Eni: utile dimezzato nel primo trimestre a causa dei prezzi del gas

Eni ha annunciato mercoledì che l’utile netto del primo trimestre è sceso del 49% a 1,21 miliardi di euro, sulla scia del calo dei prezzi del gas. Il risultato è stato nettamente inferiore al consenso degli analisti del fornitore di informazioni finanziarie Factset, che si aspettavano 1,76 miliardi di euro. Anche l’utile netto rettificato, che esclude le voci eccezionali, è sceso del 46% a 1,58 miliardi di euro. Il fatturato del Gruppo, anch’esso colpito dal calo dei prezzi del gas, è sceso del 16% a 22,9 miliardi di euro, al di sotto delle aspettative degli analisti. Tuttavia, l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi ha definito i risultati “eccellenti” e ha affermato che “segnano una traiettoria di superamento delle previsioni economico-finanziarie di budget. Sulla base del nostro scenario aggiornato, le nostre aspettative sono di un flusso di cassa operativo di oltre €14 mld e, in linea con la nostra politica di distribuzione, prevediamo di incrementare il piano 2024 di buy-back del 45% a €1,6 mld”.

Eni ha quindi rivisto al rialzo le previsioni per l’utile operativo rettificato (Ebit) e il flusso di cassa proforma, che dovrebbero superare i 14 miliardi di euro nel 2024. In precedenza, il Gruppo prevedeva un Ebit adjusted di 13 miliardi di euro e un cash flow di 13,5 miliardi di euro. Uno degli indicatori chiave di Eni, l’Ebit adjusted, è sceso del 30% a 4,1 miliardi di euro nel primo trimestre. Il prezzo di riferimento del gas naturale è sceso del 49% a 29 euro per megawattora (MWh) nel primo trimestre, ha dichiarato Eni nel suo comunicato stampa. Per contro, il prezzo del barile di greggio Brent del Mare del Nord è aumentato del 2%, raggiungendo una media di 83,24 dollari.

Il gruppo energetico britannico Ithaca Energy ha annunciato martedì sera di aver raggiunto un accordo con l’Eni per l’acquisto di quasi tutte le sue attività di esplorazione e produzione nel Mare del Nord per 754 milioni di sterline (874 milioni di euro), in un accordo azionario. Il colosso italiano del petrolio e del gas conferirà le sue attività nel Regno Unito in cambio dell’emissione di nuove azioni Ithaca a favore di Eni, che al termine dell’operazione deterrà il 38,5% del capitale sociale allargato di Ithaca.

Eni, Piano 2024-2027: 27 miliardi di investimenti. Descalzi: “La società sarà più forte”

Eni presenta il Piano strategico per il quadriennio 2024-2027. La novità più interessante è la previsione di spesa per gli investimenti: 27 miliardi di euro, circa 7 miliardi l’anno, in calo di oltre il 20% rispetto a quella del precedente piano, anche se non cambia il percorso di crescita, visto che la riduzione è frutto di un approccio “disciplinato nella selezione“, della “più ampia gestione del portafoglio” e del “miglioramento della qualità dei progetti“, comunica il Cane a sei zampe. “Affrontiamo le sfide poste dalla transizione energetica con la nostra strategia distintiva di crescita e creazione di valore, in grado di rispondere alle esigenze di sicurezza e competitività delle forniture energetiche, conseguendo nel contempo gli obiettivi di decarbonizzazione“, dice l’amministratore delegato, Claudio Descalzi, al Capital Markets 2024. Che spiega: “Stiamo aumentando significativamente la nostra generazione di cassa, anche attraverso la diversificazione delle fonti, la riduzione dei rischi e l’espansione in nuove aree di opportunità legate alla transizione“.

Che è “realizzabile se genera ritorni adeguati e sostenibili e pone le basi per nuove e profittevoli forme di business“, avvisa il manager. Eni comunque considera “ognuno dei business legati alla transizione candidato ideale per il nostro modello satellitare, che consente di ridurre l’impegno finanziario per la crescita e di esplicitare il loro valore di mercato“. Di grande impatto anche le stime sul flusso di cassa operativo, che “ante capitale circolante nel 2024 si prevede pari a 13,5 miliardi di euro, con una media di 15 miliardi nel periodo del piano“, ma “a scenario costante, al 2027 sarà superiore di oltre 30% a quello del 2024 o del 45 percento per azione“.

Cifre simbolo di una crescita che l’azienda sottolinea essere “guidata da tutti i settori, con Plenitude ed Enilive, i principali business legati alla transizione energetica, che insieme rappresentano circa il 20% di tale aumento“. E per il futuro, Eni prevede l’Ebitda pro-forma di Enilive oltre 1,6 miliardi di euro nel 2027, con un tasso di crescita medio annuo del 20 percento, mentre quello di Plenitude punta ai 2 miliardi alla fine del ciclo previsto dal piano, più che doppiando dunque i numeri al 2023. Performance stimate in base al fatto che la capacità di bioraffinazione “è prevista a oltre 3 MPTA entro il 2026, il doppio rispetto a fine 2023, e raggiungerà oltre 5 MTPA entro il 2030, con più di 1 MTPA di opzionalità Saf al 2026, potenzialmente raddoppiabile al 2030“. E l’agribusiness di Eni “crescerà fino a rappresentare oltre il 35% del feedstock processato nelle bioraffinerie italiane” dell’azienda al 2027. Mentre, per quanto riguarda la capacità installata di energia rinnovabile “al 2023 è arrivata a 3 GW, quindi dieci volte circa il dato del 2020, e intendiamo farla crescere ulteriormente fino a 4 GW nel 2024 e più che raddoppiarlo entro il 2027”, sottolinea Descalzi. Che aggiunge: “Questa crescita è sostenuta da una pipeline molto solida, ben oltre i 20 GW, ben diversificata tra le varie tecnologie e le varie zone geografiche“. Altro tema cruciale per Eni sono le esplorazioni, grazie alle quali sono stati scoperti “oltre 16 miliardi di boe di risorse negli ultimi 15 anni, di cui 900 milioni nel 2023, al costo di circa 1,2 dollari” per barili di petrolio equivalente. Per la compagnia italiana questa tecnica “continuerà a essere un importante motore di creazione di valore, investendo oltre 1,5 miliardi nel corso del piano“.

Allo stesso tempo, il “business upstream continuerà a crescere e a generare rilevanti flussi di cassa, con il Cffo per barile previsto in aumento di oltre il 30%” da qui al 2027 e “il gas naturale avrà un maggior peso nella nostra produzione”. Così come è prevista una riduzione dei costi corporate di 1,8 miliardi. “Tutti i principali indicatori economici e finanziari denotano crescita e solidità, grazie al nostro chiaro percorso di generazione di valore che aumenta l’esposizione alle fasi positive del ciclo ed è resiliente in quelle negative”, dice ancora Descalzi. “Questo ci consente di migliorare in misura sostanziale la nostra politica di remunerazione” e dunque “incrementiamo la quota di distribuzione agli azionisti”. Il ceo prosegue: “La nostra politica di remunerazione è fortemente competitiva, implicando al prezzo corrente dell’azione un rendimento del 9%”. Negli ultimi due anni Eni ha distribuito 11 miliardi di euro agli azionisti e ora intende distribuire tra il 30%-35% del Cffo annuale, in aumento rispetto al precedente 25%-30%, sotto forma di dividendi e di buyback. Il dividendo proposto per il 2024 è 1 euro per azione (un incremento superiore al 6%) e il buyback fissato a 1,1 miliardi. Non si ferma nemmeno l’impegno contro il cambiamento climatico, perché il Cane a sei zampe conferma tutti i suoi obiettivi: “Net zero per le emissioni Upstream Scope 1 e 2 entro il 2030, quello di net zero per tutte le attività di Eni Scope 1, 2 entro il 2035” e “gli obiettivi di riduzione delle emissioni Scope 1, 2 e 3: 35 percento entro il 2030, 80% entro il 2040 e net zero entro il 2050”. Per dirla con le parole di Descalzi, “a compimento del Piano, Eni sarà una compagnia più forte dal punto di vista industriale e della redditività, con un portafoglio di business competitivi, in grado di continuare a crescere e a generare ritorni molto attrattivi”.

Il Governo vuole l’Italia hub europeo dell’energia, a ottobre il ‘Piano Mattei’

Il ‘Piano Mattei’ esiste, ma è work in progress. Nero su bianco ancora non è stato messo, ragion per cui ad oggi nessuno può stabilire dove possa arrivare il governo nel processo che, nelle intenzioni della premier, Giorgia Meloni, dovrebbe portare l’Italia a essere hub europeo dell’energia, sfruttando la posizione geografica (e geopolitica) di vera porta del Mediterraneo sul Vecchio continente. Anche di questo tema si parlerà il prossimo 30 maggio a Roma, presso l’Europa Experience-David Sassoli, durante l’evento ‘L’energia per l’Italia e l’Ue: le fonti e le regole del mercato energetico’ organizzato da Withub, con la direzione editoriale di GEA ed Eunews.

La presidente del Consiglio, nella recente visita diplomatica in Etiopia, ha però assicurato che in autunno il Piano sarà pronto. Anzi, che “l’occasione giusta” per presentarlo sarà ad ottobre, al summit intergovernativo Italia-Africa. Prima, però, vanno costruite basi e fondamenta del progetto. Che coinvolge, ovviamente e soprattutto, i Paesi del Nord Africa, dai quali possono arrivare gas, Gnl e anche energia prodotta da fonti rinnovabili, unendole poi a quella ricavata da eolico, solare e geotermico ‘italiano’, di cui può essere una preziosa ‘miniera’ il Sud del nostro Paese. Una cosa alla volta, però. Si parte dall’assunto, ripetuto più volte anche dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, che la decarbonizzazione al 2030 e il net zero al 2050 restano il faro entro cui costruire ogni strategia, prevedendo se non un’uscita definitiva dalle fonti fossili, quantomeno la riduzione all’uso di una sola di queste risorse: il gas. In poche parole, non se ne può fare a meno, per ora.

Concetto ribadito in più occasioni anche dal Ceo di Eni, Claudio Descalzi, che da più di un anno è impegnato nel lavoro sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico per liberare l’Italia dalla dipendenza russa. Il manager ha guardato da subito all’Africa, dove il Cane a sei zampe ha investito moltissimo, da diversi decenni. Non a caso, il nome dato da Meloni al dossier sull’energia prende spunto dall’indimenticato presidente dell’Ente nazionale Idrocarburi, Enrico Mattei. Che introdusse la regola di lasciare il 75% delle risorse generate ai territori dai quali veniva estratto dai giacimenti. Una regola a cui Palazzo Chigi si ispira per il proprio progetto, che “non vuole essere predatorio“, si premura di ricordare la premier ogni volta che ne parla, in pubblico o nei colloqui con i leader dei Paesi con cui sta negoziando.

Qui si innesta l’altra gamba del piano, squisitamente politica e geopolitica. Perché l’Italia ha dei rapporti più che fruttuosi con diverse nazioni del Nordafrica. “L’Italia sta lavorando per essere il ponte che da Mediterraneo e Africa porta in Europa l’energia sempre più verde, con l’idrogeno e l’elettricità che siano sempre più prodotti localmente e destinati sia alle popolazioni locali sia all’Europa”, è la sintesi di Pichetto. Spiegando che “gli obiettivi del nostro ‘nuovo Piano Mattei’ sono proprio garantire prosperità, pace e stabilità in queste regioni”. Oltre alla liaison fortissima con l’Algeria, verranno intensificati i rapporti con Mozambico, Egitto e Angola, per quanto riguarda il continente africano. Ma poi ci sono anche l’Azerbaijan, che già ci fornisce gas in arrivo in Puglia (in programma c’è anche il raddoppio del Tap), la Libia e Israele, sempreché il progetto del gasdotto Eastmed vada avanti. L’Italia, in quest’ultimo caso, è spettatore interessato, visto che a decidere dovranno essere Tel Aviv e Cipro, anche se, stando alla visione di Descalzi, servirà un accordo pure con la Turchia.

Dunque, il progetto di fare del nostro Paese l'hub di gas ed energia, sta nascendo con prospettive sicuramente interessanti. Sfruttando anche le potenzialità delle fonti rinnovabili, che possono dare un prezioso contributo per rimpinguare il mix, ma soprattutto opportunità di sviluppo economico e infrastrutturale per il Mezzogiorno d'Italia. Adesso, però, come ogni grande progetto che si rispetti, viene la parte difficile: la messa a terra. Quello sarà il banco di prova per il 'Piano Mattei' e per il governo Meloni.

Versalis si rafforza nel campo della chimica da fonti rinnovabili: acquisito il 100% di Novamont

Versalis, società chimica di Eni, acquisisce il 100% di Novamont, società leader a livello internazionale nel campo della chimica da fonti rinnovabili. Versalis deteneva già una quota del 36% e ha acquisito il restante 64% da Mater-Bi, società controllata da Investitori Associati II e NB Renaissance. L’acquisizione di Novamont, Benefit company certificata B Corp protagonista nel settore della bioeconomia circolare e nel mercato per lo sviluppo e la produzione di bioplastiche e biochemicals biodegradabili e compostabili, rappresenta una grande opportunità di accelerazione della strategia attraverso l’integrazione di una piattaforma tecnologica unica e complementare, fornendo un rilevante contributo alla decarbonizzazione del portafoglio prodotti. L’operazione permetterà di rafforzare la piattaforma Novamont accelerando lo sviluppo di filiere multiprodotto ad alto valore aggiunto e i progetti di territorio per disaccoppiare l’utilizzo delle risorse naturali dalla crescita economica nella logica di fare di più con meno.

Intanto, nel giorno dell’annuncio dell’acquisizione, Eni pubblica i suoi risultati del primo trimestre 2023. L’utile operativo adjusted è a 4,641 miliardi di euro con una riduzione dell’11% rispetto al primo trimestre 2022 dovuta principalmente al settore E&P (-36% a 2,789 miliardi) per effetto dei minori prezzi di realizzo delle produzioni a causa della flessione dei prezzi di riferimento del petrolio e del gas naturale nonché del deconsolidamento delle società operative angolane conferite alla JV Azule nel terzo trimestre del 2022. I risultati di Gruppo sono stati sostenuti dalla performance di GGP (+47% a 1,372 miliardi) grazie alle attività di ottimizzazione e di trading, e dall’andamento di Sustainable Mobility & Refining (in aumento di 239 milioni). Nel primo trimestre 2023 l’utile netto adjusted di competenza degli azionisti Eni è stato di 2,907 miliardi in riduzione di 363 milioni rispetto al primo trimestre 2022 (-11%), a causa della flessione dello scenario energetico in parte compensato dal miglioramento della gestione industriale. Il tax rate consolidato adjusted pari al 41% è aumentato di 4 punti percentuali, rispetto al primo trimestre 2022, per effetto del deconsolidamento delle società operative angolane, che registravano aliquote inferiori alla media del segmento E&P, della windfall tax sugli utili delle società del settore energia del Regno Unito, nonché dello scenario sfavorevole, in parte compensati dalla maggiore incidenza dell’utile imponibile conseguito dalle controllate italiane.

L’amministratore delegato Claudio Descalzi parla di “eccellenti risultati operativi e finanziari nonostante l’indebolimento dello scenario, grazie alla solidità del settore E&P che evidenzia il recupero della produzione d’idrocarburi, e al risultato di assoluto rilievo del settore Gas/LNG. Considerato anche il contributo delle bioraffinerie e della rete commerciale e la continua crescita del settore Plenitude & Power, il Gruppo ha realizzato €4,6 miliardi di utile operativo adjusted e €2,9 miliardi di profitti netti. Nel corso del trimestre abbiamo compiuto progressi sostanziali nell’attuazione della nostra strategia e del piano industriale”.

Nel Piano strategico 2023-2026 di Eni sicurezza energetica, transizione e meno emissioni

Sicurezza energetica, riduzione delle emissioni e investimenti nella tecnologia più “rivoluzionaria. Sono alcuni dei pilastri su cui si fonda il Piano strategico 2023-2026 di Eni, presentato oggi dall’amministratore delegato, Claudio Descalzi, e dalla presidente, Lucia Calvosa. Per raggiungere gli obiettivi l’azienda mette sul piatto 37 miliardi di euro nel quadriennio (di cui 9,5 miliardi solo nel 2023), ben il 15% in più rispetto al Piano precedente. Con una spesa destinata alle attività zero e low carbon pari a circa il 25% degli investimenti. Perché l’attenzione alla transizione ecologica è palpabile, al punto che Eni conferma gli obiettivi di riduzione delle emissioni: -35% entro il 2030, -80% al 2040, per poi arrivare a net zero entro il 2050.

Non solo, perché le stime sulle nuove fonti di energia prevedono che la capacità di generazione rinnovabile di Plenitude aumenterà a oltre 7 Gigawatt entro il 2026, per poi superare i 15 Gw entro il 2030. Nel frattempo, tra i target c’è anche quello di raddoppiare i punti di ricarica entro il 2026. Non a caso la previsione è che l’Ebitda di Plenitude aumenti per il 2026 di tre volte rispetto al 2022. Restando sulle stime, in base allo scenario delineato, la società genererà un flusso di cassa prima del capitale circolante di oltre 17 miliardi di euro nel 2023 e di oltre 69 miliardi di euro nel corso del Piano, con un aumento del 25% nel 2026 rispetto al 2023. Questo consentirà di finanziare gli investimenti e potenziare la remunerazione agli azionisti, mantenendo il leverage tra il 10-20%.

Numeri ambiziosi che guardano in prospettiva. Ma anche il recente passato non è affatto male, visto che l’utile netto realizzato nel 2022 è di 13,3 miliardi di euro: un aumento di 9 miliardi rispetto all’anno precedente. Mentre l’utile operativo adjusted di gruppo nell’esercizio 2022 è addirittura di 20,4 miliardi, raddoppiato rispetto al 2021. Risultati che fanno esultare Descalzi: “Quelli operativi e finanziari che abbiamo raggiunto sono stati eccellenti”, con un occhio attento al green. “Nel 2022 ci siamo fortemente impegnati non solo nel progredire nei nostri obiettivi di sostenibilità ambientale, ma anche nel garantire la sicurezza energetica all’Italia e quindi all’Europa, costruendo una diversificazione geografica e delle fonti energetiche”. Restando sul tema, l’ad sottolinea anche “il progresso nei piani di decarbonizzazione”, con Plenitude che ha raggiunto “2,2 Gw di capacità rinnovabile, il doppio dello scorso anno, e sarà affiancata dalla neo costituita Eni Sustainable Mobility nel portare avanti il piano di azzeramento delle emissioni dei clienti”.

La base di lavoro è fatta, ora però va risolto il nodo del rinnovo dei board. Perché Eni è in scadenza questa primavera, ma ancora non c’è un’indicazione precisa da parte del governo, azionista di riferimento col Mef, sul futuro di Descalzi. Il manager glissa: “Quello che voglio io non conta nulla, perché non sono io a decidere”. Incalzato dai cronisti, l’ad fa un piccolissimo passo in più: “Il Piano l’ho fatto io, ma nessuno è indispensabile. Eni è forte. Può fare anche senza di me? Sì. A tutti piacerebbe guidare la macchina, ma se ciò non accade va avanti lo stesso”. Non risponde nemmeno alle fonti leghiste che a inizio settimana chiedevano un cambio di passo nella governance delle due principali partecipate: “Non ho commenti, non li voglio fare attraverso i giornali. Parlerò con chi lo ha detto o mi parleranno loro”, taglia corto Descalzi.

Che preferisce piuttosto concentrarsi sulle sfide di Eni. “L’urgenza di raggiungere la sostenibilità ambientale e il mix energetico sono sempre più priorità”, ma questo deve camminare di pari passo con “sicurezza energetica e sostenibilità economica”. Inoltre sono fondamentali la “diversificazione geografica delle fonti e il mix energetico diverso nel tempo, mettendo in campo tecnologie all’avanguardia”. Anzi, l’amministratore delegato puntualizza: “La nostra strategia si basa su una incessante attenzione alle nuove tecnologie”, anche in chiave decarbonizzazione.

Sul gas, poi, spiega che “la situazione degli stoccaggi è migliore di quello che si poteva aspettare, perché siamo partiti da oltre il 94%: questo ha fatto sì che si arrivasse ora al 64% circa”, dunque “la probabilità è che, se il clima continuasse così, avremo il doppio del gas stoccato rispetto all’anno scorso, forse potremmo finire anche sopra il 50%, ma queste sono tutte probabilità”. Di una cosa è sicuro Descalzi: “Tutti stiamo monitorando cosa accadrà a marzo, aprile, maggio, giugno e luglio: vogliamo vedere se abbiamo tutte le infrastrutture per riempire le riserve. Del rigassificatore di Piombino ne abbiamo bisogno, è essenziale, non c’è scelta altrimenti non arriverà il gas in Italia”.

Sul piano del governo di fare dell’Italia l’hub europeo del gas, poi, ha un’idea precisa. E’ fattibile, ma con “omogeneità di tariffe e regole per il gas in tutta Europa” e infrastrutture che colleghino il sud al nord, ma prima di tutto “bisogna capire se effettivamente l’Europa ci sta, se ci sono capitali da mettere nelle infrastrutture e che tempi ci sono per queste infrastrutture”. Restando in campo continentale, alla domanda se il price cap sia il motivo per cui è calato il prezzo del gas risponde positivamente: “Dà un segnale agli speculatori che esiste un limite, andava fatto molto prima”. Anzi, “doveva essere fatto subito”.

Gas, accordo Italia-Libia da 8 miliardi. Meloni: “Passaggio storico”

Tenuto nascosto per motivi di sicurezza, il viaggio in Libia di Giorgia Meloni – accompagnata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani e quello dell’interno Matteo Piantedosi – si è materializzato in un gelido sabato di fine gennaio, pochi giorni dopo la missione in Algeria. Al centro di questo viaggio il tema energetico e la volontà di accelerare i tempi per fare diventare l’Italia l’hub energetico del Mediterraneo. A tripoli, infatti, la premier ha consolidato una partnership che, in concreto, poterà all’Italia circa 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Si tratta di un’intesa che è stata sottoscritta dall’Eni e dalla Noc (National Oil Corporation), ufficializzata da un comunicato della stessa Eni: “L’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e l’amministratore delegato della National Oil Corporation (Noc), Farhat Bengdara, hanno siglato oggi un accordo per avviare lo sviluppo delle ‘Strutture A&E’, un progetto strategico volto ad aumentare la produzione di gas per rifornire il mercato interno libico, oltre a garantire l’esportazione di volumi in Europa. L’accordo è stato firmato alla presenza del Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, e del primo ministro del governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Al-Dbeibah”.

L’accordo con la Libia, oltre che in chiave hub Mediterraneo, va inquadrato nella strategia della diversificazione dei fornitori energetici e dell’indipendenza dalla Russia. Ci vorranno circa tre anni perché le estrazioni di gas dal sito a 140 chilometri da Tripoli possano diventare ‘concrete’ ma l’intesa ha durata venticinquennale e quindi a lungo spettro: interessa due pozzi di gas off shore, chiamati rispettivamente “Struttura A” e “Struttura E”, scoperti nel 1970. Era dal 2000 che Italia e Libia non sviluppavano un progetto insieme e questo legame contribuirà alla stabilizzazione del Paese che faticosamente sta cercando un equilibrio dopo la scomparsa del colonnello Gheddafi avvenuta nel 2011.

La presidente del Consiglio ha definito questo accordo “storico” e consentirà di “diversificare le fonti energetiche, lavorare sulla sostenibilità, garantire energia ai libici e maggiori flussi all’Europa”. Per Meloni “La Libia è un partner fondamentale, che può contare sull’Italia nel processo di stabilizzazione politica, per il sostegno all’economia, per le infrastrutture. Una cooperazione a 360 gradi tra due nazioni che da sempre sono amiche”.