Europee, Ppe si conferma primo partito. Von der Leyen vuole ampia maggioranza

In base all’ultima proiezione su dati reali del Parlamento europeo (alle 19.30 di lunedì 10 giugno), il Partito popolare europeo (Ppe) si conferma primo gruppo dell’Aula con 186 deputati. A seguire l’Alleanza progressista dei socialisti e democratici (S&d) con 135 seggi, i liberali di Renew Europe con 79, i riformisti e conservatori europei con 73, Identità e democrazia con 58, i Verdi con 53. Seguono poi gli eletti non affiliati ad alcun partito (55), i non iscritti 45 e la Sinistra con 36. L’Italia si conferma la presenza maggiore sia in Ecr, con 24 eletti, che nel gruppo S&d, dove i 21 deputati fanno del Pd il primo partito d’Europa.

Regge la maggioranza uscente composta da popolari, socialisti e liberali, che totalizzano 400 deputati, e che, fin da subito, si metteranno in contatto per iniziare un dialogo politico. La candidata popolare al bis alla Commissione, Ursula von der Leyen, vuole una maggioranza ampia. “Quello che i cittadini vogliono è un’Europa che produca risultati. A partire da domani inizierò a costruire un’ampia coalizione per un’Europa forte. Insieme ad altri costruiremo un bastione contro gli estremi di destra e di sinistra”, ha scritto su X.

Mentre socialisti, liberali e verdi sottolineano l’importanza della responsabilità e di una cooperazione tra le forze democratiche dell’Aula. “Desidero che formiamo una coalizione pro-europea il più consolidata possibile”, ha scandito la presidente del gruppo Renew Europe, Valerie Hayer. “La coalizione resterà così come l’abbiamo conosciuta nel mandato precedente, cioè composta da Ppe, S&d e RE? I Verdi vogliono unirsi a noi? Penso che vada innanzitutto considerato il programma per i prossimi anni, quale valore aggiunto vogliamo portare. Come presidente di RE ho a cuore le priorità del mondo liberale, centrista: l’Europa della difesa, un’Europa che sia più competitiva, lo stato di diritto, la preservazione delle ambizioni sul Patto verde che è stato la colonna vertebrale del nostro mandato. Dovremo trovarci su valori e priorità politiche fondamentali”, ha aggiunto.

Dal canto loro, i socialisti, hanno ribadito attraverso il loro candidato Nicolas Schmit di essere “aperti a una forte cooperazione con tutte le forze democratiche di questo Parlamento” ma di non dare alcuna “possibilità alla cooperazione con quanti vogliano smantellare e indebolire quest’Europa costruita in molti decenni”. I Verdi, che 5 anni fa bocciarono von der Leyen, ora si dicono responsabili e aperti ad una possibile collaborazione, in base al programma che sarà delineato.

Quello che è certo è che la costituzione dei gruppi politici sta prendendo avvio in queste ore, mentre già lunedì prossimo i capi di Stato e di governo si incontreranno informalmente a cena, a Bruxelles, per provare a trovare la quadra sui nomi apicali della prossima legislatura Ue.

Europee, Fdi ancora primo e Forza Italia supera la Lega. Sorpresa Pd e Avs, Renzi e Calenda fuori

Una conferma e diverse sorprese, sia in senso positivo che negativo. Prima di tutto, però, va sottolineato il dato dell’affluenza, che si ferma al 49,69 percento, un brusco passo indietro rispetto al 56,09 di cinque anni fa, ma anche nel confronto con il 63,91 del 2022. Le urne delle elezioni europee consegnano una fotografia del Paese che, tutto sommato, rispecchia l’attuale composizione di Parlamento e governo, con Fratelli d’Italia che si attesta al 28,8% aumentando di quasi tre punti percentuali la sua performance rispetto alle Politiche, ma diminuendo il numero di voti assoluti di oltre 700mila (nel 2022 furono 7,3 milioni, quasi due anni dopo sono 6,7 milioni). Alle sue spalle si piazza il Partito democratico, tra le rivelazioni di questa tornata, che balza al 24,08% con un buon recupero di preferenze: 5,6 milioni contro i 5,3 milioni di due anni fa. Un’altra, inaspettata sorpresa è sempre nel campo progressista, con l’Alleanza verdi sinistra che per la prima volta nella sua storia sfonda il muro del 6% e per lunghi tratti dello spoglio si è avvicinata al 7.

Chi trae nuova linfa vitale da queste europee è sicuramente Forza Italia, che proprio alla vigilia delle commemorazioni del primo anno dalla scomparsa del suo fondatore e leader, Silvio Berlusconi, sorpassa la Lega nella partita interna al centrodestra. Gli azzurri di Antonio Tajani, infatti, si attestano al 9.61% (2,2 milioni di voti) e staccano gli alleati del Carroccio, fermi al 9 percento, che resta un risultato accettabile per i vertici, considerando che alle Politiche presero l’8,77. Se si contano le preferenze, invece, il discorso cambia, perché il gruppo guidato da Matteo Salvini nel 2022 fu scelto da oltre 2,4 milioni di italiani mentre adesso solo da quasi 2,1 milioni. Nel complesso, la tenuta della Lega è soprattutto merito del generale, Roberto Vannacci, che prende in totale oltre 541mila voti sommando i risultati delle cinque circoscrizioni in cui era candidato. In questo senso, tra le sorprese c’è sicuramente il sindaco uscente di Bari, Antonio Decaro, presidente dell’Anci, che in una sola circoscrizione, quella meridionale, taglia il traguardo delle 496mila preferenze.

Capitolo a parte merita il Movimento 5 Stelle, vero sconfitto di queste consultazioni assieme alla lista Stati Uniti d’Europa di Matteo Renzi ed Emma Bonino (3,76% e 875mila preferenze) e Azione-Siamo europei di Carlo Calenda (3,35 percento e 778mila voti). Ma è clamoroso il crollo dei pentastellati di Giuseppe Conte, finiti un filo sotto il 10% (9,99 per la precisione), con 2,3 milioni di voti: il peggior risultato della sua storia, ma soprattutto una debacle in confronto al 15,4 percento delle politiche, quando ottenne la fiducia di 4,3 milioni di italiani. Se la macchina del tempo resta al 2022 fa parecchio rumore anche il doppio tonfo di Calenda e Renzi, che all’epoca, uniti nel progetto di Terzo Polo, portarono a casa il 7,79% e oltre 2,1 milioni di voti, mentre oggi, divisi, non superano la soglia di sbarramento e rimangono fuori dal prossimo Parlamento Ue.

Fuori dai giochi anche tutto il resto delle liste che si erano presentate: da Libertà di Cateno De Luca e dell’ex vice ministra dell’Economia, Laura Castelli, a Pace terra e dignità di Michele Santoro, ad Alternativa Popolare di Stefano Bandecchi, Partito animalista-Italexit per l’Italia e Democrazia sovrana popolare.

Europee, la gioia di von der Leyen: “Ppe garantisce ancora stabilità”

Il centro pro-europeista ha tenuto ed è con quel centro che dobbiamo andare avanti a lavorare”. Lo ha dichiarato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, nel corso della notte elettorale all’Eurocamera a Bruxelles. Un concetto che, sottolineato anche dalla presidente della Commissione e candidata di punta al bis per il Partito popolare europeo (Ppe), Ursula von der Leyen, è stato il leitmotiv della serata, insieme al richiamo alla responsabilità e all’apertura dei Verdi ad intervenire per dare stabilità alla maggioranza.

La notte si è conclusa con le ultime proiezioni del Parlamento europeo, alle 3 del mattino, che davano il Ppe come primo partito dell’Aula con 184 seggi. La crescita del gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr) e di Identità e democrazia (Id), invece, non è riuscita a portare una delle due formazioni alla terza posizione nella lista dei partiti più nutriti nell’aula, scansando via i liberali di Renew Europe e sparigliando le carte della maggioranza Ursula. Alla fine, popolari, socialisti e liberali tengono e mantengono la maggioranza numerica, con 403 deputati.

“Oggi è una buona giornata per il Ppe, abbiamo vinto le elezioni, siamo il partito più forte, siamo l’ancora della stabilità e il voto ha riconosciuto la nostra leadership nei passati 5 anni”, ha dichiarato von der Leyen poco prima di mezzanotte dal palco allestito nell’aula plenaria, usata come grande sala stampa. “Queste elezioni ci danno due messaggi: il primo è che la maggioranza rimane nel centro per una Europa forte e questo è cruciale per la stabilità. In altre parole, il centro tiene. Ma è anche vero che gli estremi a destra e a sinistra hanno ottenuto sostegno e perciò il risultato ottenuto comporta grandi responsabilità per i partiti al centro”, ha continuato. “Magari su singoli punti abbiamo divergenze, ma abbiamo tutti interesse nella stabilità e vogliamo una Europa forte ed efficace”, ha aggiunto von der Leyen. “Da domani contatteremo le grandi famiglie politiche della piattaforma, cioè S&d e Renew Europe, con cui abbiamo lavorato bene nei passati 5 anni. Ci basiamo su relazioni costruttive già avviate. Ho sempre detto di voler costruire una ampia maggioranza per una Europa forte e ho dimostrato nel primo mandato cosa può raggiungere un’Europa forte. Il mio obiettivo è continuare su questa strada con gli europeisti, a favore dell’Ucraina e dello stato di diritto. Da domani questo lavoro continua”, ha specificato von der Leyen. E rispetto alla sua corsa per il bis a Palazzo Berlaymont ha aggiunto: “So che c’è del duro lavoro davanti a me. Sono felice di affrontare questo lavoro, ma sono decisamente fiduciosa per quanto riguarda la mia corsa per il secondo mandato. Di sicuro si tratta di una scelta che è dei capi di Stato e di governo, ma sono fiduciosa di poter ottenere il sostegno al Consiglio europeo”, ha evidenziato. “Guardando al Parlamento, invece, per prima cosa contatteremo quelli con cui abbiamo lavorato bene, S&d e Re. E’ il primo passo, poi si parlerà dei successivi”, ha precisato a chi chiedeva se fosse disponibile a far entrare i Verdi nella maggioranza.

Sì perché l’altro punto da sottolineare della notte elettorale è l’apertura dei Verdi alla cooperazione con von der Leyen. “Come Verdi siamo amareggiati per i numeri, soprattutto per le perdite in Francia e Germania. Ma siamo felici che ci siano stati diversi risultati e che ci saranno nuovi ingressi”, ha dichiarato dal palco uno dei due candidati dei Verdi alla guida della Commissione, Bas Eickhout. “I Verdi avranno un ruolo costruttivo e responsabile. Le sfide europee sono troppo grandi per fare giochetti politici. Se guardate alle sfide, il futuro delle politiche climatiche, della sicurezza e della democrazia europea, è molto chiaro che abbiamo bisogno di una maggioranza stabile in questa aula per dare risposte ai cittadini e noi Verdi siamo pronti ad assumerci questa responsabilità. Ovviamente sulla base del programma potenziale, ma siamo pronti”, ha sottolineato. Poco prima di lui, il capo gruppo dei Verdi, Philippe Lamberts, era stato anche più preciso precisato: “Se vogliamo che la terra continui ad essere abitabile per gli umani, il Green deal deve potenziarsi e se vogliamo che la società sia più sicura per tutti le forze democratiche devono unirsi come mai prima. Per noi è importante il programma, non la persona. Per noi è fondamentale l’approfondimento del Green deal e il rafforzamento della democrazia europea. E spero che ciò sia al centro di quanto von der Leyen intenderà raggiungere, se il Consiglio la presenterà per il secondo mandato. E abbiamo bisogno di vedere l’impegno per sostenerla”.

Infine, i socialisti che, con il candidato di punta Nicolas Schmit, si confermano pronti alla maggioranza con Ppe, ma senza Ecr o Id. “Siamo aperti a una forte cooperazione con tutte le forze democratiche di questo Parlamento. Come secondo gruppo che mantiene più o meno il numero dei suoi membri in questo Parlamento, siamo pronti a negoziare un accordo per i prossimi anni per rendere l’Europa più forte, più democratica, più sociale, più forte economicamente e più sicura. Sono molto contento di vedere che le forze democratiche sembrano trovare il loro modo per unirsi e lavorare insieme. Quindi non c’è possibilità per noi socialdemocratici di cooperare con quanti vogliano smantellare e indebolire quest’Europa costruita in molti decenni”, ha sottolineato Schmit.

Europee 2024, al voto 360 mln di cittadini: tra virate a destra e maggioranze difficili

Urne aperte per rinnovare il Parlamento più grande al mondo: quello europeo. Quattro giorni di votazioni, circa 360 milioni gli aventi diritto (47,3 milioni di italiani), 27 Stati coinvolti, 720 seggi (di cui 76 per gli italiani). Questo è il contenitore complessivo delle elezioni europee del 2024, anche se una delle domande ricorrenti di queste ore riguarda il possibile astensionismo. Cinque anni fa, i partecipanti al voto aumentarono dell’8,3% rispetto alla volta precedente e l’affluenza arrivò a sfiorare il 51%, trainata dai giovani.

In base ai dati di Eurobarometro raccolti dopo il voto del 2019, infatti, i cittadini sotto i 25 anni alle urne erano aumentati del 14% rispetto al 2014 e quelli di età tra i 25 e i 39 anni del 12%. Ad essere motore di quella scelta fu, in base all’indagine, l’economia e la crescita (per il 44%) e i cambiamenti climatici (37%), ma anche i diritti umani e la democrazia (37%), il modo in cui l’Ue dovrebbe funzionare in futuro (36%) e l’immigrazione (34%). Anche la Brexit fu una ragione per andare alle urne, per il 22%. “L’aumento molto significativo della partecipazione alle elezioni europee di maggio dimostra che i cittadini, soprattutto le giovani generazioni, apprezzano i loro diritti democratici e credono che l’Unione europea sia più forte quando agisce all’unisono per rispondere alle loro preoccupazioni“, commentò l’allora neoeletto presidente, David Sassoli. E la legislatura Ue salpò, cercando di utilizzare per le proprie vele anche il vento verde, soprattutto delle generazioni più giovani, che arrivava dalle piazze. Tant’è che nelle primissime settimane sembrava addirittura possibile una maggioranza arcobaleno, che includesse, oltre a popolari (Ppe), socialisti (S&d) e Liberali (Renew Europe), anche i Verdi.

Non andò così, ma la prima Commissione guidata da una donna, che ha chiesto, e ottenuto, la parità di genere per il suo collegio dei commissari, iniziò a lavorare avendo al centro il Green deal, la transizione digitale, un ruolo più geopolitico per l’Ue, lo stato di diritto, le migrazioni. Poi sono arrivate la pandemia di Covid-19, la guerra di aggressione all’Ucraina e, collegate, le diverse crisi: sanitaria, economica, energetica e di sicurezza. Molte risposte date dall’Ue sono state nuove: per la prima volta nella sua storia l’Ue ha concepito la possibilità di emettere debito comune per far fronte alle conseguenze della crisi sanitaria con il Next Generation Eu; ha comprato vaccini in comune; ha dato il via agli acquisti congiunti di gas (non russo) e perfino di armi, solo per citare qualche esempio.

C’è stato, dunque, uno scatto in comune, un pensare in modo europeo e non più solo nazionale. Ma, allo stesso tempo, la pretesa iniziale non è riuscita ad arrivare fino alla fine. L’annacquamento del Green deal per incontrare il favore degli agricoltori, tanto che una alleggerita legge sul ripristino della natura è ancora in stallo; il Patto su migrazione e asilo, giudicato da molte accreditate associazioni dei diritti umani un passo indietro nei diritti universali e nelle garanzie delle persone migranti; l’ammiccamento alle destre, di contro al ‘cordone sanitario’ che si era proclamato a inizio legislatura, rischiano, a detta di molti, di tenere tanti elettori di 5 anni fa a casa, soprattutto tra i più giovani. Sono oltre 22 milioni i nuovi elettori questa volta (2,8 milioni quelli italiani) e secondo un recente sondaggio Eurobarometro, in Italia, due su tre di loro vogliono utilizzare il proprio diritto di voto ed esprimere la propria voce. Ma in che verso? In base agli ultimi sondaggi, a perdere maggiormente seggi saranno i liberali (-20) e i verdi (-18) seguiti da un modesto calo di 5 deputati per i socialisti. A guadagnare saranno il gruppo Id (24), Ecr (12) e la sinistra (6). Anche il Ppe dovrebbe crescere, di 6 seggi. Dunque, Ppe e Socialisti continueranno a essere i due gruppi più numerosi, ma al terzo posto potrebbe esserci Id, sostituendo i liberali. E al quarto, l’Ecr.

Ovviamente siamo nel campo delle ipotesi e anche i sette gruppi parlamentari della legislatura uscente attendono, ovviamente, i risultati delle urne per capire come far pesare vecchi e nuovi rapporti di forza, per rinnovare o ribaltare le alleanze decisive per la maggioranza. Al momento l’opzione più quotata sembra una riconferma del patto delle forze europeiste che ha retto in questa legislatura, la cosiddetta ‘maggioranza von der Leyen’: Partito popolare europeo (Ppe), Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (S&d) e liberali, Renew Europe.

Anche se i popolari da tempo stanno considerando un potenziale spostamento verso destra, sia per un’intesa liberali-popolari-conservatori come auspicato dal presidente del Ppe, Manfred Weber, sia per l’apertura esplicita arrivata dall’attuale presidente della Commissione e candidata per il Ppe, von der Leyen, alla premier italiana, Giorgia Meloni. Se si considera, però, che non è possibile, secondo i sondaggi attuali, una maggioranza di popolari e conservatori da soli, un’opzione sarebbe un campo larghissimo di destra Ppe-Ecr-Id, ma la quasi totalità dei popolari considera assolutamente impraticabile questo tipo di scenario per via della presenza, in Id e anche in Ecr, di forze estremiste ed anti-Ue. Ma lo scenario dell’abbraccio Ppe-Ecr non è impensabile neanche alla parte socialista. Non a caso, i leader politici progressisti hanno promesso di non cooperare né di formare “mai” una coalizione con l’estrema destra. Altrimenti detto: nessuna alleanza con Ecr o Id al Parlamento europeo.

Le due sfide delle Europee: astensionismo e nuovo Green Deal

Un italiano su due. La previsione di voto di sabato e domenica per le elezioni europee è questa. Ed è una previsione nefasta perché, se davvero sarà aderente alla realtà, significa abbassare ulteriormente la percentuale di votanti del 2019, tristemente attestata al 54,50%. Eppure mai come questa volta è importante recarsi alle urne ed esprimere una preferenza, di qualsiasi colore: in fondo, non c’è bisogno di essere un politologo per capire che, se non decidiamo (anche) noi, qualcuno deciderà per noi. Che non è cosa né buona né giusta.

Dunque, la prima sfida è quella dell’affluenza alle urne. E dipende da noi. La seconda è quella di un’Europa più forte e più coesa, più performante e più di buonsenso. E questo dipende da chi siederà sugli scranni di Strasburgo e occuperà le stanze di Bruxelles. Dei 705 eurodeputati, 76 sono italiani, insomma, il 10%, qualcosa si può dire e si può fare. La terza, che è figlia legittima delle altre due, riguarda il green deal, o come si chiamerà il nuovo pacchetto di misure per affrontare il tema ineludibile della decarbonizzazione, per mettere un freno ai cambiamenti climatici, per non essere vasi di coccio nella morsa tra Stati Uniti e Cina. Tema, quello dell’ambiente e di cosa ne consegue, che però è stato appena sfiorato dalle forze in campo. Per lo meno in Italia. Hanno tenuto banco la sanità e la pace, la Difesa comune e le armi all’Ucraina, il toto presidente della Commissione: Draghi sì o Draghi no? Giorgetti o Fico? C’è chi ha paventato il rischio di trasformare una delicatissima elezione europea in una conta a uso interno: nel caso fosse, si tratterebbe un rischio pericolosissimo. E’ come litigare all’assemblea di condominio per le spese del giardino mentre brucia il palazzo.

Di Green Deal, comunque, si è parlato molto nei nostri #GeaTalk. Perché, alla resa dei conti, le misure che dovranno essere prese o le correzioni che dovranno essere apportate a quelle già esistenti, andranno a impattare pesantemente sulla vita dei cittadini. Dalle auto elettriche alle case green, dagli imballaggi alle pompe di calore, dalla nuova Pac ai fitofarmaci, dai pannelli alle pale: qualcuno ha dimenticato, forse scientemente rimosso, eppure dal 10 giugno saranno tematiche che ci accompagneranno nella discussione collegiale con gli altri 26 Paesi d’Europa e che si infileranno nelle nostre tasche e nei conti correnti delle aziende, piccole o grandi che siano. Ore di talk per certificare che il green (good?) deal va rivisto alla luce di cosa è accaduto – e non è poco – dal Covid in avanti. Questione di modi e di toni, spesso però di purissima sostanza. E’ emerso un rifiuto netto per l’ideologia ‘tout court’, è affiorata la necessità di normare la transizione verde con regole e tempistiche flessibili oltre che con meno burocrazia, qualcuno ha portato avanti l’idea di una eco-patrimoniale per finanziare l’azione verde. Il nodo centrale, d’altronde, è la reperibilità dei fondi senza squassare l’economia.

Che soffi forte il vento e che scaldi molto il sole: questo se lo augurano tutti. Ma per alcuni la via d’uscita è il nucleare, per altri di gas dovremo vivere almeno per i prossimi dieci anni. I combustibili fossili non sono una parolaccia ma un termine che, a medio termine, dovrà diventare desueto. Del resto, la transizione ecologica non può essere scollata da quella energetica, che determina le strategie del mondo industriale e che fa battere il cuore ai grandi Gruppi, italiani e non. Ai #GeaTalk nessuno si è nascosto, qualcuno si è esposto, come sempre la campagna elettorale è stata teatro di slogan e promesse, di ripicche e rilanci. Niente di nuovo, ci sta. Ma la prima sfida da vincere era e resta l’affluenza alla urne. L’indifferenza è esiziale, menefreghismo fa rima con autolesionismo. Si può e si deve votare senza rinunciare alla tintarella di questa primavera tarocca. Già, i cambiamenti climatici…

Europee, dal Recovery al nuovo Patto di stabilità: i 5 anni economici della legislatura

Recovery fund, revisione del Patto di stabilità e crescita, riforma della Politica agricola comune (Pac). Sono alcuni dei grandi dossier economici che il Parlamento europeo ha affrontato, insieme alle altre istituzioni comunitarie, Consiglio e Commissione, in questi 5 anni di legislatura al termine. “Nel 2020, i negoziatori del Parlamento sono riusciti a ottenere per l’Ue il più grande pacchetto finanziario di sempre per far fronte alle conseguenze della pandemia di Covid-19 e finanziare una nuova generazione di programmi dell’Ue per il periodo 2021-2027”, ha sottolineato il Parlamento europeo rispetto al Recovery fund in una serie di schede con cui tira le somme del lavoro fatto.

DALLA PANDEMIA ALLA GUERRA IN UCRAINA. Il più grande Parlamento al mondo ha dovuto affrontare, insieme a Consiglio e Commissione, un periodo di crisi – pandemia e guerra – che ha spinto i Ventisette e le istituzioni comunitarie a fare i conti con le proprie capacità. In questo contesto, la Camera ha ricordato che, per sostenere ulteriormente l’Ucraina, rafforzare l’autonomia industriale dell’Ue e finanziare la politica migratoria, i deputati hanno chiesto e ottenuto una revisione intermedia e un aumento del bilancio a lungo termine. E ha specificato che, oltre al bilancio a lungo termine dell’Unione e al dispositivo per la ripresa e la resilienza, lo strumento per la ripresa del valore di 750 miliardi di euro che fa parte di NextGenerationEu (Recovery), sono state adottate, e poi integrate nel RePowerEu, misure a sostegno delle regioni e delle persone vulnerabili, come il Fondo per una transizione giusta e il Fondo sociale per il clima, per accelerare la transizione verso la neutralità climatica e ridurre la dipendenza dall’energia russa. “Il Parlamento è anche riuscito a far approvare una tabella di marcia giuridicamente vincolante per l’introduzione di nuove risorse proprie a copertura del rimborso dei prestiti assunti per NextGenerationEu”, ha precisato il Parlamento.

OBIETTIVI CLIMATICI E DIGITALI. Nel 2023, infatti, i deputati hanno sostenuto l’introduzione di 3 nuove fonti per il bilancio: le entrate previste nel sistema di scambio di quote di emissione, quelle del meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere e gli utili delle imprese. In quanto autorità di bilancio, il Parlamento esamina le spese che incidono sul bilancio e i piani nazionali per la ripresa finanziati con il dispositivo per la ripresa e la resilienza. Per poter ricevere finanziamenti dall’Ue, gli Stati devono rispettare gli obiettivi climatici e digitali, lo Stato di diritto e i valori fondamentali dell’Unione. In caso contrario, il Parlamento può fare pressione sulla Commissione affinché trattenga i pagamenti nell’ambito del meccanismo sulla “condizionalità dello Stato di diritto”. E questo è stato il caso per l’Ungheria: il Parlamento ha contestato lo sblocco da parte della Commissione di 10,2 miliardi di euro di fondi di coesione dell’Ue per Budapest.

FOCUS SUL LAVORO. Sul fronte delle retribuzioni, in questi 5 anni i deputati europei “hanno negoziato con gli Stati membri l’introduzione di salari minimi nazionali e una legge per garantire in tutta l’Ue la parità di retribuzione tra uomini e donne per lo stesso lavoro” e hanno approvato “una normativa che mira ad assicurare giustizia sociale e dignità ai lavoratori dei fornitori di servizi che operano tramite piattaforme digitali e a porre fine al falso lavoro autonomo”. In questo campo, i deputati hanno chiesto agli Stati di rafforzare i programmi di reddito minimo e di vietare lo sfruttamento dei tirocinanti. Per quanto riguarda il lavoro nel settore creativo e culturale, poi, i deputati hanno chiesto nel 2023 una nuova legislazione Ue sullo status sociale e sulle condizioni di lavoro degli artisti e degli altri professionisti che lavorano nella cultura. Dall’Aula in questi anni è uscito anche un divieto assoluto ai prodotti realizzati con il lavoro forzato, sia all’interno che all’esterno dell’Ue, obbligando il ritiro di questi oggetti dal mercato, e norme per introdurre requisiti di trasparenza per i servizi di affitto a breve termine. “Il Parlamento ha anche adottato nuove regole per le operazioni finanziarie in criptovalute, così che queste possano essere tracciate allo stesso modo dei trasferimenti di denaro tradizionali”, ha proseguito il Parlamento.

PIANO INDUSTRIALE EUROPEO. A febbraio 2023, l’Aula ha poi votato a favore dell’istituzione di un nuovo Piano industriale per l’Ue per consolidare e trasferire le capacità di produzione industriale in Europa e norme per riformare il mercato dell’elettricità e proteggere i consumatori da impennate dei prezzi, per la decarbonizzazione del mercato del gas, per sostenere l’approvvigionamento sufficiente di materie prime rare nell’Ue, e la legge sull’industria a zero emissioni. “Questo ‘pacchetto competitività’ dovrebbe favorire la produzione di tecnologie energetiche pulite e aiutare le industrie dell’Ue a creare posti di lavoro di alta qualità e a stimolare la crescita economica per raggiungere gli obiettivi del Green deal”, ha commentato il Parlamento. Infine, nell’ultima plenaria della IX legislatura, il Parlamento ha approvato la riforma della governance economica nell’Ue (il nuovo Patto di stabilità e crescita), “con l’obiettivo di rendere le norme più chiare, più favorevoli agli investimenti e più adattabili alla situazione di ciascun Paese” nel rientro dei livelli di debito, e ha dato l’ok alla revisione della politica agricola comune (Pac) “per alleggerire gli oneri amministrativi degli agricoltori dell’Ue e introdurre una maggiore flessibilità”.

Green Deal, Bonelli: Su obiettivi von der Leyen ha cambiato idea per farsi rieleggere

“Dove è stato applicato il Green Deal? Il Green Deal non ha avuto nessun tipo di applicazione. Noi abbiamo degli obiettivi climatici, voluti anche dal von der Leyen, che poi ha cambiato idea per farsi rieleggere. Stiamo parlando di alcuni problemi, come i pesticidi, messo da parte per fare un favore all’agroindustria. Questo è il punto. La norma del 4% dei terreni messo a riposo è nella Pac, che non abbiamo mica votato noi, l’ha votata anche Fdi. C’è un livello incredibile di mistificazione della realtà a proprio uso che prescinde dai contenuti. Il Green Deal va applicato, investendo sulle rinnovabili, facendo una legge sullo stop del consumo di suolo, facendo una politica di efficientamento delle case. Nella prossima finanziaria ci sarà un taglio di 12-13 miliardi di euro sulla spesa pubblica. Perché dobbiamo tagliare la sanità, trasporto pubblico, quando in questo paese 62 persone hanno un patrimonio di 230 miliardi di dollari? Qualcuno che ha tanto, può dare qualcosa al proprio Paese?”. Così l’esponente di Avs, Angelo Bonelli, intervenendo al Gea Talk.

Avs, Bonelli: Candidatura di Salis è battaglia per democrazia

“La scelta della candidatura di Ilaria Salis? C’era una donna da 16 mesi in detenzione preventiva a cui sono stati negati diritti fondamentali, una vergogna totale. Di fronte a questa barbarie, che si aggiunge alla barbarie di un governo, quello di Orban, già condannato più volte per violazione dei diritti umani, la vediamo come una battaglia per la democrazia”. Così l’esponente di Avs, Angelo Bonelli, intervenendo al Gea Talk.

Case Green, Fratoianni: Eco-patrimoniale? Balle, non parla di costi a carico dei proprietari

“L’eco-tassa patrimoniale è già quella delle Case Green? Stanno raccontando una balla. In quella direttiva non c’è scritto da nessuna parte, e sfidiamo chiunque a dimostrare il contrario, che i costi dell’adeguamento siano obbligatoriamente a carico dei proprietari. Nessuno dice ‘devi pagare quella cosa o incorri in una sanzione’. Quella direttiva dice agli Stati membri di predisporre un piano”. Lo dice il deputato di Avs e leader di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, ai microfoni del Gea Talk. “Smontiamo l’imbroglio della destra e poi costruiamo gli strumenti”, aggiunge.

Case green, Castelli (Libertà): “Non conta ambiente, è aggressione a patrimoni immobiliari”

Dietro Case Green non c’è l’ambiente, dietro Case Green c’è la necessità di aggredire i patrimoni immobiliari, patrimoni che in Italia sono molto presenti e che sono la cultura del nostro Paese“. Così Laura Castelli, candidata alle elezioni europee per la lista Libertà, durante il GeaTalk. “Tu non puoi dire a una famiglia: devi per forza mettere da parte 50-60mila euro per fare la ristrutturazione energetica della tua casa, anche se non ce l’hai e se non ce l’hai vai in banca che ti diamo un mutuo a tasso agevolato. Se non riesci a farlo arriva una Imu europea che ti fa pagare ciò che non riesce a risparmiare a livello di emissioni di CO2. In più la tua casa non varrà più per dov’è collocata, ma in relazione a questo concetto di riduzione delle emissioni di CO2, quindi viene svalutata“, sottolinea. E poi attacca: “Questa spesa obbligatoria senza incentivi da parte dell’Europa è follia“.