area deforestata rispetto allo stesso periodo del 2022.

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Si riduce la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana, ma gli incendi sono una minaccia

Giovedì il governo brasiliano ha annunciato un calo del 22,3% su base annua della deforestazione in Amazzonia, il miglior risultato degli ultimi quattro anni, ma la siccità e gli incendi stanno minacciando la più grande foresta tropicale del mondo. Secondo il sistema di monitoraggio della deforestazione PRODES, gestito dall’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (INPE), tra agosto 2022 e luglio 2023 sono stati distrutti 9.001 chilometri quadrati di foresta primordiale. Questo rappresenta una diminuzione del 22,3% rispetto al periodo agosto 2021-luglio 2022 (11.594 km2).

Una coalizione di gruppi ambientalisti ha accolto con favore questi risultati, che “mettono il Paese sulla strada giusta per raggiungere il suo obiettivo climatico“. Si tratta del miglior risultato osservato dall’INPE dal 2019, anno di inizio dell’impennata del disboscamento nella foresta amazzonica, che ha raggiunto un picco di 13.038 km2 distrutti tra agosto 2020 e luglio 2021, il massimo da 15 anni a questa parte.

Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva si è impegnato a ridurre a zero la deforestazione in Brasile entro il 2030, invertendo le politiche ambientali del suo predecessore di estrema destra Jair Bolsonaro (2019-2022), scettico sul cambiamento climatico. Durante la conferenza stampa di presentazione dei risultati, la ministra dell’Ambiente Marina Silva ha dichiarato che l’Amazzonia è stata oggetto di una “profusione di crimini” negli ultimi anni “dopo un completo smantellamento della struttura di governance ambientale“.

Secondo il governo brasiliano, la riduzione della deforestazione tra agosto 2022 e luglio 2023 ha evitato l’emissione di 133 milioni di tonnellate di CO2, pari al 7,5% delle emissioni totali del Paese. Mariana Napolitano, direttrice esecutiva del Wwf-Brasile, ha accolto con favore questa “riduzione significativa“, ma ha messo in guardia dall'”altissimo livello di degrado” dell’Amazzonia, che copre il 59% del territorio brasiliano. “Stiamo assistendo a uno scenario di incendi estremi in una foresta tropicale che normalmente non brucia spontaneamente“, ha dichiarato all’AFP. Secondo il Wwf, l’Amazzonia ha registrato il peggior mese di ottobre degli ultimi 15 anni, con 22.000 incendi, un aumento del 59% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Il nord e il nord-est del Brasile soffrono di una grave siccità che ha ridotto i flussi fluviali a livelli storicamente bassi. La situazione è destinata a peggiorare nei prossimi mesi, a causa dell'”alta probabilità” di precipitazioni inferiori alla media e di temperature “superiori ai valori storici“, secondo un recente rapporto del Centro nazionale per il monitoraggio e l’allarme dei disastri naturali (CEMADEN).

Il Brasile annuncia: “La deforestazione in Amazzonia si è ridotta di un terzo a luglio”

La deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è stata quasi tre volte inferiore a luglio rispetto allo stesso mese del 2022. Sono i dati ufficiali diffusi dal governo Lula. Questo calo è tanto più significativo se si considera che luglio, nel cuore della stagione secca, è solitamente uno dei mesi peggiori dell’anno in termini di distruzione della più grande foresta tropicale del pianeta. I dati satellitari del sistema Deter, gestito dall’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (INPE), mostrano che in Amazzonia sono stati cancellati 500 km2 di foresta, il livello più basso dal 2017. Questo rappresenta un calo del 66% rispetto ai 1.487 km2 del luglio 2022, ultimo anno in carica dell’ex presidente di estrema destra Jair Bolsonaro. Il suo successore di sinistra Luiz Inacio Lula da Silva, che aveva già governato il Paese dal 2003 al 2010, ha iniziato il suo terzo mandato a gennaio promettendo di fare della conservazione dell’Amazzonia una priorità e di fare tutto il possibile per sradicare la deforestazione illegale entro il 2030.

Siamo entrati in un circolo virtuoso: chi commette crimini ambientali non è più sicuro di rimanere impunito, quindi ci pensa due volte prima di agire“, ha dichiarato la ministra dell’Ambiente Marina Silva in conferenza stampa. Prendendo in considerazione i primi sette mesi del governo Lula, la deforestazione è diminuita del 42,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, sotto il presidente Bolsonaro. E nel periodo di riferimento da agosto a luglio, il periodo preferito dagli specialisti per un’analisi anno su anno a partire dal punto di svolta della stagione secca, il calo è stato del 7% rispetto ai 12 mesi precedenti.

Questi dati sono stati resi pubblici una settimana prima di un vertice a Belem, nel nord del Brasile, a cui parteciperanno i rappresentanti degli otto Paesi membri dell’Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica (OTCA). “Il calo della deforestazione in Amazzonia nel mese di luglio è un segno importante che la situazione sta tornando sotto controllo“, ha dichiarato Mariana Napolitano, dell’ufficio brasiliano del World Wide Fund for Nature (Wwf), in un comunicato stampa. Tuttavia, le cifre sono molto più preoccupanti per il Cerrado, la savana tropicale ricca di biodiversità a sud dell’Amazzonia. Con 612 km2 disboscati il mese scorso, si è registrato un aumento del 26% dal luglio 2022. Alcuni esperti temono che la concentrazione degli sforzi sull’Amazzonia stia trasferendo i crimini ambientali al Cerrado, dove la deforestazione negli ultimi 12 mesi ha raggiunto i 6.359 km2, il massimo dal 2017.

Effetto Lula, la deforestazione dell’Amazzonia diminuita del 33% nel 2023

Photocredit Afp

 

La deforestazione nella foresta amazzonica brasiliana è diminuita del 33,6% tra gennaio e giugno 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, secondo i dati ufficiali pubblicati giovedì. La lotta contro lo sfruttamento della foresta amazzonica è uno dei principali obiettivi del governo di Luiz Inacio Lula da Silva, rieletto presidente del Brasile il 1° gennaio. Le immagini satellitari dell’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (Inpe) mostrano che nella prima metà dell’anno sono stati deforestati 2.649 km2 , rispetto ai 3.988 km2 tra gennaio e giugno 2022. A quel tempo, il leader di estrema destra Jair Bolsonaro, che è stato pesantemente criticato per la sua gestione dell’Amazzonia, era ancora al potere. “Abbiamo raggiunto un punto in cui la deforestazione in Amazzonia sta diminuendo costantemente“, ha dichiarato la ministra dell’Ambiente Marina Silva in una conferenza stampa. Ha dichiarato che questi risultati sono il frutto della “decisione del Presidente Lula di fare della lotta al cambiamento climatico e alla deforestazione una politica di governo“.

Nel solo mese di giugno, la deforestazione è diminuita del 41% rispetto al 2022. Dopo la sua rielezione, Lula ha promesso di annullare le politiche ambientali del suo predecessore e di porre fine alla deforestazione illegale entro il 2030. Durante il mandato di Jair Bolsonaro (2019-2022), la deforestazione in Amazzonia è aumentata del 75% rispetto alla media del decennio precedente. A giugno, Lula ha presentato il suo piano d’azione in materia, che prevedeva il sequestro immediato della metà delle aree disboscate illegalmente all’interno di zone protette, la creazione di altri tre milioni di ettari di queste aree protette entro il 2027 e l’assunzione di migliaia di specialisti del settore.

Questo annuncio ha fatto seguito alla decisione dei parlamentari di limitare in modo significativo il portafoglio del Ministero dell’Ambiente, eliminando i suoi poteri di gestione delle risorse idriche e del catasto rurale. Per raggiungere i suoi obiettivi, Lula cerca regolarmente di convincere i Paesi più ricchi a finanziare la conservazione delle foreste. Norvegia e Germania hanno già contribuito al Fondo per l’Amazzonia creato a questo scopo. L’ambiente è al centro dei negoziati tra il Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Venezuela) e l’UE, che ha recentemente esortato i Paesi sudamericani a essere più esigenti nella lotta contro i crimini ambientali, prima di poter finalizzare un accordo bilaterale di libero scambio.

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Attività umana e siccità creano danni a un terzo dell’Amazzonia

Più di un terzo della foresta amazzonica potrebbe essere stato danneggiato dall’attività umana e dalla siccità. Lo rivela uno studio scientifico presentato dalla rivista Science. I danni alla foresta, che si estende su nove Paesi, sono significativamente maggiori di quelli osservati in precedenza, hanno dichiarato i ricercatori, fra cui quelli dell’Universidade Estadual de Campinas del Brasile. Nel loro studio hanno analizzato le conseguenze di incendi, disboscamenti, siccità e cambiamenti negli habitat ai margini delle foreste. Escludendo la siccità, questi fenomeni hanno danneggiato almeno il 5,5% delle foreste che compongono l’ecosistema amazzonico, ovvero 364.748 chilometri quadrati, tra il 2001 e il 2018, secondo lo studio. Se si includono gli effetti della siccità, l’area degradata rappresenta 2,5 milioni di chilometri quadrati, ovvero il 38% delle foreste che compongono l’ecosistema amazzonico.

La siccità estrema è diventata sempre più comune in Amazzonia a causa del cambiamento dei modelli di utilizzo del suolo e dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo che influenzano la mortalità degli alberi, il numero di incendi e le emissioni di carbonio nell’atmosfera“, hanno dichiarato gli scienziati. “Gli incendi boschivi si sono intensificati durante gli anni di siccità“, hanno aggiunto, mettendo in guardia dai pericoli di “incendi su larga scala” in futuro.

Gli scienziati dell’Università di Lafayette, nello stato americano della Louisiana, e di altre istituzioni invitano poi all’azione in un altro studio sull’impatto dell’attività umana sull’ecosistema amazzonico, pubblicato anch’esso sulla rivista Science. “I cambiamenti stanno avvenendo troppo velocemente perché le specie, le persone e gli ecosistemi dell’Amazzonia possano adattarsi”, hanno affermato. “Le leggi per evitare le conseguenze peggiori sono note e devono essere promulgate immediatamente”. “Perdere l’Amazzonia significa perdere la biosfera, e non agire è a nostro rischio e pericolo”, hanno concluso gli scienziati.

Deforestazione record in Amazzonia: perso l’equivalente di quasi 3mila campi da calcio al giorno

In Amazzonia, nel 2022, sono andati persi l’equivalente di 3mila campi da calcio di foresta al giorno. Sono gli impressionanti dati del monitoraggio satellitare di Imazon che parla del quinto record annuale consecutivo di deforestazione. Tra gennaio e dicembre sono stati devastati 10.573 km², la più grande distruzione degli ultimi 15 anni, da quando l’istituto di ricerca ha iniziato a monitorare la regione nel 2008. Con questo, la deforestazione accumulata negli ultimi quattro anni, tra il 2019 e il 2022, ha raggiunto i 35.193 km². Un’area che supera le dimensioni di due Stati: Sergipe e Alagoas, che misurano rispettivamente 21 e 27mila km². Oltre a rappresentare un aumento di quasi il 150% rispetto al precedente quadriennio, tra il 2015 e il 2018, quando furono devastati 14.424 km².

“Speriamo che questo sia l’ultimo record di deforestazione riportato dal nostro sistema di monitoraggio satellitare, poiché il nuovo governo ha promesso di dare priorità alla protezione dell’Amazzonia. Ma perché ciò avvenga, è necessario che l’amministrazione cerchi la massima efficacia nelle misure di contrasto alla devastazione, come quelle già annunciate per tornare alla demarcazione delle terre indigene, ristrutturare gli organi di controllo e incoraggiare la generazione di reddito dalle foreste in piedi“, afferma Bianca Santos, ricercatrice di Imazon.

Nel solo mese di dicembre, l’Amazzonia ha perso 287 km² di foresta, con un aumento del 105% rispetto allo stesso mese del 2021, quando erano stati devastati 140 km². È stato il mese con il più alto tasso di deforestazione dell’anno. “Nell’ultimo mese dell’anno si è assistito a una corsa sfrenata al disboscamento, mentre si sono aperte le porte al bestiame, alla speculazione fondiaria, all’estrazione mineraria illegale e alla deforestazione nelle terre indigene e nelle unità di conservazione. Questo dimostra la dimensione della sfida che il nuovo governo deve affrontare“, commenta Carlos Souza Jr.

Proprio nel giorno di questo impressionante annuncio, l’agenzia ambientale statale Ibama ha dichiarato che sono iniziate questa settimana le prime operazioni sul campo per combattere la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana sotto il governo del nuovo presidente Luiz Inacio Lula da Silva. “Il dispiegamento delle squadre per l’inizio delle operazioni di ispezione è iniziato il 16 gennaio 2023“, ha dichiarato l’agenzia all’Afp, senza tuttavia specificare dove siano iniziate queste prime operazioni. Il presidente, che ha iniziato il suo terzo mandato alla guida del Paese il 1° gennaio, ha promesso di lottare per azzerare la deforestazione entro il 2030, dopo quattro anni di distruzione massiccia sotto il precedente governo di Jair Bolsonaro.

Brasile, il neo presidente Lula firma subito decreto a tutela dell’Amazzonia e riattiva il Fondo

A sole 24 ore dalla cerimonia di insediamento, il nuovo presidente del Brasile, Luis Inacio Lula da Silva, ha firmato decreti per limitare l’uso delle armi e rafforzare la protezione dell’Amazzonia, segnando subito la differenza con il predecessore di estrema destra Jair Bolsonaro. Lo storico leader della sinistra brasiliana ha così iniziato subito a mantenere le sue principali promesse elettorali, a partire dalle privatizzazioni dei gruppi pubblici. Lula ha infatti interrotto il processo avviato sotto Bolsonaro per privatizzare otto società pubbliche, tra cui la compagnia petrolifera Petrobras e le poste brasiliane.

Inoltre, domenica, durante la cerimonia di investitura, ha firmato un decreto volto a estendere il programma popolare ‘Bolsa Familia’, che concede 600 reais, ovvero circa 111 euro al mese, alle famiglie più povere. Lula ha anche firmato un aumento del salario minimo da 1.212 a 1.320 reais (circa 245 euro): sono circa 125 milioni i brasiliani che soffrono di insicurezza alimentare e 30 milioni di fame su una popolazione di 215 milioni di persone.

 

La distruzione della foresta amazzonica

 

Il nuovo capo dello Stato ha inoltre firmato una serie di decreti volti a rafforzare la tutela dell’Amazzonia, la cui deforestazione media annua è aumentata del 75% rispetto al decennio precedente. Lula ha istituito una “commissione interministeriale permanente per la prevenzione e il controllo del disboscamento”, decidendo anche di riattivare il Fondo Amazzonia, creato nel 2008 per raccogliere donazioni per investimenti nella foresta in vista della sua salvaguardia. Il Fondo Amazzonia era stato congelato dal 2019 a causa delle divergenze sulla destinazione dei fondi tra Norvegia e Germania, i principali donatori, e il governo di Bolsonaro. Sia Oslo sia Berlino hanno espresso l’intenzione di riattivarlo nuovamente come gesto di apertura verso il nuovo governo brasiliano.

Lula ha anche revocato un decreto che autorizzava l’attività mineraria nelle aree indigene e nelle aree ambientali protette. Con un decreto pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale, Lula ha poi sospeso per due mesi le nuove registrazioni di armi e munizioni per cacciatori, collezionisti e tiratori sportivi (raggruppate sotto la sigla CAC). Questa categoria ha visto triplicare il suo arsenale durante i quattro anni in carica di Bolsonaro, fino a raggiungere un milione di armi registrate.

Lula ha inoltre limitato la possibilità di acquistare armi e munizioni per alcuni usi autorizzati e ha sospeso la concessione di nuove licenze per CAC e nuove iscrizioni per circoli e scuole di tiro.
Il presidente infine ha anche creato un gruppo di lavoro per proporre nuovi regolamenti per lo Statuto sul disarmo, in vigore dal 2003, che mira a disarmare i civili. “Il decreto sul controllo degli armamenti cerca di porre fine al periodo irresponsabile del ‘tutto è permesso’ incompatibile con la Costituzione”, ha assicurato su Twitter Flavio Dino, neo ministro della Giustizia e Pubblica Sicurezza.

Colombia, trovato un gattopardo albino: colpa della deforestazione del suo habitat

In un parco protetto di Medellin, in Colombia, vive un gattopardo albino, trovato poco più di un anno fa dai residenti di Amalfi, un villaggio nel dipartimento nord-occidentale di Antioquia. È il primo esemplare albino mai ritrovato, una scoperta che gli scienziati attribuiscono alla deforestazione dell‘habitat naturale del felino. In un primo momento, i biologi del Parco di Conservazione di Medellin, dove è stato trovato, avevano descritto il ritrovamento solo come “estremamente insolito”, senza identificare la specie dell’animale. Dopo mesi di analisi genetiche, hanno confermato che si tratta “dell’unico caso mai registrato al mondo di un gattopardo albino”, ha dichiarato all’AFP Jorge Aubad, direttore dell’istituto.

Per lo scienziato, la mutazione genetica dell’animale indica una realtà preoccupante. A causa della deforestazione, “le popolazioni di gattopardi si stanno isolando”, il che porta alla “endogamia, la riproduzione tra membri strettamente imparentati”, ha detto Aubad. “L’albinismo, in questo caso, si trasmette perché abbiamo un problema di frammentazione” delle foreste tropicali in cui vive la specie animale, ha aggiunto il biologo. Secondo gli esperti, questo esemplare di quasi 13 chili non potrebbe sopravvivere nel suo habitat naturale a causa del colore del suo mantello che lo espone ai predatori. È anche “completamente cieco”.
Amalfi, dove è stato trovato il gattopardo, è una delle aree più colpite dalla deforestazione nel nord-est della Colombia, secondo un recente rapporto del ministero dell’Ambiente colombiano. Nel 2021 la Colombia ha perso circa 1.700 chilometri quadrati di foresta. Questo è il terzo anno consecutivo in cui la superficie forestale perduta aumenta.

Photo credit: AFP

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Greenpeace, la petizione contro il greenwashing tra i traguardi 2022

La fine di ogni anno porta in sé, quasi in maniera fisiologica, il tempo dei bilanci. Così è anche per l’associazione Greenpeace che, alla vigilia del 2023, rende note “quattro importanti vittorie per il Pianeta ottenute negli ultimi dodici mesi”, delle quali si è fatta – insieme con altri movimenti e organizzazioni ambientaliste – promotrice.
Il primo traguardo raggiunto è datato 6 dicembre, quando i rappresentanti del Parlamento europeo e dei governi nazionali hanno finalizzato la nuova legge che impone alle aziende di controllare che la filiera di produzione – partendo dal singolo appezzamento di terra – non causi deforestazione, pena l’applicazione di multe. In altre parole, per la prima volta al mondo, le aziende che vendono soia, carne bovina, olio di palma, legno, gomma, cacao e caffè, e derivati come cuoio, cioccolato e mobili dovranno dimostrare che la produzione di materie prime e derivati non ha contribuito alla deforestazione.

La seconda vittoria, seppur parziale, è legata alla Coca-Cola. Il colosso – che produce oltre 120 miliardi di bottiglie di plastica all’anno – ha infatti annunciato che renderà riutilizzabile il 25% degli imballaggi per bevande entro il 2030. Greenpeace lo ritiene un “obiettivo ancora troppo basso: è necessario andare oltre e arrivare all’obiettivo del 50% di packaging ricaricabile e riutilizzabile entro il 2030”. E ricorda che la multinazionale da anni si trova al primo posto della classifica stilata dalla coalizione Break Free From Plastic (di cui Greenpeace fa parte), che monitora i rifiuti di plastica che invadono città, coste, mari e ogni angolo del Pianeta.

Il terzo obiettivo raggiunto affonda le proprie radici nel 2015, quando la Commissione per i diritti umani delle Filippine ha avviato un’indagine condotta su 47 società, accusate di provocare cambiamenti climatici catastrofici rei di violare i diritti umani. L’indagine – che ha dimostrato il nesso – è stata avviata su impulso dei sopravvissuti ai violentissimi tifoni che si erano abbattuti sull’arcipelago delle Filippine, i quali avevano presentato, insieme a diversi esponenti della società civile (tra cui, appunto, Greenpeace South Asia), una denuncia alla CHR contro i grandi inquinatori.

Infine, la petizione lanciata da Greenpeace e altre realtà ambientaliste per vietare le pubblicità delle aziende dell’industria fossile ha registrato, in un anno, l’adesione di 353.103 firme in tutta Europa. Non è stato raggiunto il milione di firme, ma le 54.369 firme raccolte in Italia dimostrano invece che il Paese è pronto per un divieto delle pubblicità inquinanti, cosiddette ‘finte green’.