Caldaie a gas in quasi tutte le diocesi. Parte progetto Cei-Enea per risparmi energetici

In diocesi non si spreca nulla, neanche l’energia. A breve, una piattaforma aiuterà a identificare consumi e sprechi delle strutture ecclesiastiche, per realizzare un piano di interventi in grado di produrre risparmi economici, migliorare e valorizzare le architetture.

Il progetto ‘Energie per la Casa Comune‘, ispirato all’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, coinvolge per il momento 10 diocesi italiane, con l’obiettivo di promuovere una cultura della sostenibilità.

Nel dettaglio, nella prima fase del progetto sono stati analizzati 34 edifici fra scuole, laboratori, oratori, centri congresso, edifici residenziali, asili e piscine, per una superficie totale di 67.100 metri quadrati, mentre la superficie totale riscaldata è di 57.100 metri quadrati. L’analisi ha evidenziato che il 79% degli edifici è riscaldato con caldaie a gas naturale. I consumi energetici complessivi corrispondono a 4.100 MWh l’anno, equivalenti al consumo di energia elettrica di circa 1.520 famiglie.
Le principali esigenze di riqualificazione riguardano l’isolamento termico dell’involucro edilizio (71%), sostituzione generatore di calore (47%), riqualificazione del sistema di illuminazione (56%), pannelli solari termici per l’acqua calda sanitaria (24%), installazione di impianti fotovoltaici (74%).

Il progetto si inserisce nella campagna nazionale di informazione e formazione ‘Italia in Classe A‘, ideata dal ministero dell’Ambiente e attuata da Enea, con il supporto della Rete Nazionale delle Agenzie Energetiche Locali e la collaborazione della Conferenza Episcopale Italiana. Presto saranno coinvolti centri ecclesiastici dislocati su tutto il territorio nazionale.

Un “esempio virtuoso” di collaborazione tra istituzioni per il perseguimento di un obiettivo di interesse collettivo che guarda ai valori della solidarietà, della coesione e del bene comune, rivendica il ministro Gilberto Pichetto, che ricorda come ENEA, RENAEL e Cei siano già “preziosissimi partner” del Mase nella diffusione delle Comunità Energetiche Rinnovabili. “Nella ricerca di equilibrio tra etica e tecnologia, tra progresso e rispetto per la tradizione – spiega – questo progetto è un esempio di buone pratiche da seguire e diffondere, un messaggio di speranza e una chiamata all’azione per il bene del nostro ambiente che condividiamo e dobbiamo custodire come la nostra Casa Comune”.

Enea, fa sapere il direttore generale Giorgio Graditi, è impegnata su molti fronti per una transizione energetica “equa e sostenibile, che deve passare necessariamente attraverso un confronto e azioni comuni“. Quella dello sviluppo sostenibile, dell’attenzione agli stili di vita e alla conversione ecologica è “una strada che la Chiesa in Italia ha intrapreso con decisione e consapevolezza, a partire dalle indicazioni emerse dalla Settimana Sociale di Taranto e con la costituzione del Tavolo Tecnico sulle Comunità Energetiche Rinnovabili della Segreteria Generale”, sottolinea l’economo della Cei, don Claudio Francesconi. “Rispondendo alle sollecitazioni contenute nella Laudato si’ e agli appelli di Papa Francesco sul debito ecologico – aggiunge – abbiamo avviato un processo, a livello nazionale e territoriale, che è ormai irreversibile e indispensabile per le comunità: non ci si può pensare se non insieme e non si può ragionare considerando solo il presente e il contingente“.

Con questo percorso, si dimostra come il lavoro sul territorio, di prossimità, sia la “chiave di volta” per realizzare un futuro energetico sostenibile, per il presidente di Renael Piergabriele Andreoli, che si dice “fiero” di aver dimostrato attraverso ‘Energie per la Casa Comune’ come uno dei patrimoni immobiliari più importanti d’Italia possa diventare un “driver culturale per promuovere l’efficienza energetica e favorire un atteggiamento di maggiore attenzione verso l’efficientamento energetico di questi immobili”.

Obiettivi decarbonizzazione Italia più lontani: emissioni CO2 calano al rallentatore

Nonostante la crescita delle rinnovabili, l’Italia si trova ancora ad affrontare sfide significative per quanto riguarda la decarbonizzazione e la sicurezza energetica, con obiettivi a lungo termine che sembrano sempre più difficili da raggiungere. E’ quanto emerge dall’analisi di ENEA sull’energia italiana.

Nel terzo trimestre di quest’anno, esordisce il report, il sistema energetico nazionale ha registrato un aumento dell’8% nella produzione da fonti rinnovabili, segnando un incremento significativo ma inferiore rispetto al +25% della prima metà dell’anno. Questo dato si inserisce in un quadro complessivo caratterizzato da una ripresa dei consumi energetici, che sono aumentati del 2%, e da una frenata nel calo delle emissioni di Co2, che hanno registrato una riduzione limitata del 1%, a fronte di un -7% nei primi sei mesi del 2024. ENEA poi sottolinea il peggioramento dell’indice ISPRED – che monitora sicurezza energetica, prezzi e decarbonizzazione – arrivato ai minimi storici.

La crescita dei consumi è stata principalmente guidata dal settore dei trasporti (+2%) e dal settore civile (+3,5%), quest’ultimo influenzato dall’uso intensivo dei climatizzatori durante l’estate particolarmente calda. D’altro canto, il consumo energetico nell’industria continua a diminuire, registrando un -2,5% rispetto allo stesso periodo del 2023, segnando il decimo calo trimestrale consecutivo. Un dato che, secondo Francesco Gracceva, ricercatore ENEA, è legato alla crisi economica tedesca e ai prezzi dell’energia, che restano elevati e in crescita.

Sul fonte produttivo energetico invece, ebbene la crescita delle rinnovabili rimanga positiva con un incremento dell’8% nel terzo trimestre, si nota un rallentamento significativo rispetto ai risultati della prima metà dell’anno. Il settore elettrico ha visto una riduzione delle emissioni di CO2 grazie al calo della generazione da fonti fossili, scesa al 46%, un dato che segna un nuovo minimo storico. Tuttavia, nel complesso, le emissioni continuano a crescere (+2%) nei settori non-ETS, che comprendono terziario, residenziale, trasporti e industria non energivora, con l’aumento nei trasporti che compensa in parte il calo negli altri settori.

Il rallentamento delle emissioni ha avuto un impatto negativo dunque sull’indice ISPRED, che misura l’efficacia delle politiche energetiche. “Il componente legato alla decarbonizzazione ha toccato i minimi storici, con la traiettoria delle emissioni nei settori non-ETS distante dagli obiettivi di riduzione al 2030”, ha spiegato Gracceva. Per centrare i target di decarbonizzazione, le emissioni nei settori non-ETS dovrebbero ridursi di almeno il 5% annuale nei prossimi sei anni.

In generale, nel terzo trimestre, si è continuato a registrare un drastico calo dei consumi di carbone (-40%), ma aumenti sono stati registrati per altre fonti fossili: il petrolio è cresciuto del 2,5%, principalmente per la crescita della mobilità, mentre il gas ha visto un incremento del 3%, soprattutto nella generazione elettrica. In Europa, i consumi di carbone sono scesi del 20%, mentre il gas ha visto una riduzione del 5%, con un aumento significativo della produzione di elettricità da fonti rinnovabili (+15%) e un incremento del nucleare (+6%).

Energia, i consigli ENEA sul corretto utilizzo degli impianti di riscaldamento

Caldaie e termosifoni si rimettono in moto già a partire dalla prossima settimana con l’accensione degli impianti nella fascia C che comprende molte grandi città del Nord Italia, come Milano, Torino, Bologna e Venezia. Per unire comfort e risparmio, da ENEA arrivano indicazioni sul corretto utilizzo degli impianti di riscaldamento. Primo consiglio: attenzione alla temperatura di mandata dell’acqua. In genere le fasce orarie di riscaldamento della casa vengono programmate con un cronotermostato, che però permette di settare solo la temperatura interna all’abitazione e non quella di mandata dell’acqua nei termosifoni che rimane preimpostata e fissa. “Con variazioni della temperatura esterna anche di dieci gradi su base giornaliera, bisogna evitare di mandare acqua sempre alla stessa temperatura ai termosifoni. La soluzione ideale è quella di abbinare una termoregolazione climatica alla caldaia per il riscaldamento”, spiega Nicolandrea Calabrese, responsabile Laboratorio ENEA di Efficienza energetica negli edifici e sviluppo urbano.

La termoregolazione climatica permette la regolazione della temperatura di mandata dell’impianto di riscaldamento in funzione delle condizioni climatiche esterne, mantenendo la temperatura dell’ambiente desiderata e limitando i consumi. In pratica, minore è la temperatura esterna, più alta sarà la temperatura di mandata ai termosifoni o al pavimento radiante. “Questo tipo di termoregolazione è fondamentale sia per le caldaie a condensazione, che lavorano a basse temperature, ma anche per le pompe di calore, tenendo sempre a mente che per ogni grado aggiuntivo richiesto spendiamo il 2,5% di energia in più. Visto che la mandata può variare anche di 10° C, possiamo limitare i consumi fino al 25%!”, conclude Calabrese.

Di seguito i dieci consigli ENEA.

Abbina alla caldaia per il riscaldamento un sistema di regolazione climatico. La termoregolazione climatica interviene attraverso una regolazione ‘scorrevole’ sulla temperatura di mandata dell’acqua all’impianto di riscaldamento in funzione delle condizioni climatiche esterne, consentendo di mantenere la temperatura dell’ambiente desiderata e limitando i consumi fino al 25% ogni 10° C in meno.

Installa sistemi di monitoraggio e controllo. Monitorare i consumi energetici attraverso contatori intelligenti è fondamentale per acquisire consapevolezza sulle proprie abitudini di consumo e per individuare tempestivamente eventuali perdite o malfunzionamenti.

Esegui la manutenzione degli impianti. Un impianto consuma e inquina meno quando è regolato correttamente, è pulito e senza incrostazioni di calcare. Per chi non effettua la manutenzione del proprio impianto è prevista una multa a partire da 500 euro (D.P.R. 74/2013).

Controlla la temperatura degli ambienti e attenzione alle ore di accensione. Occorre innanzitutto determinare in quale delle 6 zone climatiche in cui è suddivisa l’Italia ci si trova: infatti, il numero di ore massime di accensione varia, per legge, in base alla zona climatica. Bastano 19°C per garantire il comfort necessario. Per ogni grado in meno si risparmia fino al 10% sui consumi di combustibile.

Scherma le finestre durante la notte. Persiane e tapparelle o anche tende pesanti riducono le dispersioni di calore verso l’esterno.

Non coprire i radiatori. Evita di porre schermature davanti ai termosifoni, come tende o mobili, che ostacolano la diffusione del calore verso l’ambiente. Bene, invece, inserire materiali riflettenti tra muro e termosifone: anche un semplice foglio di carta stagnola contribuisce a ridurre le dispersioni verso l’esterno.

Non lasciare le finestre aperte troppo a lungo. Per rinnovare l’aria in una stanza bastano pochi minuti, mentre lasciare le finestre aperte troppo a lungo comporta inutili dispersioni di calore.

Fai un check-up dell’abitazione. Scegli un tecnico qualificato per valutare l’efficienza dell’impianto di riscaldamento e lo stato dell’isolamento termico di pareti e finestre. Si può arrivare ad abbattere i consumi fino al 40%.

Installa valvole termostatiche. Obbligatorie per legge nei condomini, le valvole termostatiche permettono di ridurre i consumi fino al 20%.

Scegli soluzioni di ultima generazione. Sostituisci il vecchio impianto con uno a condensazione o a pompa di calore ad alta efficienza e adotta cronotermostati, sensori di presenza e regolatori elettronici a distanza.

Diminuiscono gli edifici inquinanti in Italia: per la prima volta sotto il 50%

Migliorano in modo significativo le prestazioni energetiche del parco edilizio nazionale certificato nel 2023, con una percentuale di edifici nelle classi energetiche meno efficienti (F e G) che scende sotto il 50% per la prima volta dall’inizio delle rilevazioni. È quanto emerge dal V Rapporto annuale sulla Certificazione Energetica degli Edifici, realizzato da Enea e Comitato Termotecnico Italiano Energia e Ambiente sulla base degli Attestati di Prestazione Energetica (Ape) registrati nel Siape e presentato oggi a Roma in un evento che ha visto la partecipazione, tra gli altri, dei presidenti di Enea e Cti, Gilberto Dialuce e Cesare Boffa. Nel 2023 sono stati registrati sul Siape 1,1 milioni di Ape, di cui la quota più consistente è stata emessa in Lombardia (21,7%), con a seguire Piemonte (9,2%), Veneto (8,7%), Emilia-Romagna (8,5%) e Lazio (8,3%).

A conferma del miglioramento delle prestazioni energetiche, nel residenziale il Rapporto evidenzia un incremento di circa il 6% delle classi energetiche più efficienti (A4-B) rispetto al 2022. Un’ulteriore tendenza positiva è la crescita della percentuale di Ape emessi conseguenti a riqualificazioni energetiche e ristrutturazioni importanti, che rappresentano rispettivamente il 7,9% e il 6,4% (+2,3% e +2,4% nel confronto con il 2022). Questo è confermato anche dagli attestati collegati a passaggi di proprietà e locazioni che risultano in calo rispetto al 2022 (-5,3%), pur continuando a rappresentare il 54,2% del campione analizzato.

L’edizione 2024 del Rapporto si è concentrata anche sui nuovi strumenti e metodi di analisi sviluppati per migliorare la qualità degli Ape, in particolare sulle metodologie di controllo utilizzate dai certificatori, sia durante la fase di predisposizione dell’Ape che in quella successiva. Il Report presenta anche dei focus sul percorso di perfezionamento dei Catasti Energetici Unici regionali, in funzione del possibile sviluppo del Catasto Unico Nazionale, del Portale nazionale per la Prestazione Energetica degli Edifici e delle altre applicazioni informatiche predisposte da Enea.

Infine, il Rapporto, illustra, evidenziando un generale consenso, i risultati di un sondaggio a cui hanno risposto oltre 10 mila certificatori, chiamati a esprimersi sugli aspetti significativi del processo di redazione dell’Ape, dalla qualifica del professionista, al reperimento dei dati, ai rapporti con gli altri attori del processo, alla percezione dell’utilità di questo importante strumento.

Il Rapporto Enea-Cti evidenzia come la certificazione energetica non rappresenti soltanto un strumento tecnico per valutare le prestazioni degli immobili e più in generale del patrimonio edilizio italiano, ma anche uno strumento per migliorarne l’efficienza, favorendo l’adozione di soluzioni tecnologiche innovative che riducano i consumi”, dichiara il presidente Enea, Gilberto Dialuce. “In un contesto di grandi sfide come quelle della transizione energetica e della decarbonizzazione, l’Ape offre la possibilità di diffondere una cultura energetica più matura, di incentivare comportamenti virtuosi e investimenti mirati al miglioramento di efficienza e sostenibilità”.

La nuova edizione del Rapporto mette in risalto come il meccanismo della certificazione energetica funzioni e produca risultati rilevanti. Ed è proprio questa la sua funzione. Costituire un importante strumento di lavoro che con il periodico monitoraggio della situazione consente al legislatore e agli operatori, ma anche a noi Enea e Cti che l’abbiamo elaborato, di valutare l’evoluzione e i risultati delle strategie nazionali a supporto della transizione energetica e della decarbonizzazione e di individuare sempre nuovi spunti di miglioramento. Tutto questo è confermato dai risultati positivi mostrati nel Rapporto 2024”, spiega il presidente del Cti, Cesare Boffa.

Piano Mattei, De Iuliis (Enea): Italia ponte geografico e culturale con Africa

“Collaboriamo con con l’Africa nel campo energetico, nelle rinnovabili per il grande potenziale. Abbiamo sviluppato insieme a loro grandi impianti, in Marocco, Egitto Mozambico e speriamo di poter sfruttare l’occasione anche del Piano Mattei per portare avanti questa collaborazione di mutuo beneficio, anche per dal punto di vista dell’impatto sociale, oltre che economico ed ambientale L’Italia è fondamentale per la sua posizione, per i rapporti di collaborazione anche che abbiamo soprattutto con il Mediterraneo: Siamo un ponte già geografico, quindi possiamo diventarlo anche dal punto di vista culturale”. Lo ha detto Simona De Iuliis, responsabile della Sezione Supporto Tecnico Strategico (TERIN-STS) di Enea, a margine dell’evento organizzato da Fondazione Articolo 49 ‘Nuove energie tra Europa e Africa’, che si è tenuto nella residenza dell’ambasciatore del Marocco in Italia, a Roma.

Energia, Baldino (Cnpr): Dietrofront della Cassazione su comunicazione all’Enea

Con l’ordinanza n.15178 del 2024, la Corte di Cassazione fa retromarcia sul suo orientamento riguardante l’omessa comunicazione all’Enea relativa alla fine dei lavori di riqualificazione energetica, determinando che tale omissione comporta la perdita della detrazione. “S’impone così maggiore attenzione alla tempistica della comunicazione per non perdere il diritto alle detrazioni fiscali. Tuttavia – sottolinea Salvatore Baldino, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – avvalersi della remissione in bonis offre una via per sanare eventuali tardività, a patto di rispettare le condizioni e i termini stabiliti dalla normativa”.

Per evitare la decadenza della detrazione in caso di comunicazione tardiva, è possibile utilizzare lo strumento della remissione in bonis previsto dall’art.2, comma 1 del D.L. n.16/2012. “Lo strumento consente di conservare il diritto alla detrazione se la comunicazione all’Enea viene effettuata entro i termini di presentazione della prima dichiarazione utile accompagnata dal pagamento di una sanzione minima di 250 euro. È importante – aggiunge Baldino – che il versamento della sanzione non utilizzi crediti fiscali in compensazione e la violazione non sia stata ancora rilevata, né siano state iniziate verifiche o accertamenti”. Secondo l’esperto “vi sono due interpretazioni del termine per la remissione in bonis”. La prima è restrittiva: “se il termine di 90 giorni dalla fine dei lavori scade, ad esempio, il 1° ottobre 2024, il contribuente ha solo 14 giorni per regolarizzare”. In alternativa “potrebbe riferirsi alla dichiarazione dei redditi in cui deve essere indicata la prima quota di detrazione”.

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Un algoritmo per tracciare l’inquinamento dell’aria: lo strumento messo a punto da ENEA

Arriva l’algoritmo in grado di tracciare l’inquinamento dell’aria per settore ed area geografica. Si chiama ORSA ed è stato messo a punto dall’ENEA per identificare la provenienza per settore e area geografica delle emissioni inquinanti, tenendo traccia dell’origine anche durante le trasformazioni chimico-fisiche in atmosfera. Grazie al supporto del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e della società Arianet, l’algoritmo ORSA è già operativo nel sistema ENEA di monitoraggio della qualità dell’aria MINNI, che fornisce previsioni giornaliere delle principali concentrazioni di gas e particolati negli strati più bassi dell’atmosfera (a tre giorni per l’Italia e a quattro per l’Europa).

Questo strumento funziona come un vero e proprio sistema di tracciabilità che permette di ‘etichettare’ le emissioni per conoscere il ‘contributo’ specifico di ogni singola fonte alle concentrazioni di inquinanti in atmosfera”, spiega Gino Briganti del Laboratorio ENEA di Inquinamento atmosferico, primo autore dello studio pubblicato su Atmosphere insieme ai colleghi Ilaria D’Elia, Mihaela Mircea e Antonio Piersanti. “È pensato in particolare per le amministrazioni locali – prosegue Briganti – che hanno il compito di preservare la qualità dell’aria e la salute dei cittadini attraverso politiche che vadano a incidere direttamente sulle fonti più inquinanti che comprendono il traffico stradale, il riscaldamento domestico, gli allevamenti, i fertilizzanti e l’industria. Ad esempio, ARPA Piemonte lo ha utilizzato per un suo studio”.

Attualmente esistono i cosiddetti inventari delle emissioni, compilati per legge dalle agenzie ambientali, che catalogano e calcolano la quantità di massa di ogni sostanza inquinante che ha impatto su salute e ambiente (ossidi di azoto, ossidi di zolfo, polveri, composti organici volatili, ammoniaca, metalli pesanti) emessa dalle diverse sorgenti. “Tuttavia, tale informazione non è sufficiente per capire ‘chi fa cosa e quanto’ in aria, perché lo spostamento delle masse d’aria e i processi chimici e fisici in atmosfera modificano le caratteristiche degli inquinanti a cui sono esposti l’uomo e l’ambiente”, spiega Antonio Piersanti, responsabile del Laboratorio ENEA di Inquinamento Atmosferico. Ad esempio, le polveri, trasportate e disperse dal vento, vanno incontro a deposizione sulle superfici e a risospensione successiva, a seconda delle loro dimensioni, che dipendono dal tipo di sorgente; l’ozono, un inquinante tipicamente estivo, non viene emesso direttamente da sorgenti naturali o antropiche, ma si genera in aria da reazioni chimiche che coinvolgono ossidi di azoto e composti organici volatili, cioè sostanze emesse da diverse attività antropiche e dalla vegetazione.

Il nostro algoritmo ha dimostrato di essere uno strumento adeguato per orientare la pianificazione delle politiche di qualità dell’aria, perché rileva la composizione ‘attuale’ e non ‘potenziale’ dell’atmosfera (come in altri metodi), mettendo in luce le principali sorgenti sulle quali agire; successivamente, occorrerà uno studio modellistico completo, con maggiori costi di calcolo, che vada a stimare direttamente gli effetti delle specifiche riduzioni delle emissioni considerate dalle politiche di qualità dell’aria in esame”, sottolinea Piersanti.

Una prima applicazione sperimentale su scala nazionale del metodo ORSA ha già confermato che nei mesi invernali, in Italia, le maggiori concentrazioni di PM10 sono attribuibili al riscaldamento residenziale, specialmente nei centri abitati. Nella Pianura Padana, il traffico e l’agricoltura hanno un impatto rilevante sull’inquinamento dell’aria. Inoltre, ad esempio, in alcune località rurali della Lombardia, le concentrazioni estive di ozono sono prevalentemente originate in altre regioni oppure derivano da alti strati dell’atmosfera confermando che questo inquinante, particolarmente dannoso per la salute e l’ambiente, è originato da contributi non localizzati, ma proviene dal trasporto per centinaia di chilometri e dalla trasformazione chimica di altri inquinanti.

Italia Paese più circolare d’Europa: 1/5 di quello che produciamo viene dal riciclo

L’Italia si conferma il Paese più circolare d’Europa, seguita da Germania, Francia e Spagna, soprattutto per il riciclo dei RAEE (87,1%) e degli imballaggi (71,7%).
Cresce anche il riciclo dei rifiuti urbani (49,2% contro il 48,6% della media Ue), un settore che vede la Germania al primo posto (69,1%). La foto la scatta il sesto Rapporto nazionale sull’economia circolare, realizzato da Circular Economy Network (Cen) ed Enea.

E il risparmio non è solo quello delle famiglie. Quasi un quinto di quello che produciamo viene dal riciclo: nel tasso di utilizzo circolare di materia siamo secondi solo alla Francia. E primi tra le 5 principali economie dell’Unione europea nella capacità di utilizzare al meglio la materia: nel nostro Paese la produttività delle risorse vale mediamente 3,7 euro per chilo, contro la media UE di 2,5 euro per chilo. Il nostro sistema economico e produttivo ama insomma la circolarità, e a farlo sono anche le piccole e medie imprese: il 65% dichiara di mettere in atto pratiche di economia circolare, oltre il doppio rispetto al 2021.

Sono dati di grande attualità perché, a un mese esatto dalle elezioni europee, l’economia circolare è una delle poste in gioco: il futuro del Green Deal passa attraverso la circolarità. E l’Italia da sempre ha un ruolo di primissimo ordine in Europa su questo fronte.

Per la prima volta, in questa edizione del Rapporto, le performance di circolarità delle cinque maggiori economie dell’Unione Europea (Italia, Francia, Germania, Spagna e Polonia) sono state comparate usando gli indicatori della Commissione europea: produzione e consumo, gestione dei rifiuti, materie prime seconde, competitività e innovazione, sostenibilità ecologica e resilienza.
Anche con questi “nuovi” indicatori, risulta confermato il primato dell’Italia (45 punti) in termini di economia circolare, seguita da Germania (38), Francia (30) Polonia e Spagna (26). Il risultato positivo dell’Italia deriva soprattutto dalla gestione dei rifiuti.

Siamo primi in classifica per il tasso di riciclo dei rifiuti. Nello specifico, nel 2021 abbiamo avuto un tasso di riciclo dei rifiuti di imballaggio del 71,7%, 8% in più della media UE27 (64%). Inoltre, il riciclo dei rifiuti urbani in Italia è cresciuto del 3,4% tra il 2017 e il 2022, raggiungendo il 49,2%. La media UE è del 48,6%, la Germania “vince” con il 69,1%.
Torniamo in testa con il riciclaggio dei RAEE: nel 2021 è stato pari all’87,1% (meno due punti percentuali rispetto al 2017), con una media UE dell’81,3%. Tutto ciò a fronte di una produzione media pro capite dei rifiuti urbani di 513 kg nel 2022 nella UE; mentre in Italia siamo passati dai 504 kg/ab del 2018 ai 494 kg/ ab del 2022.

Nel 2022, la produttività delle risorse in Italia ha generato, per ogni chilo di risorse consumate, 3,7 euro di PIL, +2,7% rispetto al 2018. La media UE, nel 2022, è stata 2,5 euro/kg. Anche il dato degli altri quattro principali Paesi europei è inferiore a quello dell’Italia.

Quanto al tasso di utilizzo circolare di materia, cioè il rapporto tra l’uso di materie prime seconde generate col riciclo e il consumo complessivo di materiali, l’Italia conferma la sua posizione nel 2022, con un valore pari al 18,7%.

Gli investimenti in alcune attività di economia circolare nell’UE27 sono stati pari a 121,6 Mld di euro, lo 0,8% del PIL, nel 2021. L’Italia con 12,4 Mld di euro (0,7% del PIL) risulta al terzo posto, dietro a Germania e Francia. Rispetto al 2017, in questo ambito, segniamo però un aumento del 14,5%.

E poi l’economia circolare crea lavoro. Nel 2021 nella UE27 gli occupati in alcune attività dell’economia circolare erano 4,3 milioni, il 2,1% del totale; in Italia 613.000, cioè il 2,4%, +4%
rispetto al 2017; siamo secondi dopo la Germania, che conta in questi settori 785.000 lavoratori (1,7% sul totale).

Il valore aggiunto dell’intera UE relativo ad alcune attività dell’economia circolare nel 2021 è stato di 299,5 Mld di euro, il 2,1% del totale dell’economia; in Italia è pari a 43,6 Mld di euro, 2,5% del totale (era il 2,1% nel 2017). Anche Spagna e Germania lo hanno incrementato, mentre Francia e Polonia l’hanno ridotto.

Dunque, va tutto bene? Non proprio. Ad esempio, il consumo dei materiali in Italia nel 2022 è stato di 12,8 tonnellate/abitante, minore della media europea (14,9 t/ab) ma in crescita (+8,5%) rispetto alle 11,8 t/ab del 2018. Ancora, sempre nel 2022, la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di materiali (46,8%) è più del doppio della media europea (22,4%), anche se in calo (-3,8%) rispetto al 2018. Infine, per ciò che riguarda i brevetti relativi alla gestione dei rifiuti e al riciclaggio, nel 2020 per ogni milione di abitanti ne sono stati depositati 0,46, cioè complessivamente 206 nell’Unione Europea. In Italia solo 21 brevetti (0,36 per milione di abitanti): -25% rispetto al 2016. Nel loro insieme gli indicatori di trend della circolarità, basati sulla dinamica degli ultimi cinque anni, segnalano una certa difficoltà dell’Italia a mantenere la sua posizione di leadership.

Puntare sulla circolarità deve essere la via maestra per accelerare la transizione ecologica e climatica e aumentare la competitività delle nostre imprese”, osserva Edo Ronchi, presidente del Circular Economy Network. “Ancora di più per un Paese povero di materie prime e soprattutto, nel contesto attuale, caratterizzato da una bassa crescita e dai vincoli stringenti del rientro del debito pubblico. L’Italia può e deve fare di più per promuovere e migliorare la circolarità della nostra economia, con misure a monte dell’uso dei prodotti per contrastare sprechi, consumismo e aumentare efficienza e risparmio di risorse nelle produzioni; nell’uso dei prodotti, promuovendo l’uso prolungato, il riutilizzo, la riparazione, l’uso condiviso; e a fine uso, potenziando e migliorando la qualità del riciclo e l’utilizzo delle materie prime seconde”.

“Per avere risultati vincenti e duraturi è necessario rivoluzionare il modo in cui i prodotti vengono progettati e realizzati, integrando criteri di circolarità nei processi produttivi”, gli fa eco la direttrice del Dipartimento Sostenibilità dell’Enea, Claudia Brunori, che ha presentato un approfondimento sull’ecodesign.

In Italia in 17 anni 378 morti per eventi climatici: 321 per frane e valanghe

In Italia, dal 2003 al 2020 gli eventi climatici estremi hanno causato complessivamente 378 decessi, di cui 321 per frane e valanghe, 28 per tempeste e 29 per inondazioni. Le regioni con il maggior numero di decessi e di comuni coinvolti sono risultate Trentino-Alto Adige (73 decessi e 44 comuni), Lombardia (55 decessi e 44 comuni), Sicilia (35 decessi e 10 comuni), Piemonte (34 decessi e 28 comuni), Veneto (29 decessi e 23 comuni) e Abruzzo (24 decessi e 12 comuni), con un alto numero di comuni a rischio riscontrato anche in Emilia-Romagna (12), Calabria (10) e Liguria (10). Tra le regioni ad alto rischio c’è anche la Val d’Aosta con 8 decessi, un numero elevato se si tiene conto degli abitanti complessivi. E’ quanto emerge da uno studio ENEA, pubblicato sulla rivista Safety in Extreme Environment, che ha permesso di identificare le aree del nostro Paese più a rischio di mortalità per eventi climatici estremi.

La mortalità è l’unico indicatore sanitario immediatamente disponibile per tutti i comuni italiani e la Banca Dati Epidemiologica dell’ENEA consente di effettuare studi sull’intero territorio nazionale utilizzando la mortalità per causa come indicatore di impatto”, spiega Raffaella Uccelli, ricercatrice del Laboratorio ENEA Salute e Ambiente e coautrice dello studio insieme alla collega Claudia Dalmastri.

Dallo studio emerge inoltre che circa il 50% dei 247 comuni italiani con almeno un decesso è costituito da centri montani o poco abitati, dove il rischio di mortalità associata a eventi meteo-idrogeologici estremi potrebbe essere connesso alla loro fragilità intrinseca e alle difficoltà degli interventi di soccorso.

A livello demografico le vittime sono state 297 uomini e 81 donne. La ragione di questa disparità fra i sessi potrebbe essere collegata, almeno in parte, a diversi stili di vita, alle attività svolte, agli spostamenti casa-lavoro e ai tempi diversi trascorsi all’aperto”, sottolinea Claudia Dalmastri.

Nel nostro paese, oltre il 90% dei comuni e oltre 8 milioni di abitanti sono a rischio a causa di eventi climatici estremi, in particolare frane (1,3 milioni di abitanti) e inondazioni (6,9 milioni di abitanti). Da gennaio a maggio 2023, si sono verificati 122 eventi meteorologici estremi rispetto ai 52 registrati nello stesso periodo del 2022 (+135%) e le regioni più colpite sono state Emilia-Romagna, Sicilia, Piemonte, Lazio, Lombardia, Toscana. Tutte queste aree, eccetto il Lazio, sono state identificate come a rischio anche nello studio ENEA.

Gli eventi meteo estremi stanno aumentando di frequenza e intensità a causa dei cambiamenti climatici, con conseguenze drammatiche su territori e popolazioni, in particolare sugli over 65, la cui percentuale in Italia è aumentata del 24% in 20 anni. Conoscere le aree a più alto rischio anche per la mortalità associata diventa quindi fondamentale per definire le azioni prioritarie di intervento, allocare risorse economiche, stabilire misure di allerta e intraprendere azioni di prevenzione e di mitigazione a tutela del territorio e dei suoi abitanti”, conclude Raffella Uccelli.

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Clima, l’aumento di CO2 e di metano minaccia il Mediterraneo

L’area del Mediterraneo è sempre più a rischio a causa del continuo aumento delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e di metano (CH4). È quanto emerge dal Report dell’Osservatorio Climatico ENEA ‘Madonie – Piano Battaglia’ che dal 2005 effettua misure settimanali della concentrazione dei due gas e di altri parametri climatici. I dati, che dimostrano la minaccia per il Mediterraneo, sono sovrapponibili a quelli rilevati dall’Osservatorio ENEA di Lampedusa e, su scala globale, da differenti istituzioni internazionali e sono stati presentati alla vigilia della Giornata Meteorologica Mondiale che ricorre domani, 23 marzo 2024, quest’anno dedicata al tema ‘In prima linea nell’azione per il clima’.

“La concentrazione atmosferica di CO2 a Madonie-Piano Battaglia è aumentata dal 2005 con un tasso di crescita di 2.16 ppm/anno a causa delle emissioni antropiche”, evidenzia Francesco Monteleone del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima. “Inoltre – aggiunge – si osserva una forte crescita anche per la concentrazione atmosferica di metano, e lo stesso trend si sta registrando, con una crescita accelerata negli ultimi 15 anni, anche su scala globale”.

L’alta quota, la posizione geografica, l’assenza di contaminazioni locali e l’accuratezza delle misure fanno dell’Osservatorio Climatico ENEA un sito di eccellenza per il monitoraggio e lo studio dei meccanismi legati al cambiamento climatico su scala regionale e globale. Per queste caratteristiche l’Osservatorio ha ottenuto il riconoscimento di stazione regionale, rappresentativo per tutta l’area del Mediterraneo centrale, nell’ambito del Global Atmosphere Watch (GAW), che è la rete mondiale per lo studio del clima globale dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO).

L’Osservatorio Climatico di Piano Battaglia dispone di vari strumenti di misura tra cui una stazione meteorologica e un sistema di campionamento dell’aria per determinare la concentrazione di CO2, metano e monossido di carbonio, i cui campioni vengono spediti e analizzati all’Osservatorio Climatico ENEA di Lampedusa. I dati messi a disposizione della rete mondiale del WMO sono utili alle amministrazioni locali per pianificare le azioni volte a una gestione sostenibile del territorio e a sensibilizzare la popolazione.