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Il cambiamento climatico ‘stressa’ le foreste e le espone a incendi e parassiti

l cambiamento climatico sta aumentando la suscettibilità delle foreste mondiali a fattori di stress come incendi e parassiti, secondo una nuova pubblicazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) che sottolinea il ruolo dell’innovazione nel raggiungimento di un futuro sostenibile per il settore forestale. Il rapporto, intitolato ‘The State of the World’s Forests 2024: Forest-sector innovations towards a more sustainable future’ è stato presentato oggi in occasione della 27esima sessione del Comitato per le Foreste (Cofo), in corso presso la sede della Fao a Roma fino a venerdì. Il Cofo è l’organo di governo forestale più importante della Fao e ha il compito di individuare le questioni politiche e tecniche emergenti, cercare soluzioni e consigliare l’organizzazione sulle azioni da intraprendere. Il tema dell’incontro di quest’anno è ‘Accelerare le soluzioni forestali attraverso l’innovazione’.

Secondo il documento “ci sono prove” che indicano che il cambiamento climatico sta rendendo le foreste più vulnerabili a fattori di stress come incendi e parassiti. Di fronte a queste sfide, il rapporto sostiene che l‘innovazione nel settore forestale “è un fattore cruciale” per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

“La FAO riconosce che la scienza e l’innovazione sono ingredienti cruciali per raggiungere soluzioni basate sulle foreste”, scrive il direttore della Fao QU Dongyu nell’introduzione del rapporto.

AUMENTANO GLI INCENDI BOSCHIVI. L’intensità e la frequenza degli incendi selvaggi stanno aumentando, anche in aree precedentemente non colpite, e si stima che nel 2023 gli incendi abbiano rilasciato 6.687 megatonnellate di anidride carbonica a livello globale. In passato gli incendi boreali erano responsabili di circa il 10% delle emissioni globali di anidride carbonica. Nel 2021, tali incendi hanno raggiunto un nuovo picco, principalmente a causa della prolungata siccità che ha provocato un aumento della gravità degli incendi e del consumo di combustibile, e hanno rappresentato quasi un quarto delle emissioni totali di incendi boschivi.

LE SPECIE INVASIVE. Il cambiamento climatico rende anche le foreste più vulnerabili alle specie invasive, con insetti, parassiti e malattie patogene che minacciano la crescita e la sopravvivenza degli alberi. Il nematode del pino ha già causato danni significativi alle pinete autoctone di alcuni Paesi asiatici e si prevede che entro il 2027 alcune aree del Nord America subiranno danni devastanti a causa di insetti e malattie.

LA PRODUZIONE DI LEGNO. La produzione globale di legno, invece, rimane a livelli record. Dopo un breve calo durante la pandemia, la produzione è tornata a circa 4 miliardi di metri cubi all’anno. Quasi 6 miliardi di persone utilizzano prodotti forestali non legnosi e il 70% dei poveri del mondo si affida a specie selvatiche per cibo, medicine, energia, reddito e altri scopi. Le proiezioni indicano che la domanda globale di legno tondo potrebbe aumentare fino al 49% tra il 2020 e il 2050.

SOLUZIONI INNOVATIVE. Il rapporto identifica cinque tipi di innovazione che aumentano il potenziale delle foreste nell’affrontare le sfide globali: tecnologica, sociale, politica, istituzionale e finanziaria. Tra gli esempi, il potenziale dell’intelligenza artificiale per facilitare l’analisi automatizzata di un vasto volume di dati ottici, radar e lidar, esistenti e futuri, raccolti quotidianamente da droni, satelliti e stazioni spaziali; l’adozione del legno massiccio e di altre innovazioni basate sul legno che possono sostituire i prodotti a base fossile nel settore edilizio; le politiche volte a coinvolgere le donne, i giovani e le popolazioni indigene nello sviluppo di soluzioni guidate a livello locale; le innovazioni nel settore finanziario pubblico e privato per aumentare il valore delle foreste in piedi.

Dal momento che l’innovazione può creare vincitori e vinti, il rapporto sostiene la necessità di approcci inclusivi e rispondenti alle esigenze di genere per garantire un’equa distribuzione dei benefici tra uomini, donne e giovani di tutti i gruppi socioeconomici ed etnici. La promozione dell’innovazione deve considerare e integrare le circostanze, le prospettive, le conoscenze, i bisogni e i diritti di tutte le parti interessate.

Il rapporto elenca cinque azioni che contribuiranno a far crescere l’innovazione nel settore forestale: sensibilizzare l’opinione pubblica, potenziare le competenze, le capacità e le conoscenze in materia di innovazione, incoraggiare i partenariati di trasformazione, garantire finanziamenti maggiori e universalmente accessibili per l’innovazione e fornire un ambiente politico e normativo incentivante.

 

 

agricoltura

I prezzi agricoli crollano ai livelli di 3 anni fa, ma gli alimentari costano il 23% in più

La speculazione esiste? Molti la evocano, pochi la misurano. Tuttavia, confrontando i dati diffusi dalla Fao oggi sui prezzi agricoli mondiali con i prezzi alimentari al consumo globali, non si può non notare che qualcosa non torna.

L’Indice Fao dei prezzi alimentari è sceso per il settimo mese consecutivo a 117,3 punti a febbraio, il livello più basso in tre anni, rispetto ai 118,2 rivisti al rialzo di gennaio. La diminuzione degli indici dei prezzi dei cereali e degli oli vegetali ha più che compensato gli aumenti di quelli dello zucchero, della carne e dei latticini. Negli ultimi tre anni l’indice PriceStats Daily World Food Inflation Index – realizzato da State Street – fa vedere invece che gli alimentari sono rincarati del 23%, passando da un punteggio di 133 del febbraio 2021 a quota 164 al termine dello scorso mese. Quello di State Street è un indice composito per Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Spagna, Grecia, Canada, Australia, Giappone, Corea del Sud, Russia, Sud Africa, Brasile, Cile, Cina, Colombia, Uruguay, Turchia e Argentina. L’indice utilizza la componente alimentare e delle bevande analcoliche non destagionalizzata dell’inflazione di ciascun Paese, con ponderazioni basate sulla spesa per consumi finali delle famiglie del 2010, in dollari correnti, dalla Banca Mondiale.

Vedendo il grafico, il PriceStats Daily World Food Inflation Index, non sembra dare segni di inversione. Sale. Il contrario della traiettoria intrapresa dai prezzi agricoli globali. L’Indice Fao delle quotazioni cerealicole è diminuito del 5% a febbraio, raggiungendo un livello inferiore del 22,4% rispetto a quello di febbraio 2023. I prezzi all’esportazione del mais sono diminuiti maggiormente tra le aspettative di grandi raccolti in Sud America e i valori competitivi offerti dall’Ucraina, mentre quelli internazionali del grano sono diminuiti soprattutto grazie al forte ritmo delle esportazioni dalla Russia. Anche i prezzi internazionali del riso sono diminuiti dell’1,6% a febbraio. L’Indice Fao dei prezzi degli oli vegetali è calato invece dell’1,3% da gennaio, attestandosi all’11% al di sotto del valore di febbraio 2023. Quelli internazionali dell’olio di soia sono diminuiti notevolmente, sostenuti dalle prospettive di abbondanti produzioni di soia in Sud America, mentre le ampie disponibilità di esportazioni globali di oli di girasole e di colza hanno spinto i loro prezzi verso il basso. I prezzi mondiali dell’olio di palma sono aumentati marginalmente a febbraio a causa del calo stagionale della produzione.

L’indice Fao dei prezzi dello zucchero, al contrario, è aumentato del 3,2% a febbraio. L’aumento riflette le persistenti preoccupazioni sull’imminente produzione del Brasile dopo un periodo prolungato di precipitazioni inferiori alla media, nonché i previsti cali di produzione in Tailandia e India, due principali paesi esportatori. Anche l’indice dei prezzi della carne è aumentato dell’1,8% da gennaio, con le quotazioni della carne di pollame che sono aumentate maggiormente, seguite da quelle della carne bovina, colpite dalle forti piogge che hanno interrotto il trasporto del bestiame in Australia. Anche i prezzi della carne suina sono aumentati leggermente a causa della maggiore domanda da parte della Cina e della situazione di offerta limitata in Europa occidentale. I prezzi internazionali della carne ovina sono diminuiti in parte a causa della produzione record conseguente alla ricostituzione del gregge in Australia. In crescita anche l’Indice dei prezzi dei prodotti lattiero-caseari, aumentato dell’1,1%, guidato dalla maggiore domanda di importazioni di burro da parte degli acquirenti asiatici. Anche i prezzi del latte in polvere e del formaggio sono aumentati marginalmente.

Guardando avanti, la Fao ha pubblicato un nuovo Brief sull’offerta e la domanda di cereali, alzando leggermente le sue previsioni per la produzione totale mondiale di cereali nel 2023 a 2.840 milioni di tonnellate. Caleranno i prezzi al consumo?

Fao celebra ecosistema di Soave. Ciambetti: “Territori più protagonisti in transizione”

Alzi la mano chi conosce i Giahs della Fao. Eppure i ‘Globally Important Agricultural Heritage Systems’ stabiliti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura svolgono un ruolo fondamentale nel riconoscere, preservare e promuovere i sistemi agricoli tradizionali che hanno un valore eccezionale per lo sviluppo sostenibile. Gli Stati e le regioni della Ue sono impegnati attivamente nel portare avanti questi progetti per contribuire a un futuro sostenibile, in cui l’agricoltura prospera in armonia con l’ambiente e le tradizioni culturali sono curate e celebrate. Due sono i siti Giahs riconosciuti in Italia: gli uliveti delle pendici tra Assisi e Spoleto in Umbria e i vigneti tradizionali del vino Soave in Veneto. E queste due ‘oasi’ saranno celebrate domani a Bruxelles, durante un evento organizzato dalla stessa Fao insieme al Comitato europeo delle regioni, insieme a tre siti spagnoli. A rappresentare il Giahs del Soave ci sarà Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio regionale del Veneto.

Presidente, Soave è stato anche premiato come borgo più bello d’Italia. Può un piccolo centro mostrare la via giusta per uno sviluppo sostenibile anche alle città? C’è una ricetta?
“Pensare globalmente, agire localmente: la grande maggioranza delle città, dei territori e delle Regioni chiede azioni decisive per proteggere le popolazioni e il loro ambiente. Tutti devono essere pronti a svolgere il proprio ruolo nel contrastare a breve termine gli effetti immediati del cambiamento climatico e ad agire nel medio e lungo termine per uno sviluppo eco-sostenibile; le città e i territori devono essere protagonisti delle azioni e delle politiche intraprese e pianificate a livello globale, con il sostegno della società civile”.

Qual è il vostro ruolo?
“Il ruolo delle autorità locali è fondamentale poiché è il livello di governo più vicino alla popolazione, con un notevole potere decisionale e di spesa. Non dimentichiamo che oggi le città generano l’80% della ricchezza mondiale e rappresentano luoghi in cui vive più della metà della popolazione mondiale, un numero destinato a raggiungere il 70% entro il 2050. Le città sono responsabili attualmente del consumo di due terzi dell’energia mondiale e del 70% delle emissioni annuali globali. È evidente che se vogliamo avere un impatto concreto sulla sfida climatica nella transizione verso un’economia verde, dobbiamo partire dalle città e dalle macroaree urbanizzate poiché è lì che si gioca e bisogna vincere la sfida”.

Questa transizione su che basi deve poggiare, oltre che su un inevitabile maggior utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili?
R. “Bisogna basare la transizione sul risparmio e sull’implementazione di un’economia circolare: La generazione di ricchezza può derivare non solo dalla limitazione degli sprechi energetici, ma anche da un’economia circolare che promuova il riuso, il riciclo, il risparmio respingendo il dumping sociale e ambientale e utilizza i servizi ecosistemici, in particolare per la sicurezza alimentare. Per questo sono necessarie scelte chiare e decise nonché politiche internazionali a sostegno dell’economia circolare e dell’economia sociale, promuovendo nuove forme di sviluppo e occupazione. Contemporaneamente bisogna promuovere azioni trasversali coordinate e integrate a livello internazionale, europeo e locale che coinvolgano il settore pubblico e privato, i decisori politici e i cittadini a livello locale e territoriale”.

C’è un esempio concreto di azione trasversale per migliorare la sostenibilità dei cittadini?
“Guardi, servono misure ambientali per sviluppare azioni concrete come vediamo ad esempio con la progettazione e la promozione del progetto Città inclusive per famiglie sostenibili, un’alleanza mondiale istituita dalla dichiarazione di Venezia e promossa dalla Federazione Internazionale per lo Sviluppo della Famiglia, la rete Elisan e la regione Veneto”.

In luoghi paradisiaci come Soave, dove tra l’altro soggiornò Dante Alighieri, non c’è il rischio però che un eccesso di turismo interferisca con l’ecosistema?
“Occorre rafforzare la promozione di un turismo e di una crescita sostenibili, di viaggi e spostamenti consapevoli, lenti e dolci per limitare il loro impatto sull’ambiente, con iniziative di itinerari culturali, enogastronomici come, per citare un esempio concreto e avanzato nella sua concezione, la ‘Via Querenissima’, che rafforzano l’identità e la collaborazione europea”.

Meloni: “Sicurezza alimentare cruciale, sarà priorità Presidenza italiana del G7”

Per tre giorni Roma sarà “la capitale mondiale della sicurezza alimentare“. Sono le parole usate dalla premier, Giorgia Meloni, nel suo intervento alla giornata inaugurale del Vertice Fao sui sistemi alimentari. Un appuntamento che cade in uno dei momenti particolarmente delicati per equilibri economici, sociali e geopolitici globali, per la scelta della Russia di uscire dagli accordi per far partire il grano ucraino dal Mar Nero. Se Mosca non dovesse ripensarci, a rischio ci sarebbero milioni di persone. “La sicurezza alimentare è cruciale”, dice la premier, Giorgia Meloni. “Bisogna fare in modo che le persone abbiano l’opportunità di stare nel proprio Paese, questo è anche il vero significato della sovranità alimentare – continua -: il diritto di tutte le persone di poter scegliere il proprio modello produttivo e il proprio modello alimentare”.

Per Meloni il tema sarà “una priorità anche nell’agenda del G7 durante la nostra Presidenza, il prossimo anno“, ma esorta le grandi nazioni a cooperare, investire e innovare, perché “solo finanziando in modo massiccio” le azioni per garantire cibo (di qualità) per tutti “si può arrivare a dei cambiamenti veri, radicali nel sistema alimentare”. E in questo senso “la collaborazione con le istituzioni finanziarie internazionali è un elemento cruciale per l’implementazione di progetti agricoli”. L’Italia farà la sua parte, con un progetto sull’agritech che sarà sviluppato a Napoli: “Un centro di ricerca strategico” che “svilupperà nuove tecnologie, partendo dal settore aerospaziale e ne studierà le applicazioni nel campo agricolo“.

Altro argomento chiave è rimettere a posto le ‘falle’ del sistema alimentare. Compito non facile, perché “mentre cerchiamo di combattere ancora con le conseguenze della pandemia e ricostruire i flussi mondiali, la guerra di aggressione russa in Ucraina ha creato dei disagi sui prezzi, scatenando l’inflazione in tutto il mondo – spiega Meloni – e ovviamente a farne le maggiori spese sono le nazioni più vulnerabili meno ricche, soprattutto al Sud del mondo“. La premier non usa giri di parole: “Questa guerra ha esacerbato problemi già esistenti come la sicurezza alimentare, soprattutto in molte nazioni africane, già messe alla prova da lunghi periodi di siccità“. Meloni ricorda il Piano Mattei del governo italiano: “Lo spirito è stabilire un modello di cooperazione non predatorio”, perché “una relazione più forte tra i Paesi verso una produzione più sostenibile può essere un’opportunità da cogliere”.

Del resto, ricorda, “la sicurezza alimentare è sempre stata una delle linee guida più strategiche della nostra politica estera, un’area prioritaria della cooperazione italiana allo sviluppo ed è diventata una delle maggiori sfide della nostra epoca in questo mondo così interconnesso“. E’ urgente, dunque, “collaborare con tutte le altre nazioni nel mondo per sostenere” l’Africa e “creare la loro prosperità“. Motivo per il quale “mi aspetto unanimità su un accordo per un’azione concreta“. Una riflessione in armonia con le parole del direttore generale della Fao, Qu Dongyu, secondo il quale “di fronte alle crescenti incertezze e alle molteplici crisi, dobbiamo intraprendere con urgenza questa trasformazione per soddisfare le grandi aspettative che abbiamo dai nostri sistemi agroalimentari“. E l’organismo delle Nazioni Unite vuole “sfruttare gli acceleratori trasversali”, concentrandosi su quattro aree chiave: scienza e innovazione, miglioramento delle capacità dei dati, aumento dei finanziamenti pubblici e privati mirati e coordinati e creazione di meccanismi di governance dei sistemi agroalimentari inclusivi. Perché “per liberare il pieno potenziale dei sistemi agroalimentari è necessario concentrarsi su questi acceleratori, per ridurre al minimo i compromessi e massimizzare le sinergie“, conclude Qu.

Nel pomeriggio di ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto al Quirinale il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, alla presenza del ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Il capo dello Stato sottolinea quanto il Vertice Fao “sia particolarmente importante in questo periodo e in questo momento“, con la “quasi la coincidenza di tre grandi eventi – conclude Mattarella -: la conferenza sui sistemi alimentari, che è in corso, a breve la 70esima sessione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite e poi in settembre il summit sullo Sviluppo sostenibile”.

grano

Indice Fao materie prime alimentari giù del 20,5% su marzo 2022

Le forniture di grano aumentano, la domanda di importazioni diminuisce e l’Iniziativa sui cereali del Mar Nero viene estesa. La discesa dei prezzi sulle materie prime alimentari registrata dall’indice Fao non si arresta, per il 12esimo mese consecutivo, con una media di 126,9 punti nel mese di marzo 2023 e fa registrare un -2,1% su febbraio 2023 e addirittura un -20,5% rispetto al livello massimo raggiunto nel marzo 2022.

A fare da traino, naturalmente, è il calo delle quotazioni mondiali di cereali e oli vegetali.

Nel dettaglio, l’indice dei cereali scende del 5,6% rispetto a febbraio, con un calo del 7,1% dei prezzi internazionali del grano, spinto al ribasso dalla forte produzione australiana, dalle migliori condizioni dei raccolti nell’Unione Europea, dalle elevate forniture della Federazione Russa e dalle esportazioni in corso dall’Ucraina dai porti del Mar Nero. I prezzi mondiali del mais sono scesi del 4,6%, in parte a causa delle aspettative di un raccolto record in Brasile, mentre quelli del riso sono diminuiti del 3,2% a causa dei raccolti in corso o imminenti nei principali Paesi esportatori, tra cui India, Vietnam e Thailandia.

L’Indice degli oli vegetali registra una media inferiore del 3,0% rispetto al mese precedente e del 47,7% rispetto al livello del marzo 2022, in quanto l’ampia offerta mondiale e la scarsa domanda di importazioni globali hanno spinto al ribasso le quotazioni di soia, colza e girasole. Ciò ha più che compensato l’aumento dei prezzi dell’olio di palma, che sono cresciuti a causa dei minori livelli di produzione nel sud-est asiatico dovuti alle inondazioni e alle restrizioni temporanee alle esportazioni imposte dall’Indonesia. “Sebbene i prezzi siano scesi a livello globale, sono ancora molto alti e continuano ad aumentare nei mercati interni, ponendo ulteriori sfide alla sicurezza alimentare. Questo vale soprattutto per i Paesi in via di sviluppo importatori netti di prodotti alimentari, la cui situazione è aggravata dal deprezzamento delle loro valute rispetto al dollaro USA o all’euro e dall’aumento del debito“, sottolinea Máximo Torero, Economista Capo della Fao.

L’Indice dei prodotti lattiero-caseari scende dello 0,8% a marzo. I prezzi del burro sono aumentati a causa della solida domanda di importazioni, mentre quelli del formaggio sono scesi a causa del rallentamento degli acquisti da parte della maggior parte dei principali importatori in Asia e dell’aumento delle disponibilità nei principali esportatori.

L’Indice dello zucchero, invece, aumenta dell’1,5% rispetto a febbraio, raggiungendo il livello più alto dall’ottobre 2016, a causa delle preoccupazioni per il calo delle prospettive di produzione in India, Thailandia e Cina. Le prospettive positive per le coltivazioni di canna da zucchero che stanno per essere raccolte in Brasile hanno limitato la pressione al rialzo sui prezzi, così come il calo dei prezzi internazionali del greggio, che ha ridotto la domanda di etanolo.

Quanto alla carne, l’Indice Fao aumenta leggermente, dello 0,5%. Le quotazioni internazionali della carne bovina sono aumentate, influenzate dall’aumento dei prezzi interni negli Stati Uniti d’America, a causa delle aspettative di minori forniture in futuro, mentre i prezzi della carne suina sono aumentati a causa dell’aumento della domanda in Europa in vista delle festività. Nonostante i focolai di influenza aviaria in diversi grandi Paesi esportatori, i prezzi mondiali della carne di pollame sono scesi per il nono mese consecutivo a causa di una domanda d’importazione globale contenuta.

Nel Cereal Supply and Demand Brief, la Fao alza le previsioni per la produzione mondiale di grano nel 2023, ora fissata a 786 milioni di tonnellate, con un calo dell’1,3% rispetto al livello del 2022 e il secondo risultato più alto mai registrato. In Asia si prevedono aree seminate quasi da record, mentre le condizioni di siccità stanno colpendo il Nord Africa e l’Europa meridionale.

Nell’emisfero meridionale, le superfici seminate e le prospettive di produzione del mais in Brasile sono previste ai massimi storici, sostenute da una robusta domanda di esportazione. Le prospettive di resa sono buone anche in Sudafrica, che nel 2023 potrebbe registrare il suo secondo raccolto più abbondante. Per contro, le prolungate condizioni di siccità hanno influito negativamente sui raccolti di mais in Argentina. Su anche le previsioni per la produzione cerealicola mondiale nel 2022 a 2.777 milioni di tonnellate, con un calo di solo l’1,2% rispetto all’anno precedente. La produzione mondiale di riso nel 2022/23 è ora fissata a 516 milioni di tonnellate, l’1,6% in meno rispetto al record raggiunto nel 2021/22, ma con un raccolto superiore alla media. La previsione aggiornata della Fao per l’utilizzo dei cereali a livello mondiale nel 2022/23 è ora di 2.779 milioni di tonnellate, in calo dello 0,7% rispetto al 2021/22. Le scorte mondiali di cereali alla fine della stagione 2022/2023 dovrebbero diminuire dello 0,3% rispetto ai livelli iniziali, attestandosi a 850 milioni di tonnellate. Il rapporto scorte mondiali di cereali/utilizzo scenderà probabilmente dal 30,7% del 2021/22 al 29,7%, indicando comunque un livello globale confortevole. Si prevede che il commercio mondiale di cereali nel 2022/23 subirà una contrazione del 2,7% rispetto al livello del 2021/22, attestandosi a 469 milioni di tonnellate. Il calo riflette principalmente le aspettative di riduzione del commercio di cereali secondari, mentre si prevede un aumento del commercio globale di grano. Il commercio internazionale di riso nel 2023 è previsto in calo del 5,2% rispetto al livello record del 2022.

Tornano dallo spazio i semi Fao: colture cosmiche per la sicurezza alimentare

Dopo quattro mesi nello spazio stanno per tornare sulla terra i semi di Arabidopsis e Sorghum, protagonisti di un singolare esperimento frutto della collaborazione tra la Nasa, la Fao e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). A Vienna  si è svolto un evento per fare il punto sulla sperimentazione, che ha l’obiettivo di sviluppare nuove colture in grado di adattarsi ai cambiamenti climatici e contribuire a rafforzare la sicurezza alimentare globale. Con una popolazione mondiale che si stima raggiungerà quasi i 10 miliardi entro il 2050, è chiara la necessità di trovare soluzioni innovative attraverso la scienza e la tecnologia volte a produrre più cibo, nonché colture più resistenti e metodi di coltivazione più sostenibili.

I semi dei laboratori Aiea e Fao hanno viaggiato su una navetta cargo senza equipaggio dal Wallops Flight Facility della Nasa allo spazio il 7 novembre 2022. Una volta in orbita sono stati esposti a una complessa miscela di radiazioni cosmiche, microgravità e temperature estreme – all’interno e all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale (Iss). Al loro ritorno, che dovrebbe avvenire all’inizio di aprile, gli scienziati del Centro congiunto Fao/Aiea di tecniche nucleari per l’alimentazione e l’agricoltura hanno in programma di coltivare i semi e di selezionarli per individuare tratti utili per comprendere meglio le mutazioni indotte dallo spazio e identificare nuove varietà.

“Sono sbalordito dalla resilienza della natura – ha detto il direttore generale della Fao, QU Dongyu a Vienna ed eccitato dagli infiniti benefici che l’esplorazione dello spazio può apportare per trasformare i nostri sistemi agroalimentari in modo che siano più efficienti, più inclusivi, più resilienti e più sostenibili in tutto il mondo”. Per Mariano Grossi, direttore generale dell’Aiea, “questa è la scienza che potrebbe avere un impatto reale sulla vita delle persone in un futuro non troppo lontano, aiutandoci a coltivare raccolti più forti e nutrire più persone”.  Sebbene esperimenti simili siano stati condotti dal 1946, questa è la prima volta che vengono condotte analisi genomiche e biologiche su semi inviati nello spazio in circa 60 anni di esperienza nell’indurre mutazioni vegetali. L’astrobiologia, insomma, sta esplorando nuove dimensioni.

I semi che hanno viaggiato nello spazio appartengono a due specie vegetali: Arabidopsis, un tipo di crescione che è stato ampiamente studiato da botanici vegetali e genetisti; e il sorgo, che appartiene alla famiglia del miglio ed è un cereale resistente alla siccità e al caldo coltivato in molti paesi in via di sviluppo per uso alimentare. Una volta che i semi saranno rientrati sulla terra e fatti germogliare, una serie di analisi aiuterà a capire se le radiazioni cosmiche e le dure condizioni spaziali possono portare le colture a diventare più resistenti di fronte a condizioni di crescita sempre più difficili sul nostro pianeta.

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Mangiare gli insetti fa bene? I vantaggi ambientali e nutrizionali secondo la FAO

In tutto il mondo si consumano oltre 1.900 specie di insetti commestibili, che sono già parte integrante della dieta di molti Paesi. A livello globale, gli insetti più consumati sono i coleotteri (31%), i bruchi (18%), api, vespe e formiche (14%). Seguono cavallette, locuste e grilli (Ortotteri) (13%), cicale, cocciniglie e cimici (Hemiptera) (10%), termiti (Isoptera) (3%), libellule (Odonata) (3%), mosche (2%) e altri ordini (5%). Secondo la Fao, sono diversi i motivi per cui gli insetti commestibili dovrebbero avere un posto anche nel nostro menù.

Alto valore nutrizionale. Gli insetti commestibili hanno un importante valore nutrizionale e possono essere un’aggiunta salutare alla nostra dieta. Offrono energia, grassi, proteine e fibre e, a seconda dell’insetto, possono essere buone fonti di micronutrienti come zinco, calcio e ferro. Ad esempio, 100 grammi di locusta migratoria forniscono 179 calorie, 100 grammi di termiti, invece, 535 calorie. Gli insetti sono una grandissima fonte di proteine: ad esempio, le cavallette ne contengono una percentuale che va dal 14% al 48% a seconda delle specie, a fronte del 19-26% del manzo e del 16-27% del pesce.

Sostenibilità ambientale. La produzione di insetti destinati al consumo umano, se confrontata con quella della carne, ha un impatto decisamente minore sull’ambiente, almeno secondo l’analisi della Fao.

Mangimi. Per avere 1 kg di proteine di alta qualità, il bestiame viene allevato con in media 6 kg di proteine vegetali (circa 2,5 per il pollo, 5 per il maiale e 10 per il manzo). Gli insetti richiedono decisamente meno mangime: per un chilo di grilli ne serve appena 1,7 kg. Inoltre, fino all’80% di un grillo è commestibile e digeribile, rispetto al 55% di pollo e maiali e al 40% dei bovini.

Emissioni Co2. L’allevamento del bestiame è responsabile del 18% delle emissioni di gas serra (CO2 equivalente), una quota superiore a quella del settore dei trasporti. Le emissioni di gas serra degli insetti, come ad esempio i grilli, sono inferiori di 100 volte rispetto a quelle dei bovini o dei maiali.

Consumo di acqua. L’agricoltura consuma circa il 70% dell’acqua dolce a livello mondiale. La produzione di 1 kg di proteine animali richiede da 5 a 20 volte più acqua rispetto alla produzione di 1 kg di proteine da cereali. La produzione di 1 kg di pollo richiede 2.300 litri di acqua, 1 kg di carne di maiale 3.500 litri e 1 kg di carne bovina 22.000 litri. Per allevare un chilo di insetti, invece, servono appena 150 litri di acqua.

Nuove opportunità economiche. Oltre a essere una fonte di cibo, gli insetti commestibili possono fornire mezzi di sostentamento e reddito. Poiché la coltivazione degli insetti richiede uno spazio minimo, spiega la Fao, è possibile praticarla sia nelle aree urbane che in quelle rurali, rendendo l’allevamento di insetti vantaggioso anche dove altre attività agricole non lo sono. Gli insetti commestibili sono anche facilmente trasportabili e spesso facili da allevare senza una formazione approfondita. L’allevamento di insetti offre quindi opportunità economiche a chi ha un accesso minimo alla terra, alla formazione e ad altre risorse.

Risorsa sottoutilizzata. Gli insetti possono essere una soluzione innovativa per soddisfare la domanda globale di proteine e di altre fonti alimentari nutrienti, visto che con la continua crescita della popolazione mondiale, la produzione alimentare dovrà aumentare, mettendo inevitabilmente sotto pressione la produzione agricola e le nostre limitate risorse naturali.

La Fao chiede misure più incisive per migliorare e tutelare la gestione delle risorse ittiche

La Pesca eccessiva si è ridotta drasticamente nel Mediterraneo e nel Mar Nero, ma lo sfruttamento delle specie più commerciali è ancora lungi dall’essere sostenibile. L’ultima edizione del rapporto ‘Stato della Pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero’, pubblicato dalla Commissione generale per la Pesca nel Mediterraneo (Gfcm), che fa capo all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), registra una diminuzione dello sfruttamento eccessivo delle risorse nell’area, soprattutto con riferimento alle specie più importanti, dalla sogliola dell’Adriatico al nasello europeo, che sono oggetto di piani di gestione multilaterali. Tuttavia, il 73% delle specie commerciali è ancora interessato da una Pesca eccessiva, mentre la pressione della Pesca, pur essendo diminuita nel tempo, continua a essere doppia rispetto al volume considerato sostenibile.

Il rapporto precisa che nel Mediterraneo e nel Mar Nero, dove un abitante su mille è pescatore, migliorare la gestione delle risorse ittiche è vitale, sia per l’economia locale sia per la conservazione della biodiversità. Non a caso, l’edizione 2022 del documento biennale è stata pubblicata in occasione della Cop15 sulla biodiversità che si apre oggi in Canada.
Nel suo precedente rapporto, la Gfcm stimava il sovrasfruttamento per il 75% delle specie commercializzate nel 2018 e per l’88% nel 2012. Un segnale incoraggiante, visto che quest’anno è stata registrata “una notevole riduzione della Pesca eccessiva degli stock di nasello europeo nel Mediterraneo, rombo chiodato nel Mar Nero e sogliola comune nell’Adriatico, che attualmente sono oggetto di uno o più piani di gestione”. È fondamentale per i Paesi interessati “invertire la tendenza al ribasso delle risorse acquatiche” e “stabilire legami tra redditività e sostenibilità”, ha affermato Miguel Bernal, segretario esecutivo della Gfcm. Per questo, nella Strategia per il 2030, i membri della Gfcm hanno fissato nuovi obiettivi per far fronte alle criticità. “La nuova strategia offre una visione ambiziosa e richiede un impegno collettivo più coraggioso rispetto al passato”, ha aggiunto.

Nel Mediterraneo e nel Mar Nero la Pesca genera introiti annui per 2,9 miliardi di dollari e si stima crei mezzo milione di posti di lavoro lungo tutta la catena di valore. In media, uno ogni mille abitanti delle zone costiere della regione è un pescatore; in alcune zone costiere, il dato può essere fino a dieci volte maggiore. Tuttavia, la forza lavoro sta invecchiando. Nel 2020 più della metà di tutti gli equipaggi aveva più di 40 anni, mentre i giovani di età inferiore ai 25 anni erano soltanto il 10 percento. Stando ai più recenti dati contenuti nel rapporto, il fenomeno si sta aggravando.
“Una trasformazione blu” del settore della Pesca, ovvero il rispetto degli ecosistemi marini, “è l’unico modo per garantire che questo settore continui a sostenere la produzione alimentare e i mezzi di sussistenza delle generazioni attuali e future”, afferma Manuel Barange, direttore della Divisione della Pesca e dell’acquacoltura della Fao.
La Gfcm che riunisce 23 Paesi, è stata creata nel 1949 per svolgere un ruolo attivo nella conservazione degli stock ittici nelle acque internazionali del Mediterraneo. Le zone in cui la Pesca è vietata o regolamentata sono il risultato di negoziati, in particolare tra autorità e pescatori. Attualmente circa due terzi dell’area del Mediterraneo e del Mar Nero sono protetti in dieci zone di Pesca regolamentate, istituite proprio dalla Cfcm.

siccità

Giornata del suolo, in Italia persi 19 ettari al giorno. Appello degli ambientalisti: Stop al consumo

“Consumare Suolo in maniera indiscriminata significa anche favorire le calamità idrogeologiche. Un suicidio! Serve dunque una svolta, serve una nuova condotta improntata al senso della responsabilità di tutti, dai cittadini alle istituzioni. Meno consumo di Suolo e più rigenerazione urbana: da oggi dovranno essere questi gli obiettivi per i quali lavorare”. Il messaggio di Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, arriva forte e chiaro in occasione della Giornata mondiale del Suolo (World Soil Day 2022) promossa dalla Fao e sostenuta dalle Nazioni Unite. Il tema per il 2022 è ‘Il suolo: dove comincia l’alimentazione’. Secondo i dati del Rapporto Snpa 2022 dell’Ispra, che Legambiente riprende oggi, in Italia il consumo di suolo torna a crescere e nel 2021 sfiora i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno, con una media di 19 ettari al giorno, il valore più alto negli ultimi dieci anni, e una velocità che supera i due metri quadrati al secondo.

In generale, la Fao sottolinea che, nel mondo, due miliardi di persone non hanno un apporto equilibrato di nutrienti nella propria alimentazione. La tutela del suolo è un obiettivo raggiungibile solo perseguendo azioni quali, per esempio, l’utilizzo sostenibile dei fertilizzanti, la ricarbonizzazione dei suoli, il miglioramento della mappatura di dati e informazioni a essi legati, il monitoraggio della fertilità del suolo.

Dal macro al micro. In Italia, è la Coldiretti a delineare lo stato dell’arte. “Negli ultimi 50 anni – spiega il presidente Ettore Prandini – è scomparso quasi un terreno agricolo su 3 (-30%) con la superficie agricola utilizzabile in Italia che si è ridotta ad appena 12,8 milioni di ettari a causa dell’abbandono e della cementificazione che rende le superfici impermeabili. Negli ultimi dieci anni, con le campagne l’Italia ha perso 400 milioni di chili di prodotti agricoli per l’alimentazione dell’uomo e degli animali, aumentando il deficit produttivo e la dipendenza dall’estero”. L’organizzazione sottolinea come occorra “accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo”, sottolineando che “è comunque positiva la scelta del Governo di investire nella manovra sul Fondo per il contrasto al consumo di suolo: 10 milioni nel 2023, 20 nel 2024, 30 nel 2025 e 50 milioni di euro all’anno nel biennio 2026-2027″. Finanziamenti fondamentali, ai quali si affiancano interventi “necessari di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali”, conclude l’associazione, ricordando che i cambiamenti climatici (nel 2022 si sono registrati tremila eventi estremi) e la sottrazioni di terra fertile capace di assorbire l’acqua danno vita a un micidiale mix i cui effetti si traducono, in oltre 9 Comuni su 10 (il 93,9% del totale) in aree a rischio idrogeologico per frane e alluvioni.

Su quest’ultimo tema si è espressa anche l’Anbi. L’alluvione nelle Marche dello scorso 15 settembre e quella nel comune sardo di Bitti nel novembre 2020 sono, per l’associazione, casi simbolo di disastri ambientali che hanno evidenziato l’importanza dei Consorzi per la Gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue che, però, da soli non sono sufficienti “di fronte alla velocità della crisi climatica e all’estremizzazione degli eventi atmosferici. Serve una visione politica, che ponga il territorio al centro, a iniziare dall’approvazione della legge contro il consumo di suolo, che giace da due legislature in Parlamento”, dichiara Massimo Gargano, direttore generale Anbi.

A questa richiesta di azione dal punto di vista legislativo, fa eco anche Legambiente. “Dall’approvazione, dieci anni fa, del ddl proposto dall’allora ministro dell’Agricoltura, Mario Catania – esordisce Stefano Ciafani, presidente Nazionale dell’associazione – l’Italia è in attesa di una legge per fermare il consumo di suolo. Da allora le proposte di legge si sono moltiplicate, ma una normativa non è mai uscita dalle secche della discussione parlamentare”. Una carenza normativa – secondo Legambiente – che fa il paio con la mancanza di un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, anch’esso in stallo dal 2018, che Legambiente auspica possa essere approvato entro la fine dell’anno, come preannunciato dal governo Meloni dopo la tragedia di Ischia.
“Quanto lì accaduto – commenta Stefano Ciafani – mette la politica di fronte alla necessità di agire concretamente e in maniera tempestiva per dare al Paese una legge che rivesta un ruolo centrale contro il consumo indiscriminato di suolo e il dissesto idrogeologico”.

 

grano

Fao: “I prezzi frenano a luglio, ma ancora alti rispetto al 2021”

I prezzi dei prodotti alimentari a livello mondiale sono scesi bruscamente a luglio, trascinati al ribasso dai prezzi dei cereali e degli oli vegetali. Lo ha dichiarato l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao). Dopo aver raggiunto il massimo storico a marzo in seguito all’invasione dell’Ucraina, l’indice dei prezzi alimentari della Fao, che segue le variazioni dei prezzi internazionali di un paniere di prodotti di base, è sceso dell’8,6% in un mese, segnando il quarto calo consecutivo. Tuttavia, rimane a livelli elevati, attestandosi a 140,9 punti a luglio, con un aumento del 13,1% su base annua rispetto a giugno 2021, ha dichiarato l’agenzia.

Máximo Torero Cullen, economista capo della Fao, ha accolto con favore il “gradito” calo, soprattutto dal punto di vista dell’accesso al cibo, ma ha avvertito che ci sono ancora molti rischi per la sicurezza alimentare globale, come una recessione o “gli alti prezzi dei fertilizzanti e il loro potenziale impatto sulla produzione e sui mezzi di sussistenza degli agricoltori“.

L’indice Fao dei prezzi degli oli vegetali è calato a luglio del 19,2%, “scendendo al livello più basso degli ultimi 10 mesi“, a causa del calo dei prezzi di tutti gli oli e del petrolio greggio. Le abbondanti esportazioni di olio di palma verso l’Indonesia e il buon raccolto di colza stanno deprimendo i prezzi, mentre la domanda di importazione di olio di girasole – di cui l’Ucraina è un importante produttore – è calata drasticamente.

L’indice Fao dei cereali è sceso dell’11,5%, con “il calo maggiore dei prezzi mondiali del grano, che sono scesi di ben il 14,5% in risposta all’accordo raggiunto tra Ucraina e Federazione Russa sullo sblocco dei principali porti del Mar Nero“, sottolinea l’organizzazione. Dopo la firma dell’atteso accordo, avvenuta il 22 luglio, la prima nave, il cargo Razoni, è salpata lunedì da Odessa dopo cinque mesi di totale inattività nei porti. Altri tre carichi di grano hanno lasciato l’Ucraina venerdì, ha dichiarato la Turchia, che sta supervisionando l’attuazione delle esportazioni.

Anche l’indice Fao dei prezzi dello zucchero è sceso del 3,8%, a causa del “calo dei prezzi dell’etanolo che ha portato a una produzione di zucchero in Brasile superiore al previsto nel mese di luglio“. Anche le prospettive di produzione favorevoli in India hanno contribuito al calo, compensando le preoccupazioni per le rese delle barbabietole da zucchero europee.