Meloni in Tunisia: “Impegno Italia per accordo con Fmi. Avanti col Piano Mattei”

Un colloquio “lungo e proficuo” con il presidente Kais Saied; l’impegno di portare avanti la causa tunisina per sbloccare la trattativa con il Fondo monetario internazionale per la concessione di una parte del finanziamento da 1,9 miliardi di euro che potrebbero aiutare il Paese nordafricano nella stabilizzazione; la disponibilità a tornare a stretto giro con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Giorgia Meloni conclude la sua missione lampo a Tunisi con un video diffuso sui suoi social, in cui parla da un pulpito (ma senza la stampa), spiegando l’esito del suo colloquio con il presidente tunisino.

La premier cerca di evitare che il Paese cada in default, circostanza che potrebbe significare per l’Italia un considerevole aumento del flusso migratorio sulla rotta del mare.

Nel pieno rispetto della sovranità tunisina, ho raccontato al presidente Saied degli sforzi che un Paese amico come l’Italia sta facendo per cercare di arrivare a una positiva conclusione dell’accordo tra Tunisia e Fmi, che resta fondamentale per un rafforzamento e una piena ripresa del Paese“, afferma la presidente del Consiglio.

Quella di ieri, conferma, è una visita istituzionale “molto importante“. Ricorda la storica amicizia tra Italia e Tunisia, che “devono saper cooperare insieme sempre di più e meglio” e “in questo periodo di difficoltà” per il Paese ribadisce il “sostegno dell’Italia a 360 gradi, per il bilancio, l’apertura delle reti di credito, lo sviluppo del settore agroalimentare“.

Anche a livello europeo, spiega la premier, l’Italia si è fatta portavoce di un “approccio concreto” per aumentare l’appoggio alla Tunisia sia nel contrasto alla tratta di esseri umani e all’immigrazione illegale, che per un “pacchetto di sostegno integrato, di finanziamenti e di opportunità importanti a cui sta lavorando Bruxelles“.

La cooperazione che sta più a cuore a Meloni è quella sul fronte energetico che, ricorda, si rafforza” grazie al cavo sottomarino Elmed, infrastruttura strategica che lega i due Paesi e consente a entrambi di “diventare hub energetico per i vicini”. Si tratta di un progetto di interconnessione elettrica marittima tra le due sponde del Mediterraneo, promosso da Terna e dall’omologa tunisina Steg, varato all’inizio dell’anno. L’opera prevede un collegamento elettrico subacqueo in corrente continua con una potenza di 600 MW, lungo oltre 200 chilometri e con una profondità massima raggiunta di 800 metri. Per l’Italia, dall’approdo di Castelvetrano, in provincia di Trapani, si arriva alla costa grazie a un cavo interrato che percorre strade esistenti lasciando inalterati ambiente e paesaggio per 18 chilometri fino ad arrivare a Partanna, dove sarà costruita una stazione di conversione da corrente continua in alternata nella stessa area della già esistente stazione elettrica. Dall’approdo italiano il cavo sottomarino raggiunge la costa tunisina attraversando il Canale di Sicilia.

Il cavo Elmed fa parte del ‘Piano Mattei’ che verrà presentato a ottobre, in occasione del Summit intergovernativo Italia-Africa. “E’ un piano – scandisce Meloni – che vuole parlare di una cooperazione non paternalistica, non predatoria, ma paritaria“. Una cooperazione, garantisce, che “offre opportunità per tutti.

Pnrr, a fine febbraio spesi solo 25,7 mld. Meloni: Lo utilizzeremo tutto

Il Piano italiano di Ripresa e Resilienza è il più grande d’Europa. La premier Giorgia Meloni tiene a sottolinearlo, nella relazione semestrale sullo stato di attuazione del Pnrr, condivisa durante la cabina di regia.

Sul tavolo ci sono 191,5 miliardi di euro da spendere e 527 obiettivi da raggiungere, molti dei quali, ribadisce, “estremamente ambiziosi e utili” per ammodernare la Nazione e rilanciare il tessuto sociale ed economico, “sia sul versante interno sia su quello internazionale“.

Lo strumento è “prezioso” e il Governo, garantisce la presidente del Consiglio, intende utilizzarlo “pienamente per portare avanti riforme strutturali, migliorare la competitività del Sistema-Italia e accelerare i processi di innovazione“. Quanto alle scadenze, su quella del 31 agosto “siamo assolutamente nei termini previsti dall’Europa“, garantisce il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto.

I soldi spesi, al momento, sono però solo una piccola percentuale: al 31 dicembre 2022 risultano rilevate spese sostenute per circa 24,48 miliardi di euro, mentre al 28 febbraio 2023 risultano spese sostenute per circa 25,74 miliardi di euro concentrate su alcune specifiche linee di intervento, solo un miliardo in più. Tra i ministeri, quello dei Trasporti e delle Infrastrutture registra il dato più basso, pari al 12%.

Miglioramenti “sono possibili” per Ignazio Visco, governatore uscente della Banca d’Italia, che ‘riprende’ l’esecutivo durante le considerazioni finali in occasione della pubblicazione della Relazione annuale. Nel perseguimento di eventuali modifiche bisogna, sottolinea, “tenere conto del serrato programma concordato con le autorità europee; al riguardo, un confronto continuo con la Commissione è assolutamente necessario, nonché utile e costruttivo. Non c’è tempo da perdere“. Il Piano rappresenta un “raro, e nel complesso valido, tentativo di definire una visione strategica per il Paese“, sostiene il governatore. Anche per questa ragione, esorta, “oltre agli investimenti e agli altri interventi di spesa, è cruciale dare attuazione all’ambizioso programma di riforme, da troppo tempo attese, in esso contenuto“.

Il piano avanza su più fronti“, assicura Fitto. “Ci sono parti che camminano più rapidamente e parti con maggiore difficoltà. Abbiamo rivisto la governance e c’è un tavolo aperto, abbiamo trovato una convergenza molto positiva con la conferenza unificata, ma alcune questioni sono rimaste aperte continueremo a lavorare“, afferma.
L’obiettivo, per Meloni, è chiaro: “Ottimizzare al meglio l’occasione che arriva dal Pnrr, compiendo scelte strategiche, chiare ed efficaci, velocizzando al massimo le procedure e garantendo che le risorse possano arrivare a terra“.

Dalla parte dell’Italia, c’è la flessibilità che la premier ha ottenuto nel consiglio europeo di febbraio, “un grande risultato di Meloni“, rivendica Fitto, che invita a comparare i risultati italiani a quelli europei: “Al momento solo 5 paesi europei hanno presentato modifiche con il RepowerEu. Inoltre, la complessità del lavoro nella modifica del nostro piano è certamente differente rispetto ad altri Paesi“.

Il piano è il primo strumento comune con il quale l’Unione europea ha deciso di intervenire all’indomani della crisi economica e sociale provocata dalla pandemia. Ma, spiega la premier nella relazione, è nato “in un periodo storico diverso da quello attuale“. Nei mesi successivi, la guerra di aggressione della Federazione Russa all’Ucraina e gli shock energetici, economici e sociali che sono seguiti, “hanno fatto emergere nuove priorità di cui è necessario tener conto e la conseguente necessità di aggiornare il Piano“.

Un aggiornamento, di fatto è il capitolo RepowerEu, nato per rispondere alla crisi energetica: “Un lavoro estremamente delicato che il Governo sta portando avanti con la massima attenzione e con grande responsabilità“, spiega Meloni. “E’ un programma decisivo dal punto di vista geopolitico, perché non è nazionale – aggiunge Fitto -, può essere un ponte collegamento geopolitico per il ruolo italiano nel Mediterraneo” e per questo “rappresenta una priorità di azione“.

La riflessione che il governo fa in cabina di regia è non solo sugli obiettivi che non si sono raggiunti a giugno, che sono “determinati da scelte precedenti a questo Governo“, ribadisce Fitto, ma su tutti gli obiettivi delle prossime scadenze fino a giungo 2026. “Perché modificare o meno un obiettivo intermedio per confermare e mettere in salvaguardia l’intervento complessivo è un risultato, ma la modifica di un obiettivo va accompagnato dalle conseguenze sugli altri obiettivi“, scandisce.

Nessuno scontro con la Corte dei Conti, che il governo dovrebbe incontrare domani a Palazzo Chigi, garantisce Fitto: “Lo scontro di regola si fa in due, sfido chiunque a trovare una sola parola del governo che sia andata contro qualcuno. È evidente che c’è rispetto, così come il governo chiede a tutti i i suoi interlocutori lo stesso rispetto”.

Case Green, Meloni affila le armi: “Scelta irragionevole, ci batteremo”

La battaglia in Europa sulle Case Green si farà. Lo giura Giorgia Meloni, che affila le armi alla Camera. Durante i negoziati in Consiglio, l’Italia era riuscita a ottenere una revisione delle tempistiche per l’adeguamento delle prestazioni energetiche degli edifici, per rendere la transizione più graduale e garantire possibilità di esenzione per alcune categorie. L’Europarlamento però “ha ritenuto di inasprire ulteriormente il testo iniziale e questa scelta che consideriamo irragionevole, mossa da un approccio ideologico, impone al governo di continuare a battersi per difendere gli interessi dei cittadini e della nazione”, assicura la premier, rispondendo al Question Time. Gli obiettivi temporali della direttiva europea “non sono raggiungibili dall’Italia“, rileva la leader di Fdi. Il patrimonio immobilitare del nostro Paese, osserva, è inserito in un contesto molto diverso dagli altri Stati membri per ragioni storiche, di conformazione geografica, “oltre che per una praticata visione della casa come bene-rifugio delle famiglie“.

Ammantarsi di ideali è bello, commenta il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, che fa notare come in Italia ci siano 31 milioni di case cui quasi la metà, 15 milioni, sono oggetto di classificazione: “Anche se molte sono escluse perché sotto i 100 metri quadrati, vincolate o per altri motivi, le abitazioni da portare in classe F al 2030 sarebbero comunque circa 5,1 milioni e quelle da portare in classe D al 2033 ammonterebbero a 11,1 milioni“. Per questo chiede di procedere per gradi e questo percorso va valutato a suo avviso dagli Stati nazionali: “Se con il Superbonus, spendendo 110 miliardi, siamo riusciti a intervenire su 360 mila immobili, quanto servirebbe per intervenire entro il 2030 su quasi 15 milioni di unità immobiliari? Si tratterebbe di cifre astronomiche che non possono permettersi né lo Stato né le famiglie italiane“. Questi costi, spiega infatti, sarebbero “caricati sullo Stato o sulle famiglie, in questo caso peserebbero sulle famiglie meno abbienti, quelle in difficoltà”. Ecco perché il responsabile del Mase sottolinea: “E’ una valutazione di razionalità”. A livello europeo “c’è un plenum aperto e c’è una posizione al Consiglio energia di fine ottobre, in cui avevo detto che si potevano prevedere step di controllo al 2033 e al 2040. La posizione di Parlamento e Commissione Ue, invece, non è quella di consentire step ma di un obbligo, addirittura un obbligo individuale. Lo faremo presente a livello europeo, poi essendo la direttiva valuteremo come comportarci”, fa sapere.

Il rischio, per il capogruppo di FI alla Camera, Alessandro Cattaneo, è che crolli l’intero mercato immobiliare:Non possiamo costringere otto milioni di famiglie a sostenere interventi costosi in tempi brevissimi, inapplicabili e irragionevoli“, insiste. La destra è troppo allarmista per il Pd e “continua a negare l’urgenza di affrontare la crisi climatica”: “La direttiva europea per le ‘Case green’ non è un inutile e costoso orpello a danno di inquilini e proprietari, ma il contributo necessario e doveroso di tutti i cittadini per difendere l’ambiente, ridurre le bollette e gli sprechi energetici”, scandisce Chiara Braga, deputata Dem e Segretaria di Presidenza della Camera dei Deputati.Un obiettivo sacrosanto, tanto più in un Paese come il nostro – rileva – che conta 6 milioni di poveri energetici e che ha il patrimonio edilizio più energivoro d’Europa“. Meloni “dimostra ancora una volta di non sapere di cosa parla” per il vicecapogruppo M5s a Montecitorio, Agostino Santillo. Richiama il Superbonus, quella misura che, rivendica, “è l’unica vera soluzione per avviare il percorso della direttiva: lo capirebbe anche un bambino, e l’Italia la aveva già. Anzi, con il 110% si può dire che l’Italia ha tracciato la strada in Europa. Però quella stessa misura ha pagato un peccato originale: è stata ideata dal M5s. Pertanto la Meloni, guidata da ignavia e sete di consenso, l’ha voluta demolire insieme al sodale Giorgetti, che da mesi farnetica su buchi di bilancio inesistenti“. Meloni però non incassa e parla di emergenze e priorità: “La norma ha generato oneri finanziari privi di copertura per decine di miliardi di euro, è state pagata anche da chi non ha ristrutturato casa e perfino da chi una casa non ce l’ha, per efficientare forse il 4% del patrimonio italiano“, denuncia la premier. Poi affonda: “Il Superbonus ha consentito la proliferazione di un mercato opaco e non governato di circolazione dei crediti fiscali a tutto vantaggio non delle imprese che quegli interventi avevano realizzato e per le quali oggi reclamano il pagamento, ma dei vari intermediari anche finanziari intervenuti a raccogliere questi crediti con un prezzo a sconto sul valore nominale, lucrando sul differenziale poi portato all’incasso con l’erario”.

giornata donna

Giornata della donna, con Meloni la svolta ma in agricoltura ancora poche manager

La nomina di Giorgia Meloni a presidente del Consiglio sembra aver rotto, almeno in parte, il cosiddetto tetto di cristallo in Italia. Per la prima volta nel nostro Paese a capo del governo siede una donna. Per la prima volta una donna accede a uno degli scranni più alti del potere. Intorno alla sua elezione si è creato una sorta di ‘contagio’ sulla cui scia si può assestare la vittoria di Elly Schlein a segretaria del Partito democratico. Ma, ciononostante, dati alla mano, se si guarda alle posizioni apicali il gap con gli uomini continua a essere notevole: nella pubblica amministrazione le donne rappresentano il 58,8% del totale dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici, ma solo una su tre ha un ruolo manageriale. Una situazione riscontrabile anche in agricoltura: le donne occupate nel settore sono 823.000, ovvero il 30% del totale ma solo il 31% di queste dirige un’azienda agricola.

L’ultimo report pubblicato da Global Perspectives&Solutions di Citi sottolinea come la parità di genere nelle imprese non solo aumenterebbe fino al 3% il Pil mondiale ma porterebbe anche parecchie centinaia di milioni di posti di lavoro. Inoltre, un rapporto della Fao indica che se si aumentasse la conduzione femminile delle aziende del settore nei Paesi in via di sviluppo crescerebbe del 30% anche la produzione, contribuendo alla sicurezza alimentare mondiale.
Nella Giornata internazionale della donna risuona forte l’appello delle associazioni femminili di Cia-Agricoltori italiani e di Confagricoltura: “Più donne nei ruoli apicali”, ribadisce Donne in Campo, invitando tutti a sottoscrivere il ‘Manifesto delle donne per la Terra’. Una Carta dei valori, ma anche un Documento programmatico, per costruire un’alleanza “fortissima” tra le donne di tutto il mondo. Perché oggi, dopo una pandemia globale e con le sfide in atto, da quelle geopolitiche a quelle climatiche, “le donne devono essere là dove si decide”. Quanto all’agricoltura, aggiunge la presidente dell’associazione Pina Terenzi, sebbene rispetto ad altri settori mostri aspetti di minore disparità tra i generi, “tanto resta ancora da fare. In particolare, sarà cruciale accogliere l’idea di futuro che le donne dell’agricoltura veicolano nel loro prezioso lavoro quotidiano, legato strettamente a una visione multifunzionale e sostenibile del settore, che coniuga la produzione di cibo con welfare, comunità, tutela di suolo e paesaggio, salvaguardia di risorse e biodiversità, innovazione”.

Per Alessandra Oddi Baglioni, presidente di Confagricoltura Donna, mentre in Italia vi è un’abbondanza di norme per promuovere l’occupazione e l’imprenditoria femminile, si registra ancora che, concretamente, la loro efficacia è ridotta. In Italia sono più di 200mila le imprese agricole condotte da donne, numerose le under 35, che rappresentano circa un terzo del totale. In generale, nel settore primario, a Sud si concentrano quasi 22 imprese ogni 100, nel Centro-Nord invece solo 11,7. Le imprese agricole femminili hanno sopportato meglio gli effetti derivanti dalla pandemia e il 28% ha aumentato il proprio fatturato rispetto al 20% delle imprese agricole non femminili. Eppure, il ruolo della donna nel settore è spesso invisibile. Soprattutto, ricordano le associazioni, per quanto riguarda i diritti. Alle agricoltrici, come a tutte le lavoratrici autonome, viene riconosciuta solo la maternità obbligatoria (5 mesi), con un’indennità economica insufficiente a coprire le spese di una sostituzione in azienda. Ma, a loro “non vengono riconosciute né la maternità a rischio né il congedo parentale per assistere parenti disabili. Senza dimenticare che il lavoro agricolo non è considerato un’attività usurante”.

Inoltre, a livello globale, secondo la Fao, il numero delle persone che soffrono la fame potrebbe ridursi del 12-17% se le donne delle zone rurali avessero le stesse opportunità degli uomini in termini di accesso alla terra, alla tecnologia, ai servizi finanziari, alla scolarizzazione e ai mercati. Ad affermarlo è stato il ‘Rapporto sullo Stato dell’alimentazione e dell’agricoltura’ del 2011 focalizzato proprio sul ruolo delle donne nell’economia agricola. Secondo quanto riportato dall’analisi, se nei paesi in via di sviluppo ci fosse parità tra i sessi nel settore agricolo la produzione potrebbe aumentare tra il 2,5 e il 4%. Fattore che a sua volta permetterebbe a 100-150 milioni di persone di non soffrire più la fame, con una diminuzione del 12-17% rispetto ai 925 milioni di oggi (906 milioni solo nei paesi in via di sviluppo). Sempre secondo i dati Fao, aggiornati al 2022, le donne rappresentano quasi la metà della forza lavoro in agricoltura, sono le principali responsabili per la cura della casa e dei figli e svolgono spesso compiti poco produttivi, ma molto onerosi, come raccogliere l’acqua e la legna. Di conseguenza, il carico lavorativo della popolazione rurale femminile risulta spesso sproporzionato, poco riconosciuto e in gran parte non retribuito.

Le donne in agricoltura affrontano anche notevoli disparità in termini di accesso alle risorse e condizioni lavorative. Il rapporto della Fao evidenzia, ad esempio, che esse tendono a coltivare terreni più piccoli e di più bassa qualità e possedere un numero inferiore di capi di bestiame; fare minore utilizzo di input quali fertilizzanti macchinari e di servizi finanziari; avere un accesso limitato alle informazioni di mercato e alla formazione; essere impiegate in posizioni meno remunerative e più precarie; non essere adeguatamente rappresentate negli organi decisionali. Come ha concluso la Commissione sulla condizione delle donne delle Nazioni Unite “senza l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne non si possono contrastare il cambiamento climatico e i rischi di catastrofi ambientali.”

Meloni rivendica il ‘pit stop’ Ue sul blocco alle auto a diesel e benzina dal 2035: “Successo italiano”

L’Europa fa un ‘pit stop’ di riflessione sul blocco alla produzione di motori endotermici dal 2035. La notizia fa tirare un sospiro di sollievo all’Italia, che in queste settimane ha messo in campo un’azione politica importante per chiedere flessibilità per evitare contraccolpi pericolosi al sistema industriale nazionale (e continentale), che sarebbe poi inevitabilmente ricaduto sul tessuto sociale del nostro Paese. “Il rinvio, a data da destinarsi, del voto alla riunione degli ambasciatori Ue sul Regolamento che prevede lo stop dal 2035 alla vendita di Auto nuove diesel e benzina è un successo italiano”, rivendica la premier, Giorgia Meloni.

Che sui suoi canali social sottolinea: “La posizione del nostro governo è chiara: una transizione sostenibile ed equa deve essere pianificata e condotta con attenzione, per evitare ripercussioni negative sotto l’aspetto produttivo e occupazionale”. Ecco perché “la decisione del Coreper di tornare sulla questione a tempo debito va esattamente nella direzione di neutralità tecnologica da noi indicata”. La presidente del Consiglio pianta anche un altro paletto quando scrive che è “giusto puntare a zero emissioni di Co2 nel minor tempo possibile, ma deve essere lasciata la libertà agli Stati di percorrere la strada che reputano più efficace e sostenibile”. A suo modo di vedere “questo vuol dire non chiudere a priori il percorso verso tecnologie pulite diverse dall’elettrico”. E la linea dell’Italia, specifica Meloni, ha “trovato largo consenso in Europa.

Soddisfatto anche il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, secondo cui il rinvio “tiene giustamente conto di una forte resistenza di alcuni Paesi europei, con l’Italia in prima fila, a un’impostazione del Regolamento troppo ideologica e poco concreta”. Per il responsabile del Mase la posizione di Roma è “molto chiara: l’elettrico non può essere l’unica soluzione del futuro, tanto più se continuerà, come è oggi, ad essere una filiera per pochi”. Meglio “puntare inoltre sui carburanti rinnovabili – argomenta Pichetto – è una soluzione strategica e altrettanto pulita, che consente di raggiungere importanti risultati ambientali evitando pesanti ripercussioni negative in chiave occupazionale e produttiva”. La decarbonizzazione dei trasporti, comunque, “resta obiettivo prioritario – aggiunge il responsabile del Mise – e deve tenere conto delle peculiarità nazionali e di tempistiche compatibili con lo sviluppo del settore dell’automotive”. Ma “una transizione sostenibile non è compatibile con la fissazione di una data secca al 2035”.

Esulta su Twitter il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “L’Italia ha svegliato l’Europa. Mi auguro che ora ci sia una riflessione comune per una competitività sostenibile anche nel settore automotive”. Anche perché nel passaggio all’elettrico tout court il rischio è quello di trovarci in “una peggiore e più grave subordinazione alle materie critiche, che sono appannaggio della Cina e dei suoi alleati”. Una preoccupazione, dice, condivisa anche dal ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, in visita venerdì a Roma.

Sul piano politico chi rivendica con forza questo risultato è la Lega, con il suo segretario, nonché vicepremier, Matteo Salvini. “E’ stata ascoltata la voce di milioni di italiani e il nostro governo ha dimostrato di offrire argomenti di buonsenso sui tavoli internazionali, a difesa della nostra storia e del nostro lavoro – afferma -. La strada è ancora lunga ma non ci svenderemo alla Cina”. Il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, intanto, continua “l’azione diplomatica a difesa dei lavoratori e delle imprese italiane ed europee”, riferisce una nota del Mit. Informando di una telefonata con il collega della Repubblica Ceca, Martin Kupka: “Praga condivide le preoccupazioni italiane sui Regolamenti Co2 auto, veicoli pesanti e direttiva Euro7 e intende promuovere un’iniziativa di Paesi ‘like-minded’ in difesa della neutralità tecnologica”.

Posizione netta è anche quella degli industriali. Per Carlo Bonomi, infatti, lo stop alle auto a motore endotermico dal 2035 “non mi convince, viene meno lo spirito iniziale dell’Europa sulla transizione che era quello della neutralità tecnologica“. Secondo il presidente di Confindustria “portava ad uno spiazzamento delle industrie europee a favore di quelle asiatiche“. Dunque, “saremmo diventati importatori netti lasciando un’Asia monopolista e a decidere i prezzi: si chiama effetto Cuba, quando le classi medie non hanno soldi per comprare una tecnologia che costa molto e non c’è ricambio del parco auto“.

Meloni a Kiev: “Lavoriamo per conferenza ricostruzione ad aprile”

Una dichiarazione congiunta sulla pace, sull’avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea, sulla ricostruzione, per la quale Roma lavora a una conferenza che si terrà ad aprile. Giorgia Meloni torna da Kiev, Bucha, Irpin dopo aver toccato con mano il dolore, la devastazione, ma anche la voglia di rivalsa di un Paese che, giura, l’Italia e l’intera Europa non abbandoneranno.

Saremo con voi fino alla fine”, promette visitando i luoghi dei crimini di guerra a Bucha, al procuratore generale Andriy Kostin. Paragona lo spirito ucraino al risorgimento italiano, prima, al boom del dopoguerra poi: “Sono certa che nei prossimi anni potremo parlare di un miracolo ucraino“, è l’auspicio.

Parla accanto al presidente Volodymyr Zelensky, allontana lo spettro di divisioni interne alla maggioranza di governo per le posizioni filoputiniane espresse da Silvio Berlusconi. “Nessuno gli ha mai bombardato la casa“, fa notare Zelensky.

Rimane agli atti che c’è un aggredito e un aggressore, rimane agli atti che per paradosso è l’aggredito che cerca un negoziato di pace“, precisa Meloni e fino al negoziato assicura all’Ucraina ogni genere di supporto. Supporto politico, militare, per difendere le infrastrutture strategiche contro il “gioco sadico” di portare allo stremo la popolazione civile, supporto umanitario e finanziario. Il gruppo di lavoro ‘emergenza elettrica Ucraina‘, voluto fortemente proprio da lei, ha già inviato materiale per diversi milioni di euro. Un tentativo di sostenere il Paese in sofferenza elettrica dopo i bombardamenti. Partono per l’Ucraina trasformatori e gruppi di diversa taglia, cavi e accessori per cercare di ripristinare una fornitura di energia stabile a circa 3 milioni di persone.

La conferenza sulla ricostruzione di aprile continuerà e amplierà molto il lavoro: “C’è un know how che le imprese italiane possono offrire, lo metteremo a disposizione perché nella ricostruzione l’Italia vuole giocare un ruolo da protagonista“, afferma la premier. Si partirà dalle esigenze principali, con un “cambio di passo” sul lavoro fatto finora: “Io non concentrerei la ricostruzione sul futuro – spiega -. Un segnale molto importante è lavorare subito. L’Italia credo possa fare la differenza“. Pensa al settore dei trasporti, dell’energia, dell’agroalimentare. Ma c’è un sogno, che è anche un messaggio di speranza. Sia Roma sia Odessa sono candidate per l’Expo 2030: “Sarebbe straordinario che l’Expo tornasse in Europa, ma possiamo lavorare insieme per questa scadenza, è un segnale importante di come crediamo che le cose andranno bene domani“.

 

(Photo credit AFP)

Dalle 19 scatta lo sciopero dei benzinai: stop anche ai self

Dalle 19 di questa sera (24 gennaio) scatterà lo sciopero di 48 ore dei benzinai. Pompe chiuse e self service staccati fino alle 19 del 26 gennaio nelle città, mentre in autostrada la protesta scatterà dalle 22, sempre di domani, fino alle 22 di giovedì prossimo. Come annunciato dalle tre sigle dei gestori, Faib Confesercenti, Fegica e Figisc/Anisa Confcommercio, saranno comunque garantiti i servizi minimi essenziali in un determinato numero di stazioni nelle città ma anche sulle reti autostradali. Difficile pensare che possa esserci una retromarcia dell’ultimo minuto, anche perché la tensione con il governo sta salendo di ora in ora, come si evince dai cartelli esposti dalle associazioni negli impianti per spiegare le loro ragioni: “Chiuso per sciopero. Per protestare contro la vergognosa campagna diffamatoria nei confronti della categoria e gli inefficaci provvedimenti del governo che continuano a penalizzare solo i gestori senza tutelare i consumatori. Per scongiurare nuovi aumenti del prezzo dei carburanti”.

Non è servito nemmeno il tentativo estremo del ministro delle Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, dalle colonne del ‘Corriere della sera‘: “È il primo governo che riconosce le loro ragioni e proprio per questo lo sciopero è davvero incomprensibile. Mi appello al buon senso”. Se possibile, l’effetto è stato proprio l’opposto. Soprattutto quando afferma di non capire “come si possa scioperare contro la trasparenza, contro un cartello”, perché “il decreto prevede che in ogni stazione sia visibile il prezzo medio regionale, ciò a beneficio dei consumatori come della stragrande maggioranza dei gestori: la trasparenza aiuta tutti”.

I gestori non l’hanno presa bene: “Le dichiarazioni del ministro Urso sono l’ennesima dimostrazione della confusione in cui si muove il governo in questa vicenda”, scrivono in un nota congiunta i presidenti di Faib Confercenti, Fegica e Figisc/Anisa Confcommercio. “Continuano a chiedere trasparenza e noi l’abbiamo offerta in tutti i modi – proseguono -. Quello che non ci si può chiedere è di autorizzare nuovi adempimenti e nuove sanzioni a carico dei gestori, questo no”. Ecco perché pur ricordando che “le organizzazioni di categoria hanno sempre sostenuto la necessità di un confronto aperto fino all’ultimo minuto utile prima dello sciopero”, le parole del responsabile del Mimit “rischiano seriamente di chiudere ogni residua possibilità di concludere positivamente la vertenza in atto”. Poi l’invito a intervenire rivolto direttamente a Palazzo Chigi: “Dia un segnale sull’intera vertenza”.

La premier, Giorgia Meloni, però, da Algeri non fa retromarcia: “Non c’è alcuna volontà di colpire una categoria, solo la necessità di fare ordine per evitare comportamenti sbagliati”. Sul decreto Trasparenza “abbiamo immaginato il provvedimento, ci siamo confrontati con loro due volte – sottolinea -. Alcune rimostranze erano di buonsenso e siamo andati loro incontro, ma non potevamo tornare indietro su un provvedimento giusto. Pubblicare il prezzo medio settimanale per far capire all’utente la situazione è una iniziativa di buon senso”.

Nel frattempo, si muovono le associazioni dei consumatori. Il Codacons è pronto a presentare alla Procura della Repubblica di Roma una denunciaper la possibile fattispecie di interruzione di pubblico servizio”. Stesso orientamento anche per l’Unc, che attacca: “La verità dei fatti è che la lobby dei benzinai ha già vinto, visto che il Governo, dopo aver partorito un topolino, si è già rimangiato il decreto, riducendo le multe dai 516 euro attuali al ridicolo balzello di 200 euro”. Va oltre Assoutenti, che chiede ai prefetti di tutta Italia di intervenire “per precettare i benzinai e costringere i distributori a rimanere aperti”, facendo sul leva sul “maltempo che sta imperversando in Italia e l’allerta neve che interessa diverse regioni”. Al momento non ci sono riscontri, dunque agli automobilisti non resta che mettersi in fila e fare il pieno per non rimanere a piedi.

Carburanti, Meloni rivendica le scelte del Governo: Con taglio accise via altri aiuti

Gli ‘appunti di Giorgia’ questa volta suonano più come ‘la difesa di Giorgia’. Perché la premier Giorgia Meloni non ci sta ad accettare le critiche di chi la accusa di incoerenza rispetto a un video del 2019, che circola in queste ore, nel quale la premier parlava della necessità di tagliare le accise sulla benzina.Non avendo il governo deciso di modificare la norma del precedente, si è detto che ero incoerente. Non è un caso che quel video sia del 2019, sono ancora convinta che sarebbe un’ottima cosa tagliare le accise sulla benzina, ma si fanno i conti con la realtà e non sfuggirà che dal 2019 a oggi il mondo è cambiato e ci impone di fare delle scelte”. Che, sostiene Giorgia Meloni, “rivendico perché le considero di giustizia sociale. Anche per questo, sul suo profilo Facebook, l’inquilina di Palazzo Chigi sottolinea di non aver mai promesso di tagliare le accise, “perché conoscevo la situazione davanti alla quale mi sarei trovata. Sono fortemente speranzosa della possibilità che riusciremo a fare un taglio strutturale delle accise, ma necessita di una situazione diversa e di rimettere in moto la crescita economica di questa nazione”. La premier denuncia che “gira da più parti un video del 2019 in cui io parlo della necessità di tagliare le accise sulla benzina. E 

Nello specifico, il governo non ha fatto marcia indietro sul provvedimento dello scorso governo che nel tentativo di calmierare la benzina tagliava temporaneamente le accise. Noi abbiamo confermato la scelta del precedente governo, che era una scelta temporanea. L’abbiamo confermata perché il taglio delle accise deliberato fino a dicembre costa un miliardo al mese, mediamente 10 miliardi l’anno. Per prorogare il taglio delle accise  – spiega – sulla benzina non avremmo potuto confermare e aumentare il taglio del costo sul lavoro, aumentare del 50% l’assegno unico per i bambini, aumentare il fondo sulla sanità, aumentare la platea delle famiglie che potevano accedere al sostegno dello Stato per calmierare le bollette, una decontribuzione per i percettori di Rdc, non avremmo potuto mettere risorse sul fondo per i crediti di imposta delle Pmi. Tutte queste misure le avremmo dovute cancellare dalla legge di bilancio. Abbiamo scelto di mettere le risorse su queste cose perché tagliare le accise sulla benzina è una misura che aiuta tutti indipendentemente dalla condizione economica che hanno. Noi abbiamo preso questi 10 miliardi e invece di spalmarli abbiamo deciso di concentrarle su chi aveva più bisogno”.

Arriva poi la sottolineatura sui prezzi alla pompa. “Ci hanno detto – dichiara la presidente del Consiglio – che abbiamo sbagliato i calcoli perché il prezzo della benzina è fuori controllo. Ho sentito dire di tutto, sento ormai parlare sistematicamente del fatto che il prezzo della benzina sarebbe intorno ai 2,5 euro. Sono una persona seria, il prezzo della benzina lo sto monitorando e questi dati non mi tornano. Il dato pubblicato dal ministero delle Imprese e del Made in Italy del prezzo medio della benzina in Italia nella settimana scorsa, quando si diceva che era fuori controllo, era 1,812 euro. È un prezzo che ci piacerebbe fosse più basso, ma non fuori controllo”. La chiosa riguarda, infine, i benzinai, “gran parte dei quali si sta comportando in maniera assolutamente onesta e responsabile e soprattutto a tutela loro dobbiamo verificare se qualcuno non si approfitti di una situazione delicata”.

 

Pnrr, centrati i 20 obiettivi Mase per il 2022: investimenti per 6 miliardi

Raggiunti tutti e 9 gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) di cui è responsabile il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase), che ha ottenuto entro i tempi concordati con la Commissione europea tutte le misure del Piano nazionale di ripresa e resilienza per l’anno 2022. “Con il conseguimento dei 9 obiettivi del secondo semestre, abbiamo raggiunto i 20 di questo anno”, esulta in una nota il ministro dell’Ambiente e della sicurezza, Gilberto Pichetto Fratin, precisando che il raggiungimento degli obiettivi sblocca circa 6 miliardi di euro in investimenti per l’ambiente e la sicurezza energetica. Dopo le 11 ‘milestone’ (le pietre miliari) e i target conseguiti nel primo semestre di quest’anno, entro dicembre 2022 sono stati raggiunti gli altri 9 obiettivi previsti dal Mase per quest’anno. Il raggiungimento degli obiettivi specifici del Mase si inquadra nel più ampio conseguimento annunciato ieri da Raffaele Fitto, ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, di tutti e 55 gli obiettivi previsti dal Pnrr per il secondo semestre dell’anno.

Complessivamente, il piano italiano prevede 132 investimenti e 58 riforme, che saranno sostenuti da 68,9 miliardi di euro in sovvenzioni e 122,6 miliardi di euro in prestiti. Il governo di Roma ha deciso di mobilitare il 37,5% del piano per sostenere gli obiettivi climatici, mentre il 25,1% del piano sosterrà la transizione digitale. Soddisfatta la premier, Giorgia Meloni, che parlando durante la conferenza stampa di fine anno organizzata dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti in collaborazione con l’Associazione della Stampa parlamentare (la prima che la vede alla guida di Palazzo Chigi) si è detta “contenta che il governo sia riuscito a raggiungere i 55 obiettivi previsti per il 2022”. Ha poi puntualizzato che “quando siamo arrivati al governo dei 55 obiettivi ne erano stati conseguiti 25, penso che questa staffetta con il precedente governo abbia funzionato e sono contenta che si sia riusciti”. Ora però è il momento di entrare “nel vivo del piano, arriva la parte molto complessa in cui questi obiettivi devono diventare cantieri”. Mentre adesso l’Italia, come l’Unione europea, si trova ad affrontare le “difficoltà dettate dall’aumento dei costi delle materie prime e del caro energia e dettate dal fatto che il piano sia stato scritto prima della guerra”.

Nello specifico degli investimenti, per le isole verdi è stata approvata la graduatoria per 200 milioni di euro di progetti relativi al bando; per il rafforzamento delle smart grid sono stati aggiudicati progetti per 3,61 miliardi per l’aumento della capacità di rete per la distribuzione di energia rinnovabile e l’elettrificazione dei consumi energetici; poi ancora, sugli interventi per la resilienza climatica delle reti sono stati aggiudicati progetti per 500 milioni per migliorare la resilienza della rete del sistema elettrico; sulla tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano è prevista la messa a dimora di oltre due milioni di specie arboree e arbustive, superando il target di un milione e 650 mila; per promuovere il teleriscaldamento efficiente: aggiudicati progetti per 200 milioni di euro per realizzare nuove reti o ampliamento di quelle esistenti. Quanto ai porti Verdi – precisa una nota del Mase – sono stati aggiudicati progetti per una prima componente di 115 milioni di euro alle Autorità di sistema portuale; è stato adottato il piano d’azione per la riqualificazione dei siti orfani. Quanto alle riforme, negli ultimi mesi sono state adottate: misure per garantire la piena capacità gestionale per i servizi idrici integrati e criteri Ambientali Minimi per eventi culturali finanziati con fondi pubblici. “La tutela ambientale è la priorità del Pnrr”.

“Sulla rivoluzione verde e sulla Transizione ecologica sono state destinate le maggiori risorse, 70 miliardi in tutto sui 235 del piano”, ha spiegato Pichetto. “Gli interventi hanno riguardato i grandi temi dell’agricoltura sostenibile, dell’economia circolare, della transizione energetica, mobilità sostenibile e rigenerazione urbana, fino ai provvedimenti in materia di risorse idriche e inquinamento, al fine di migliorare la sostenibilità del sistema economico e assicurare una transizione equa e inclusiva verso una società a impatto ambientale pari a zero. Come Mase e come Governo”, ha concluso il ministro, “abbiamo fatto un importante passo avanti lungo quello che è a pieno titolo la direttrice imprescindibile del nostro sviluppo futuro”. Il ministero fa sapere inoltre di aver accelerato negli ultimi mesi anche le altre misure Pnrr che non prevedevano scadenze europee a dicembre 2022, quali ad esempio quelle in materia di idrogeno verde e di economia circolare.

Meloni-von der Leyen, faccia a faccia su energia e Pnrr

Un’ora, faccia a faccia, nell’ufficio al piano nobile di Palazzo Chigi. E’ la prima volta che Giorgia Meloni riceve nella sua nuova ‘casa’ la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, a Roma per partecipare alla presentazione del libro dedicato ai discorsi di David Sassoli, compianto presidente del Parlamento europeo, celebrato a un anno dalla scomparsa. Mentre sulla Capitale italiana scende la pioggia e soffia forte il vento, le due leader tornano a discutere a distanza di poche settimane dal colloquio avuto a Bruxelles, in occasione della prima visita all’estero da presidente del Consiglio. Presente al vertice anche ministro degli Affari Ue, Raffaele Fitto.

Il faccia a faccia, spiegano da Palazzo Chigi “ha rappresentato un’ottima occasione per uno scambio di vedute in preparazione del Consiglio europeo straordinario del 9-10 febbraio dedicato in particolare all’economia e alla migrazione“. Due temi che stanno molto a cuore a Meloni, soprattutto dopo il colpo di freno tirato dalla Svezia, a cui spetta il compito di guidare il Consiglio dell’Unione europea fino al prossimo 30 giugno proprio sulla riforma del sistema di gestione dei flussi migratori. Con l’Europa ci sarà molto da discutere nei prossimi mesi, ma dall’Italia è stato ribadito un punto fermo. Ovvero, in tema di ripresa economica, la premier riafferma l’impegno del governo sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nel corso dell’incontro, però, Meloni e von der Leyen si sono trovate d’accordo sulla condanna per gli atti violenti che si sono verificati in Brasile, esprimendo solidarietà alle istituzioni democratiche del Paese.

Che la visita sia andata bene lo si intuisce anche dal tono del tweet che la presidente della Commissione Ue posta subito dopo aver lasciato Palazzo Chigi. “Un piacere incontrare Giorgia Meloni a Roma oggi”, scrive infatti in perfetto italiano. Confermando che al centro del colloquio c’è stata la preparazione del prossimo Consiglio europeo, ma non solo. “Abbiamo discusso di come continuare a sostenere l’Ucraina, garantire un’energia sicura e accessibile, aumentare la competitività dell’industria europea e fare progressi sul Patto per la migrazione” e l’asilo, ha reso noto la leader dell’esecutivo comunitario.