Diminuiscono gli edifici inquinanti in Italia: per la prima volta sotto il 50%

Migliorano in modo significativo le prestazioni energetiche del parco edilizio nazionale certificato nel 2023, con una percentuale di edifici nelle classi energetiche meno efficienti (F e G) che scende sotto il 50% per la prima volta dall’inizio delle rilevazioni. È quanto emerge dal V Rapporto annuale sulla Certificazione Energetica degli Edifici, realizzato da Enea e Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente sulla base degli Attestati di Prestazione Energetica (Ape) registrati nel Siape e presentato oggi a Roma in un evento che ha visto la partecipazione, tra gli altri, dei presidenti di Enea e Cti, Gilberto Dialuce e Cesare Boffa. Nel 2023 sono stati registrati sul Siape 1,1 milioni di Ape, di cui la quota più consistente è stata emessa in Lombardia (21,7%), con a seguire Piemonte (9,2%), Veneto (8,7%), Emilia-Romagna (8,5%) e Lazio (8,3%).

A conferma del miglioramento delle prestazioni energetiche, nel residenziale il Rapporto evidenzia un incremento di circa il 6% delle classi energetiche più efficienti (A4-B) rispetto al 2022. Un’ulteriore tendenza positiva è la crescita della percentuale di Ape emessi conseguenti a riqualificazioni energetiche e ristrutturazioni importanti, che rappresentano rispettivamente il 7,9% e il 6,4% (+2,3% e +2,4% nel confronto con il 2022). Questo è confermato anche dagli attestati collegati a passaggi di proprietà e locazioni che risultano in calo rispetto al 2022 (-5,3%), pur continuando a rappresentare il 54,2% del campione analizzato.

L’edizione 2024 del Rapporto si è concentrata anche sui nuovi strumenti e metodi di analisi sviluppati per migliorare la qualità degli Ape, in particolare sulle metodologie di controllo utilizzate dai certificatori, sia durante la fase di predisposizione dell’Ape che in quella successiva. Il Report presenta anche dei focus sul percorso di perfezionamento dei Catasti Energetici Unici regionali, in funzione del possibile sviluppo del Catasto Unico Nazionale, del Portale nazionale per la Prestazione Energetica degli Edifici e delle altre applicazioni informatiche predisposte da Enea.

Infine, il Rapporto, illustra, evidenziando un generale consenso, i risultati di un sondaggio a cui hanno risposto oltre 10 mila certificatori, chiamati a esprimersi sugli aspetti significativi del processo di redazione dell’Ape, dalla qualifica del professionista, al reperimento dei dati, ai rapporti con gli altri attori del processo, alla percezione dell’utilità di questo importante strumento.

Il Rapporto Enea-Cti evidenzia come la certificazione energetica non rappresenti soltanto un strumento tecnico per valutare le prestazioni degli immobili e più in generale del patrimonio edilizio italiano, ma anche uno strumento per migliorarne l’efficienza, favorendo l’adozione di soluzioni tecnologiche innovative che riducano i consumi”, dichiara il presidente Enea, Gilberto Dialuce. “In un contesto di grandi sfide come quelle della transizione energetica e della decarbonizzazione, l’Ape offre la possibilità di diffondere una cultura energetica più matura, di incentivare comportamenti virtuosi e investimenti mirati al miglioramento di efficienza e sostenibilità”.

La nuova edizione del Rapporto mette in risalto come il meccanismo della certificazione energetica funzioni e produca risultati rilevanti. Ed è proprio questa la sua funzione. Costituire un importante strumento di lavoro che con il periodico monitoraggio della situazione consente al legislatore e agli operatori, ma anche a noi Enea e Cti che l’abbiamo elaborato, di valutare l’evoluzione e i risultati delle strategie nazionali a supporto della transizione energetica e della decarbonizzazione e di individuare sempre nuovi spunti di miglioramento. Tutto questo è confermato dai risultati positivi mostrati nel Rapporto 2024”, spiega il presidente del Cti, Cesare Boffa.

milano

Ue: “Efficientamento edifici è investimento per futuro, meno costi e sprechi”

Ridurre il costo delle bollette e puntare all’indipendenza energetica dell’Europa. Sono questi alcuni degli obiettivi principali della revisione, recentemente adottata, della direttiva sulle prestazioni energetiche degli edifici, la cosiddetta Case Green, che si concentra in particolare sugli edifici e le famiglie con le peggiori prestazioni. Lo ha ricordato la direzione generale per l’Energia della Commissione europea in un documento di sintesi dove ha evidenziato che “gli edifici, in quanto maggiori consumatori di energia in Europa, responsabili di oltre il 40% dell’energia che utilizziamo e di un terzo delle nostre emissioni di gas serra, offrono un potenziale significativo per guadagni di efficienza energetica e l’integrazione delle energie rinnovabili”. Inoltre, “per i cittadini e le aziende, migliorare le prestazioni energetiche degli edifici renderà più facile ed economico riscaldarli o raffreddarli al livello desiderato”, riducendo gli sprechi e le spese.

Con il 9,3% dei cittadini dell’Ue che non è in grado di mantenere le proprie case adeguatamente calde nel 2022, le ristrutturazioni energetiche offrono una soluzione concreta e duratura per far uscire molte di queste persone dalla povertà energetica. Nel settore delle costruzioni, le piccole e medie imprese traggono particolare vantaggio da un mercato delle ristrutturazioni potenziato, poiché rappresentano il 99% delle aziende edili dell’Ue e il 90% dell’occupazione nel settore”, ha precisato la Dg. “Migliorare le prestazioni energetiche degli edifici è fondamentale per raggiungere la nostra ambizione di neutralità climatica e porterà benefici concreti ai nostri cittadini. Le ristrutturazioni sono investimenti in un futuro migliore.”, ha dichiarato la commissaria europea all’Enegia Kadri Simson.

In base alla legislazione rivista, i Paesi dell’Ue si sono impegnati ad adottare misure nazionali per ridurre il consumo energetico medio degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Ogni Paese deciderà come raggiungere questo obiettivo e su quali edifici concentrarsi, tenendo conto di fattori quali il patrimonio edilizio esistente e il clima locale. I governi possono anche scegliere di esentare completamente dalla legislazione alcune categorie di edifici, come le case vacanze o gli edifici storici. “Per garantire che i cittadini vulnerabili e le famiglie a basso reddito beneficino di questi miglioramenti delle prestazioni energetiche, i Paesi dell’Ue hanno concordato che almeno il 55% dei risparmi energetici nel settore residenziale venga ottenuto tramite ristrutturazioni di edifici con le prestazioni energetiche più basse. Inoltre, saranno necessarie misure di finanziamento per incentivare e accompagnare le ristrutturazioni e dovranno concentrarsi in particolare sulle persone vulnerabili. I governi dovranno garantire adeguate tutele per gli inquilini, come tramite il sostegno all’affitto o limiti agli aumenti dell’affitto che potrebbero altrimenti derivare dai miglioramenti delle prestazioni energetiche”, ha puntualizzato la Dg.

Per gli edifici non residenziali, saranno gradualmente introdotti standard minimi di prestazione energetica: “Ciò innescherà miglioramenti nelle prestazioni energetiche del 16% degli edifici non residenziali con le peggiori prestazioni in ogni paese entro il 2030 e del 26% degli edifici con le peggiori prestazioni in questa categoria entro il 2033”. Infine, tutti i nuovi edifici residenziali e non residenziali dovranno avere zero emissioni in loco da combustibili fossili, a partire dal primo gennaio 2028 per gli edifici di proprietà pubblica e a partire dal primo gennaio 2030 per tutti gli altri nuovi edifici. “Per supportare ulteriormente il raggiungimento delle zero emissioni, gli impianti solari diventeranno la norma per i nuovi edifici e saranno gradualmente realizzati negli edifici pubblici e in altri edifici non residenziali”. Mentre “infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici e sufficienti parcheggi per biciclette dovranno essere forniti anche nei nuovi edifici”.

condizionatori

Energia, Enea: Migliorano prestazioni immobili certificati, A4-B +3,7%

Migliorano ancora e in maniera significativa le prestazioni energetiche del parco edilizio nazionale certificato. È quanto emerge dal IV Rapporto annuale sulla certificazione energetica degli edifici realizzato da Enea e Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente (CTI) sulla base di circa 1,3 milioni di attestati di prestazione energetica (APE) registrati nel SIAPE ed emessi nel 2022 da 17 Regioni e 2 Province Autonome.

Il report evidenzia una diminuzione percentuale degli immobili nelle classi energetiche peggiori F e G (-3,7%), a fronte di uno speculare aumento di quelli nelle classi più performanti A4-B (+3,7%). Tuttavia, la distribuzione per classe energetica conferma che circa il 55% dei casi censiti sono caratterizzati da prestazioni energetiche basse (classi F-G). In particolare, la quota più consistente di attestati è stata emessa dalla regione Lombardia (20,5%), seguita da Lazio (9,6%) e Veneto (8,4%). Gli APE collegati a passaggi di proprietà e locazioni risultano in lieve flessione, pur continuando a rappresentare oltre l’80% del campione analizzato. Aumentano in percentuale le riqualificazioni energetiche e le ristrutturazioni profonde, che rappresentano rispettivamente il 5,7% e il 4,1% degli APE emessi nel 2022 (+1,5% per entrambe rispetto al 2021); stati oltre 17 mila gli APE registrati nel SIAPE nella categoria Edifici a energia quasi zero (NZEB – Nearly Zero-Energy Buildings) tra il 2015 e il 2022.

Il significativo aumento dei costi energetici e la crisi climatica in atto rappresentano problematiche sempre più stringenti che rendono ancora più necessari gli interventi per il miglioramento energetico degli edifici”, sottolinea il Presidente ENEA, Gilberto Dialuce. “In questo contesto il Rapporto rappresenta un ulteriore sforzo congiunto di ENEA e CTI per migliorare la qualità del quadro d’insieme del patrimonio immobiliare privato e pubblico, anche alla luce delle decisioni sulla nuova Direttiva EPBD che a breve verranno prese in sede UE. Una sinergia indispensabile – osserva – anche per la definizione delle strategie di intervento nel settore a livello nazionale e territoriale, e per un orientamento più mirato e stabile nel tempo degli investimenti necessari e dei relativi sistemi di incentivazione”.

La principale novità di questa edizione è la sezione del rapporto dedicata a nuovi strumenti e metodi di analisi per il miglioramento della qualità degli APE, in particolare per il potenziamento delle metodologie di controllo da parte del certificatore sia durante la fase di predisposizione dell’APE che in quella successiva. Sono stati approfonditi, inoltre, i temi relativi all’implementazione del Catasto Energetico Unico (CEU) regionale, il ruolo del Portale nazionale per la Prestazione Energetica degli Edifici (PnPE2) e delle altre applicazioni informatiche predisposte da Enea. La digitalizzazione degli APE risulta fondamentale per individuare le aree con maggiore necessità di intervento, in funzione delle diverse realtà territoriali, e per offrire al cittadino un set più completo di informazioni, grazie anche all’ausilio di sportelli unici digitalizzati (one stop shop).

Il rapporto, infine, analizza i risultati di un questionario somministrato a un campione di circa 80 soggetti, tra associazioni, consorzi e ordini professionali, che hanno espresso il loro punto di vista su diversi aspetti del sistema di certificazione energetica nazionale, soprattutto in merito alle proposte di revisione della Direttiva EPBD sulla prestazione energetica degli edifici.

La nuova edizione del Rapporto vuole rappresentare uno strumento di lavoro sempre aggiornato e in continua evoluzione per supportare chi deve o vuole definire strategie, misure e azioni sul parco edilizio nazionale in linea con gli sfidanti obiettivi che ci impongono la transizione energetica e la decarbonizzazione”, spiega il Presidente del CTI, Cesare Boffa. “Questo nuovo capitolo della collaborazione tra ENEA e CTI mette in luce il processo di miglioramento continuo delle informazioni che possono essere raccolte, analizzate e trasmesse alla Pubblica Amministrazione e agli operatori interessati”.

cappotto verde

Un ‘cappotto verde’ su tetti e pareti per abbassare la temperatura di 3°C

Forse non potrà sostituire completamente i condizionatori, ma un ‘cappotto verde’ su tetti e pareti potrebbe abbassare la temperatura interna delle case in estate fino a 3 °C. La sperimentazione è stata condotta su un edificio prototipo presso il Centro Ricerche Enea Casaccia (Roma), dove la vegetazione messa a copertura del solaio e delle pareti esterne è stata in grado di mantenere le temperature superficiali al di sotto dei 30 °C, preservando dai picchi di temperatura di oltre 50 °C nelle ore più calde. Il ‘cappotto’ consente di abbattere quasi il 50% del flusso termico attraverso l’ombra e la traspirazione delle piante. Il progetto Enea ‘Infrastrutture verdi per migliorare l’efficienza energetica degli edifici e la qualità del microclima nelle aree urbane’ è finanziato nell’ambito dell’Accordo di Programma per la Ricerca di Sistema Elettrico 2019-2021 del ministero dello Sviluppo Economico, oggi in capo al ministero della Transizione ecologica.

La copertura vegetale agisce tutto l’anno come isolante termico, con effetti maggiori nel periodo primavera-estate quando le piante diventano estrattori naturali di calore dall’ambiente. In generale, l’effetto benefico di regolazione termica è dovuto all’ombreggiamento estivo, all’evapotraspirazione e alla fotosintesi clorofilliana delle piante. “I dati preliminari – spiega Arianna Latini, ricercatrice del Dipartimento Unità per l’Efficienza Energetica- fanno supporre che si possa ottenere una riduzione dei consumi elettrici di circa 2 kWh/m². Mediamente questo si traduce in un risparmio di energia elettrica di circa 200 kWh per la climatizzazione estiva di un’abitazione di 100 m², tenuto conto di una temperatura di comfort dell’ambiente interno non superiore a 26 gradi”.

Diverse le piante utilizzate durante la sperimentazione: la viperina piantaginea (Echium plantagineum) e la viperina azzurra (Echium vulgare), che favoriscono anche la biodiversità degli impollinatori, la vite americana (Parthenocissus quinquefolia), un rampicante resistentissimo sia al caldo sia al freddo e diverse piante grasse, molto resistenti a condizioni di estrema siccità. “Abbiamo rilevato – dice Latini – che le temperature superficiali della parete verde sono fino a 13 °C inferiori rispetto alla facciata non vegetata, con una riduzione dei flussi termici verso l’interno di circa 7 kWh/m² e un abbattimento delle emissioni fino a 1 kg di CO2/m² per il minore consumo di energia elettrica”.

Enea stima che l’inverdimento del 35% della superficie urbana dell’Unione europea (oltre 26 mila km²) permetterebbe di ridurre la domanda di energia per il raffrescamento estivo di edifici pubblici, residenziali e commerciali fino a 92 TWh l’anno, con un valore attuale netto di oltre 364 miliardi di euro, e di evitare le emissioni di gas serra equivalenti a 55,8 milioni di tonnellate di CO2 l’anno. Per avere un’idea realistica delle emissioni evitate, si pensi che il settore agricoltura in Italia emette 30 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti l’anno (dati Ispra 2021).

Da qui la necessità di intervenire sulle aree urbane, avviando iniziative e interventi per contrastare gli impatti negativi del riscaldamento globale, che comprendono l’eccesso di consumi di energia fossile (la climatizzazione estiva rappresenta circa il 30% dei consumi complessivi con un trend in crescita), le ondate di calore sempre più frequenti nei mesi estivi, l’inquinamento ambientale e la perdita di biodiversità. I tetti verdi, infatti, oltre a ridurre gli aumenti di temperatura dovuti all’effetto isola di calore in città, migliorano la qualità dell’aria. Da uno studio condotto su specie di alberi e cespugli comunemente presenti nel verde urbano, la capacità media di mitigazione degli inquinanti atmosferici è risultata mediamente di 58-140 g di ozono (O3), di 17-139 g di particolato PM10, di 11-20 kg di anidride carbonica CO2 per pianta l’anno. La vegetazione sugli edifici è utile anche nell’assorbimento dei composti organici volatili: l’edera e altre specie vegetali rampicanti sulla parete verde presso il Centro Ricerche Enea Casaccia hanno consentito una riduzione di circa il 20% di benzene, toluene, etilene e xileni, i composti più comuni in ambiente urbano. Non solo. Il verde urbano svolge anche una serie di servizi ecosistemici come il miglioramento estetico dell’ambiente per vivere e lavorare, la tutela della biodiversità e il rallentamento del deflusso delle acque piovane in eccesso.

edilizia

Gli standard Ue per edifici sostenibili entro il 2050

Nuovi edifici a emissioni zero dal 2030 e standard minimi di rendimento energetico per la ristrutturazione di quelli esistenti. Sono i pilastri della proposta di revisione della direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (EPDB – ‘Energy Performance of Building Directive’) avanzata dalla Commissione europea a metà dicembre con l’obiettivo di arrivare al 2050 con un parco immobiliare europeo a zero emissioni nette, sia sugli edifici vecchi e che su quelli ancora da costruire.

L’edilizia è responsabile del 40% dei consumi energetici d’Europa e del 36% dei gas a effetto serra provenienti dal settore energetico. Per i nuovi edifici da costruire viene introdotta la regola standard di emissioni zero dal 2030, mentre per la ristrutturazione degli edifici esistenti – di cui solo l’1% è sottoposto a processi di efficientamento annuale – Bruxelles ha scelto un approccio graduale a partire dal 2027. La direttiva rivista vincola gli Stati a individuare almeno il 15% del proprio patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni energetiche e a ristrutturarlo passando dalla classe energetica più bassa “G” a fasce superiori. Nello specifico, i requisiti minimi di efficienza saranno dunque introdotti partendo prima dagli edifici non residenziali (come gli uffici o gli hotel) e a seguire quelli residenziali. Quanto ai primi, gli edifici che hanno il livello di prestazione energetica più scarso – indicato con la lettera “G” – dovranno rientrare almeno nella classe superiore “F” entro il primo gennaio 2027 e di classe “E” entro il primo gennaio 2030.

Per gli edifici residenziali, ovvero le case vere e proprie, i tempi sono più lunghi e dovrebbero raggiungere la classe “F” entro il primo gennaio 2030 e la classe “E” entro il primo gennaio 2033. Agli Stati membri come parte dei loro piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, Bruxelles ha chiesto di inserire una roadmap con specifiche scadenze su come intendono arrivare a raggiungere classi di rendimento energetico più alte. Le tabelle di marcia dovranno indicare il percorso per eliminare gradualmente i combustibili fossili usati per il riscaldamento e il raffreddamento entro il 2040 al più tardi, insieme a un percorso per trasformare il parco edilizio nazionale in edifici a zero emissioni entro il 2050. Questi piani saranno integrati in quelli nazionali di energia e clima (PNEC).

La Commissione propone inoltre di armonizzare ed estendere gli attestati di prestazione energetica – che già sono presenti – per includere, ad esempio, le emissioni di gas serra come un nuovo indicatore obbligatorio. Entro il 2025 tutti gli attestati di prestazione a livello europeo dovrebbero essere basati su una scala armonizzata di classi di rendimento energetico uguali per tutti gli Stati: da “A” a “G” con “A” che significa ‘edifici a zero emissioni’ e “G” che corrisponde alla prestazione energetica peggiore. Dovranno avere degli attestati di prestazione anche tutti gli immobili messi in vendita o in affitto con l’indicazione della classe energetica di riferimento. Di nuovo, invece, la Commissione ha pensato all’introduzione di un “passaporto di ristrutturazione o di rinnovo”, per registrare quali potrebbero essere le diverse fasi nel processo di ristrutturazione di un edificio.

La proposta di revisione è parte centrale dei piani della Commissione europea per raddoppiare il tasso di rinnovamento energetico annuale delle abitazioni e degli edifici non residenziali entro il 2030 e favorirne una profonda ristrutturazione energetica, inseriti nella strategia “Ondata di rinnovamento” (Renovation Wave) presentata a ottobre 2020.

Allarme Ispra: 94% dei Comuni a rischio dissesto idrogeologico

Aumenta nel 2021 la superficie nazionale potenzialmente soggetta a frane e alluvioni: l’incremento sfiora rispettivamente il 4% e il 19% rispetto al 2017. Quasi il 94% dei comuni italiani è a rischio dissesto e soggetto ad erosione costiera e oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità. Segnali positivi per le coste italiane: dopo 20 anni, a fronte di numerosi interventi di protezione, i litorali in avanzamento sono superiori a quelli in arretramento. È quanto emerge dal ‘Dissesto idrogeologico in Italia’, il rapporto 2021 presentato dall’ISPRA che fornisce il quadro di riferimento nazionale sulla pericolosità associata a frane, alluvioni e sull’erosione costiera dell’intero territorio italiano. Nel 2021, oltre 540mila famiglie e 1.300.000 abitanti vivono in zone a rischio frane (13% giovani con età inferiore ai15 anni, 64% adulti tra 15 e 64 anni e 23% anziani con età superiore ai 64 anni), mentre sono circa 3 milioni di famiglie e quasi 7 milioni gli abitanti residenti in aree a rischio alluvione. Le regioni con i valori più elevati di popolazione che vive nelle aree a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna (quasi 3 milioni di abitanti a rischio), Toscana (oltre 1 milione), Campania (oltre 580mila), Veneto (quasi 575mila), Lombardia (oltre 475mila), e Liguria (oltre 366mila).

EDIFICI. Su un totale di oltre 14 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata superano i 565mila (3,9%), mentre poco più di 1,5 milioni (10,7%) ricadono in aree inondabili nello scenario medio. Gli aggregati strutturali a rischio frane oltrepassano invece i 740mila (4%). Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84mila con 220mila addetti esposti a rischio, mentre quelli esposti al pericolo di inondazione, sempre nello scenario medio, superano i 640mila (13,4%).

BENI CULTURALI. Degli oltre 213mila beni architettonici, monumentali e archeologici, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12mila nelle aree a pericolosità elevata; raggiungono complessivamente le 38.000 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità. I Beni Culturali a rischio alluvioni, poco meno di 34mila nello scenario a pericolosità media, arrivano a quasi 50 mila in quello a scarsa probabilità di accadimento (eventi estremi). Per la salvaguardia dei Beni Culturali, è importante valutare anche lo scenario meno probabile, tenuto conto che, in caso di evento, i danni prodotti al patrimonio culturale sarebbero inestimabili e irreversibili.

LE COSTE. Il nuovo rilievo delle coste italiane ha consentito un aggiornamento dei dati sullo stato e sui cambiamenti in prossimità della riva: nel periodo 2007-2019, risulta in avanzamento quasi il 20% dei litorali nazionali e il 17,9% in arretramento. A fronte di un progressivo aumento dei tratti di costa protetti con opere di difesa rigide, rispetto al 2000-2007 aumentano i litorali stabili e in avanzamento e diminuiscono dell’1% quelli in erosione. A livello regionale il quadro è più eterogeneo: la costa in erosione è superiore a quella in avanzamento in Sardegna, Basilicata, Puglia, Lazio e Campania; le regioni con i valori più elevati di costa in erosione sono Calabria (161 km), Sicilia (139 km), Sardegna (116 km) e Puglia (95 km)