Adesso anche il Pd torna a occuparsi di industria? Domande alla segretaria Schlein

In una recente intervista al ‘Corriere della Sera’ Romano Prodi afferma che “l’industria italiana è in grave crisi così come quella tedesca, ma a differenza che in Germania da noi non se ne discute. Non lo fa neppure Confindustria”, e a proposito del Pd di Elly Schlein l’ex presidente della Commissione Europea afferma “non vedo grandi discussioni, a partire dalla direzione e dalla segreteria sulla politica industriale”.

Per la prima parte non mi sento di condividere le affermazioni di Prodi.

Mettere sullo stesso piano la situazione dell’industria tedesca con quella dell’industria italiana non tiene conto delle specificità del nostro sistema industriale, più volte richiamate su queste pagine, e in particolare della sua maggiore diversificazione e resilienza rispetto a quello della Germania, molto più concentrato su automotive e chimica, due settori oggi in grave crisi.

Non può invece essere in grave crisi almeno per ora un’industria manifatturiera come quella italiana, prevalentemente costituita da pmi a conduzione familiare, che è diventata la quarta in termini di esportazioni mondiali superando Giappone e Corea del Sud e che, in un momento di caduta generale della competitività dell’industria europea, mostra tutta la sua forza e il suo vantaggio competitivo fatto di intensità di lavoro delle famiglie proprietarie e dei loro collaboratori, di qualità dei prodotti, di design, bellezza, innovazione ecc.

Inoltre è ingeneroso dire che Confindustria non si occupa della situazione dell’industria nazionale e che non parla delle difficoltà che pure ci sono. La presidenza di Emanuele Orsini, fin dalle prime battute, ha posto con coraggio temi centrali per il futuro dell’industria europea e italiana e per la loro competitività, quali quelli del prezzo dell’energia e della necessità del nucleare di quarta generazione; delle distorsioni ideologiche del “green deal” che, se gestito come si è fatto fino ad oggi, rischia di trasformare la decarbonizzazione in desertificazione industriale; della crisi dell’automotive e della necessità di applicare il principio della “neutralità tecnologica”, che significa non cancellare i motori endotermici ma sviluppare accanto all’elettrico anche i biocombustibili e i combustibili sintetici; e così via.

La chiarezza e la forza del messaggio di Confindustria sono emersi nel trilaterale di Parigi di due settimane fa di cui ho parlato nel mio editoriale della settimana scorsa.

Prodi ha invece ragione quando dice che il Pd non parla da tempo di industria e di politiche industriali. E ciò stupisce non poco perché nella tradizione della sinistra italiana i temi dell’industria e del lavoro sono sempre stati storicamente centrali.

Negli ultimi giorni Elly Schlein, forse anche a seguito della critica di Prodi, ha dichiarato di volersi occupare di industria. Molto bene, ben tornati.

Le grandi questioni dell’industria europea e italiana, nel contesto del rapido cambiamento globale e di una sempre più serrata competizione con Stati Uniti d’America e Cina, richiedono un impegno generale non solo del mondo delle imprese e delle loro rappresentanze ma di tutte le forze politiche e sociali, senza il sostegno delle quali sarà difficile vincere le dure sfide che stanno dinanzi all’industria nel nostro continente.

C’è un problema di consenso su alcune questioni fondamentali e sulle cose da fare subito, perché tale consenso ancora non c’è. Il rapporto Draghi, al quale Von der Leyen dice di volersi ispirare per definire un Clean Industrial Deal nei primi 100 giorni del suo mandato, può aiutare nella ricerca di una linea condivisa.

Occuparsi di industria in maniera non astratta e non retorica significa entrare nel merito dei problemi e misurarsi con le contraddizioni e gli errori che sono stati compiuti dall’Europa negli ultimi vent’anni e che sono ascrivibili, come ho detto più volte, a un problema culturale, la “sindrome dei primi della classe”, con tutto il suo portato iper-regolatorio, di estremismo ambientalista e di fastidio nei confronti dell’industria, specie quella di base.

Tali errori hanno portato ad una situazione di grave crisi economica europea e di sempre maggiore gap con gli Stati Uniti d’America, in termini di PIL, di reddito pro-capite, di primato perduto nel valore aggiunto prodotto dall’industria, di ritardo nella ReS e nell’innovazione, di scomparsa delle grandi aziende europee nel ranking delle grandi imprese mondiali.

Siccome la segretaria del Pd dice di volersi occupare di industria, mi permetto di sottoporle una serie di punti e di questioni rispetto alle quali non si conosce la posizione del suo partito. Tali questioni dovrebbero invece costituire oggetto di una seria riflessione interna per giungere a posizioni chiare non solo del Pd ma di tutti i socialisti europei. Si tratta di problemi vitali per l’industria europea. Ecco un piccolo elenco.

1 – L’Europa è responsabile per il 7% delle emissioni mondiali di CO2. L’industria europea per meno della metà di questo 7%. Per contro, le emissioni di CO2 a livello mondiale stanno crescendo di anno in anno, perché le altre grandi aree economiche del mondo, a partire dagli Usa e dalla Cina, non si allineano alle politiche europee contro il climate change, dando così alle loro industrie un vantaggio competitivo enorme rispetto alle nostre. Che fare? Il Pd ritiene che si debba proseguire con l’estremismo ambientalista che ha caratterizzato l’era Timmermans o, senza disconoscere l’obiettivo strategico della decarbonizzazione, ritiene lo si possa perseguire con modi e tempi che non desertifichino industrialmente il nostro continente? In questo caso quali sono, secondo il Pd, le modifiche da apportare all’approccio europeo?

2 – L’era digitale, con la crescita dei Data Center e delle applicazioni di IA, avrà caratteristiche fortissimamente energivore. Le sole energie rinnovabili, seppure importanti, non saranno sufficienti a soddisfare il fabbisogno crescente di energia specie elettrica. Il Pd è favorevole al concetto di neutralità tecnologica? E cioè, per dirla alla Deng Xiaoping, ‘non è importante che il gatto sia bianco o nero, l’importante è che prenda il topo (in questo caso la CO2)’? Ciò significa essere consapevoli che le energie rinnovabili da sole non bastano e che per rispondere alla domanda crescente di energia e nel contempo decarbonizzare occorreranno tutte le altre tecnologie disponibili, quali il nucleare di quarta generazione, le carbon capture, i biofuel ecc. Il Pd è d’accordo? E in particolare, quale è la posizione del Pd sul nucleare di quarta generazione, SMR e microreattori?

3 – La promessa che i posti di lavoro creati dal green deal sarebbero stati molto superiori a quelli distrutti nelle industrie europee tradizionali si è rivelata, fino ad oggi, vana. In realtà l’Europa con il green deal ha creato una gigantesca occasione di business per la Cina, che è dominante in tutte le aree legate alla decarbonizzazione: dai pannelli solari, agli inverter, dalle pale eoliche al litio, alle batterie, alle auto elettriche. Ciò ha creato e creerà una nuova dipendenza strategica. Come evitare questa dipendenza? Le prime esperienze di ricerca di autonomia, ad esempio nella fabbricazione di batterie e pannelli in Europa, sono state spesso fallimentari. Quale è la posizione del Pd rispetto a questo rischio? A proposito di eventuali dazi che dovrebbero proteggere le auto elettriche europee dalla concorrenza sleale di quelle cinesi sovvenzionate dallo stato, Draghi scrive nel suo rapporto che in una giungla di carnivori gli erbivori rischiano la pelle. L’avvento di Trump e i suoi propositi di incremento dei dazi rendono la situazione ancora più difficile. Il Pd condivide il concetto espresso da Draghi? I due governi europei a guida socialista (quello tedesco e quello spagnolo) si sono dichiarati contro l’applicazione di dazi rinforzati alle auto elettriche cinesi.

4 – Un motore endotermico ha un indotto dalle 10 alle 12 volte superiore di quello elettrico. Solo in Italia sono a rischio 70.000 posti di lavoro nelle nostre fabbriche di subfornitura automobilistica. È favorevole il Pd a spostare in avanti la scadenza del 2035 per la messa al bando delle auto con motore endotermico? In molte nazioni europee, come Svezia e Germania, si pensa di riconvertire parte dell’industria automobilistica messa in crisi (anche) dal green deal in industria della difesa. Cosa dice il Pd al riguardo?

5 – Il sistema ETS, che ha creato il mercato delle quote di CO2 per le imprese emittenti gas climateranti con i loro processi industriali, non è mai stato sottoposto a un’analisi di impatto. Dopo 20 anni di funzionamento sarebbe il caso di fare uno studio oggettivo di cosa questo sistema ha dato e cosa ha tolto. Il Pd è favorevole alla proposta fatta due anni fa dal premier spagnolo Sanchez, e rifiutata dalla Commissione Europea, relativa alla estromissione dal mercato delle CO2 degli intermediari finanziari, banche di affari e fondi, che speculano sulle quote che gli industriali devono acquistare, facendone sovente esplodere il prezzo?

6 – Il Pd è favorevole ad una revisione del CBAM (il meccanismo di dazio ambientale introdotto nel tentativo di proteggere l’industria europea dalle industrie di altre parti del mondo non sottoposte a tasse carboniche)? Tale sistema da un lato è insostenibile soprattutto per le pmi per la sua complessità e macchinosità; dall’altro a partire dal 2027-2030 eliminerà le quote gratuite di CO2 per le imprese hard to abate. Ciò significherà la chiusura della siderurgia da alto forno, di pezzi importantissimi di chimica, di tutta la ceramica, dell’industria del vetro, delle fonderie, della carta. Il Pd e il gruppo socialista al Parlamento europeo pensano di fare qualcosa per impedire questo disastro?

7 – A causa dell’iper-regolamentazione e delle politiche del green deal l’Europa, nonostante sia ancora il mercato più grande e ricco del mondo, ha perso progressivamente attrattività per gli investimenti esteri. Le imprese extra-europee sono sempre più restie ad investire in Europa. Non solo, assistiamo al fatto che sempre più industrie e industriali europei pensano di investire e crescere fuori dall’Europa, negli USA in particolare. Cosa si deve fare secondo il Pd per ridare attrattività agli investimenti esteri in Europa, che spesso significano innovazione e occupazione?

8 – Il Pd è favorevole ad un’industria europea della difesa, premessa indispensabile per politiche comuni della difesa in Europa? Il Pd è favorevole, a questo fine, a portare la spesa militare italiana al 2% del PIL come da impegni internazionali?

9 – L’occupazione è cresciuta molto in Italia negli ultimi anni specie nella forma di contratti a tempo indeterminato. Il tasso di disoccupazione in Italia, ci dice l’Istat, è il più basso da molto tempo. L’industria italiana ha un enorme problema quantitativo e qualitativo di mano d’opera. Si calcola che ci siano 400.000 posti di lavoro non coperti. Per questo le imprese cercano in ogni modo di fidelizzare il rapporto con i propri collaboratori. Non ritiene il Pd che porre il tema in termini di salario minimo e lotta alla precarietà non colga le vere questioni che attengono al mercato del lavoro per l’industria? Perché si è promosso un referendum contro il Jobs Act, misura adottata da un Governo a guida Pd, che attraverso meccanismi flessibili ha creato più di 1 milione di posti di lavoro ed è stato molto gradito dall’industria italiana? Perché non si è lavorato sulla parte centrale e più strategica del provvedimento, che è quella relativa alla formazione e riqualificazione dei lavoratori?

10 – Il meccanismo del 5.0, che ha a disposizione oltre sei miliardi per la transizione energetica e digitale dell’industria italiana, è praticamente bloccato per la complessità applicativa dovuta all’incrocio tra regole italiane e regole europee. Cosa dice il Pd al riguardo?

11 – Il Pd è favorevole alla proposta di Confindustria di un’IRES premiale per le imprese che trattengono gli utili in azienda e ne reinvestono una parte consistente in innovazione e formazione del capitale umano?

Si tratta di questioni cruciali per il futuro dell’industria italiana ed europea.

Sarebbe interessante avere la posizione ufficiale del Pd su ciascuna di esse, tanto per comprendere, al di là delle parole, la reale disposizione di quel partito nei confronti dell’industria.

Nuova “estate militante” per Elly Schlein. E sfida Meloni su Green deal, Pnrr e autonomia

Prima le elezioni europee, poi le amministrative e ora il successo dei laburisti in Gran Bretagna. Dalle parti del Pd inizia a tirare aria nuova e positiva, così la segretaria, Elly Schlein, nonostante le fatiche della doppia campagna elettorale ravvicinata, chiede comunque uno sforzo alla sua squadra per continuare l’opera sui territori, una nuova “estate militante” per “battere il ferro finché è caldo“. Sperando di avere al suo fianco le altre opposizioni, da Avs al Movimento 5 Stelle, ma anche Azione e Iv. Partendo dalla raccolta firme per il referendum abrogativo dell’Autonomia differenziata, dopo aver depositato stamane in Cassazione, assieme ai partiti di minoranza e sindacati il quesito referendario. La riforma Calderoli “sancisce che ci sono cittadine e cittadini di serie A e di serie B, a seconda di dove nascono, limitando l’accesso a servizi fondamentali come la sanità pubblica, la scuola, il trasporto pubblico locale“, dice nella sulla sua relazione alla Direzione nazionale del Partito democratico. “Ma è una battaglia, insisto, che interessa tutto il Paese e non soltanto il Sud e le aree interne – aggiunge -. Anche il mondo produttivo, al Nord, capisce benissimo l’assurdità di rischiare 20 politiche energetiche diverse, quando dovremmo ridurre la frammentazione e lavorare per una politica comune europea sull’energia“.

Ne approfitta per togliersi un altro sassolino dalle scarpe: “Il governo schiaffeggia da un anno e mezzo le autonomie locali, tagliando sui Comuni: volevano togliere altri 250 milioni già prima delle elezioni, la nostra denuncia e protesta li ha fermati, ma solo temporaneamente“. Dunque occhi aperti, soprattutto sui fondi di Coesione: “Un atteggiamento vessatorio e punitivo verso le Regioni che loro non governano, come stiamo vedendo con il vergognoso sequestro dei fondi per Campania e Puglia“, denuncia.

C’è molta Europa nelle parole di Schlein, che fiuta le difficoltà del governo, della premier e la sua maggioranza nel negoziato per la composizione della nuova Commissione Ue. “L’Unione europea ha bisogno di un nuovo inizio e di rilanciare con grande coraggio e lungimiranza e il disegno di integrazione verso l’Europa federale, di andare avanti sui diritti sociali, sulla sostenibilità ambientale, sul rinnovato protagonismo per promuovere la pace e la cooperazione internazionale – sostiene -. Lavoreremo con il nostro gruppo parlamentare e i partiti nostri alleati e seguiremo con grande attenzione e preoccupazione anche le mosse della presidente del Consiglio, perché appare evidente che l’interesse dell’Italia e l’interesse della sua famiglia politica non coincidono affatto. Anzi, sono in palese contraddizione“.

Intanto a Bruxelles lancia messaggi chiari, come capo del partito che offre la delegazione più ampia di europarlamentari ai Socialisti, seconda forza d’Europa dietro il Ppe. “Vogliamo l’Europa degli investimenti comuni. Il Next Generations Eu non può essere una parentesi di solidarietà e innovazione che si chiude sotto la spinta dei suoi alleati nazionalisti, l’Italia ha bisogno di investimenti comuni europei, lo sa bene il nostro mondo produttivo e industriale, perché abbiamo una vocazione industriale, abbiamo il sapere e la creatività degli artigiani, delle maestranze e l’intelligenza delle mani e delle teste, ma da soli non abbiamo il margine fiscale che altri Paesi hanno già messo in campo per creare nuove filiere strategiche: penso alle rinnovabili e i sistemi di accumulano, le batterie“.

Avanti deve andare anche il Green deal: “Per un grande piano industriale europeo, in cui rilanciare la nostra manifattura, guidando una conversione ecologica giusta e la trasformazione digitale senza lasciare nessuno indietro e creando anche buone imprese e lavoro di qualità“. Perché, sottolinea Schlein, il Gd “non è meno industria, ma un tipo diverso di industria in cui l’Italia può fare da guida, come ha sempre fatto sull’economia circolare“.

Parole che poi rimbalzano sulle questioni interne, di casa Italia. “Non è negando l’emergenza climatica che aiuteremo imprese, lavoratori, agricoltori. Come quelli alluvionati che dopo più di un anno stanno ancora aspettando i ristori al 100% promessi da Giorgia Meloni, che non sono mai arrivati“, attacca. Promettendo: “Li aiuteremo ottenendo tutti gli investimenti comuni europei che servono a prenderli per mano e accompagnarli, passo dopo passo, in tutti i cambiamenti che sono necessari per rinnovare i propri processi e le competenze per ridurre gli impatti negativi sul pianeta“. La sfida del Pd è aperta e lanciata.

Europee, Fdi ancora primo e Forza Italia supera la Lega. Sorpresa Pd e Avs, Renzi e Calenda fuori

Una conferma e diverse sorprese, sia in senso positivo che negativo. Prima di tutto, però, va sottolineato il dato dell’affluenza, che si ferma al 49,69 percento, un brusco passo indietro rispetto al 56,09 di cinque anni fa, ma anche nel confronto con il 63,91 del 2022. Le urne delle elezioni europee consegnano una fotografia del Paese che, tutto sommato, rispecchia l’attuale composizione di Parlamento e governo, con Fratelli d’Italia che si attesta al 28,8% aumentando di quasi tre punti percentuali la sua performance rispetto alle Politiche, ma diminuendo il numero di voti assoluti di oltre 700mila (nel 2022 furono 7,3 milioni, quasi due anni dopo sono 6,7 milioni). Alle sue spalle si piazza il Partito democratico, tra le rivelazioni di questa tornata, che balza al 24,08% con un buon recupero di preferenze: 5,6 milioni contro i 5,3 milioni di due anni fa. Un’altra, inaspettata sorpresa è sempre nel campo progressista, con l’Alleanza verdi sinistra che per la prima volta nella sua storia sfonda il muro del 6% e per lunghi tratti dello spoglio si è avvicinata al 7.

Chi trae nuova linfa vitale da queste europee è sicuramente Forza Italia, che proprio alla vigilia delle commemorazioni del primo anno dalla scomparsa del suo fondatore e leader, Silvio Berlusconi, sorpassa la Lega nella partita interna al centrodestra. Gli azzurri di Antonio Tajani, infatti, si attestano al 9.61% (2,2 milioni di voti) e staccano gli alleati del Carroccio, fermi al 9 percento, che resta un risultato accettabile per i vertici, considerando che alle Politiche presero l’8,77. Se si contano le preferenze, invece, il discorso cambia, perché il gruppo guidato da Matteo Salvini nel 2022 fu scelto da oltre 2,4 milioni di italiani mentre adesso solo da quasi 2,1 milioni. Nel complesso, la tenuta della Lega è soprattutto merito del generale, Roberto Vannacci, che prende in totale oltre 541mila voti sommando i risultati delle cinque circoscrizioni in cui era candidato. In questo senso, tra le sorprese c’è sicuramente il sindaco uscente di Bari, Antonio Decaro, presidente dell’Anci, che in una sola circoscrizione, quella meridionale, taglia il traguardo delle 496mila preferenze.

Capitolo a parte merita il Movimento 5 Stelle, vero sconfitto di queste consultazioni assieme alla lista Stati Uniti d’Europa di Matteo Renzi ed Emma Bonino (3,76% e 875mila preferenze) e Azione-Siamo europei di Carlo Calenda (3,35 percento e 778mila voti). Ma è clamoroso il crollo dei pentastellati di Giuseppe Conte, finiti un filo sotto il 10% (9,99 per la precisione), con 2,3 milioni di voti: il peggior risultato della sua storia, ma soprattutto una debacle in confronto al 15,4 percento delle politiche, quando ottenne la fiducia di 4,3 milioni di italiani. Se la macchina del tempo resta al 2022 fa parecchio rumore anche il doppio tonfo di Calenda e Renzi, che all’epoca, uniti nel progetto di Terzo Polo, portarono a casa il 7,79% e oltre 2,1 milioni di voti, mentre oggi, divisi, non superano la soglia di sbarramento e rimangono fuori dal prossimo Parlamento Ue.

Fuori dai giochi anche tutto il resto delle liste che si erano presentate: da Libertà di Cateno De Luca e dell’ex vice ministra dell’Economia, Laura Castelli, a Pace terra e dignità di Michele Santoro, ad Alternativa Popolare di Stefano Bandecchi, Partito animalista-Italexit per l’Italia e Democrazia sovrana popolare.

Camilla Laureti (Pd) ospite del #GeaTalk del 13 maggio

Torna il 13 maggio alle 15.45, in diretta sul nostro canale YouTube, il #GeaTalk, format videogiornalistico di Gea, con i rappresentati delle istituzioni, della politica, delle aziende, della società civile, universitaria e del terzo settore in dialogo diretto su tematiche di stretta attualità. In diretta streaming, attraverso videoclip e news testuali, raccontiamo protagonisti e decisori dei nostri giorni, i loro progetti e le loro opinioni.

Ospite di questa puntata sarà Camilla Laureti, eurodeputata del Partito Democratico con delega alle Politiche agricole e alimentari, candidata alle elezioni Europee dell’8 e 9 giugno.

Questo il link per seguire la diretta:  https://youtube.com/live/ldv1Gt6sVnk

 

Agricoltura, Pd riunisce filiera. Schlein: “Crisi profonda, chi difende il settore da Meloni?”

Il Partito democratico apre il dibattito sul futuro dell’agricoltura con la Conferenza nazionale. Al Nazareno riunisce associazioni di categoria, sindacati, sigle ambientaliste, rappresentanze della filiera agroalimentari per cercare quelle che la segretaria, Elly Schlein, definisce “soluzioni a un malessere reale, di cui vanno cercate le cause senza facili capri espiatori e strumentalizzazioni per la campagna elettorale“. Secondo la leader dem, però, non c’è un motivo solo: “Il comparto vive una crisi profonda, per ragioni molteplici, ma il nutrimento è il fondamento della vita e la politica deve dare più attenzione al tema“.

La protesta dei trattori qualcosa ha smosso nel dibattito pubblico, ma ora che i mezzi sono tornati nei rispettivi capannoni, resta lo scontro tra maggioranza e opposizione, sia interno che a livello europeo. “Meloni si è rivolta agli agricoltori dicendo di averli difesi dalle scelte dell’Unione europea. Ma io mi domando: chi li difende dalle sue scelte? Perché il governo non ha fatto nulla in questo anno e mezzo, colpevolmente“, attacca Schlein. Che rincara la dose contro l’esecutivo anche sull’energia: “Dovremmo occuparcene tutti i giorni in Parlamento, invece abbiamo l’impressione di un governo nella migliore delle ipotesi distratto, nella peggiore nemico delle rinnovabili, che invece sono un grande potenziale“. Anche in agricoltura. Settore per il quale chiede di ripristinare il “contributo economico pubblico per le assicurazioni agricole contro gli eventi climatici, tagliato dal 65% a circa il 40, così non si assicurerà più nessuno“.

La segretaria dem non assolve nemmeno l’Europa. Ammette che sul consumo di suolo anche la sua parte politica, quando ha avuto responsabilità di governo, non ha fatto molto, lasciando che dell’argomento si occupassero solo le politiche Ue, mentre sulla reciprocità “serve un’attività di antitrust rafforzata per verificare la correttezza della formazione dei prezzi e immaginare, magari, anche una commissione d’inchiesta, vera, sulle pratiche sleali, perché abbiamo l’impressione che non siano realmente attuate in questo momento“. Argomento, questo, su cui sono tornati tanti dei relatori interventi alla Conferenza nazionale. “Bisogna concentrare l’attenzione nella definizione di nuova politica agricola“, dice il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, che indica nella fiscalità, il lavoro per la mano d’opera e la competitività tre punti importanti su cui intervenire.

Per Coldirettitema centrale è combattere le pratiche sleali. Non possiamo immaginare che ci siano restrizioni, penso ai fitosanitari, ma senza applicare il principio di reciprocità“, sottolinea il vicepresidente, David Granieri. Bisogna “frenare il consumo di suolo e occorre un piano di contenimento della fauna selvatica, è urgente“, spiega invece il presidente di Cia-agricoltori italiani, Cristiano Fini: “Le politiche agricole europee vanno fatte con gli agricoltori e non contro, come purtroppo è accaduto in questi anni“.

Chiare anche le posizioni dei sindacati. “L’attuale livello di produzione sta dimostrando che è insostenibile, dal punto di vista etico, ambientale ed economico, come dimostrano le proteste di questi giorni“, ricorda il segretario della Flai Cgil agricoltura, Davide Fiatti. Ritiene “fondamentale che le risorse europee vengano ricondotte, con la giusta assistenza fiscale, alle piccole e medie imprese, che sono una parte centrale della nostra agricoltura” la segretaria della Fai Cisl, Raffaella Bonaguro. Mentre Uila chiede alla presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, di far saltare il trilogo in programma il prossimo 5 marzo sulla direttiva per il Packaging: “Se passasse la proposta della commissione Ambiente del Parlamento Ue tante persone rischierebbero di perdere il lavoro – spiega il segretario generale, Stefano Mantegazza –. Solo in Italia, in agricoltura, sarebbero circa 30mila“.

Altro argomento trattato è il rapporto tra ambiente e agricoltura. Sul punto le maggiori associazioni concordano in pieno: il futuro è l’agroecologia. “Il malessere non può essere attribuito alla transizione ecologica, che di fatto non è mai partita – dichiara Franco Ferroni del Wwf -. Il Green deal non è morto, ma ciò che è successo in queste settimane lo ha indotto in una ‘coma’ fisiologico“. Torna sulla reciprocità Greenpeace, sottolineando che “l’accordo con il Mercosur è anacronistico per il nostro mercato”, lamenta la responsabile Agricoltura, Federica Ferrario. Per il Pd si tratta di un primo passo, spiegano i vertici dem. Ora, però, gli attori della filiera si attendono di passare dalle parole alle proposte. Anche dall’opposizione.

Ponte sullo Stretto, via libera alla relazione sul progetto finale. Salvini: “In funzione nel 2032”

Il Ponte sullo Stretto prende corpo. Con il via libera del Consiglio di amministrazione della Stretto di Messina spa alla Relazione del progettista di aggiornamento al progetto definitivo del 2011, può completarsi l’iter ministeriale, con l’invio al Mit (che dovrà indire la Conferenza dei servizi) e al ministero dell’Ambiente della documentazione completa, per poi arrivare alla tappa finale del Cipess, che avrà il compito di approvare il progetto finale e il piano economico-finanziario, che si stima possa arrivare già alla metà del 2024.

Il Cda, inoltre, ha approvato l’aggiornamento della documentazione ambientale, in particolare lo Studio di impatto ambientale (Sia), lo Studio di incidenza ambientale (Sinca) e la Relazione di ottemperanza e della relazione paesaggistica; l’analisi costi-benefici, che ha evidenziato come il progetto sia in grado di generare un Valore attuale netto economico (Vane) ampiamente positivo con un Saggio di rendimento interno del 4,5% superiore al livello minimo previsto dalla normativa vigente (3%); l’aggiornamento del Piano degli espropri e il programma di opere anticipate.

È un grande risultato ottenuto in pochi mesi grazie all’impegno del governo, in particolare del ministro Salvini, e al lavoro del Contraente generale Eurolink, della società Stretto di Messina e dei nostri altri contraenti ed esperti nelle diverse discipline ingegneristiche legate al Ponte“, commenta l’amministratore delegato della Sdm, Pietro Ciucci. “Si conferma un progetto straordinario, tecnicamente all’avanguardia e di riferimento a livello internazionale. Dopo i molti ponti ‘Messina Style’ costruiti nel mondo, è il momento di realizzarlo nello Stretto di Messina“.

Intanto, il ministero di Porta Pia è già al lavoro. Il vicepremier, Matteo Salvini, ha subito convocato l’incontro istituzionale per presentare la relazione del progettista, al quale hanno preso parte, oltre a Ciucci e al presidente della Stretto di Messina spa, Giuseppe Recchi, anche i presidenti della Regione Siciliana, Renato Schifani, della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, e i sindaci di Villa San Giovanni, Giuseppina Caminiti, e Messina, Federico Basile. Poche parole in apertura di confronto: “Per me è una grande soddisfazione, vi ringrazio“, viene riferito da fonti del Mit. Sulle tempistiche è ancora Salvini, ma al question time del Senato, a confermare le date: “L’intenzione è aprire i cantieri entro quest’anno e aprire al traffico stradale e ferroviario entro il 2032“.

Il tema ‘Ponte’ resta comunque caldo nel dibattito pubblico. Tra le prime reazioni c’è quella del Wwf, contraria all’opera, che definisce l’approvazione del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina “una fuga in avanti che ricade sulle spalle del Paese, visto che ad oggi il Governo ha immobilizzato sino al 2032 ingenti risorse senza avere stime credibili sull’entità dei costi finali dell’opera, sulla sua redditività dal punto di vista economico-finanziario, sulle pesantissime ricadute sull’ambiente e il territorio“. Nei giorni scorsi, invece, i leader di Pd, Europa verde e Sinistra italiana, Elly Schlein, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, avevano annunciato di aver presentato un esposto in Procura per la poca trasparenza sull’infrastruttura. In particolare per il mancato accesso alla documentazione, negata – denunciano – anche ai parlamentari. “Attendiamo ora di esaminare i documenti per una valutazione approfondita, inclusa un’analisi costi-benefici che evidenzi l’impatto positivo del progetto“, commenta Bonelli. Accusa, però, che fonti della società Stretto di Messina hanno più volte respinto al mittente, spiegando che non c’è stato alcun diniego ma solo un rinvio per aspettare che l’iter interno fosse completato, come prescrive la legge. Ma che una volta approvato tutto sarebbe stato pubblico. Cosa che, dopo il via libera del Cda, dovrebbe avvenire a stretto giro di posta.

 

Photo credit: ministero delle Infrastrutture e dei trasporti

Stellantis, Pd-Avs-M5S per entrata dello Stato, c.destra e Iv frenano. Sindacati: Serve tavolo

La bomba Stellantis deflagra nel dibattito politico italiano. A far detonare la polemica è il botta e risposta dai toni decisamente duri tra l’ad del gruppo, Carlos Tavares, e il ministro Adolfo Urso. Al manager che, in sintesi, attribuisce ai governi lo scarso appeal del mercato delle auto elettriche per la scarsità degli incentivi, il responsabile del Mimit replica in maniera puntuta: “Se chiede che l’Italia faccia come la Francia, che ha cambiato la sua partecipazione statale, ce lo chieda e possiamo ragionare insieme”. Da qui parte, o per meglio dire riparte, il fuoco di fila delle dichiarazioni.

Carlo Calenda, che da tempo cavalca il tema, potendo mettere sul tavolo anche la sua esperienza al Mise, ingrana la marcia: “Oramai è chiaro che Stellantis è francese e che tratterà l’Italia come un qualsiasi altro mercato. Elkann rimane chiuso in uno sprezzante silenzio, parla Tavares perché comanda solo lui”. Il segretario di Azione ha un’idea chiara sul da farsi: “La risposta del governo al ricatto di Stellantis non deve essere quella di farsi trascinare in un’asta annuale a rialzo sui sussidi pubblici”, piuttosto serve un “Piano competitività nazionale per tutte le aziende articolato su tre punti: industria 4.0 allargata ad ambiente ed energia, formazione 4.0, messa a terra degli Its su cui si sta andando lentissimi e diminuzione del costo dell’energia attraverso la redistribuzione dei proventi delle aste Ets come fanno in Germania”.

Molto attivo è anche l’ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando. “E’ importante stabilire una linea, magari prendendo per buona la sfida di Tavares ed entrando nel capitale e nel Consiglio di amministrazione, ma mettendo condizionalità sugli incentivi e sui trasferimenti”. Dura anche la segretaria dem, Elly Schlein: “Il governo non può tacere di fronte alle minacce dell’ad, gli incentivi siano condizionati in modo vincolante alla tutela dei posti di lavoro e alla riduzione delle emissioni”. Inoltre, è il momento di “studiare concretamente la strada della partecipazione pubblica per incidere sulla strategia aziendale”. A Schlein, però, replica Calenda. “No Elly, Tavares non ha lanciato una sfida, ha lanciato una minaccia e un ricatto incentivi contro posti di lavoro sulla pelle di 40mila lavoratori. E’ ora che il Pd si faccia sentire”.

Anche Avs apre all’entrata dello Stato. “Con le condizioni di un piano industriale verso l’elettrico, sarebbe un’ipotesi da prendere in considerazione”, spiega Angelo Bonelli. Per il M5Ssenza uno straccio di politica industriale, il governo Meloni non può che fare la figura dello zimbello degli Elkann e dello Stato francese”, sostiene il vicepresidente pentastellato, Mario Turco, secondo il quale “una presenza dello Stato nel capitale della società si rende necessario, a patto che si sia in grado di impostare una politica industriale”.

Non la pensano così in maggioranza. Di sicuro non in Forza Italia: “D’accordo tutelare l’occupazione ma noi siamo per liberalizzazioni e privatizzazioni. Adesso che cosa facciamo, entriamo nel capitale delle aziende private?”, mette in chiaro il capogruppo alla Camera, Paolo Barelli, intervistato da Affaritaliani.it. Fratelli d’Italia se la prende con Tavares: “Continua a lamentarsi della mancanza di incentivi all’elettrico, ormai sembra un disco rotto”, dice il senatore Gianpietro Maffoni. La Lega non si esprime sulla partecipazione pubblica, ma fa sapere che sarà attenta alla difesa dei diritti di tutti i lavoratori: “Le aziende che per anni hanno incassato miliardi non si permettano di minacciare o ricattare”. Voce fuori dal coro delle opposizioni è quella di Italia viva: “Appartengo a quella sparuta minoranza che ritiene piuttosto che lo Stato sia stato più spesso un problema che una soluzione“, sostiene il deputato ed economista, Luigi Marattin.

Oltre alla politica ci sono anche i sindacati. Fiom e Cgil non sarebbero contrari a una partecipazione pubblica in Stellantis, ma chiedono che Meloniconvochi un incontro con Tavares e sindacati per parlare di quello che conta veramente: livelli di produzione e occupazione negli stabilimenti italiani”. Il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, chiede all’esecutivo di farsi “garante di un patto tra istituzioni, impresa e sindacati sul rilancio del settore auto nel nostro Paese”. Va più sul pratico il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri: “La nostra prima preoccupazione è sui livelli occupazionali, ma continuiamo a ritenere che questo governo abbia poche idee e confuse. Come si fa a dire che vendiamo pezzi di Eni e Poste ma compriamo un pezzo di Stellantis? – si domanda -. Si parla di incentivi, ma per cosa: per comprare auto che vengono dalla Cina? Incentivi alla produzione o agli investimenti? Occorre avviare un confronto con sindacati, azienda e governo chiarendo le linee di politiche industriali per i prossimi anni”. La partita, comunque, resta aperta e il triplice fischio decisamente molto lontano.

Inflazione, Urso: “Italia al minimo in Ue grazie a carrello tricolore”. Ira opposizioni

L’Eurostat comunica che a dicembre l’inflazione in Italia è scesa ancora allo 0,5%, mentre in Ue è cresciuta al 2,9%, con Francia al 4,1%, Germania al 3,8% e Spagna al 3,3%. “Un’ottima notizia per le famiglie italiane“, festeggia il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che rivendica il “pieno successo” del ‘carrello tricolore’. “Smentiti i profeti di sventura!”, chiosa su X.

Di “profeti di sventura” smentiti parla anche il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti: “La sinistra anti-Meloni e che gioca contro l’Italia cambi disco perché quello che da un anno manda in onda è rotto“, ironizza.

Una lettura che scatena le ire delle opposizioni. Daniela Torto, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Bilancio della Camera, giudica le parole di Urso “abominevoli“: “Dire che il merito del calo dell’inflazione italiana sia da ascrivere al ‘carrello tricolore’ è una pagliacciata di proporzioni mai viste”, tuona. Per l’esponente pentastellata il calo dell’inflazione di deve solo alla discesa dei prezzi dei beni energetici. “Purtroppo ad aumentare in modo clamoroso sono i prezzi dei beni alimentari non lavorati, ovvero carne fresca, frutta fresca, pesce fresco, la cui dinamica a dicembre è passata dal +5,6 al +7%, secondo quanto riportato da Istat“, evidenzia, additando il ‘Carrello Tricolore’ come una “buffonata di centrodestra“.

Di “parodia” parla Stefano Patuanelli, presidente dei senatori del M5S, per cui il trimestre salva-spesa è stato una delle “tante misure spot del Governo Meloni, bellissime sul piano comunicativo ma decisamente inutili sul piano dell’economia reale“. Un “fallimento totale – accusa -, ma annunciato e rivendicato dal Governo come un provvedimento che ha fatto scendere l’inflazione“.

Si chiede “dove vivano e quali negozi frequentino” il ministro Urso, gli altri esponenti del Governo e della destra che “esultano per dati Istat che confermano il salasso subito dalle famiglie italiane” la deputata del Pd Debora Serracchiani.Uno zero-virgola in meno di inflazione viene spacciato come un successo mentre l’esperienza quotidiana delle persone è fatta di prezzi che aumentano, di rinunce e di sacrifici“, scandisce. Fa riferimento a beni di consumo essenziali, come i trasporti o gli alimentari, “contro cui è stato ininfluente il ‘carrello tricolore’ della Meloni. C’è una questione sociale ed economica – sostiene – che va affrontata“.

Manovra, scintille in commissione ma il governo tira dritto: “Il Superbonus è un’allucinazione”

Le opposizioni chiedono a gran voce un confronto e Giancarlo Giorgetti non si sottrae, presentandosi in commissione Bilancio per dare spiegazioni sulla legge di Bilancio 2024. Ma soprattutto sul ‘no’ al Mes in Parlamento e sul ‘sì’ alla riforma del Patto di stabilità in Europa. Il ministro dell’Economia sceglie la linea dura, ascolta poi contrattacca. Rivendicando tutte le scelte compiute, a partire da quelle degli unici emendamenti passati in Senato in prima lettura, a firma dell’esecutivo: “Hanno portato un miglioramento di tutti i saldi di finanza pubblica”.

Altro passaggio delicato è il Ponte sullo Stretto, con la decisione di spostare una parte delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione destinate a Calabria e Sicilia per assegnarle alla realizzazione dell’opera. Giorgetti ne parla quasi subito, ma parte con un approccio soft: “Abbiamo mantenuto l’impianto originario, non mi sono perso in quelle piccole situazioni che in qualche caso evidentemente suscitano curiosità. E’ stata modificata solo la spalmatura sulle annualità”. Poi, però, il tono sale di intensità politica: “Non trovo per nulla scandaloso che alcune Regioni, soprattutto quelle interessate, contribuiscano alla realizzazione dell’opera”.

Altro capitolo delicato è il Superbonus, misura varata negli anni del governo giallorosso M5S-Pd e oggi di fatto archiviato dall’esecutivo di Giorgia Meloni. La questione è nota: oltre ad una parte di opposizioni, c’è anche un pezzo di maggioranza (Forza Italia) a non rassegnarsi all’idea che la serranda sul provvedimento venga tirata giù di colpo. Pd e M5S (in particolare) chiedono di ripristinarla, mentre gli azzurri sono disposti anche ad accettare una prorogare per chi ha già completato parte di lavori di riqualificazione energetica nel 2023.

Purtroppo per loro, il muro resta alto: “I dati degli ultimi mesi sul Superbonus dicono che, dal punto delle uscite di finanza pubblica, vanno peggio rispetto alla Nadef”, mette subito in chiaro Giorgetti. Riconoscendo che “il Parlamento deciderà, ma per quanto riguarda il ministro dell’Economia, in cuor mio so quale il limite entro il quale non si può andare e lo proporrò al Cdm”. Anche in questo caso, l’affondo arriva qualche secondo dopo. Dopo aver confermato di definire il 110% “radioattivo” , rincara la dose: “Tutti quanti noi ci lamenteremo al momento in cui entreremo l’anno prossimo al 70% delle detrazioni” ma “quello che a noi da dentro sembra poco, visto da fuori è tantissimo”. Ragion per cui “dico che dobbiamo uscire da questa allucinazione vissuta negli ultimi anni in cui tutto ci sembra dovuto. Quando fai debito lo paghi, e caro. Sono soldi sottratti alle famiglie italiane”.

Ovviamente non ci stanno le opposizioni: “Giorgetti in commissione Bilancio si attacca a tutto per cercare un alibi ad una Manovra ingiusta e senza prospettive”, commenta la capogruppo Pd a Montecitorio, Chiara Braga. Per il M5S, invece, “paragonare una misura che ha generato valore economico, occupazione e maggiori entrate fiscali all’Lsd definisce bene il personaggio, lo stesso che da un anno parla di buchi di bilancio immaginari senza fornire numeri e soprattutto senza approntare correzioni”.

Forza Italia tenta invece una mediazione, facendo sapere al ministro di stare “stimolando a trovare una soluzione per il comparto edilizia sul Superbonus, su cui non c’è contrarietà degli alleati ma solo una criticità riguardo la copertura economica”, spiega il portavoce nazionale, Raffaele Nevi. Magari con una proroga (anche di due o tre mesi) per chi ha già completato lavori oltre il 70%, come sostiene anche il segretario nazionale, Antonio Tajani.

Giorgetti per ora vuole portare a casa il risultato senza brutte sorprese e per il futuro spiega che “buona parte della possibilità di crescita di questo Paese dipende da come riusciamo a spendere le importanti risorse del Pnrr e della componente RePowerEu, che deve essere considerata a tutti gli effetti come parte integrante della legge di Bilancio a favore delle imprese”. Inoltre, “le previsioni e le correzioni della Nadef sono coerenti con quello che è previsto dal nuovo Patto di stabilità”, quindi “non sono previste manovre diverse o aggiuntive”. La legge di bilancio compirà, quindi, il suo ultimo giro di boa alla Camera come previso. Il testo è atteso in aula oggi, ma è praticamente scontato che il governo porrà la questione di fiducia per chiudere la partita entro la serata di venerdì 29 dicembre. Le polemiche, invece, quasi sicuramente non se le porterà via il voto.

Cdm approva nuovo dl Energia da 27,4 miliardi. Non c’è la proroga del mercato tutelato

A pochi giorni dall’approvazione definitiva in Parlamento del decreto varato nello scorso mese di settembre, il Consiglio dei ministri vara un nuovo dl Energia. Avanti sulle rinnovabili e sulla decarbonizzazione delle aziende gasivore ed energivore. Avanti sull’approvvigionamento, con la norma che sblocca i rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle. Non c’è la proroga del mercato tutelato, ma non è una novità: il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, lo aveva anticipato la scorsa settimana, parlando di uno spacchettamento degli utenti, in modo da tutelare i fragili.

Una scelta che fa saltare sulla sedia l’opposizione. “È davvero sconcertante l’atteggiamento di questo governo che, su un tema come il mercato tutelato, fa orecchie da mercante e gioca a scarica barile“, tuona Annalisa Corrado, responsabile Ambiente nella segreteria Pd. E annuncia una conferenza stampa sul tema al Nazareno con la segretaria Elly Schlein, Pierluigi Bersani, la capogruppo alla Camera, Chiara Braga, e Antonio Misiani. I deputati M5S in commissione Attività Produttive della Camera bollano la mancata proroga come “furia cieca verso le famiglie” e Luana Zanella, capogruppo di Avs a Montecitorio, avverte: “Famiglie e imprese si preparino al salasso voluto da una destra pericolosa e irresponsabile“.

Il titolare del dicastero di via Cristoforo Colombo rivendica però lo sforzo fatto per un decreto che definisce “molto variegato“, con una serie di misure riconducibili a “una solida e pragmatica visione energetica”. Si liberano, scandisce, “le grandi potenzialità del Paese“, per renderlo “riferimento nel Mediterraneo sulle rinnovabili“.

Il provvedimento vale 27,4 miliardi di investimenti: “Vogliamo sostenere famiglie e imprese, per renderle ancor più protagoniste di una transizione bilanciata e realistica”, spiega Pichetto.

C’è il sostegno all’eolico offshore nel Mezzogiorno, con l’individuazione di due porti del Sud per sviluppare investimenti nel settore, funzionali a ospitare piattaforme galleggianti, da individuare dopo le manifestazioni di interesse.

Si sostengono i settori produttivi impegnati nel percorso di decarbonizzazione, “fornendo ad esempio importanti risposte per migliaia di imprese a forte consumo di energia elettrica e gas“, afferma Pichetto. Al via anche un nuovo studio per valorizzare la filiera della cattura e stoccaggio di carbonio. Per accelerare sullo sviluppo delle rinnovabili verso gli obiettivi 2030, si spingono le Regioni a realizzare impianti fotovoltaici in aree idonee con un fondo per opere compensative. Il fondo, per Regioni e Province Autonome, ammonta a 350 milioni l’anno fino al 2032.

Il provvedimento adotta poi un sistema di incentivazione a installare impianti a fonti rinnovabili rivolto a circa 3.800 imprese a forte consumo di energia elettrica come quelle della chimica, del vetro e del tessile, che potranno vedersi anticipare dal GSE gli effetti della realizzazione di questi impianti, da restituire nei successivi venti anni.

Approviamo inoltre una norma per considerare di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, le opere per la costruzione e l’esercizio di terminali di rigassificazione di gas naturale liquido on-shore, nonché le infrastrutture connesse: una norma importante per impianti come Porto Empedocle e Gioia Tauro“, precisa. Avanti anche sul geotermoelettrico e sul bioetanolo, sul teleriscaldamento.

Un portale digitale raccoglierà dati e informazioni sullo sviluppo della rete elettrica nazionale. Gli enti territoriali potranno infine autocandidarsi a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. “Un passo necessario – insiste il ministro – per accelerare i tempi di individuazione di un’area di cui il Paese ha forte bisogno”.