Materie critiche, arriva hub per il riciclo. Urso: “Dl convertito prima della pausa estiva”

Da qui al 2040 il riciclo delle materie prime critiche darà un fortissimo slancio per il fabbisogno del Paese. Ma serviranno gli impianti giusti. Per questo, Iren lancia ‘RigeneRare‘, il nuovo Hub per il recupero di metalli preziosi. Lo presenta alla Camera dei Deputati per dare impulso a un settore che sarà strategico per i prossimi decenni.

L’autonomia strategica è “fondamentale” per l’Europa, sottolinea il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. E’ qualcosa che ha a che fare anche con la libertà e l’indipendenza del Vecchio continente: “La dipendenza dall’estero sulle materie prime critiche è dura, ce lo ha dimostrato il caso della Russia“, ricorda, garantendo che non si finirà “dalla padella alla brace“.

Ovvero, dalla dipendenza al carbon fossile, alle fonti energetiche fossili, gas, petrolio e ad una dipendenza “ancora maggiore e più grave” nei confronti della Cina o comunque di altri attori internazionali. Per questo, insiste il ministro, è “importante che l’Europa si muova in maniera coesa e unita nel raggiungere via via una maggiore autonomia sulle materie prime critiche, sulla lavorazione e certamente anche sul riciclo“.

Il fabbisogno di materie prime critiche strategiche in Italia crescerà. Prevedibilmente, entro il 2040, tra le 5 e le 11 volte in funzione del grado di specializzazione produttiva. Una fornitura sicura e stabile è essenziale per il raggiungimento degli obiettivi al 2030 della transizione energetica.

Il Parlamento ha all’esame un decreto legge in materia che “sarà convertito entro i primi giorni di agosto, prima della pausa estiva“, fa sapere Urso. Nel provvedimento, viene indirizzato parte del fondo strategico sul Made in Italy alla filiera e all’approvvigionamento delle materie prime critiche da realizzarsi anche in paesi terzi, “tra questi in molti casi sono proprio paesi africani e quindi in sintonia anche col Piano Mattei“, scandisce il ministro.

Il tema inizia a essere costante nel dibattito pubblico, “anche grazie all’interesse che il Governo ha riservato al tema in questi mesi”, rileva Luca Dal Fabbro, presidente esecutivo del Gruppo Iren. A maggio 2023 il gruppo ha promosso un primo studio sulle potenzialità di questo tema nell’ambito dell’economia circolare mentre, nelle scorse settimane, ha seguito l’iter del Decreto. “Come operatore leader nell’economia circolare intendiamo proporci come apripista di una filiera che va costruita e implementata: è per questo che, insieme ad altre associazioni, ci siamo fatti promotori di questo hub“, spiega Dal Fabbro.

RigeneRare nasce quindi per aggregare competenze e visioni delle imprese e istituzioni per supportare la duplice transizione verde e digitale, oltre alla competitività delle aziende e agli interessi nazionali in settori quali quelli dell’energia, della difesa e dell’aerospazio. Per Dal Fabbro una delle leve su cui agire per diversificare è proprio il riciclo, che “permette di superare le difficoltà legate alla ripresa dell’attività estrattiva, e nello stesso tempo necessita investimenti minori e porta benefici ambientali ed economici”.

Ad oggi, la filiera impiantistica nazionale è ancora poco sviluppata, con un contributo del riciclo al soddisfacimento della domanda molto basso. La piattaforma vuole raccogliere e organizzare dati sulla filiera, promuovendo l’integrazione tra gli attori coinvolti. L’obiettivo è sviluppare una solida filiera nazionale per il riciclo, promuovendo la collaborazione tra mondo accademico e industriale, per garantire una sostenibilità a lungo termine attraverso partnership tra operatori dell’industria del recupero e industrie utilizzatrici di materie prime seconde.

Nello specifico, attivando un tavolo permanente sul riciclo delle materie prime critiche e dei metalli preziosi, RigeneRare si concentrerà sul monitoraggio della filiera in Italia, sull’identificazione delle criticità e sull’implementazione di azioni ed iniziative di sviluppo dei processi industriali, nonché sulla promozione delle migliori pratiche e dei nuovi modelli imprenditoriali.

Inoltre, saranno condotti studi, anche in collaborazione con think tank, università e centri di ricerca, per analizzare il potenziale dell’economia circolare e il fabbisogno impiantistico correlato, e si promuoverà il dialogo con le istituzioni per portare all’attenzione temi di interesse e monitorare le fasi di proposta, definizione e approvazione di nuove normative e policy di interesse per il settore: i risultati degli studi saranno resi pubblici attraverso un Rapporto Strategico Annuale e saranno presentati in occasione di eventi istituzionali.

Infine, verranno organizzate attività di networking per favorire partnership industriali e progetti strategici. Le attività sviluppate dall’hub seguiranno l’indirizzo strategico di un Comitato Direttivo, composto dai rappresentanti dei soggetti promotori, supportato da un Advisory Board formato da personalità accademiche ed istituzionali. Le attività operative verranno sviluppate attraverso l’istituzione di appositi gruppi di lavoro costituiti dai referenti tecnici indicati dagli aderenti.

La Camera (Irena): “Golfo pronto a rifornire Europa di idrogeno verde. Italia sia hub”

Investire sulle rinnovabili in maniera massiccia (fino a 10mila gigawatt di potenza installata nel mondo al 2030) per liberarsi dal giogo delle energie fossili e non far saltare l’accordo di Parigi, puntare molto sull’idrogeno verde, ridisegnare completamente le reti elettriche, per terra e per mare, non escludere i Paesi in via di sviluppo nella transizione energetica. Al suo primo giorno del secondo mandato da Dg di Irena, l’agenzia internazionale delle energie rinnovabili, Francesco La Camera lascia Abu Dhabi per un giro di incontri istituzionali a Roma e fa il punto della situazione energetica mondiale con Gea. A partire dalle ricadute della guerra in Ucraina: “Nessuno si sarebbe aspettato, tre anni fa, che le rinnovabili sarebbero diventate la soluzione per la sicurezza energetica”, osserva.

La decentralizzazione dell’offerta, chiarisce, “è diventata il modo attraverso il quale si può assicurare più resilienza al sistema nel suo complesso ed evitare che l’offerta di energia possa essere cartellizzata o usata geopoliticamente”. Questo può avvenire solo attraverso le rinnovabili, ribadisce il DG, che “creano un mercato più libero, meno soggetto ad avere una caratterizzazione forte dal punto di vista geopolitico”. Lo sguardo è già rivolto alla Cop28 di Dubai, il 12 dicembre: “Dirà che i governi non hanno mantenuto le promesse degli accordi di Parigi e dovrà anche dire come rimetterci in rotta, chiudere il gap tra dove dovremmo essere e dove siamo adesso”.

In quanto tempo e come, verosimilmente, ci libereremo dal gas?

“A Irena stiamo cercando, nel disegnare il futuro, di dare la possibilità ai governi di individuare dei target precisi da raggiungere. Il primo che abbiamo messo a punto è 1000 GW di energia rinnovabile installata ogni anno. In questo momento, la domanda è soddisfatta per il 75-80% da Oil&gas e per il 20% dalle rinnovabili. Per aumentare la quota di rinnovabili nel sistema occorre avere almeno 10mila GW di rinnovabili installate al 2030, questo vuol dire avere 1000 GW l’anno di capacità installata. Questo sta già avvenendo, sono 8-9 anni ormai che la capacità installata di rinnovabili supera quella tradizionale, con nuovi record, l’ultimo anno 295 GW ed è l’84% della nuova capacità installata”.

Come dovrebbero essere distribuite le nuove installazioni di rinnovabili nel mondo?

“Bisogna riequilibrare il rapporto con i Paesi in via di sviluppo. Nello scorso anno, di tutta la capacità di rinnovabili installate, solo l’1% è stata in Africa. Se non acceleriamo la transizione energetica, con la crescita economica dell’Africa e del Sud Est asiatico dovremo abbandonare l’accordo di Parigi”.

L’Italia in questo percorso di transizione avrà un ruolo centrale, dettato dalla sua posizione geografica?

“Mi sembra evidente, dal punto di vista della collocazione naturale dell’Italia, un ponte naturale dell’Europa verso l’Africa, è che l’Africa ha il più grosso potenziale di idrogeno verde al mondo. L’Italia potrebbe sfruttare questa sua caratteristica geografica per diventare la piattaforma dell’idrogeno verde in Europa. Il problema delle infrastrutture sarà cruciale per accelerare il passo della transizione energetica”.

Come lo facciamo viaggiare questo idrogeno, se i tubi per il gas non vanno ancora bene?

“La Snam dice che con poche correzioni le pipeline esistenti possono essere adattate per trasportare idrogeno. C’è poi il progetto di un elettrodotto sottomarino che attraverso Cipro raggiunga l’Italia. E’ un altro modo per prendere energia prodotta in Africa e portarla in Europa. Ritengo che i Paesi del Golfo, l’Arabia Saudita, gli Emirati siano prontissimi a dare all’Europa tutto l’idrogeno verde di cui hanno bisogno ma occorre la logistica e l’Italia è in una posizione straordinaria per svolgere questo ruolo”.

In un futuro in cui l’energia solare coprirà una percentuale importante dei mix energetici, assisteremo a una inversione di polarità negli investimenti, nella ricchezza e nelle migrazioni, dal Nord al Sud del mondo? Possiamo immaginare nuovi migranti economici verso l’Africa?

“Il riequilibrio fra Paesi sviluppati e in via di sviluppo è importante. Se si crea ricchezza e capacità di vivere in maniera decente il problema delle migrazioni può essere attenuato o addirittura invertito. Bisogna riscrivere le regole della cooperazione. Abbandonare l’approccio predatorio nei confronti dei Paesi in via di sviluppo e riuscire a costruire una industria verde in quei Paesi. Anche per la catena di offerta per la transizione energetica sarebbe importante ridurre la dipendenza da una sola fonte, ma si riesca a decentralizzare in modo che ci sia più mercato e che si crei sviluppo per l’Africa e il Sud Est asiatico, in modo che si traduca in un bilanciamento tra Paesi ricchi e poveri. Come l’Europa ha ricostruito la propria economia grazie al Piano Mashall, l’Africa avrebbe bisogno di un Piano, un intervento importante, noi diciamo del sistema multilaterale e bancario, per costruire le infrastrutture di cui hanno bisogno. L’Africa è una power house dell’idrogeno verde, ma ha pochissimi porti che possono consentire lo smercio sotto forma di ammonio, anche il mercato regionale non può essere alimentato. Occorre costruire tutte le strutture”.

Nucleare, sì o no?

“Il nucleare non è una tecnologia che serve a combattere il cambiamento climatico. Quello che è molto importante nella tradizione energetica, e non mi sembra chiaro, è che la variabile più importante è il tempo. Se la scienza e i Paesi concordano nel dire che questi sette anni sono decisivi nella lotta al cambiamento climatico, che bisogna raggiungere dei risultati al 2030, le nuove centrali potranno portare energia elettrica non prima del 2035-2038. A quel punto le sorti dell’accordo di Parigi saranno già decise”.

Una buona quota di energia, quella dell’idroelettrico, lavora a scartamento ridotto a causa della siccità, che è uno dei tanti effetti del cambiamento climatico.

“Il problema dell’idroelettrico non è solo l’aumento delle temperature, che sicuramente esiste, ma c’è un problema di rinnovo di impianti esistenti. Chi ce l’ha è fortunato perché è la più grande batteria esistente. Chi ce l’ha ha una capacità di bilanciamento del sistema estremamente forte”.

Esiste una necessità di modificare le reti, per poter far viaggiare più facilmente l’energia da una parte all’altra della Terra?

“Sì. Occorre ridisegnare l’intera struttura delle reti, sia le reti a terra che le rotte del mare. Tutta l’infrastruttura fisica deve essere rivista e potenziata. Per dare un’idea di quanto sia importante, non riusciamo in Europa a utilizzare tutta l’energia eolica che viene dall’offshore wind del Mare del Nord, non abbiamo la logistica per portare quell’elettricità nelle nostre reti. Uno sforzo l’Europa lo sta facendo col connettore Portogallo-Spagna- Francia-Centro Europa ma questo dev’essere fatto in maniera strutturale, forte e importante. Perché le reti devono essere interconnesse, assicurare flessibilità e bilanciamento. Questo elemento è particolarmente importante per l’Africa e per il Sud Est asiatico”.

Energia, Meloni: “Adesso Roma può diventare porta del gas in Europa”

L’Italia ha un’occasione. E Giorgia Meloni, quell’occasione, promette di “giocarsela tutta“. L’Europa ha un problema legato all’energia: non può più guardare a Est, deve guardare a Sud. L’Italia deve sfruttare la sua posizione nel Mediterraneo.

Il progetto di Italia hub del Mediterraneo va avanti. La premier presenterà il suo Piano Mattei per l’Africa anche domani, nel suo viaggio di due tappe in un solo giorno, a Stoccolma prima, a Berlino poi. In Europa, rivendica, “ci vado senza cappello in mano”. In Svezia e Germania porterà le istanze italiane sulla difesa dei confini d’Europa e sul contrasto all’Inflation reduction act americano, sostenendo le imprese.

La situazione energetica è difficile perché il Vecchio Continente ha deciso di dipendere, quasi esclusivamente, da un unico attore, la Russia. “Qualcuno lo diceva da prima che andava fatta attenzione, ma questa è la ragione per cui sto spendendo molto tempo all’estero, ad esempio nel Nordafrica“, puntualizza la presidente del Consiglio. La sfida è diversificare le fonti dalle quali si prende l’energia come dimostrano “gli accordi fatti con l’Algeria o con la Libia”, spiega. L’Italia può diventare non solo “autonoma e forte”, ma anche la porta attraverso la quale passare per avere il gas in Europa.

In casa, la premier raccoglie i frutti della battaglia sul price cap, perché il prezzo del gas si è abbassato (è notizia è che il calo certificato da Arera si attesta al 34,2%) , le bollette sono in caduta. Abbattere i prezzi dell’energia era un “impegno” ed è “dove abbiamo investito la stragrande maggioranza delle nostre risorse, ampliando abbastanza rispetto a quello che era stato fatto in precedenza”. Per me “è molto importante che abbiamo allargato molto la platea delle famiglie che potevano accedere al sostegno del governo per vedere le bollette scendere”, fa sapere.