Si celebra la Giornata mondiale della Terra. Pichetto: “Il mondo ha consumato troppo”

Nell’ultimo secolo, “il mondo ha consumato troppo“. In occasione della Giornata mondiale della Terra, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiede impegno per il Pianeta.

Crisi climatica, smog, marine litter, consumo di suolo, malagestione dei rifiuti sono tra le principali minacce per il Pianeta e la biodiversità, denuncia Legambiente. Dalla crisi climatica che ha accelerato la sua corsa e che solo in Italia nel 2022 ha visto un aumento del 55% degli eventi estremi rispetto al 2021, causando danni e vittime, per passare al cronico problema dell’inquinamento atmosferico che non risparmia le città italiane all’eccessivo consumo di suolo, solo per citarne alcuni. Di fronte a questo quadro, il Cigno verde ribadisce che non c’è più tempo da perdere: “E’ ora il tempo del coraggio e delle azioni“. Per l’associazione sono cinque le aree di intervento su cui il Paese dovrebbe lavorare sempre di più anche per dare concretezza alla transizione energetica ed ecologica: rinnovabili, adattamento alla crisi climatica, consumo di suolo, mobilità sostenibile ed economia circolare. L’Italia “deve diventare un hub delle rinnovabili e non del gas, velocizzando gli iter di autorizzazione degli impianti, a partire da quelli fotovoltaici ed eolici“, afferma l’associazione. Deve approvare una legge contro il consumo di suolo, che il Paese aspetta da 11 anni, e nuove norme per abbattere più velocemente gli edifici abusivi; incentivare la mobilità sostenibile, intermodale e a emissioni zero; promuovere l’economia circolare, costruendo gli impianti industriali di riciclo e garantendo un approccio “sostenibile e circolare” per tutti i settori, a partire dal comparto idrico.

L’ultimo report dell’Ipcc ricorda che occorre dimezzare le attuali emissioni climalteranti nei prossimi otto anni per poter contenere li surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. “Per poter far ciò serve mettere in campo in tutti i paesi, a partire dall’Italia, politiche coraggiose e lungimiranti a partire dallo stop ai sussidi alle fonti fossili, puntando in primis su efficienza energetica, rinnovabili, autoproduzione, accumuli e sviluppo delle reti“, scandisce il presidente Stefano Ciafani. “Allo stesso tempo bisogna, però – osserva –, replicare anche quelle esperienze virtuose che arrivano dai territori e che ci raccontano l’altra faccia dell’Italia, quella che coniuga sostenibilità ambientale, innovazione, tutela e valorizzazione, consapevoli che il futuro del Pianeta passa anche da qui, da come noi intendiamo investire sul futuro della nostra Terra”.

Sulla stessa linea il co-portavoce di Europa Verde Angelo Bonelli, che tramite GEA rivolge un appello alla premier Giorgia Meloni: “Si fermi, cambi. Non si faccia dare la linea dall’Eni, che vuole costruire un futuro basato sugli idrocarburi, vuole l’Italia hub del gas per vendere il gas all’estero, questa sarà la rovina del nostro Paese. Ma la rovina del nostro Paese – ricorda – è data anche dalla dipendenza dalle fonti fossili. Puntiamo sulle rinnovabili, non facciamo più la guerra all’Europa sull’auto elettrica e sul risparmio energetico. Bisogna essere amici del clima se vogliamo dare un futuro alle generazioni che verranno“.

IMPIANTO SNAM RETE GAS

Allarme Legambiente: 150 perdite su 16 impianti metano. “Serve una normativa stringente”

Centocinquanta punti di perdita su 16 impianti di metano monitorati in Italia. Sono i risultati che Legambiente presenta al termine della campagna ‘C’è puzza di gas. Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso’.

Il problema, sollecita il Cigno Verde, deve essere affrontato urgentemente se si vuole combattere la crisi climatica, dotandosi anche di una normativa stringente per rendere monitoraggi e controlli obbligatori negli impianti. L’associazione ambientalista, grazie al supporto di Clean Air Task Force, ha monitorato e documentato le dispersioni di metano di alcuni impianti energetici e su 16 di questi, monitorati nel 2022 e nel 2023, tra Sicilia, Campania e Basilicata e legati prevalentemente al trasporto di gas come gasdotti, centrali di compressione, impianti di regolazione e misura di gas, pozzi e centrali di trattamento e raccolta di idrocarburi, sono stati rilevati grazie all’utilizzo di una termocamera a infrarossi ‘FLIR GF320’ circa 150 punti di dispersioni diretti. Di questi 128 hanno a che fare con perdite, ovvero emissioni di gas fossile da bulloni, giunture, manometri, valvole, tubature e altre componenti, a testimonianza della necessità di aumentare i monitoraggi, le verifiche e gli interventi. Sono 26, in totale, invece i casi di venting (ossia di rilascio volontario di metano direttamente in atmosfera). In questo viaggio lungo la Penisola, tra gli “osservati speciali” monitorati da Legambiente il gasdotto Greenstream, in Sicilia, che collega la Libia all’Italia e la centrale di compressione di Melizzano, in Campania in provincia di Benevento, che rappresenta un’infrastruttura strategica per il Paese visto che attraverso di essa passa buona parte del gas importato dal sud Italia e spinto verso nord.

Un quadro preoccupante, che ha portato alla luce molte criticità, a partire da uno stato generale delle infrastrutture in cui si fa poca manutenzione, da un massiccio utilizzo di pratiche di venting e la mancanza di dati pubblici.

Se immesso direttamente in atmosfera, il metano può avere un effetto fino a 86 volte più climalterante dell’anidride carbonica per i primi 20 anni. Si stima che a livello globale nel 2021 siano stati emessi in atmosfera ben 126 miliardi di metri cubi di gas solamente dal settore oil and gas, un enorme spreco di risorse oltre a una minaccia per il clima. Un dato che va affiancato dalle attività di flaring, ovvero combustione in torcia, attraverso le quali nel 2021 sono stati sprecati 144 miliardi di metri cubi di gas (IEA, 2023). Per questo Legambiente rilancia un appello al Governo Meloni perché si definisca e si adotti una normativa stringente che preveda monitoraggi e comunicazione (MRV), ma anche interventi di rilevamento e riparazione delle perdite di metano (LDAR). In questa direzione, ad esempio, introdurre l’obbligo mensile di condurre attività di rilevamento e riparazione, secondo lo US EPA, garantirebbe una riduzione delle emissioni del 90%. Dell’80% con una frequenza trimestrale, del 67% semestrale. Allo stesso tempo Legambiente chiede all’Esecutivo un’inversione di rotta per un graduale abbandono delle fonti fossili.

La crisi energetica del 2022, segnata anche dall’aggressione militare russa in Ucraina, ha mostrato in maniera chiara a imprese, cittadini e amministrazioni pubbliche tutti i limiti della dipendenza italiana ed europea dalle fonti fossili“, ricorda Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. Una situazione che in Italia, a suo avviso, “rischia di peggiorare alla luce non solo delle sostanziose politiche di diversificazione degli approvvigionamenti di gas fossile, ma anche a causa dello sviluppo delle nuove infrastrutture fossili su cui ha intensamente lavorato il Governo Draghi per affrontare il tema della dipendenza dal gas russo e che il nuovo Esecutivo Meloni sta proseguendo proponendo al Paese e al mondo l’Italia come il principale hub del gas dell’Europa. Una scelta totalmente sbagliata perché il nostro Paese deve diventare l’hub delle rinnovabili e non quello del gas, attraverso semplificazioni normative, autorizzazioni più veloci e investimenti ingenti su grandi impianti industriali, comunità energetiche, accumuli e reti”.

Tra gli impianti che destano preoccupazione spicca il Greenstream, il gasdotto che collega la Libia all’Italia gestito dalla Greenstream BV, una compagnia che vede Eni e Noc (Compagnia petrolifera nazionale libica) azioniste alla pari. In particolare, a Gela, presso il terminal di ricevimento del gasdotto, nel corso dei monitoraggi sono stati osservati due importanti casi di rilascio volontario continuo in atmosfera (venting) e 9 altre perdite di vario genere. A queste si aggiungono quelle rilevate in un impianto di regolazione e misura (REMI) dove sono state individuate 12 emissioni di metano, di cui 2 casi di venting, e 10 perdite da valvole, tubature e contatori.

rinnovabili

Rinnovabili a ostacoli. Report Legambiente: da Regioni via libera solo a 1% solare nel 2022

Ad oggi in Italia sono 1.364 gli impianti di rinnovabili in lista d’attesa, ossia in fase di VIA, di verifica di Assoggettabilità a VIA, di valutazione preliminare e di Provvedimento Unico in Materia Ambientale a livello statale. Il 76% distribuito tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Insomma, ‘in Italia lo sviluppo delle rinnovabili continua ad essere una corsa ad ostacoli’. Sono infatti pochissime le autorizzazioni rilasciate dalle Regioni negli ultimi 4 anni: nel 2022 solo l’1% dei progetti di impianti fotovoltaici ha ricevuto, infatti, l’autorizzazione’. Si tratta del ‘dato più basso degli ultimi 4 anni se si pensa che nel 2019 a ricevere l’autorizzazione sono state il 41% delle istanze, per poi scendere progressivamente al 19% nel 2020, al 9% nel 2021’. Ancor peggio i dati dell‘eolico on-shore con una percentuale di autorizzazioni rilasciate nel 2019 del 6%, del 4% nel 2020, del 1% nel 2021 per arrivare allo 0% nel 2022. A pesare in prima battuta “norme obsolete e frammentate, la lentezza degli iter autorizzativi, gli ostacoli e le lungaggini burocratiche di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali i due principali colli di bottiglia dei processi autorizzativi‘. Il risultato finale è che nella nostra Penisola ‘l’effettiva realizzazione di nuovi impianti da fonti pulite resta timida e insoddisfacente, quasi un miraggio nel 2022′. A parlar chiaro i numeri del nuovo report di Legambiente  ‘Scacco matto alle rinnovabili 2023’ presentato questa mattina alla Fiera K.EY di Rimini insieme ad un pacchetto di proposte e ad un’analisi su 4 legge nazionali e 13 leggi regionali che frenano la corsa delle fonti pulite.

Eppure, negli ultimi anni sono aumentati sia i progetti presentati sia le richieste di connessione alla rete elettrica nazionale di impianti di energia a fonti rinnovabili: quest’ultime sono passate da 168 Gw al 31 dicembre 2021 ad oltre 303 Gw al 31 gennaio 2023. Sono 1.364 gli impianti in attesa di autorizzazione statale, il 76% distribuito tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Secondo Terna, nel 2022 sono stati installati nuovi impianti di rinnovabili per appena 3,035 Gigawatt. E’ un aumento rispetto agli 0,8 Gw del 2021, ma ancora lontano dai 10 Gw all’anno che si dovrebbero installare per rispettare il taglio delle emissioni del 55% al 2030 previsto dal Piano europeo Fit for 55. Oltre alla lentezza degli iter autorizzativi e all’eccessiva burocrazia di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali, a pesare sono anche i no delle amministrazioni comunali e le opposizioni locali Nimby (Not In My Backyard) e Nimto (Not In My Terms of Office). Per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili in Italia, Legambiente propone l’aggiornamento delle Linee Guida per l’autorizzazione dei nuovi impianti, ferme al 2010, e un Testo Unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato, dia tempi certi alle procedure. Centrale per Legambiente resta anche il dibattito pubblico sui progetti.

 Tra le storie raccontate da Legambiente, c’è quella ad esempio la storia dell’impianto agrivoltaico della potenza di 28,38 MW da realizzarsi su 45 ettari tra i Comuni di Cartoceto e Fano, nelle Marche, che hanno espresso parere negativo rispetto al progetto confermato anche dal diniego della Regione in fase di VIA. Il motivo dell’opposizione è legato alla preoccupazione per il mantenimento della vocazione agricola del territorio a seguito della realizzazione dell’opera. IUmbria il Regolamento Regionale n. 4 del 12 luglio 2022 limita le installazioni di impianti fotovoltaici e agrivoltaici in aree agricole e industriali imponendo limiti di occupazione di suolo in alcuni casi più stringenti rispetto a quelli sino ad oggi in vigore. In Puglia ad ostacolare le rinnovabili sono anche sindromi NIMBY. Destino che ha subito il progetto Odra Energia che prevede un impianto offshore con 90 turbine galleggianti da 1,3 GW di energia pulita, a circa 13 km dalla costa adriatica tra Porto Badisco e Santa Maria di Leuca, ostracizzato per impatto paesaggistico. C’è poi il caso del SIN (Sito di Interesse Nazionale) di Brindisi dove è stato proposto un parco fotovoltaico da 300 megawatt che potrebbe rappresentare un esempio di utile recupero di aree inquinate e non bonificabili. Dal 2007 il Ministero dell’ambiente ha prescritto un’analisi dei rischi mai eseguita e che a fronte di caratterizzazioni sulle matrici ambientali in significativa crescita, le bonifiche non raggiungono il 10%: in queste condizioni l’ARPA non può esprimere pareri sui tanti progetti di impianti FER sottoposti alla sua attenzione e si arriva al paradosso che, pur in presenza di formale impegno di società interessate ad accollarsi bonifiche, progetti che a volte sono inseriti nel PNRR vengono bloccati o addirittura bocciati. A questi si aggiunge una nutrita lista di progetti bloccati durante l’iter regionale su cui si è dovuto esprimere il Consiglio dei Ministri al fine di sbloccarli. Per la Puglia, parliamo di 15 progetti di eolico on-shore per un totale di oltre 630 MW di potenza installabile. Forti ostilità anche in Sardegna. Vittime dei blocchi non solo i progetti di nuovi impianti rinnovabili ma anche quelli di repowering di impianti preesistenti. Altra storia arriva dalla Toscana ma con un lieto fine. Parliamo dell’impianto eolico del gruppo Agsm Aim ricadente nei Comuni di Vicchio e Dicomano. Qui le opposizioni e gli ostacoli arrivano anche in fase di valutazione con commissioni di VIA che presentano 64 richieste di integrazione, si arriva all’inchiesta pubblica e ulteriori 360 richieste di integrazione ma che finalmente si sta avviando alla realizzazione.

Legambiente: Città lontane da obiettivi 2030 sulla mobilità

Le città italiane sono ancora lontane dagli obiettivi di mobilità, riduzione delle emissioni e sicurezza fissati al 2030, ma “hanno la responsabilità e il potere di fare la differenza”. E’ quanto emerge dal bilancio finale di Clean Cities, la campagna itinerante di Legambiente che ha messo in luce il ruolo che i capoluoghi italiani possono svolgere per guidare il paese verso una mobilità a zero emissioni. “Mentre il governo sembra muoversi in direzione opposta, decisamente anacronistica rispetto agli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni – tra cui il phase-out delle auto alimentate da combustibili fossili”, dice il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, le città “possono diventare veri motori di cambiamento, rispondendo finalmente alle esigenze di tutti i cittadini e posizionando il nostro Paese tra i più avanzati dell’Unione Europea“. In particolare, le 9 città pioniere – Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino – incluse nella Missione per la neutralità climatica “devono definire un percorso chiaro per raggiungere l’obiettivo del net-zero entro 7 anni“. Ecco allora che “devono compiere un importante cambiamento per diventare più vivibili e meno inquinate, ponendo al centro della loro strategia la mobilità pubblica, condivisa, elettrica, attiva e intermodale”.

Ma a che punto siamo? Dal rapport Clean Cities emerge che il rapporto pubblico in Italia “è molto al di sotto della media europea, con soltanto un quarto delle metropolitane, treni veloci, linee tranviarie e autobus elettrici rispetto agli altri paesi“. Per Legambiente, per rendere le città veramente sostenibili e inclusive, spiega Andrea Poggio, responsabile mobilità dell’associazione, “occorre adottare politiche che rendano i quartieri e le città più accessibili in bici e con mezzi elettrici condivisi (con zone a basse emissioni e a pedaggio per le auto private) adottando le nudge policies (o spinte gentili) attraverso incentivi economici, abbonamenti e miglioramenti dei servizi“. Per trasformare le città italiane in vere “clean cities”, secondo il Cigno Verde bisogna dunque “disegnare percorsi prioritari ciclo-pedonali, incrementare i mezzi pubblici, creare zone scolastiche, aumentare i servizi e le infrastrutture di mobilità elettrica e condivisa, progettare zone cittadine a “zero emissioni“, anche per la distribuzione delle merci.

Soltanto un cittadino italiano su 4, però, è pronto ad abbandonare l’auto privata per i mezzi pubblici, se comodi e puntuali. L’indagine condotta da Ipsos per Legambiente ha analizzato le abitudini di mobilità su scala nazionale con un focus sulle grandi città di Roma, Napoli, Firenze, Milano e Torino. Dai risultati emerge, in sintesi, che i comportamenti degli italiani sono molto variegati e segmentati, e ognuno di essi richiede una risposta diversa. In particolare, una fetta consistente del campione nazionale, il 23%, è rappresentato dagli “aperti al pubblico”, ovvero da coloro che userebbero di più i mezzi pubblici e condivisi a fronte di un potenziamento dei servizi e una diminuzione dei costi. A Milano sono il 25%, a Napoli il 24%, a Torino il 23%, a Firenze 18%, a Roma il 16%.

L’allarme di Legambiente: “Neve artificiale sul 90% delle piste italiane. E’ insostenibile”

L’Italia è tra i paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale con il 90% di piste innevate artificialmente, seguita da Austria (70%), Svizzera (50%), Francia (39%). E’ quanto emerge dal dossier di Legambiente ‘Nevediversa 2023’, presentato oggi a Torino. La percentuale più bassa è in Germania, con il 25%. Per l’associazione il sistema di innevamento artificiale “non è una pratica sostenibile e di adattamento, dato che comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo in territori di grande pregio”.

I dati che emergono dalle stime sono preoccupanti: considerando che in Italia il 90% delle piste è dotato di impianti di innevamento artificiale il consumo annuo di acqua già ora potrebbe raggiungere 96.840.000 di m³ che corrispondono al consumo idrico annuo di circa una città da un milione di abitanti. “Inoltre – si legge nel rapporto – l’innevamento artificiale richiede sempre maggiori investimenti per nuove tecnologie ed enormi oneri a carico della pubblica amministrazione“. Senza contare che il costo della produzione di neve artificiale sta anche lievitando, passando dai 2 euro circa a metro cubo del 2021-2022, ai 3-7 euro al metro cubo nella stagione 2022-2023. Per questi motivi Legambiente torna a ribadire “l’urgenza di ripensare ad un nuovo modello di turismo invernale montano ecosostenibile, partendo da una diversificazione delle attività. Ce lo impone la crisi climatica che avanza e che sta avendo anche pesanti impatti sull’ambiente montano. Difronte a ciò l’Italia non può più restare miope, ne può pensare di poter inseguire la neve”.

A preoccupare è anche il numero di bacini idrici artificiali presenti in montagna ubicati in prossimità dei comprensori sciistici italiani e utilizzati principalmente per l’innevamento artificiale. Sono 142 quelli mappati nella Penisola per la prima volta da Legambiente attraverso l’utilizzo di immagini satellitari per una superficie totale pari a circa 1.037.377 mq. Il Trentino Alto Adige detiene il primato con 59 invasi, seguito da Lombardia con 17 invasi e dal Piemonte con 16 bacini. Nel Centro Italia, l’Abruzzo è quello che ne conta di più, ben 4.

In parallelo, nel 2023 aumentano sia gli “impianti dismessi” toccando quota 249, sia quelli “temporaneamente chiusi” – sono 138 – sia quelli sottoposti ad “accanimento terapeutico”, ossia quelli che sopravvivono con forti iniezioni di denaro pubblico, e che nel 2023 arrivano a quota 181.Tutti impianti censiti da Legambiente che quest’anno allarga il suo monitoraggio includendo anche altre categorie: quelle degli “impianti un po’ aperti, un po’ chiusi”, ossia quei casi che con le loro aperture “a rubinetto” rendono bene l’idea della situazione di incertezza che vive il settore. In totale sono 84. La categoria degli “edifici fatiscenti”, 78 quelli censiti. Ed infine la categoria “smantellamento e riuso”, 16 i casi censiti.

Alla ministra del Turismo Daniela Santachè, che questo inverno ha avviato un tavolo tecnico per l’emergenza legata alla mancanza di neve in Appennino, “torniamo a ribadire – dice il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – che avrebbe più senso investire risorse nell’adattamento e non nell’innevamento artificiale. Con un clima sempre più caldo, nei prossimi anni andremo incontro a usi plurimi dell’acqua sempre più problematici e conflittuali. Per questo è fondamentale che nella lotta alla crisi climatica l’Italia cambi rotta mettendo in campo politiche più ambiziose ed efficace, aggiornando e approvando entro la fine di marzo il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, e rindirizzando meglio i fondi del PNRR”.

Treno Stazione

Legambiente contro il Ponte sullo Stretto: “Italia indietro rispetto all’Europa, investire sui treni”

Nonostante dei timidi miglioramenti, in Italia la transizione ecologica della mobilità è ancora troppo lenta. A pesare sul trasporto su ferro – con pesanti ripercussioni sul sud Italia – sono, soprattutto, i continui ritardi infrastrutturali, i treni poco frequenti, le linee a binario unico, la lentezza nella riattivazione delle linee interrotte, chiuse e dismesse, e poi le risorse economiche inadeguate. A denunciarlo è Legambiente nel nuovo rapporto Pendolaria 2023, in cui fa il punto sul trasporto su ferro in Italia, invitando il governo a farlo diventare “una priorità“. Non solo. L’associazione ambientalista si rivolge direttamente al ministro Matteo Salvini. A lui, dice il presidente Stefano Ciafani, “chiediamo di dedicare ai pendolari almeno la stessa attenzione che ha messo in questi mesi per il rilancio dei cantieri delle grandi opere“, smettendo di “rincorrere” quelle “inutili” come “il Ponte sullo Stretto di Messina“.

E proprio il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti risponde a distanza alle richieste di Legambiente. “Stiamo investendo sull’alta velocità, vogliamo portarla finalmente anche al Sud, senza scordarci di investire sui treni regionali, quelli che si prendono tutti i giorni“, dice intervenendo all’International Railway Summit 2023, in corso a Roma. A dire il vero, il fronte leghista si mostra compatto e nel corso della giornata rivendica “il lavoro concreto e pragmatico” portato avanti in questi mesi dal vicepremier, “dopo anni di no ideologici“.

Il quadro che emerge dal rapporto non è rassicurante. Il nostro Paese “è indietro” rispetto a buona parte dell’Europa su diversi fronti. Ad esempio, la dotazione di linee metropolitane si ferma a 254,2 km totali, ben lontana dai valori di Regno Unito (679,1 km), Germania (656,5) e Spagna (613,8). Basti pensare che il totale di km di metropolitane in Italia è inferiore, o paragonabile, a quello di singole città europee come Madrid (291,3) o Parigi (225,2).

A pesare sono anche le persistenti differenze” tra nord e sud e “a pagarne lo scotto è soprattutto il Mezzogiorno“, dove “circolano meno treni, i convogli sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni“, quindi molto più elevata degli 11,9 anni di quelli del nord – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate. E, ancora, le corse dei treni regionali in Sicilia, ad esempio, ricorda Legambiente, sono ogni giorno 506 contro le 2.173 della Lombardia. Per l’associazione, quindi, servirebbero più convogli, certo, ma anche collegamenti più veloci.

In 11 anni, cioè dal 2010 al 2020, in Italia sono stati fatti più investimenti sulle infrastrutture per il trasporto su gomma che su ferro, ma ora servono “maggiori risorse economiche” pari a 500 milioni l’anno per rafforzare il servizio ferroviario regionale e 1,5 miliardi l’anno per realizzare linee metropolitane, tranvie, linee suburbane. Si tratta complessivamente di 2 miliardi di euro all’anno fino al 2030, “recuperabili dal bilancio dello Stato specialmente all’interno del vasto elenco di sussidi alle fonti fossili“.

C’è però, una nota positiva. L’Italia è in vantaggio rispetto agli altri Paesi europei sull’elettrificazione della rete ferroviaria. Sono previste risorse sia nel Pnrr sia nel contratto di programma di Rfi. Gli interventi interessano complessivamente oltre 1.700 km di rete e porteranno la quota di rete elettrificata in dal 70,2% del 2022 ad oltre il 78% a fine interventi. Un fiore all’occhiello che punta alla sostenibilità. “Il tasso di elettrificazione della nostra rete – spiega l’ad del gruppo Fs, Luigi Ferraris dall’International Railway Summit – è uno dei più alti in Europa. Ma siamo i maggiori consumatori di energia del Paese e per questo abbiamo avviato un programma di autoproduzione di energia da fonti rinnovabili che coprirà almeno il 40% del nostro fabbisogno“.

Il flashmob di Legambiente: “Respiriamo grazie alle piante, non soffochiamole”

Bari, Bergamo, Firenze, Genova, Milano, Padova, Perugia e Torino. Da queste città arrivano gli scatti dei volontari di Legambiente che sono scesi in strada muniti di maschera antigas collegata ad una piccola teca contenente una piantina. “Respiriamo grazie a loro. Non soffochiamole”, è il messaggio che gli attivisti hanno voluto lanciare in occasione dei flash mob realizzati nell’ambito del progetto LIFE MODERn (NEC).

L’inquinamento atmosferico prodotto in città dalle attività antropiche genera un impatto negativo anche negli ecosistemi remoti come le foreste e le acque dolci. Per monitorare al meglio gli effetti degli inquinanti sugli ecosistemi fondamentali per la vita sul Pianeta, questo progetto europeo guidato dall’Arma dei Carabinieri – Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari CUFAA, e supportato da CNR, CREA, ENEA, Legambiente, TerraData srl environmetrics e le Università di Camerino e di Firenze, ha l’obiettivo di raddoppiare i siti attualmente monitorati attraverso la Rete Nec e incrementare il numero degli indicatori considerati.

Secondo l’ultimo rapporto Mal’aria di Legambiente, che ha monitorato la qualità dell’aria nell’anno 2022, i livelli di inquinamento atmosferico in molte città sono ancora troppo alti e lontani dai limiti normativi, più stringenti, previsti per il 2030. Rispetto a questi nuovi target europei, infatti, ad oggi sarebbero fuorilegge il 76% delle città per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 61% per l’NO2. Tra queste, dati preoccupanti sono stati registrati in alcune località in cui i volontari dell’associazione hanno realizzato un piccolo flashmob in strada con le maschere antigas collegate alle piantine: a Milano e Torino (media annuale di 35 microgrammi/metro cubo) e Padova (32 microgrammi/metro cubo) le situazioni più difficili per il PM10; per l’NO2 valori più alti riscontrati a Firenze (30 microgrammi/metro cubo) e Bergamo (28 microgrammi/metro cubo).

L’inquinamento atmosferico che danneggia pesantemente la nostra salute e compromette la qualità della nostra vita, influisce anche sulla biodiversità, ma, mentre un quadro delle emissioni di inquinanti atmosferici a livello nazionale è ormai sufficientemente strutturato e basato su una solida rete di siti di monitoraggio, lo studio degli impatti dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi necessita di maggiori studi e strumenti come un’adeguata rappresentatività dei diversi ecosistemi e una sinergica integrazione tra i metodi e i risultati ottenuti da diversi istituti di ricerca.

Ad oggi la Rete NEC conta 10 siti, 6 forestali e 4 di acqua dolce. Tra i parametri attualmente considerati negli ecosistemi forestali ci sono lo stato di salute e la vitalità degli alberi, le deposizioni atmosferiche, la chimica delle soluzioni circolanti nei suoli, la chimica fogliare e la biodiversità di piante e licheni. Nei siti di acqua dolce sono invece considerati i parametri chimici dell’acqua come i livelli di acidità, il solfato, i nitrati, oltre alle comunità a macroinvertebrati e diatomee. Grazie al progetto, saranno considerati ulteriori 18 indicatori, attualmente al vaglio dei partner del progetto, tra cui la diversità della fauna del suolo, di pipistrelli e uccelli e il DNA ambientale, la trasparenza e la qualità dell’aria e una serie di indicatori legati alla diversità funzionale delle comunità.

inquinamento

Smog, 29 città sforano i limiti di polveri sottili nel 2022. Torino e Milano sul podio

L‘emergenza smog nelle città italiane è un problema sempre più pressante. Servono interventi decisi, perché soprattutto nelle città del Settentrione, l’aria è irrespirabile a causa dell’inquinamento: quando si considerano i limiti per le polveri sottili, Pm10, il 76% dei nostri centri urbani è fuorilegge rispetto ai target europei. Sono infatti 29 su 95 le città che hanno superato i limiti normativi per lo sforamento di Pm10, (35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo): in testa si trova Torino con 98 giorni di sforamento, seguita da Milano con 84, Asti 79, Modena 75, Padova e Venezia con 70. Sono questi i punti principali del nuovo report di Legambiente ‘Mal Aria di città. Cambio di passo cercasi’, redatto e pubblicato nell’ambito della Clean Cities Campaign.

La situazione è però preoccupante ovunque, perché il nostro Paese è decisamente in ritardo per adeguarsi ai nuovi target europei entro il 2030, visto che risulta fuorilegge il 76% delle città per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 61% per l’NO2. “Le città italiane dovranno lavorare duramente per adeguarsi ai nuovi limiti entro i prossimi sette anni,osserva Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente soprattutto considerando che i trend di riduzione dell’inquinamento finora registrati non sono incoraggianti e che i valori indicati dalle linee guida dell’OMS, che sono il vero obiettivo da raggiungere per tutelare la salute delle persone, sono ancora più stringenti dei futuri limiti europei”.

Va detto che per il PM10, l’analisi delle medie annuali ha mostrato che nessuna città ha superato il limite previsto dalla normativa vigente, ma secondo Legambiente “ciò non è sufficiente per garantire la salute dei cittadini, in considerazione delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dei limiti previsti dalla nuova Direttiva europea sulla qualità dell’aria, che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2030. Per il PM10, sarebbero infatti solo 23 su 95 (il 24% del totale) le città che non hanno superato la soglia di 20 µg/mc. 72 città sarebbero dunque fuorilegge“.

L’appello al governo perché intervenga arriva anche dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) secondo cui l’Italia è il primo paese in Europa per morti attribuibili all’inquinamento atmosferico con circa 80mila decessi prematuri all’anno.Gli effetti diretti dell’inquinamento sulla salute umana interessano diversi apparati ed organispiega il presidente Sima, Alessandro MianiLe patologie dell’apparato cardiovascolare rappresentano la prima causa di morte in Italia (Eventi coronarici e Infarto Miocardico Acuto, 9.000 casi/anno – Ictus cerebrali, 12.000 casi/anno), seguiti dalle patologie dell’apparato respiratorio (7.000 decessi prematuri/anno). Gli effetti indiretti dell’inquinamento portano fino al +14% di aumento di incidenza per tutti i tumori nei siti inquinati (Mesoteliomi, 1.900 casi/anno da esposizione ad amianto – Tumori testicolari, +36% d’incidenza nei siti inquinati – Leucemie, +66% d’incidenza nei siti inquinati – Linfomi, +50% d’incidenza nei siti inquinati – Sarcomi dei tessuti molli, +62% d’incidenza nei siti inquinati – Tumori polmonari, +29% d’incidenza nei siti inquinati – Tumori vescicali o renali, +32% nei siti inquinati – Tumori della mammella, +50% d’incidenza nei siti inquinati)”. “E’ imprescindibile e non più rimandabile agire in fretta per ridurre drasticamente le principali sorgenti emissive dell’inquinamento atmosferico: in tale direzione Sima ha proposto al Governo di mitigare gli effetti nocivi dello smog partendo dagli edifici urbani, attraverso incentivi volti a facilitare interventi di rivestimento di superfici murarie e vetrate con un ‘coating’ fotocatalitico al biossido di titanio a base etanolo, che ha dimostrato in studi scientifici di essere attivato da luce naturale a svolgere un’azione di scomposizione e riduzione degli inquinanti atmosferici. Una Mitigation Action che l’Europa apprezza e valorizza”, conclude Miani.

 

Associazioni ambientaliste a Salvini: “Città 30 km/h modello di sostenibilità”

Le associazioni ambientaliste Legambiente, Fiab, Asvis, Kyoto Club, Vivinstrada, ANCMA, Salvaiciclisti, Fondazione Michele Scarponi, AMODO si schierano a favore delle Città 30 km/h  – peraltro già realizzato in diverse città europee – e chiedono un incontro al ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini attraverso una lettera congiunta inviata al dicastero. Secondo le realtà associative, il provvedimento è il più “innovativo ed efficace per contrastare l’incidentalità sulle strade urbane, in quanto coniuga una drastica riduzione delle stragi stradali, l’integrazione tra le diverse composizioni modali di trasporto, il rispetto degli impegni climatici, il miglioramento della vivibilità, oltre che una significativa fluidificazione del traffico”.

Dal testo della lettera emerge che Milano sarebbe l’ultima città in termini temporali a vedere applicato detto provvedimento, dopo Olbia, Cesena, Bergamo, Torino e Bologna. Luoghi che stanno avviando percorsi per diventare Città 30, “consapevoli che – in conformità a quanto richiesto dal Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030 (PNSS) – occorre trovare le risorse per pianificare interventi soprattutto strutturali e non solo di segnaletica, oltre che a monitorare i risultati”. Non dimentichiamo, aggiungono le associazioni, che “il bene vita messo ogni giorno a repentaglio sulle strade urbane può essere salvaguardato solo attraverso nuove politiche più rapide ed efficaci, in grado di cambiare le città, le strade, il sistema della mobilità, gli stili di vita e di guida, per fermare crisi climatica e strage stradale”.

Secondo i dati Aci-Istat 2021, infatti, gli incidenti stradali attualmente sono in Italia la prima causa di morte per i giovani, oltre a essere la prima causa di morte del lavoratore in itinere. Ogni giorno si contano 561 feriti e 7,9 vittime (uno ogni 3 ore), soprattutto in ambito urbano, con un costo sociale complessivo pari a 16,4 miliardi di euro, pari allo 0,9% del Pil nazionale.
“Moderare la velocità come previsto dalle Città 30 ― concludono le associazioni firmatarie della lettera ― non rappresenta un limite alla libera e celere circolazione delle persone e delle merci, in quanto attualmente com’è a tutti noto la velocità media all’interno delle città è di 29,4 km/h, scendendo fino a 7-8 km/h nelle ore di punta. L’automobile privata non è il mezzo più veloce e affidabile nei centri urbani”. E individuano nell’intermodalità tra i vari mezzi di trasporto (trasporto pubblico urbano, sharing e mobilità attiva), la possibilità di ottenere “una riduzione del tasso di motorizzazione di cui l’Italia detiene primato europeo con relativa congestione del traffico, difficoltà negli spostamenti e aumento degli agenti inquinanti, oggetto spesso di procedure di infrazione da parte dell’Europa”.

Stefano Ciafani

Stefano Ciafani: “Liberarsi dal gas? Con le rinnovabili possibile in 10 anni”

Liberarsi dalla dipendenza del gas in 10 anni spingendo sulle rinnovabili. Stefano Ciafani (nella foto), presidente nazionale di Legambiente, giura che non è un sogno, ma un fatto. Lo dimostrano i numeri degli anni 2009-2011, quando ogni anno in Italia si installavano impianti per 10 gigawatt di energia verde. “Avessimo continuato così, avremmo ridotto la dipendenza dalla Russia del 65% in una decade”, commenta, intervistato da GEA. Ecco perché di rigassificatori aggiuntivi, oltre a Piombino e Ravenna, non vuol sentir parlare. “Con l’aumento dell’uso delle infrastrutture esistenti, abbiamo già ridotto la necessità di importare gas dalla Russia, con i due rigassificatori galleggianti riduciamo ulteriormente. Per quelli fissi ci vorranno altri 10 anni, noi se investiamo bene in rinnovabili, possiamo compensare”.

Sta dicendo che i rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle non servono effettivamente al Paese?
“Non servono e aggiungo che abbiamo riaperto le trivellazione di idrocarburi nei tratti di costa tra le 9 e le 12 miglia. Dopo Piombino e Ravenna, che almeno saranno galleggianti, ora si parla anche di rigassificatori fissi. Ma noi vogliamo decarbonizzarlo il Paese o no? Tutti questi rigassificatori mi sembrano più utili a chi compra e vende gas, mi sembrano più un favore all’Eni che una necessità del Paese”.

La premier Giorgia Meloni parla del Sud Italia come grande hub dell’energia per il Mediterraneo e occasione da non sprecare proprio per le rinnovabili. Ci crede?
“Credo intanto che il governo debba decidere cosa fare sulle rinnovabili. La premier ha detto: il Sud deve diventare hub, per Pichetto bisogna predisporre impianti per 70 Gw entro i prossimi 6 anni. È questa la posizione dell’esecutivo o è quella del ministero della Cultura, in cui il sottosegretario Vittorio Sgarbi si oppone all’eolico ed è per il fotovoltaico al massimo sui tetti? Le due cose sono confliggenti. I tetti vanno riempiti, ma le soprintendenze devono dare l’ok e non bastano i tetti, bisogna fare anche l’eolico, a terra e a mare, e l’agrivoltaico. Su questo non abbiamo capito la direzione del governo”.

La commissione via-vas per le concessioni è stata quasi raddoppiata…
“Questo è un ottimo segnale del ministro dell’Ambiente, che ha anche accorcianto tempi per il decreto ministeriale sulle comunità energetiche. Speriamo che chiuderà entro i primi mesi dell’anno. Ora occorre dare l’indirizzo alle soprintendenze, il ministero della Cultura dovrebbe aggiornare le nuove linee guida, del 2010, perché facilitino la realizzazione degli impianti. E il governo deve spingere le Regioni a potenziare gli uffici che danno le autorizzazioni”.

Promuove Pichetto quindi? Il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici è stato pubblicato prima dell’anno, come promesso.
“Bisogna dargli atto di essere stato di parola. Dopo la tragedia di Ischia, il ministro aveva detto che l’avrebbe reso pubblico entro la fine dell’anno. Questo governo ha fatto quello che nessuno dei tre governi precedenti e dei due ministri dell’Ambiente precedenti (Sergio Costa e Roberto Cingolani, n.d.r.) aveva mai fatto”.

Sergio Costa sostiene che il Piano andava completamente riscritto.
“Ricordo che è stato ministro per due anni e mezzo, poteva pubblicarlo lui durante il suo mandato. Ha fatto bene il ministro Pichetto Fratin ad aggiornare il poco che si poteva aggiornare in un mese. Ora però il piano va approvato presto e l’approvazione è la fine del primo tempo di una partita che dura due tempi, il secondo è quello in cui si individuano le risorse per fare quello che c’è scritto. Le produzioni agroalimentari, nel tempo, si ridurranno. Come aiutare il settore? Si prevede che i flussi turistici cambieranno, perché il Sud diventerà torrido. Come sostenere i territori? Cosa fare per fronteggiare le ondate di calore che causano tante morti premature? Per tutto questo servono risorse, che vanno individuate. La seconda parte della partita va giocata velocemente”.

Le è piaciuta la manovra?
“Per due terzi era vincolata alla vicenda bollette, però ci sono cose che si sarebbero potute fare. Mi riferisco ai 41 miliardi di euro che l’anno scorso abbiamo dato come sussidi alle fonti fossili. Si potevano trasformarne alcuni in aiuti per convertire le produzioni. Invece anche questa legge di bilancio non affrontava il tema dei sussidi. E poi c’è una cosa inutile e dannosa ed è la riattivazione della società Ponte sullo Stretto. Chi vive e lavora in Sicilia e Calabria ha bisogno di altre infrastrutture, il ponte non cambierà nulla nella loro vita. C’è da aprire migliaia di cantieri in queste due regioni”.

C’è chi dice che il ponte serva soprattutto in funzione dell’Alta Velocità.
“È una falsità. Le nuovi navi traghetto Ro-Ro, previste nel Pnrr, potranno trasportare anche i Frecciarossa, quindi il prolungamento dell’alta velocità in Calabria e Sicilia non deve essere subordinata alla costruzione del ponte. Queste due Regioni devono essere ribaltate dal punto di vista delle infrastrutture. Noi vorremmo dare priorità di spesa a quelle opere trasportistiche che servono davvero. Poi, se vogliamo usare il ponte per far conoscere il Paese nel mondo, questo è un altro discorso. Ma la verità è che le opere trasportistiche che servono sono altre”.