inquinamento

Smog, 29 città sforano i limiti di polveri sottili nel 2022. Torino e Milano sul podio

L‘emergenza smog nelle città italiane è un problema sempre più pressante. Servono interventi decisi, perché soprattutto nelle città del Settentrione, l’aria è irrespirabile a causa dell’inquinamento: quando si considerano i limiti per le polveri sottili, Pm10, il 76% dei nostri centri urbani è fuorilegge rispetto ai target europei. Sono infatti 29 su 95 le città che hanno superato i limiti normativi per lo sforamento di Pm10, (35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo): in testa si trova Torino con 98 giorni di sforamento, seguita da Milano con 84, Asti 79, Modena 75, Padova e Venezia con 70. Sono questi i punti principali del nuovo report di Legambiente ‘Mal Aria di città. Cambio di passo cercasi’, redatto e pubblicato nell’ambito della Clean Cities Campaign.

La situazione è però preoccupante ovunque, perché il nostro Paese è decisamente in ritardo per adeguarsi ai nuovi target europei entro il 2030, visto che risulta fuorilegge il 76% delle città per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 61% per l’NO2. “Le città italiane dovranno lavorare duramente per adeguarsi ai nuovi limiti entro i prossimi sette anni,osserva Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente soprattutto considerando che i trend di riduzione dell’inquinamento finora registrati non sono incoraggianti e che i valori indicati dalle linee guida dell’OMS, che sono il vero obiettivo da raggiungere per tutelare la salute delle persone, sono ancora più stringenti dei futuri limiti europei”.

Va detto che per il PM10, l’analisi delle medie annuali ha mostrato che nessuna città ha superato il limite previsto dalla normativa vigente, ma secondo Legambiente “ciò non è sufficiente per garantire la salute dei cittadini, in considerazione delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dei limiti previsti dalla nuova Direttiva europea sulla qualità dell’aria, che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2030. Per il PM10, sarebbero infatti solo 23 su 95 (il 24% del totale) le città che non hanno superato la soglia di 20 µg/mc. 72 città sarebbero dunque fuorilegge“.

L’appello al governo perché intervenga arriva anche dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) secondo cui l’Italia è il primo paese in Europa per morti attribuibili all’inquinamento atmosferico con circa 80mila decessi prematuri all’anno.Gli effetti diretti dell’inquinamento sulla salute umana interessano diversi apparati ed organispiega il presidente Sima, Alessandro MianiLe patologie dell’apparato cardiovascolare rappresentano la prima causa di morte in Italia (Eventi coronarici e Infarto Miocardico Acuto, 9.000 casi/anno – Ictus cerebrali, 12.000 casi/anno), seguiti dalle patologie dell’apparato respiratorio (7.000 decessi prematuri/anno). Gli effetti indiretti dell’inquinamento portano fino al +14% di aumento di incidenza per tutti i tumori nei siti inquinati (Mesoteliomi, 1.900 casi/anno da esposizione ad amianto – Tumori testicolari, +36% d’incidenza nei siti inquinati – Leucemie, +66% d’incidenza nei siti inquinati – Linfomi, +50% d’incidenza nei siti inquinati – Sarcomi dei tessuti molli, +62% d’incidenza nei siti inquinati – Tumori polmonari, +29% d’incidenza nei siti inquinati – Tumori vescicali o renali, +32% nei siti inquinati – Tumori della mammella, +50% d’incidenza nei siti inquinati)”. “E’ imprescindibile e non più rimandabile agire in fretta per ridurre drasticamente le principali sorgenti emissive dell’inquinamento atmosferico: in tale direzione Sima ha proposto al Governo di mitigare gli effetti nocivi dello smog partendo dagli edifici urbani, attraverso incentivi volti a facilitare interventi di rivestimento di superfici murarie e vetrate con un ‘coating’ fotocatalitico al biossido di titanio a base etanolo, che ha dimostrato in studi scientifici di essere attivato da luce naturale a svolgere un’azione di scomposizione e riduzione degli inquinanti atmosferici. Una Mitigation Action che l’Europa apprezza e valorizza”, conclude Miani.

 

Associazioni ambientaliste a Salvini: “Città 30 km/h modello di sostenibilità”

Le associazioni ambientaliste Legambiente, Fiab, Asvis, Kyoto Club, Vivinstrada, ANCMA, Salvaiciclisti, Fondazione Michele Scarponi, AMODO si schierano a favore delle Città 30 km/h  – peraltro già realizzato in diverse città europee – e chiedono un incontro al ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini attraverso una lettera congiunta inviata al dicastero. Secondo le realtà associative, il provvedimento è il più “innovativo ed efficace per contrastare l’incidentalità sulle strade urbane, in quanto coniuga una drastica riduzione delle stragi stradali, l’integrazione tra le diverse composizioni modali di trasporto, il rispetto degli impegni climatici, il miglioramento della vivibilità, oltre che una significativa fluidificazione del traffico”.

Dal testo della lettera emerge che Milano sarebbe l’ultima città in termini temporali a vedere applicato detto provvedimento, dopo Olbia, Cesena, Bergamo, Torino e Bologna. Luoghi che stanno avviando percorsi per diventare Città 30, “consapevoli che – in conformità a quanto richiesto dal Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030 (PNSS) – occorre trovare le risorse per pianificare interventi soprattutto strutturali e non solo di segnaletica, oltre che a monitorare i risultati”. Non dimentichiamo, aggiungono le associazioni, che “il bene vita messo ogni giorno a repentaglio sulle strade urbane può essere salvaguardato solo attraverso nuove politiche più rapide ed efficaci, in grado di cambiare le città, le strade, il sistema della mobilità, gli stili di vita e di guida, per fermare crisi climatica e strage stradale”.

Secondo i dati Aci-Istat 2021, infatti, gli incidenti stradali attualmente sono in Italia la prima causa di morte per i giovani, oltre a essere la prima causa di morte del lavoratore in itinere. Ogni giorno si contano 561 feriti e 7,9 vittime (uno ogni 3 ore), soprattutto in ambito urbano, con un costo sociale complessivo pari a 16,4 miliardi di euro, pari allo 0,9% del Pil nazionale.
“Moderare la velocità come previsto dalle Città 30 ― concludono le associazioni firmatarie della lettera ― non rappresenta un limite alla libera e celere circolazione delle persone e delle merci, in quanto attualmente com’è a tutti noto la velocità media all’interno delle città è di 29,4 km/h, scendendo fino a 7-8 km/h nelle ore di punta. L’automobile privata non è il mezzo più veloce e affidabile nei centri urbani”. E individuano nell’intermodalità tra i vari mezzi di trasporto (trasporto pubblico urbano, sharing e mobilità attiva), la possibilità di ottenere “una riduzione del tasso di motorizzazione di cui l’Italia detiene primato europeo con relativa congestione del traffico, difficoltà negli spostamenti e aumento degli agenti inquinanti, oggetto spesso di procedure di infrazione da parte dell’Europa”.

Stefano Ciafani

Stefano Ciafani: “Liberarsi dal gas? Con le rinnovabili possibile in 10 anni”

Liberarsi dalla dipendenza del gas in 10 anni spingendo sulle rinnovabili. Stefano Ciafani (nella foto), presidente nazionale di Legambiente, giura che non è un sogno, ma un fatto. Lo dimostrano i numeri degli anni 2009-2011, quando ogni anno in Italia si installavano impianti per 10 gigawatt di energia verde. “Avessimo continuato così, avremmo ridotto la dipendenza dalla Russia del 65% in una decade”, commenta, intervistato da GEA. Ecco perché di rigassificatori aggiuntivi, oltre a Piombino e Ravenna, non vuol sentir parlare. “Con l’aumento dell’uso delle infrastrutture esistenti, abbiamo già ridotto la necessità di importare gas dalla Russia, con i due rigassificatori galleggianti riduciamo ulteriormente. Per quelli fissi ci vorranno altri 10 anni, noi se investiamo bene in rinnovabili, possiamo compensare”.

Sta dicendo che i rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle non servono effettivamente al Paese?
“Non servono e aggiungo che abbiamo riaperto le trivellazione di idrocarburi nei tratti di costa tra le 9 e le 12 miglia. Dopo Piombino e Ravenna, che almeno saranno galleggianti, ora si parla anche di rigassificatori fissi. Ma noi vogliamo decarbonizzarlo il Paese o no? Tutti questi rigassificatori mi sembrano più utili a chi compra e vende gas, mi sembrano più un favore all’Eni che una necessità del Paese”.

La premier Giorgia Meloni parla del Sud Italia come grande hub dell’energia per il Mediterraneo e occasione da non sprecare proprio per le rinnovabili. Ci crede?
“Credo intanto che il governo debba decidere cosa fare sulle rinnovabili. La premier ha detto: il Sud deve diventare hub, per Pichetto bisogna predisporre impianti per 70 Gw entro i prossimi 6 anni. È questa la posizione dell’esecutivo o è quella del ministero della Cultura, in cui il sottosegretario Vittorio Sgarbi si oppone all’eolico ed è per il fotovoltaico al massimo sui tetti? Le due cose sono confliggenti. I tetti vanno riempiti, ma le soprintendenze devono dare l’ok e non bastano i tetti, bisogna fare anche l’eolico, a terra e a mare, e l’agrivoltaico. Su questo non abbiamo capito la direzione del governo”.

La commissione via-vas per le concessioni è stata quasi raddoppiata…
“Questo è un ottimo segnale del ministro dell’Ambiente, che ha anche accorcianto tempi per il decreto ministeriale sulle comunità energetiche. Speriamo che chiuderà entro i primi mesi dell’anno. Ora occorre dare l’indirizzo alle soprintendenze, il ministero della Cultura dovrebbe aggiornare le nuove linee guida, del 2010, perché facilitino la realizzazione degli impianti. E il governo deve spingere le Regioni a potenziare gli uffici che danno le autorizzazioni”.

Promuove Pichetto quindi? Il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici è stato pubblicato prima dell’anno, come promesso.
“Bisogna dargli atto di essere stato di parola. Dopo la tragedia di Ischia, il ministro aveva detto che l’avrebbe reso pubblico entro la fine dell’anno. Questo governo ha fatto quello che nessuno dei tre governi precedenti e dei due ministri dell’Ambiente precedenti (Sergio Costa e Roberto Cingolani, n.d.r.) aveva mai fatto”.

Sergio Costa sostiene che il Piano andava completamente riscritto.
“Ricordo che è stato ministro per due anni e mezzo, poteva pubblicarlo lui durante il suo mandato. Ha fatto bene il ministro Pichetto Fratin ad aggiornare il poco che si poteva aggiornare in un mese. Ora però il piano va approvato presto e l’approvazione è la fine del primo tempo di una partita che dura due tempi, il secondo è quello in cui si individuano le risorse per fare quello che c’è scritto. Le produzioni agroalimentari, nel tempo, si ridurranno. Come aiutare il settore? Si prevede che i flussi turistici cambieranno, perché il Sud diventerà torrido. Come sostenere i territori? Cosa fare per fronteggiare le ondate di calore che causano tante morti premature? Per tutto questo servono risorse, che vanno individuate. La seconda parte della partita va giocata velocemente”.

Le è piaciuta la manovra?
“Per due terzi era vincolata alla vicenda bollette, però ci sono cose che si sarebbero potute fare. Mi riferisco ai 41 miliardi di euro che l’anno scorso abbiamo dato come sussidi alle fonti fossili. Si potevano trasformarne alcuni in aiuti per convertire le produzioni. Invece anche questa legge di bilancio non affrontava il tema dei sussidi. E poi c’è una cosa inutile e dannosa ed è la riattivazione della società Ponte sullo Stretto. Chi vive e lavora in Sicilia e Calabria ha bisogno di altre infrastrutture, il ponte non cambierà nulla nella loro vita. C’è da aprire migliaia di cantieri in queste due regioni”.

C’è chi dice che il ponte serva soprattutto in funzione dell’Alta Velocità.
“È una falsità. Le nuovi navi traghetto Ro-Ro, previste nel Pnrr, potranno trasportare anche i Frecciarossa, quindi il prolungamento dell’alta velocità in Calabria e Sicilia non deve essere subordinata alla costruzione del ponte. Queste due Regioni devono essere ribaltate dal punto di vista delle infrastrutture. Noi vorremmo dare priorità di spesa a quelle opere trasportistiche che servono davvero. Poi, se vogliamo usare il ponte per far conoscere il Paese nel mondo, questo è un altro discorso. Ma la verità è che le opere trasportistiche che servono sono altre”.

Legambiente: 2022 annus horribilis per il clima. In Italia 310 fenomeni estremi, +55% sul 2021

Alluvioni, ondate di caldo anomalo e di gelo intenso, frane, mareggiate, siccità, grandinate hanno fatto vittime e sfollati negli ultimi dodici mesi. Gli eventi estremi si moltiplicano a una velocità crescente, come raccontano i dati di bilancio dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente, realizzato in collaborazione con il gruppo Unipol, e sintetizzati nella mappa del rischio climatico.
Nel 2022 la Penisola ha registrato un incremento del +55% di casi rispetto al 2021, parliamo di 310 fenomeni estremi che quest’anno hanno provocato impatti e danni da nord a sud e causato ben 29 morti. Nello specifico si sono verificati 104 casi di allagamenti e alluvioni da piogge intense, 81 casi di danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 29 da grandinate, 28 da siccità prolungata, 18 da mareggiate, 14 eventi con l’interessamento di infrastrutture, 13 esondazioni fluviali, 11 casi di frane causate da piogge intense, 8 casi di temperature estreme in città e 4 eventi con impatti sul patrimonio storico. Molti gli eventi che riguardano due o più categorie, ad esempio casi in cui esondazioni fluviali o allagamenti da piogge intense provocano danni anche alle infrastrutture. Nel 2022 sono aumentati, rispetto allo scorso anno, i danni da siccità, che passano da 6 nel 2021 a 28 nel 2022 (+367%), quelli provocati da grandinate da 14 nel 2021 a 29 nel 2022 (+107%), i danni da trombe d’aria e raffiche di vento, che passano da 46 nel 2021 a 81 nel 2022 (+76%), e allagamenti e alluvioni, da 88 nel 2021 a 104 nel 2022 (+19%).

La siccità ha piegato soprattutto il centro nord. Nei primi sette mesi dell’anno, le piogge sono diminuite del 46% rispetto alla media degli ultimi trent’anni. Cruciale la prima parte dell’anno con cinque mesi consecutivi gravemente siccitosi, e un’anomalia, da gennaio a giugno, pari a – 44% di piogge, equivalente a circa 35 miliardi di metri cubi di acqua in meno del normale. In crescente difficoltà i fiumi, come il Po che al Ponte della Becca (PV) risultava con un livello idrometrico di -3 metri, e i grandi laghi con percentuali di riempimento dal 15% dell’Iseo, al 18% di quello di Como fino al 24% del Maggiore. In autunno è peggiorata la situazione delle regioni del centro, soprattutto in Umbria e Lazio. Nel primo caso il deficit pluviometrico si è attestato sul 40%, il lago Trasimeno ha raggiunto un livello ben inferiore alla soglia critica, con -1,54 metri. Nel Lazio, il lago di Bracciano è sceso a -1,38 metri rispetto allo zero idrometrico. Gravi le conseguenze per l’agricoltura e per gli habitat naturali. L’11% delle aziende agricole si è ritrovata in una situazione talmente critica da portare alla cessazione dell’attività. In molte aree urbane si sono dovute imporre restrizioni all’uso dell’acqua. La siccità ha causato la perdita di produzione di energia, in particolare da idroelettrico. Nonostante i dati di Terna relativi ad aprile abbiano evidenziato un record assoluto di energia prodotta da fonti rinnovabili, è mancato all’appello l’idroelettrico. La produzione di energia da questa fonte, infatti, segnava -41% per effetto delle scarse precipitazioni, che hanno portato per mesi i livelli di riempimento degli invasi prossimi ai valori minimi registrati negli ultimi 50 anni. A dicembre, il livello del Po è rimasto inferiore alla media degli ultimi 20 anni ed a preoccupare è soprattutto la situazione delle falde, con livelli tra il 35 ed il 50% in meno della media mensile.

Si sono registrate temperature eccezionali già da maggio con punte di 36,1°C a Firenze, 35,6°C a Grosseto, 34°C a Pisa e 32,8°C a Genova. Ma anche a Ustica con 33,4°C e Torino con 29,2°C. Il mese di giugno ha visto un’anomalia della temperatura media di +3,3°C se consideriamo l’Italia nel suo insieme, con punte di 41,2°C a Guidonia Montecelio (RM), 40°C a Prato, Firenze, Viterbo e Roma. A luglio record per le città lombarde: a Brescia e Cremona si sono registrati 39,5°C, a Pavia 38,9°C e a Milano 38,5°C. Ad agosto i termometri hanno segnato tra i 40 e i 45°C a Palermo, Catania e Reggio Calabria, mentre a Bari si è arrivati a 39°C. Questi livelli di caldo eccezionale, prolungati per settimane e mesi in gran parte del Paese, hanno portato a gravi conseguenze sulla salute umana. L’ondata di calore che ha impattato più duramente è stata quella della seconda metà di luglio, con un aumento di mortalità che ha raggiunto, stando ai dati di Ministero della Salute e Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, il 36% in tutte le aree del Paese, ma in particolare in alcune città del nord. Tra le città maggiormente colpite Torino che ha visto un eccesso di mortalità pari a +70%, a cui segue Campobasso (+69%), poi Bari (+60%), Bolzano (+59%), Milano e Genova (+49%), Viterbo (+48%), Firenze (+43%), Catania (+42%). Solo nel 2022 sono stati oltre 2.300 i decessi in Italia dovuti alle ondate di calore, secondo le analisi del ministero della Salute e Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, in crescita rispetto ai 1.472 del 2021 e ai 685 del 2020.

agroalimentare

Pesticidi su 44% di frutta e verdura in Italia: report di Legambiente

Aumentano i campioni in cui sono state trovate tracce di pesticidi. Questo il primo dato – sconfortante – che emerge dal dossier ‘Stop pesticidi nel piatto‘ curato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero. Al centro dell’indagine, 4.313 campioni di alimenti di origine vegetale e animale (compresi i prodotti derivati da apicoltura di provenienza italiana ed estera): solo il 54,8% del totale risulta senza residui di pesticidi, contro il 63% dell’anno precedente. Il pesticida maggiormente presente è l’Acetamiprid, seguito da Boscalid, Fluidoxonil, Azoxystrobina, Tubeconazolo e Fluopyram.
La categoria ortofrutticola più colpita è, ancora una volta, la frutta, con oltre il 70,3% dei campioni analizzati che presenta uno o più residui. Spiccano i casi dell’uva da tavola, con l’88,3% di campioni che presentano almeno un pesticida (contro l’85,7% dello scorso anno) e le pere: in questo caso, la percentuale sale addirittura al 91,6% e 22 diverse categorie di fitofarmaci rilevate. Per quanto attiene la verdura, invece, il 65,5% dei campioni presi in esame risulta essere senza residui. I peperoni risultano essere i più colpiti, con 38 categorie di fitofarmaci diverse, compreso l’Imidacloprid che è stato revocato dal mercato nel 2020; seguono i pomodori, con il 55% di campioni con almeno un pesticida.

Dall’analisi dei dati rilevati – ha dichiarato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente – emerge chiaramente la necessità di intraprendere la strada dell’agroecologia con ancora più determinazione e mettendo in atto quanto stabilito dalle direttive europee Farm to fork e Biodiversity 2030”. Gentili ha ricordato inoltre l’approvazione della legge sul bio, da considerare un “importante passo in avanti” ma che impone di passare “dalla teoria alla pratica” affinché quel traguardo non risulti “solo una bandierina ma un patrimonio per l’intero settore”.

Servono dunque “meccanismi incentivanti, a partire dalla messa a disposizione delle risorse; occorre inoltre che vengano applicate in maniera stringente le norme, stando alla larga da eventuali ipotesi di deroghe all’utilizzo di specifici fitofarmaci, come purtroppo sta avvenendo con il Glisofato”. A proposito di quest’ultimo, si tratta dell’erbicida più presente nei campioni dei prodotti trasformati, il 41,4% contiene uno o più residui. In questa categoria di prodotti rientra per esempio il miele: nel 67,5% dei casi non sono stati riscontrati residui. Tra i campioni contaminati si segnala la presenza di due neonicotinoidi: il Thiacloprid (revocato dal mercato essendo stato classificato come interferente endocrino) e l’Acetamiprid ancora permesso ma i cui effetti causano pesanti ripercussioni sulla salute delle api. Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, ha ricordato la richiesta dell’Unione Europa di raggiungere un taglio dell’uso del 62% dei pesticidi entro il 2030. “Il nuovo governo – ha precisato – prosegua nel solco tracciato e permetta davvero, come previsto anche dalla nuova nomenclatura del Ministero, al made in Italy sano e pulito di divenire apripista del cambiamento. Quanto stabilito fino a ora da Pac e Psn non ha permesso di raggiungere pienamente questo obiettivo: Serve pertanto un’accelerazione, soprattutto in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. I dati sul biologico fanno ben capire come la mancata transizione possa influire negativamente anche sulle buone pratiche: serve andare nella direzione contraria, verso una piena rivoluzione green dal campo alla tavola, a partire dall’approvazione del nuovo Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. L’ultima stesura risale al 2014, la scadenza al 2019. Dunque è urgente risolvere anche questo nodo“, ha concluso Zampetti.

rifiuti

In Italia 3,5 reati ambientali ogni ora: la denuncia di Legambiente

Nel 2021 i reati contro l’ambiente non scendono sotto il muro dei 30 mila illeciti (accertati 30.590), registrando una media di quasi 84 reati al giorno, circa 3,5 ogni ora. Un dato preoccupante e che continua a restare alto, nonostante la leggera flessione del -12,3% rispetto ai dati del 2020, mentre crescono gli arresti toccando quota 368, +11,9% rispetto al 2020. Sono questi i primi numeri che emergono dalla presentazione odierna del Rapporto Ecomafia 2022, realizzato da Legambiente con il sostegno di Novamont ed edito da Edizioni Ambiente.
A livello regionale, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia sono le quattro regioni – a tradizionale presenza mafiosa – che subiscono il maggiore impatto di ecocriminalità e corruzione. Qui infatti si concentra il 43,8% dei reati accertati dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto, il 33,2% degli illeciti amministrativi e il 51,3% delle inchieste per corruzione ambientale sul totale nazionale. Il maggior numero di illeciti ambientali si registra, per quanto riguarda le regioni del Nord, ancora in Lombardia: 1.821 reati, pari al 6% del totale nazionale e 33 arresti. Crescono i reati accertati in Liguria (1.228), che scala di cinque posizioni la triste classifica e si aggiudica il nono posto.
A livello provinciale, invece, il maggior numero di illeciti ambientali commessi nel 2021 si registra a Roma: 1.196, più della precedente capolista Napoli (1.058); il capoluogo campano viene superato anche dalla città di Cosenza, dove l’anno scorso sono stati accertati 1.060 illeciti ambientali. Le forze dell’ordine hanno applicato per 878 volte i delitti contro l’ambiente (legge 68/2015), ponendo sotto sequestro 292 beni per un valore complessivo di oltre 227 milioni di euro. Il delitto in assoluto più contestato è quello di inquinamento ambientale, con 445 procedimenti penali, ma il maggior numero di ordinanze di custodia cautelare è scattato per l’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, con 497 provvedimenti.

“Il quadro che emerge dalla lettura del nostro Rapporto Ecomafia 2022 – ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – continua a essere preoccupante. È fondamentale non abbassare la guardia nei confronti degli ecocriminali, ora più che mai visto che sono stati assegnati i primi finanziamenti dei bandi del Pnrr, molti altri ne verranno aggiudicati nel prossimo futuro, e presto si apriranno i tanti cantieri dell’agognata transizione ecologica. In tutto ciò il sistema di prevenzione e repressione dei reati descritti in questo Rapporto non è stato rafforzato come si sarebbe dovuto fare“.
La presentazione del Rapporto – che l’associazione ambientalista ha realizzato con il sostegno di Novamont e che è edito da Edizioni Ambiente – è stata anche l’occasione per presentare dieci proposte di modifica normativa “per rendere più efficace l’azione dello Stato, a partire dall’approvazione delle riforme che mancano all’appello e su cui il Governo Meloni deve dare delle risposte concrete, anche in vista della prossima direttiva europea sui crimini ambientali”. Tra queste, l’approvazione anche in questa legislatura della costituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (la cosiddetta Commissione ecomafia); l’inserimento dei delitti previsti dal titolo VI-bis del Codice Penale e il delitto di incendio boschivo (423 bis) tra quelli per cui non scatta la tagliola dell’improcedibilità; l’approvazione del ddl contro le agromafie; l’introduzione nel codice penale i delitti contro gli animali e l’emanazione dei decreti attuativi della legge 132/2016 che ha istituito il Sistema nazionale per la protezione per l’ambiente.
“In Europa – ha spiegato Enrico Fontana, responsabile Ufficio raccolta fondi e osservatorio nazionale Ambiente e Legalità – si discute di una nuova direttiva sui crimini ambientali, per inasprire le sanzioni e rendere efficace l’attività di prevenzione e repressione. L’Italia, al riguardo, ha maturato importanti competenze, a partire dalle inchieste sui traffici illegali di rifiuti ma sconta ancora ritardi per quanto riguarda, in particolare, la lotta all’abusivismo edilizio. I reati nel ciclo del cemento – ha proseguito – sono una vera e propria piaga su cui è necessario continuare a puntare i riflettori, sia per scongiurare nuove sconsiderate ipotesi di sanatorie sia per rilanciare, finalmente, una stagione di demolizioni. In particolare, a nostro avviso è fondamentale approvare un emendamento di modifica dell’articolo 10 bis della legge 120/2020 (semplificazioni in materia di demolizione di opere abusive) per affidare ai prefetti, in caso di inerzia dei Comuni, la responsabilità degli abbattimenti oggetto di ordinanze precedenti all’approvazione della norma, fugando così ogni margine di dubbio circa la sua applicazione”, ha concluso Enrico Fontana.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ghiacciai si ritirano. Appello Legambiente: “Piano adattamento climatico entro fine anno”

Irriconoscibili, spogli, crepati. Così sono i ghiacciai dopo l’estate più calda di sempre. “Siamo tornati su quelli che avevamo osservato due anni fa, vista l’annata particolarmente pesante. Abbiamo ritrovato un’emorragia di ghiaccio, torrenti gonfi e contemporaneamente siccità dappertutto, laghi scomparsi. La Marmolada è diventata una regina nuda, completamente scoperta dal ghiaccio”, racconta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente, presentando il report finale ‘Carovana dei ghiacciai’ del Cigno verde.
La crisi climatica corre più veloce che mai, “a un ritmo impensabile anche dagli stessi esperti”, avverte il presidente nazionale, Stefano Ciafani. Le montagne sono la sentinella principale dei cambiamenti. I pascoli secchi intorno ai ghiacciai non riescono a stoccare l’anidride carbonica: “C’è stata una riduzione di stoccaggio del 30-40%”, denuncia Bonardo.

Dalla tragedia della Marmolada, all’alluvione delle Marche, fino alla frana di Ischia: nell’anno più drammatico per il Paese, Legambiente torna a chiedere con urgenza “una reale governance del territorio e dei rischi”, sollecita strategie adeguate e piani di adattamento al clima su scala regionale e locale, a tutela dei territori e delle comunità: È fondamentale che il Governo Meloni approvi il Piano di adattamento climatico entro fine anno come annunciato e metta in campo gli strumenti e le risorse per attuarlo nel prossimo futuro. È altrettanto fondamentale procedere speditamente allo sviluppo delle politiche di mitigazione, partendo dall’aggiornamento del Pniec agli obiettivi del programma europeo RePower EU”, afferma il presidente, Stefano Ciafani.
Il piano di adattamento ai cambiamenti climatici resta una “priorità assoluta” per il governo, assicura il ministro per il mare e la protezione civile, Nello Musumeci: È una vergogna che dopo sei anni non sia stato ancora reso operativo”, denuncia. “Non puoi fare prevenzione se non hai prima la previsione. Io non vado alla ricerca di responsabilità, dico soltanto di recuperare il tempo impegnato. Quando si ha nelle mani un piano di previsione che può mettere in pericolo la sicurezza di un territorio, si lavora anche di notte pur di arrivare ai tempi necessari e sei anni su questo strumento di previsione sono già tanti”.

Quanto ai ghiacciai, nello specifico, sulle Alpi Occidentali c’è in media un arretramento frontale annuo di circa 40 metri. Importante è il ritiro di 200 metri della fronte del Ghiacciaio del Gran Paradiso. I ghiacciai del Timorion (in Valsavaranche) e del Ruitor (La Thuile) con una perdita di spessore pari a 4,6 metri di acqua equivalente, registrano la peggiore perdita degli ultimi ventidue anni. Il Miage, in 14 anni, ha perso circa 100 miliardi di litri di acqua: il suo lago glaciale appare e scompare, negli ultimi tre anni in maniera sempre più rapida e repentina (in passato si verificava circa ogni 5/10 anni). ‘Sorvegliati speciali’ i ghiacciai Planpincieux e Grandes Jorasses in Val Ferret per il rischio di crolli di ghiaccio che potrebbero coinvolgere gli insediamenti e le infrastrutture del fondovalle. Nel settore centrale delle Alpi, emblematico il Ghiacciaio del Lupo che, solo nel 2022, nel suo bilancio di massa registra una perdita del 60% rispetto a quanto perso nell’arco di 12 anni. Il Fellaria perde in 4 anni quasi 26 metri di spessore di ghiaccio. Tra i fenomeni di collasso delle fronti spicca quello del Ghiacciaio del Ventina (Gruppo del Monte Disgrazia), che in un anno ha perso 200 metri della sua lingua. Per quanto concerne le Alpi Orientali, del grande Ghiacciaio del Careser (Val di Pejo), rimangono placche di pochissimi ettari, la sua superficie si è ridotta dell’86%. Numerosi gli arretramenti delle fronti, in gran parte dovuti alla cesura delle parti frontali, oltre un chilometro per la Vedretta de la Mare e a 600 metri per il Ghiacciaio di Lares (Gruppo dell’Adamello). E il Ghiacciaio della Marmolada tra quindici anni potrebbe scomparire del tutto, dopo che nell’ultimo secolo ha perso più del 70% in superficie e oltre il 90% in volume. In linea con gli altri due settori le perdite di spessore registrate per i ghiacciai di Malavalle e della Vedretta Pendente. Unica eccezione è il Ghiacciaio Occidentale del Montasio, piccolo ma resistente che, pur avendo subito in un secolo una perdita di volume del 75% e una riduzione di spessore pari a 40 metri, dal 2005 risulta stabilizzato, in controtendenza rispetto agli altri ghiacciai alpini.

Rinnovabili

Rinnovabili, svolta di Fai-Legambiente-Wwf. Pichetto: Apriamo tavolo

Una svolta storica nel segno della transizione ecologica ed energetica. E’ quella compiuta dalle associazioni Fondo per l’Ambiente Italiano Ets, Legambiente e Wwf Italia con la firma del documento-manifesto in 12 proposte dal titolo emblematico: ‘Paesaggi rinnovabili‘. Per la prima volta, infatti, c’è un’apertura all’istallazione di impianti che sfruttano fonti alternative anche in aree che fino a ieri erano considerate ‘off limits’ per non deturpare l’aspetto paesaggistico.

L’ambientalismo italiano ha maturato una nuova consapevolezza: il nostro paesaggio è sempre cambiato. Ci si può opporre ai cambiamenti, oppure cercare di governarli, perché avvengano nel migliore dei modi. Con Fai e Wwf abbiamo scelto questa seconda strada“, spiega il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani. Il passaggio cruciale è negli obiettivi 6 e 7. Nel primo si invita a ‘Sostenere la nascita e la diffusione delle comunità energetiche‘, in considerazione del fatto che per gli scenari di climate neutral “sarà il contributo di impianti su scala industriale a risultare assolutamente indispensabile“. La raccomandazione, però, è quella di serguire “il principio di non ‘occupare’ neanche un ettaro di suolo fertile, se non con tecnologie compatibili (agrivoltaico), evitando quindi gli errori del passato“.

Nel punto 7, dunque, il cambio di passo: ‘Predisporre un piano per lo sviluppo dell’agrivoltaico nelle aree rurali‘. Perché – scrivono le associazioni nel documento – “la soluzione più razionale è, innanzitutto, installare i pannelli sui tetti delle nuove costruzioni, sugli edifici pubblici, nelle aree industriali e ovunque l’impatto sul paesaggio sia trascurabile; sapendo che questo non può bastare, è importante orientare l’istallazione su altre tipologie di superfici – senza occupazione di nuovo suolo“. Dunque, “serve anche ribaltare la narrazione dei tetti solari nei centri storici, non escludendo a priori la loro installazione ma favorendola a certe condizioni. Servono, in buona sostanza, piani speciali per il fotovoltaico sui tetti industriali e commerciali, per lo sviluppo dei grandi impianti fotovoltaici nelle aree dismesse e/o da recuperare, o lungo le fasce di rispetto delle grandi arterie di comunicazione“.

Altrettanto importante è anche il capitolo dedicato a ‘Favorire l’efficientamento degli impianti eolici esistenti‘, il cosiddetto repowering. “Bisogna affrontare i nuovi impianti come vere e proprie sfide ‘progettuali’, che superino l’approssimazione dell’analisi di contesto di alcuni progetti già realizzati. Nessun luogo è uguale a un altro e ogni progetto ha l’obbligo d’inserirsi armonicamente nel contesto territoriale di cui si è riscontrata preventivamente la potenzialità anemometrica“, scrivono Fai, Legambiente e Wwf Italia. Spiegando che “il progetto di paesaggio, in altri termini, deve diventare dunque il cuore stesso del progetto di parco eolico” e “le linee forti presenti sui territori (strade vicinali, linee di sub/crinale, curve di livello altimetrico, sviluppi del reticolo idrografico, etc.) possono rappresentare un’opportunità per un inserimento armonico; parimenti per l’off-shore la distanza dalla linea di costa e una disposizione a ventaglio può produrre un disegno complessivo più armonico e meno impattante“.

Il concetto espresso dalle associazioni è quello di voler “coniugare gli obiettivi della transizione energetica con la lungimiranza nella pianificazione paesaggistica e la qualità della progettazione“. Perché “è questa la sfida cruciale del prossimo futuro. Le emergenze climatica ed energetica sono le più grandi che il genere umano deve affrontare ora e nel prossimo futuro“.

La notizia è accolta con soddisfazione dal ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin. Per questo intende avviare un tavolo di confronto con le sigle che si occupano della tutela dell’ambiente e dei beni culturali. Il Mase – sottolinea Pichetto – ha confermato con il presidente Meloni gli obiettivi di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Ma il nostro obiettivo – aggiunge – è fare ancora di più e meglio. A tal fine alla Cop27 che si è tenuta in Egitto – spiega ancora il ministro – l’Italia si è impegnata concretamente per la lotta al cambiamento climatico: 1,4 miliardi di dollari all’anno per i prossimi 5 anni, incluso un contributo di 840 milioni di euro attraverso il Fondo Italiano per il clima, la prima piattaforma di investimento italiana specificamente dedicata all’impiego di tecnologie pulite e all’adattamento ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo. “Sviluppo delle energie Rinnovabili nel rispetto dell’ambiente e del paesaggio, senza mai perdere di vista le esigenze delle imprese italiane, che devono continuare a rappresentare un esempio di eccellenza nel mondo. Questo – conclude Pichetto – resta l’obiettivo del ministero e del governo“.

Emergenza clima: i ghiacciai si ritirano. Legambiente: “Piano adattamento entro fine anno”

Irriconoscibili, spogli, crepati. Così sono i ghiacciai dopo l’estate più calda di sempre. “Siamo tornati su quelli che avevamo osservato due anni fa, vista l’annata particolarmente pesante. Abbiamo ritrovato un’emorragia di ghiaccio, torrenti gonfi e contemporaneamente siccità dappertutto, laghi scomparsi. La Marmolada è diventata una regina nuda, completamente scoperta dal ghiaccio“, racconta Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente, presentando il report finale ‘Carovana dei ghiacciai’ del Cigno verde.

La crisi climatica corre più veloce che mai, “a un ritmo impensabile anche dagli stessi esperti“, avverte il presidente nazionale, Stefano Ciafani. Le montagne sono la sentinella principale dei cambiamenti. I pascoli secchi intorno ai ghiacciai non riescono a stoccare l’anidride carbonica: “C’è stata una riduzione di stoccaggio del 30-40%”, denuncia Bonardo.

Dalla tragedia della Marmolada, all’alluvione delle Marche, fino alla frana di Ischia: nell’anno più drammatico per il Paese, Legambiente torna a chiedere con urgenza “una reale governance del territorio e dei rischi“, sollecita strategie adeguate e piani di adattamento al clima su scala regionale e locale, a tutela dei territori e delle comunità: “E’ fondamentale che il Governo Meloni approvi il Piano di adattamento climatico entro fine anno come annunciato e metta in campo gli strumenti e le risorse per attuarlo nel prossimo futuro. È altrettanto fondamentale procedere speditamente allo sviluppo delle politiche di mitigazione, partendo dall’aggiornamento del PNIEC agli obiettivi del programma europeo RePower EU”, afferma il presidente, Stefano Ciafani.

Il piano di adattamento ai cambiamenti climatici resta una “priorità assoluta” per il governo, assicura il ministro per il mare e la protezione civile, Nello Musumeci: “E‘ una vergogna che dopo sei anni non sia stato ancora reso operativo”, denuncia. “Non puoi fare prevenzione se non hai prima la previsione. Io non vado alla ricerca di responsabilità, dico soltanto di recuperare il tempo impegnato. Quando si ha nelle mani un piano di previsione che può mettere in pericolo la sicurezza di un territorio, si lavora anche di notte pur di arrivare ai tempi necessari e sei anni su questo strumento di previsione sono già tanti“.

Quanto ai ghiacciai, nello specifico, sulle Alpi Occidentali c’è in media un arretramento frontale annuo di circa 40 metri. Importante è il ritiro di 200 metri della fronte del Ghiacciaio del Gran Paradiso. I ghiacciai del Timorion (in Valsavaranche) e del Ruitor (La Thuile) con una perdita di spessore pari a 4,6 metri di acqua equivalente, registrano la peggiore perdita degli ultimi ventidue anni. Il Miage, in 14 anni, ha perso circa 100 miliardi di litri di acqua: il suo lago glaciale appare e scompare, negli ultimi tre anni in maniera sempre più rapida e repentina (in passato si verificava circa ogni 5/10 anni). ‘Sorvegliati speciali’ i ghiacciai Planpincieux e Grandes Jorasses in Val Ferret per il rischio di crolli di ghiaccio che potrebbero coinvolgere gli insediamenti e le infrastrutture del fondovalle. Nel settore centrale delle Alpi, emblematico il Ghiacciaio del Lupo che, solo nel 2022, nel suo bilancio di massa registra una perdita del 60% rispetto a quanto perso nell’arco di 12 anni. Il Fellaria perde in 4 anni quasi 26 metri di spessore di ghiaccio. Tra i fenomeni di collasso delle fronti spicca quello del Ghiacciaio del Ventina (Gruppo del Monte Disgrazia), che in un anno ha perso 200 metri della sua lingua. Per quanto concerne le Alpi Orientali, del grande Ghiacciaio del Careser (Val di Pejo), rimangono placche di pochissimi ettari, la sua superficie si è ridotta dell’86%. Numerosi gli arretramenti delle fronti, in gran parte dovuti alla cesura delle parti frontali, oltre un chilometro per la Vedretta de la Mare e a 600 metri per il Ghiacciaio di Lares (Gruppo dell’Adamello). E il Ghiacciaio della Marmolada tra quindici anni potrebbe scomparire del tutto, dopo che nell’ultimo secolo ha perso più del 70% in superficie e oltre il 90% in volume. In linea con gli altri due settori le perdite di spessore registrate per i ghiacciai di Malavalle e della Vedretta Pendente. Unica eccezione è il Ghiacciaio Occidentale del Montasio, piccolo ma resistente che, pur avendo subito in un secolo una perdita di volume del 75% e una riduzione di spessore pari a 40 metri, dal 2005 risulta stabilizzato, in controtendenza rispetto agli altri ghiacciai alpini.

siccità

Giornata del suolo, in Italia persi 19 ettari al giorno. Appello degli ambientalisti: Stop al consumo

“Consumare Suolo in maniera indiscriminata significa anche favorire le calamità idrogeologiche. Un suicidio! Serve dunque una svolta, serve una nuova condotta improntata al senso della responsabilità di tutti, dai cittadini alle istituzioni. Meno consumo di Suolo e più rigenerazione urbana: da oggi dovranno essere questi gli obiettivi per i quali lavorare”. Il messaggio di Nello Musumeci, ministro per la Protezione civile e le Politiche del mare, arriva forte e chiaro in occasione della Giornata mondiale del Suolo (World Soil Day 2022) promossa dalla Fao e sostenuta dalle Nazioni Unite. Il tema per il 2022 è ‘Il suolo: dove comincia l’alimentazione’. Secondo i dati del Rapporto Snpa 2022 dell’Ispra, che Legambiente riprende oggi, in Italia il consumo di suolo torna a crescere e nel 2021 sfiora i 70 km2 di nuove coperture artificiali in un solo anno, con una media di 19 ettari al giorno, il valore più alto negli ultimi dieci anni, e una velocità che supera i due metri quadrati al secondo.

In generale, la Fao sottolinea che, nel mondo, due miliardi di persone non hanno un apporto equilibrato di nutrienti nella propria alimentazione. La tutela del suolo è un obiettivo raggiungibile solo perseguendo azioni quali, per esempio, l’utilizzo sostenibile dei fertilizzanti, la ricarbonizzazione dei suoli, il miglioramento della mappatura di dati e informazioni a essi legati, il monitoraggio della fertilità del suolo.

Dal macro al micro. In Italia, è la Coldiretti a delineare lo stato dell’arte. “Negli ultimi 50 anni – spiega il presidente Ettore Prandini – è scomparso quasi un terreno agricolo su 3 (-30%) con la superficie agricola utilizzabile in Italia che si è ridotta ad appena 12,8 milioni di ettari a causa dell’abbandono e della cementificazione che rende le superfici impermeabili. Negli ultimi dieci anni, con le campagne l’Italia ha perso 400 milioni di chili di prodotti agricoli per l’alimentazione dell’uomo e degli animali, aumentando il deficit produttivo e la dipendenza dall’estero”. L’organizzazione sottolinea come occorra “accelerare sull’approvazione della legge sul consumo di suolo”, sottolineando che “è comunque positiva la scelta del Governo di investire nella manovra sul Fondo per il contrasto al consumo di suolo: 10 milioni nel 2023, 20 nel 2024, 30 nel 2025 e 50 milioni di euro all’anno nel biennio 2026-2027″. Finanziamenti fondamentali, ai quali si affiancano interventi “necessari di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali”, conclude l’associazione, ricordando che i cambiamenti climatici (nel 2022 si sono registrati tremila eventi estremi) e la sottrazioni di terra fertile capace di assorbire l’acqua danno vita a un micidiale mix i cui effetti si traducono, in oltre 9 Comuni su 10 (il 93,9% del totale) in aree a rischio idrogeologico per frane e alluvioni.

Su quest’ultimo tema si è espressa anche l’Anbi. L’alluvione nelle Marche dello scorso 15 settembre e quella nel comune sardo di Bitti nel novembre 2020 sono, per l’associazione, casi simbolo di disastri ambientali che hanno evidenziato l’importanza dei Consorzi per la Gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue che, però, da soli non sono sufficienti “di fronte alla velocità della crisi climatica e all’estremizzazione degli eventi atmosferici. Serve una visione politica, che ponga il territorio al centro, a iniziare dall’approvazione della legge contro il consumo di suolo, che giace da due legislature in Parlamento”, dichiara Massimo Gargano, direttore generale Anbi.

A questa richiesta di azione dal punto di vista legislativo, fa eco anche Legambiente. “Dall’approvazione, dieci anni fa, del ddl proposto dall’allora ministro dell’Agricoltura, Mario Catania – esordisce Stefano Ciafani, presidente Nazionale dell’associazione – l’Italia è in attesa di una legge per fermare il consumo di suolo. Da allora le proposte di legge si sono moltiplicate, ma una normativa non è mai uscita dalle secche della discussione parlamentare”. Una carenza normativa – secondo Legambiente – che fa il paio con la mancanza di un Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, anch’esso in stallo dal 2018, che Legambiente auspica possa essere approvato entro la fine dell’anno, come preannunciato dal governo Meloni dopo la tragedia di Ischia.
“Quanto lì accaduto – commenta Stefano Ciafani – mette la politica di fronte alla necessità di agire concretamente e in maniera tempestiva per dare al Paese una legge che rivesta un ruolo centrale contro il consumo indiscriminato di suolo e il dissesto idrogeologico”.