Miniere sottomarine, c’è tensione dopo l’ultimo negoziato: le Ong sono preoccupate

Sempre più Paesi chiedono regole ambientali severe prima di procedere all’estrazione dai fondali marini, ma dopo i nuovi negoziati sulla controversa questione, le Ong temono ancora un via libera per l’avvio di un’industria vituperata. “La prima cosa da sottolineare è che l’atmosfera politica è cambiata radicalmente rispetto a un anno fa, quando nessuno Stato si era alzato e aveva detto no all’attività estrattiva”, ha dichiarato Emma Wilson del gruppo Ong Deep Sea Conservation Coalition. In vista dell’ultimo giorno di riunione del Consiglio dell’Autorità Internazionale dei Fondali marini, l’attivista è “molto preoccupata: “c’è ancora il rischio di una richiesta di contratto nel corso dell’anno”.

L’Isa e i suoi 167 Stati membri sono responsabili della protezione e del potenziale sfruttamento dei fondali marini al di fuori delle giurisdizioni nazionali, “patrimonio comune dell’umanità”. L’autorità con sede in Giamaica ha finora assegnato contratti di esplorazione solo a centri di ricerca e aziende in aree ben definite di potenziale ricchezza mineraria. Lo sfruttamento industriale di nichel, cobalto o rame non dovrebbe iniziare prima dell’adozione di un codice minerario in discussione da quasi dieci anni. Le discussioni sono proseguite in seno al Consiglio dell’Iamf, che si è riunito il 16 marzo e continuerà fino a oggi.

Da anni le Ong e gli scienziati segnalano la minaccia di danni inestimabili agli ecosistemi delle profondità marine, ancora poco conosciuti. E sempre più Stati esprimono questa preoccupazione: Canada, Australia, Belgio e altri hanno insistito a Kingston sul fatto che lo sfruttamento non può iniziare senza regole severe. “Il Brasile ritiene che le migliori conoscenze scientifiche disponibili siano insufficienti per approvare qualsiasi progetto di estrazione in acque profonde”, ha insistito l’ambasciatore Elza Moreira Marcelino de Castro. L’ambasciatrice non si è spinta fino a parlare di “moratoria” o “pausa” sullo sfruttamento, una posizione difesa da 14 Paesi, tra cui Francia, Germania, Cile e Vanuatu. “L’estrazione sottomarina non solo danneggerebbe i fondali marini, ma avrebbe anche un impatto più ampio sulle popolazioni ittiche, sui mammiferi marini e sull’essenziale ruolo di regolazione climatica degli ecosistemi di profondità”, ha dichiarato il rappresentante di Vanuatu Sylvain Kalsakau. “Incoraggiamo i nostri vicini del Pacifico che hanno espresso interesse per l’estrazione sottomarina ad allontanarsi dal precipizio”, ha dichiarato.

Questo è un chiaro messaggio per Nauru, che ha messo i bastoni tra le ruote facendo scattare una clausola nell’estate del 2021 che le consente di chiedere l’adozione del codice minerario entro due anni. In caso contrario, il piccolo Stato insulare potrebbe richiedere un contratto minerario per Nori (Nauru Ocean Resources), una filiale della canadese The Metals Company di cui è sponsor, quando tale periodo scadrà il 9 luglio, prima della prossima riunione del Consiglio Iamf di luglio. Ma senza un codice minerario, il Consiglio è attualmente diviso sul processo di revisione di una richiesta di contratto minerario e rischia di dividersi venerdì sera senza un accordo, secondo gli osservatori, che denunciano questa “incertezza”.

Tra i 36 membri dell’organo esecutivo della Iamf, quelli più ostili all’estrazione vogliono regole che rendano più difficile l’approvazione del contratto. Al contrario, il primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre ha dichiarato alla stampa che lo sfruttamento minerario sottomarino non può avvenire “a spese della biodiversità”. Sebbene il rappresentante di Nauru abbia ripetuto che il suo Paese avrebbe aspettato la sessione di luglio prima di presentare una domanda, gli osservatori dubitano che il codice minerario sarà completato per allora. “Sembra che non sia possibile rispettare la scadenza”, ha dichiarato Pradeep Singh, sottolineando le “numerose questioni controverse”.

Ma i sostenitori degli oceani non perdono la speranza. “Lo slancio rimane buono”, ha detto François Chartier di Greenpeace. Facendo leva sulla storica approvazione, all’inizio di marzo, del primo trattato per la protezione delle acque d’altura, spera che gli Stati siano coerenti con questa ambizione in occasione dell’Iamf. E che l’Assemblea dei 167 membri, “più legittima”, possa affrontare la questione della moratoria a luglio.

Oceano

Papa: Proteggiamo il mare da inquinamento ed estrazioni

Proteggere il mare dalle mani dell’uomo. E’ la supplica di Papa Francesco in un messaggio inviato all’ottava conferenza ‘Our Ocean‘ di Panama. L’alto mare è considerato “patrimonio comune” dell’umanità, osserva il Papa, e a noi viene chiesto e richiesto di utilizzare gli oceani “in modo equo e sostenibile“, di trasmetterli alle generazioni future “in buone condizioni“.

Il messaggio porta la firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e tra le righe tutta l’apprensione del Pontefice: “L’inquinamento degli oceani, l’acidificazione, la pesca illegale sono allarmanti e c’è grande preoccupazione per lo sviluppo dell’industria estrattiva sui fondali marini“, si legge. Sono fenomeni che hanno effetti sulla biodiversità, sulla produzione alimentare e sulla salute anche dell’uomo. Sulla terra, l’innalzamento del livello del mare e l’erosione delle coste “minacciano diversi Paesi e i mezzi di sussistenza di molte comunità“, osserva Francesco.

Cosa si può fare di più, meglio, in modo diverso? “Prendere sul serio le implicazioni di ‘Our Connection’ sarebbe saggio e potrebbe offrire spunti di riflessione e di azione“, scandisce, proponendo una visione integrale dell’ecologia, come nell’enciclica Laudato si’.

L’acqua come fattore di connessione. “Vale per i fiumi che irrigano un continente, per le falde acquifere, per gli oceani“. Vale per “il Nostro Oceano“, ribadisce il Papa, quello che non ha confini politici o culturali: “Le sue correnti attraversano il pianeta, evidenziando l’interconnessione e l’interdipendenza tra comunità e Paesi. In molte antiche saggezze e tradizioni religiose esiste un profondo legame tra l’umanità e gli oceani. Siamo una sola famiglia, condividiamo la stessa inalienabile dignità umana, abitiamo una casa comune di cui siamo chiamati a prenderci cura“.

Estrazioni di gas in Adriatico, il governo ‘chiama’ Leonardo e Ispra

Il governo va avanti sulla strategia del gas release, ma non rinuncia al dialogo con il territorio. Al ministero dell’Ambiente e sicurezza energetica, infatti, si riunisce il primo tavolo di confronto sul tema delle estrazioni di nuovo gas italiano in Adriatico, al quale partecipano i ministri Gilberto Pichetto Fratin e Adolfo Urso, la vice ministra Vannia Gava e il governatore del Veneto, Luca Zaia, con i tecnici della Regione. La discussione si è incentrata sulla la necessità di approfondire le problematiche emerse, in particolar modo quelle legate al rischio subsidenza, oltre alle criticità segnalate dalle comunità locali e dai sindaci rispetto alla nuova possibilità di estrazione del metano, specialmente in Alto Adriatico, con la necessità di ottenere in via prioritaria garanzie tecnico-scientifiche a tutela dell’ambiente.

Non solo, perché i responsabili di Mase e ministero delle Imprese e il made in Italy concordano con il presidente della Regione Veneto di coinvolgere, in via preliminare, alcune eccellenze italiane nel campo della ricerca: da Leonardo a Ispra, insieme alle Università del territorio, che andranno così ad affiancare tecnici e studiosi nel percorso di analisi e approfondimento del tema. Per avere un’angolatura più ampia possibile, inoltre, il tavolo istituzionale sarà affiancato anche da un tavolo tecnico prettamente, che sarà utile per fornire strumenti e studi a carattere scientifico nell’ambito delle estrazioni di gas.

Restando sulla questione energetica, durante la prosecuzione dell’audizione davanti alla commissione Ambiente del Senato, Pichetto è tornato sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Perché conta di “chiudere nelle prossime settimane” alcune misure per favorire lo sviluppo delle fonti alternative. Tra queste c’è “il decreto attuativo per l’individuazione delle aree idonee alla realizzazione di impianti di energia rinnovabile“, che ormai “è in fase di finalizzazione. Ma non è l’unica novità, perché “anche per quanto riguarda il Fer 2, la cui gestazione è stata particolarmente lunga, siamo alle battute finali“, assicura il ministro. Il decreto, su cui sono stati già acquisiti i pareri del ministero dell’Agricoltura e dell’Arera, è in continuità con il Fer 1 e ha come obiettivo “l’incentivazione della produzione di energia elettrica dalle fonti geotermiche tradizionali a ridotte emissioni, geotermia a emissioni nulle, eolico offshore, impianti fotovoltaici, floating, impianti a energia mareomotrice e altre forme di energia marina, biomasse, biogas, solare termodinamico che presentino caratteristiche di innovazione e ridotto impatto su ambiente e territorio“. In totale, saranno liberati “complessivamente, 4.590 megawatt di impianti, circa 4,5 gigawatt“.

Per il nucleare, invece, i tempi saranno ben più lunghi. Visto che “le competenze su ricerca e impiego restano in capo ad Enea“, ma l’auspicio è che “nell’arco di 10-15 anni possa essere implementata la tecnologia di quarta generazione, che sarà un vettore tecnologico di transizione, propedeutico all’approccio finale di fusione nucleare“. Quindi – spiega Pichetto -, “non è un’immediatezza ma dobbiamo tenere il passo con la ricerca, le competenze e le capacità“. Non sarà lo stesso, fortunatamente, sul clima: il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, infatti, “a giorni dovrebbe essermi consegnato a seguito di una lunga procedura di confronti e valutazioni“.