Legambiente: Città lontane da obiettivi 2030 sulla mobilità

Le città italiane sono ancora lontane dagli obiettivi di mobilità, riduzione delle emissioni e sicurezza fissati al 2030, ma “hanno la responsabilità e il potere di fare la differenza”. E’ quanto emerge dal bilancio finale di Clean Cities, la campagna itinerante di Legambiente che ha messo in luce il ruolo che i capoluoghi italiani possono svolgere per guidare il paese verso una mobilità a zero emissioni. “Mentre il governo sembra muoversi in direzione opposta, decisamente anacronistica rispetto agli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni – tra cui il phase-out delle auto alimentate da combustibili fossili”, dice il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, le città “possono diventare veri motori di cambiamento, rispondendo finalmente alle esigenze di tutti i cittadini e posizionando il nostro Paese tra i più avanzati dell’Unione Europea“. In particolare, le 9 città pioniere – Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino – incluse nella Missione per la neutralità climatica “devono definire un percorso chiaro per raggiungere l’obiettivo del net-zero entro 7 anni“. Ecco allora che “devono compiere un importante cambiamento per diventare più vivibili e meno inquinate, ponendo al centro della loro strategia la mobilità pubblica, condivisa, elettrica, attiva e intermodale”.

Ma a che punto siamo? Dal rapport Clean Cities emerge che il rapporto pubblico in Italia “è molto al di sotto della media europea, con soltanto un quarto delle metropolitane, treni veloci, linee tranviarie e autobus elettrici rispetto agli altri paesi“. Per Legambiente, per rendere le città veramente sostenibili e inclusive, spiega Andrea Poggio, responsabile mobilità dell’associazione, “occorre adottare politiche che rendano i quartieri e le città più accessibili in bici e con mezzi elettrici condivisi (con zone a basse emissioni e a pedaggio per le auto private) adottando le nudge policies (o spinte gentili) attraverso incentivi economici, abbonamenti e miglioramenti dei servizi“. Per trasformare le città italiane in vere “clean cities”, secondo il Cigno Verde bisogna dunque “disegnare percorsi prioritari ciclo-pedonali, incrementare i mezzi pubblici, creare zone scolastiche, aumentare i servizi e le infrastrutture di mobilità elettrica e condivisa, progettare zone cittadine a “zero emissioni“, anche per la distribuzione delle merci.

Soltanto un cittadino italiano su 4, però, è pronto ad abbandonare l’auto privata per i mezzi pubblici, se comodi e puntuali. L’indagine condotta da Ipsos per Legambiente ha analizzato le abitudini di mobilità su scala nazionale con un focus sulle grandi città di Roma, Napoli, Firenze, Milano e Torino. Dai risultati emerge, in sintesi, che i comportamenti degli italiani sono molto variegati e segmentati, e ognuno di essi richiede una risposta diversa. In particolare, una fetta consistente del campione nazionale, il 23%, è rappresentato dagli “aperti al pubblico”, ovvero da coloro che userebbero di più i mezzi pubblici e condivisi a fronte di un potenziamento dei servizi e una diminuzione dei costi. A Milano sono il 25%, a Napoli il 24%, a Torino il 23%, a Firenze 18%, a Roma il 16%.

L’allarme di Legambiente: “Neve artificiale sul 90% delle piste italiane. E’ insostenibile”

L’Italia è tra i paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale con il 90% di piste innevate artificialmente, seguita da Austria (70%), Svizzera (50%), Francia (39%). E’ quanto emerge dal dossier di Legambiente ‘Nevediversa 2023’, presentato oggi a Torino. La percentuale più bassa è in Germania, con il 25%. Per l’associazione il sistema di innevamento artificiale “non è una pratica sostenibile e di adattamento, dato che comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo in territori di grande pregio”.

I dati che emergono dalle stime sono preoccupanti: considerando che in Italia il 90% delle piste è dotato di impianti di innevamento artificiale il consumo annuo di acqua già ora potrebbe raggiungere 96.840.000 di m³ che corrispondono al consumo idrico annuo di circa una città da un milione di abitanti. “Inoltre – si legge nel rapporto – l’innevamento artificiale richiede sempre maggiori investimenti per nuove tecnologie ed enormi oneri a carico della pubblica amministrazione“. Senza contare che il costo della produzione di neve artificiale sta anche lievitando, passando dai 2 euro circa a metro cubo del 2021-2022, ai 3-7 euro al metro cubo nella stagione 2022-2023. Per questi motivi Legambiente torna a ribadire “l’urgenza di ripensare ad un nuovo modello di turismo invernale montano ecosostenibile, partendo da una diversificazione delle attività. Ce lo impone la crisi climatica che avanza e che sta avendo anche pesanti impatti sull’ambiente montano. Difronte a ciò l’Italia non può più restare miope, ne può pensare di poter inseguire la neve”.

A preoccupare è anche il numero di bacini idrici artificiali presenti in montagna ubicati in prossimità dei comprensori sciistici italiani e utilizzati principalmente per l’innevamento artificiale. Sono 142 quelli mappati nella Penisola per la prima volta da Legambiente attraverso l’utilizzo di immagini satellitari per una superficie totale pari a circa 1.037.377 mq. Il Trentino Alto Adige detiene il primato con 59 invasi, seguito da Lombardia con 17 invasi e dal Piemonte con 16 bacini. Nel Centro Italia, l’Abruzzo è quello che ne conta di più, ben 4.

In parallelo, nel 2023 aumentano sia gli “impianti dismessi” toccando quota 249, sia quelli “temporaneamente chiusi” – sono 138 – sia quelli sottoposti ad “accanimento terapeutico”, ossia quelli che sopravvivono con forti iniezioni di denaro pubblico, e che nel 2023 arrivano a quota 181.Tutti impianti censiti da Legambiente che quest’anno allarga il suo monitoraggio includendo anche altre categorie: quelle degli “impianti un po’ aperti, un po’ chiusi”, ossia quei casi che con le loro aperture “a rubinetto” rendono bene l’idea della situazione di incertezza che vive il settore. In totale sono 84. La categoria degli “edifici fatiscenti”, 78 quelli censiti. Ed infine la categoria “smantellamento e riuso”, 16 i casi censiti.

Alla ministra del Turismo Daniela Santachè, che questo inverno ha avviato un tavolo tecnico per l’emergenza legata alla mancanza di neve in Appennino, “torniamo a ribadire – dice il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani – che avrebbe più senso investire risorse nell’adattamento e non nell’innevamento artificiale. Con un clima sempre più caldo, nei prossimi anni andremo incontro a usi plurimi dell’acqua sempre più problematici e conflittuali. Per questo è fondamentale che nella lotta alla crisi climatica l’Italia cambi rotta mettendo in campo politiche più ambiziose ed efficace, aggiornando e approvando entro la fine di marzo il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, e rindirizzando meglio i fondi del PNRR”.

Treno Stazione

Legambiente contro il Ponte sullo Stretto: “Italia indietro rispetto all’Europa, investire sui treni”

Nonostante dei timidi miglioramenti, in Italia la transizione ecologica della mobilità è ancora troppo lenta. A pesare sul trasporto su ferro – con pesanti ripercussioni sul sud Italia – sono, soprattutto, i continui ritardi infrastrutturali, i treni poco frequenti, le linee a binario unico, la lentezza nella riattivazione delle linee interrotte, chiuse e dismesse, e poi le risorse economiche inadeguate. A denunciarlo è Legambiente nel nuovo rapporto Pendolaria 2023, in cui fa il punto sul trasporto su ferro in Italia, invitando il governo a farlo diventare “una priorità“. Non solo. L’associazione ambientalista si rivolge direttamente al ministro Matteo Salvini. A lui, dice il presidente Stefano Ciafani, “chiediamo di dedicare ai pendolari almeno la stessa attenzione che ha messo in questi mesi per il rilancio dei cantieri delle grandi opere“, smettendo di “rincorrere” quelle “inutili” come “il Ponte sullo Stretto di Messina“.

E proprio il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti risponde a distanza alle richieste di Legambiente. “Stiamo investendo sull’alta velocità, vogliamo portarla finalmente anche al Sud, senza scordarci di investire sui treni regionali, quelli che si prendono tutti i giorni“, dice intervenendo all’International Railway Summit 2023, in corso a Roma. A dire il vero, il fronte leghista si mostra compatto e nel corso della giornata rivendica “il lavoro concreto e pragmatico” portato avanti in questi mesi dal vicepremier, “dopo anni di no ideologici“.

Il quadro che emerge dal rapporto non è rassicurante. Il nostro Paese “è indietro” rispetto a buona parte dell’Europa su diversi fronti. Ad esempio, la dotazione di linee metropolitane si ferma a 254,2 km totali, ben lontana dai valori di Regno Unito (679,1 km), Germania (656,5) e Spagna (613,8). Basti pensare che il totale di km di metropolitane in Italia è inferiore, o paragonabile, a quello di singole città europee come Madrid (291,3) o Parigi (225,2).

A pesare sono anche le persistenti differenze” tra nord e sud e “a pagarne lo scotto è soprattutto il Mezzogiorno“, dove “circolano meno treni, i convogli sono più vecchi – con un’età media di 18,5 anni“, quindi molto più elevata degli 11,9 anni di quelli del nord – e viaggiano su linee in larga parte a binario unico e non elettrificate. E, ancora, le corse dei treni regionali in Sicilia, ad esempio, ricorda Legambiente, sono ogni giorno 506 contro le 2.173 della Lombardia. Per l’associazione, quindi, servirebbero più convogli, certo, ma anche collegamenti più veloci.

In 11 anni, cioè dal 2010 al 2020, in Italia sono stati fatti più investimenti sulle infrastrutture per il trasporto su gomma che su ferro, ma ora servono “maggiori risorse economiche” pari a 500 milioni l’anno per rafforzare il servizio ferroviario regionale e 1,5 miliardi l’anno per realizzare linee metropolitane, tranvie, linee suburbane. Si tratta complessivamente di 2 miliardi di euro all’anno fino al 2030, “recuperabili dal bilancio dello Stato specialmente all’interno del vasto elenco di sussidi alle fonti fossili“.

C’è però, una nota positiva. L’Italia è in vantaggio rispetto agli altri Paesi europei sull’elettrificazione della rete ferroviaria. Sono previste risorse sia nel Pnrr sia nel contratto di programma di Rfi. Gli interventi interessano complessivamente oltre 1.700 km di rete e porteranno la quota di rete elettrificata in dal 70,2% del 2022 ad oltre il 78% a fine interventi. Un fiore all’occhiello che punta alla sostenibilità. “Il tasso di elettrificazione della nostra rete – spiega l’ad del gruppo Fs, Luigi Ferraris dall’International Railway Summit – è uno dei più alti in Europa. Ma siamo i maggiori consumatori di energia del Paese e per questo abbiamo avviato un programma di autoproduzione di energia da fonti rinnovabili che coprirà almeno il 40% del nostro fabbisogno“.

Il flashmob di Legambiente: “Respiriamo grazie alle piante, non soffochiamole”

Bari, Bergamo, Firenze, Genova, Milano, Padova, Perugia e Torino. Da queste città arrivano gli scatti dei volontari di Legambiente che sono scesi in strada muniti di maschera antigas collegata ad una piccola teca contenente una piantina. “Respiriamo grazie a loro. Non soffochiamole”, è il messaggio che gli attivisti hanno voluto lanciare in occasione dei flash mob realizzati nell’ambito del progetto LIFE MODERn (NEC).

L’inquinamento atmosferico prodotto in città dalle attività antropiche genera un impatto negativo anche negli ecosistemi remoti come le foreste e le acque dolci. Per monitorare al meglio gli effetti degli inquinanti sugli ecosistemi fondamentali per la vita sul Pianeta, questo progetto europeo guidato dall’Arma dei Carabinieri – Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari CUFAA, e supportato da CNR, CREA, ENEA, Legambiente, TerraData srl environmetrics e le Università di Camerino e di Firenze, ha l’obiettivo di raddoppiare i siti attualmente monitorati attraverso la Rete Nec e incrementare il numero degli indicatori considerati.

Secondo l’ultimo rapporto Mal’aria di Legambiente, che ha monitorato la qualità dell’aria nell’anno 2022, i livelli di inquinamento atmosferico in molte città sono ancora troppo alti e lontani dai limiti normativi, più stringenti, previsti per il 2030. Rispetto a questi nuovi target europei, infatti, ad oggi sarebbero fuorilegge il 76% delle città per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 61% per l’NO2. Tra queste, dati preoccupanti sono stati registrati in alcune località in cui i volontari dell’associazione hanno realizzato un piccolo flashmob in strada con le maschere antigas collegate alle piantine: a Milano e Torino (media annuale di 35 microgrammi/metro cubo) e Padova (32 microgrammi/metro cubo) le situazioni più difficili per il PM10; per l’NO2 valori più alti riscontrati a Firenze (30 microgrammi/metro cubo) e Bergamo (28 microgrammi/metro cubo).

L’inquinamento atmosferico che danneggia pesantemente la nostra salute e compromette la qualità della nostra vita, influisce anche sulla biodiversità, ma, mentre un quadro delle emissioni di inquinanti atmosferici a livello nazionale è ormai sufficientemente strutturato e basato su una solida rete di siti di monitoraggio, lo studio degli impatti dell’inquinamento atmosferico sugli ecosistemi necessita di maggiori studi e strumenti come un’adeguata rappresentatività dei diversi ecosistemi e una sinergica integrazione tra i metodi e i risultati ottenuti da diversi istituti di ricerca.

Ad oggi la Rete NEC conta 10 siti, 6 forestali e 4 di acqua dolce. Tra i parametri attualmente considerati negli ecosistemi forestali ci sono lo stato di salute e la vitalità degli alberi, le deposizioni atmosferiche, la chimica delle soluzioni circolanti nei suoli, la chimica fogliare e la biodiversità di piante e licheni. Nei siti di acqua dolce sono invece considerati i parametri chimici dell’acqua come i livelli di acidità, il solfato, i nitrati, oltre alle comunità a macroinvertebrati e diatomee. Grazie al progetto, saranno considerati ulteriori 18 indicatori, attualmente al vaglio dei partner del progetto, tra cui la diversità della fauna del suolo, di pipistrelli e uccelli e il DNA ambientale, la trasparenza e la qualità dell’aria e una serie di indicatori legati alla diversità funzionale delle comunità.

inquinamento

Smog, 29 città sforano i limiti di polveri sottili nel 2022. Torino e Milano sul podio

L‘emergenza smog nelle città italiane è un problema sempre più pressante. Servono interventi decisi, perché soprattutto nelle città del Settentrione, l’aria è irrespirabile a causa dell’inquinamento: quando si considerano i limiti per le polveri sottili, Pm10, il 76% dei nostri centri urbani è fuorilegge rispetto ai target europei. Sono infatti 29 su 95 le città che hanno superato i limiti normativi per lo sforamento di Pm10, (35 giorni all’anno con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo): in testa si trova Torino con 98 giorni di sforamento, seguita da Milano con 84, Asti 79, Modena 75, Padova e Venezia con 70. Sono questi i punti principali del nuovo report di Legambiente ‘Mal Aria di città. Cambio di passo cercasi’, redatto e pubblicato nell’ambito della Clean Cities Campaign.

La situazione è però preoccupante ovunque, perché il nostro Paese è decisamente in ritardo per adeguarsi ai nuovi target europei entro il 2030, visto che risulta fuorilegge il 76% delle città per il PM10, l’84% per il PM2.5 e il 61% per l’NO2. “Le città italiane dovranno lavorare duramente per adeguarsi ai nuovi limiti entro i prossimi sette anni,osserva Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente soprattutto considerando che i trend di riduzione dell’inquinamento finora registrati non sono incoraggianti e che i valori indicati dalle linee guida dell’OMS, che sono il vero obiettivo da raggiungere per tutelare la salute delle persone, sono ancora più stringenti dei futuri limiti europei”.

Va detto che per il PM10, l’analisi delle medie annuali ha mostrato che nessuna città ha superato il limite previsto dalla normativa vigente, ma secondo Legambiente “ciò non è sufficiente per garantire la salute dei cittadini, in considerazione delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dei limiti previsti dalla nuova Direttiva europea sulla qualità dell’aria, che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2030. Per il PM10, sarebbero infatti solo 23 su 95 (il 24% del totale) le città che non hanno superato la soglia di 20 µg/mc. 72 città sarebbero dunque fuorilegge“.

L’appello al governo perché intervenga arriva anche dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) secondo cui l’Italia è il primo paese in Europa per morti attribuibili all’inquinamento atmosferico con circa 80mila decessi prematuri all’anno.Gli effetti diretti dell’inquinamento sulla salute umana interessano diversi apparati ed organispiega il presidente Sima, Alessandro MianiLe patologie dell’apparato cardiovascolare rappresentano la prima causa di morte in Italia (Eventi coronarici e Infarto Miocardico Acuto, 9.000 casi/anno – Ictus cerebrali, 12.000 casi/anno), seguiti dalle patologie dell’apparato respiratorio (7.000 decessi prematuri/anno). Gli effetti indiretti dell’inquinamento portano fino al +14% di aumento di incidenza per tutti i tumori nei siti inquinati (Mesoteliomi, 1.900 casi/anno da esposizione ad amianto – Tumori testicolari, +36% d’incidenza nei siti inquinati – Leucemie, +66% d’incidenza nei siti inquinati – Linfomi, +50% d’incidenza nei siti inquinati – Sarcomi dei tessuti molli, +62% d’incidenza nei siti inquinati – Tumori polmonari, +29% d’incidenza nei siti inquinati – Tumori vescicali o renali, +32% nei siti inquinati – Tumori della mammella, +50% d’incidenza nei siti inquinati)”. “E’ imprescindibile e non più rimandabile agire in fretta per ridurre drasticamente le principali sorgenti emissive dell’inquinamento atmosferico: in tale direzione Sima ha proposto al Governo di mitigare gli effetti nocivi dello smog partendo dagli edifici urbani, attraverso incentivi volti a facilitare interventi di rivestimento di superfici murarie e vetrate con un ‘coating’ fotocatalitico al biossido di titanio a base etanolo, che ha dimostrato in studi scientifici di essere attivato da luce naturale a svolgere un’azione di scomposizione e riduzione degli inquinanti atmosferici. Una Mitigation Action che l’Europa apprezza e valorizza”, conclude Miani.

 

Associazioni ambientaliste a Salvini: “Città 30 km/h modello di sostenibilità”

Le associazioni ambientaliste Legambiente, Fiab, Asvis, Kyoto Club, Vivinstrada, ANCMA, Salvaiciclisti, Fondazione Michele Scarponi, AMODO si schierano a favore delle Città 30 km/h  – peraltro già realizzato in diverse città europee – e chiedono un incontro al ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Matteo Salvini attraverso una lettera congiunta inviata al dicastero. Secondo le realtà associative, il provvedimento è il più “innovativo ed efficace per contrastare l’incidentalità sulle strade urbane, in quanto coniuga una drastica riduzione delle stragi stradali, l’integrazione tra le diverse composizioni modali di trasporto, il rispetto degli impegni climatici, il miglioramento della vivibilità, oltre che una significativa fluidificazione del traffico”.

Dal testo della lettera emerge che Milano sarebbe l’ultima città in termini temporali a vedere applicato detto provvedimento, dopo Olbia, Cesena, Bergamo, Torino e Bologna. Luoghi che stanno avviando percorsi per diventare Città 30, “consapevoli che – in conformità a quanto richiesto dal Piano Nazionale Sicurezza Stradale 2030 (PNSS) – occorre trovare le risorse per pianificare interventi soprattutto strutturali e non solo di segnaletica, oltre che a monitorare i risultati”. Non dimentichiamo, aggiungono le associazioni, che “il bene vita messo ogni giorno a repentaglio sulle strade urbane può essere salvaguardato solo attraverso nuove politiche più rapide ed efficaci, in grado di cambiare le città, le strade, il sistema della mobilità, gli stili di vita e di guida, per fermare crisi climatica e strage stradale”.

Secondo i dati Aci-Istat 2021, infatti, gli incidenti stradali attualmente sono in Italia la prima causa di morte per i giovani, oltre a essere la prima causa di morte del lavoratore in itinere. Ogni giorno si contano 561 feriti e 7,9 vittime (uno ogni 3 ore), soprattutto in ambito urbano, con un costo sociale complessivo pari a 16,4 miliardi di euro, pari allo 0,9% del Pil nazionale.
“Moderare la velocità come previsto dalle Città 30 ― concludono le associazioni firmatarie della lettera ― non rappresenta un limite alla libera e celere circolazione delle persone e delle merci, in quanto attualmente com’è a tutti noto la velocità media all’interno delle città è di 29,4 km/h, scendendo fino a 7-8 km/h nelle ore di punta. L’automobile privata non è il mezzo più veloce e affidabile nei centri urbani”. E individuano nell’intermodalità tra i vari mezzi di trasporto (trasporto pubblico urbano, sharing e mobilità attiva), la possibilità di ottenere “una riduzione del tasso di motorizzazione di cui l’Italia detiene primato europeo con relativa congestione del traffico, difficoltà negli spostamenti e aumento degli agenti inquinanti, oggetto spesso di procedure di infrazione da parte dell’Europa”.

Stefano Ciafani

Stefano Ciafani: “Liberarsi dal gas? Con le rinnovabili possibile in 10 anni”

Liberarsi dalla dipendenza del gas in 10 anni spingendo sulle rinnovabili. Stefano Ciafani (nella foto), presidente nazionale di Legambiente, giura che non è un sogno, ma un fatto. Lo dimostrano i numeri degli anni 2009-2011, quando ogni anno in Italia si installavano impianti per 10 gigawatt di energia verde. “Avessimo continuato così, avremmo ridotto la dipendenza dalla Russia del 65% in una decade”, commenta, intervistato da GEA. Ecco perché di rigassificatori aggiuntivi, oltre a Piombino e Ravenna, non vuol sentir parlare. “Con l’aumento dell’uso delle infrastrutture esistenti, abbiamo già ridotto la necessità di importare gas dalla Russia, con i due rigassificatori galleggianti riduciamo ulteriormente. Per quelli fissi ci vorranno altri 10 anni, noi se investiamo bene in rinnovabili, possiamo compensare”.

Sta dicendo che i rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle non servono effettivamente al Paese?
“Non servono e aggiungo che abbiamo riaperto le trivellazione di idrocarburi nei tratti di costa tra le 9 e le 12 miglia. Dopo Piombino e Ravenna, che almeno saranno galleggianti, ora si parla anche di rigassificatori fissi. Ma noi vogliamo decarbonizzarlo il Paese o no? Tutti questi rigassificatori mi sembrano più utili a chi compra e vende gas, mi sembrano più un favore all’Eni che una necessità del Paese”.

La premier Giorgia Meloni parla del Sud Italia come grande hub dell’energia per il Mediterraneo e occasione da non sprecare proprio per le rinnovabili. Ci crede?
“Credo intanto che il governo debba decidere cosa fare sulle rinnovabili. La premier ha detto: il Sud deve diventare hub, per Pichetto bisogna predisporre impianti per 70 Gw entro i prossimi 6 anni. È questa la posizione dell’esecutivo o è quella del ministero della Cultura, in cui il sottosegretario Vittorio Sgarbi si oppone all’eolico ed è per il fotovoltaico al massimo sui tetti? Le due cose sono confliggenti. I tetti vanno riempiti, ma le soprintendenze devono dare l’ok e non bastano i tetti, bisogna fare anche l’eolico, a terra e a mare, e l’agrivoltaico. Su questo non abbiamo capito la direzione del governo”.

La commissione via-vas per le concessioni è stata quasi raddoppiata…
“Questo è un ottimo segnale del ministro dell’Ambiente, che ha anche accorcianto tempi per il decreto ministeriale sulle comunità energetiche. Speriamo che chiuderà entro i primi mesi dell’anno. Ora occorre dare l’indirizzo alle soprintendenze, il ministero della Cultura dovrebbe aggiornare le nuove linee guida, del 2010, perché facilitino la realizzazione degli impianti. E il governo deve spingere le Regioni a potenziare gli uffici che danno le autorizzazioni”.

Promuove Pichetto quindi? Il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici è stato pubblicato prima dell’anno, come promesso.
“Bisogna dargli atto di essere stato di parola. Dopo la tragedia di Ischia, il ministro aveva detto che l’avrebbe reso pubblico entro la fine dell’anno. Questo governo ha fatto quello che nessuno dei tre governi precedenti e dei due ministri dell’Ambiente precedenti (Sergio Costa e Roberto Cingolani, n.d.r.) aveva mai fatto”.

Sergio Costa sostiene che il Piano andava completamente riscritto.
“Ricordo che è stato ministro per due anni e mezzo, poteva pubblicarlo lui durante il suo mandato. Ha fatto bene il ministro Pichetto Fratin ad aggiornare il poco che si poteva aggiornare in un mese. Ora però il piano va approvato presto e l’approvazione è la fine del primo tempo di una partita che dura due tempi, il secondo è quello in cui si individuano le risorse per fare quello che c’è scritto. Le produzioni agroalimentari, nel tempo, si ridurranno. Come aiutare il settore? Si prevede che i flussi turistici cambieranno, perché il Sud diventerà torrido. Come sostenere i territori? Cosa fare per fronteggiare le ondate di calore che causano tante morti premature? Per tutto questo servono risorse, che vanno individuate. La seconda parte della partita va giocata velocemente”.

Le è piaciuta la manovra?
“Per due terzi era vincolata alla vicenda bollette, però ci sono cose che si sarebbero potute fare. Mi riferisco ai 41 miliardi di euro che l’anno scorso abbiamo dato come sussidi alle fonti fossili. Si potevano trasformarne alcuni in aiuti per convertire le produzioni. Invece anche questa legge di bilancio non affrontava il tema dei sussidi. E poi c’è una cosa inutile e dannosa ed è la riattivazione della società Ponte sullo Stretto. Chi vive e lavora in Sicilia e Calabria ha bisogno di altre infrastrutture, il ponte non cambierà nulla nella loro vita. C’è da aprire migliaia di cantieri in queste due regioni”.

C’è chi dice che il ponte serva soprattutto in funzione dell’Alta Velocità.
“È una falsità. Le nuovi navi traghetto Ro-Ro, previste nel Pnrr, potranno trasportare anche i Frecciarossa, quindi il prolungamento dell’alta velocità in Calabria e Sicilia non deve essere subordinata alla costruzione del ponte. Queste due Regioni devono essere ribaltate dal punto di vista delle infrastrutture. Noi vorremmo dare priorità di spesa a quelle opere trasportistiche che servono davvero. Poi, se vogliamo usare il ponte per far conoscere il Paese nel mondo, questo è un altro discorso. Ma la verità è che le opere trasportistiche che servono sono altre”.

Legambiente: 2022 annus horribilis per il clima. In Italia 310 fenomeni estremi, +55% sul 2021

Alluvioni, ondate di caldo anomalo e di gelo intenso, frane, mareggiate, siccità, grandinate hanno fatto vittime e sfollati negli ultimi dodici mesi. Gli eventi estremi si moltiplicano a una velocità crescente, come raccontano i dati di bilancio dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente, realizzato in collaborazione con il gruppo Unipol, e sintetizzati nella mappa del rischio climatico.
Nel 2022 la Penisola ha registrato un incremento del +55% di casi rispetto al 2021, parliamo di 310 fenomeni estremi che quest’anno hanno provocato impatti e danni da nord a sud e causato ben 29 morti. Nello specifico si sono verificati 104 casi di allagamenti e alluvioni da piogge intense, 81 casi di danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 29 da grandinate, 28 da siccità prolungata, 18 da mareggiate, 14 eventi con l’interessamento di infrastrutture, 13 esondazioni fluviali, 11 casi di frane causate da piogge intense, 8 casi di temperature estreme in città e 4 eventi con impatti sul patrimonio storico. Molti gli eventi che riguardano due o più categorie, ad esempio casi in cui esondazioni fluviali o allagamenti da piogge intense provocano danni anche alle infrastrutture. Nel 2022 sono aumentati, rispetto allo scorso anno, i danni da siccità, che passano da 6 nel 2021 a 28 nel 2022 (+367%), quelli provocati da grandinate da 14 nel 2021 a 29 nel 2022 (+107%), i danni da trombe d’aria e raffiche di vento, che passano da 46 nel 2021 a 81 nel 2022 (+76%), e allagamenti e alluvioni, da 88 nel 2021 a 104 nel 2022 (+19%).

La siccità ha piegato soprattutto il centro nord. Nei primi sette mesi dell’anno, le piogge sono diminuite del 46% rispetto alla media degli ultimi trent’anni. Cruciale la prima parte dell’anno con cinque mesi consecutivi gravemente siccitosi, e un’anomalia, da gennaio a giugno, pari a – 44% di piogge, equivalente a circa 35 miliardi di metri cubi di acqua in meno del normale. In crescente difficoltà i fiumi, come il Po che al Ponte della Becca (PV) risultava con un livello idrometrico di -3 metri, e i grandi laghi con percentuali di riempimento dal 15% dell’Iseo, al 18% di quello di Como fino al 24% del Maggiore. In autunno è peggiorata la situazione delle regioni del centro, soprattutto in Umbria e Lazio. Nel primo caso il deficit pluviometrico si è attestato sul 40%, il lago Trasimeno ha raggiunto un livello ben inferiore alla soglia critica, con -1,54 metri. Nel Lazio, il lago di Bracciano è sceso a -1,38 metri rispetto allo zero idrometrico. Gravi le conseguenze per l’agricoltura e per gli habitat naturali. L’11% delle aziende agricole si è ritrovata in una situazione talmente critica da portare alla cessazione dell’attività. In molte aree urbane si sono dovute imporre restrizioni all’uso dell’acqua. La siccità ha causato la perdita di produzione di energia, in particolare da idroelettrico. Nonostante i dati di Terna relativi ad aprile abbiano evidenziato un record assoluto di energia prodotta da fonti rinnovabili, è mancato all’appello l’idroelettrico. La produzione di energia da questa fonte, infatti, segnava -41% per effetto delle scarse precipitazioni, che hanno portato per mesi i livelli di riempimento degli invasi prossimi ai valori minimi registrati negli ultimi 50 anni. A dicembre, il livello del Po è rimasto inferiore alla media degli ultimi 20 anni ed a preoccupare è soprattutto la situazione delle falde, con livelli tra il 35 ed il 50% in meno della media mensile.

Si sono registrate temperature eccezionali già da maggio con punte di 36,1°C a Firenze, 35,6°C a Grosseto, 34°C a Pisa e 32,8°C a Genova. Ma anche a Ustica con 33,4°C e Torino con 29,2°C. Il mese di giugno ha visto un’anomalia della temperatura media di +3,3°C se consideriamo l’Italia nel suo insieme, con punte di 41,2°C a Guidonia Montecelio (RM), 40°C a Prato, Firenze, Viterbo e Roma. A luglio record per le città lombarde: a Brescia e Cremona si sono registrati 39,5°C, a Pavia 38,9°C e a Milano 38,5°C. Ad agosto i termometri hanno segnato tra i 40 e i 45°C a Palermo, Catania e Reggio Calabria, mentre a Bari si è arrivati a 39°C. Questi livelli di caldo eccezionale, prolungati per settimane e mesi in gran parte del Paese, hanno portato a gravi conseguenze sulla salute umana. L’ondata di calore che ha impattato più duramente è stata quella della seconda metà di luglio, con un aumento di mortalità che ha raggiunto, stando ai dati di Ministero della Salute e Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, il 36% in tutte le aree del Paese, ma in particolare in alcune città del nord. Tra le città maggiormente colpite Torino che ha visto un eccesso di mortalità pari a +70%, a cui segue Campobasso (+69%), poi Bari (+60%), Bolzano (+59%), Milano e Genova (+49%), Viterbo (+48%), Firenze (+43%), Catania (+42%). Solo nel 2022 sono stati oltre 2.300 i decessi in Italia dovuti alle ondate di calore, secondo le analisi del ministero della Salute e Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, in crescita rispetto ai 1.472 del 2021 e ai 685 del 2020.

agroalimentare

Pesticidi su 44% di frutta e verdura in Italia: report di Legambiente

Aumentano i campioni in cui sono state trovate tracce di pesticidi. Questo il primo dato – sconfortante – che emerge dal dossier ‘Stop pesticidi nel piatto‘ curato da Legambiente in collaborazione con Alce Nero. Al centro dell’indagine, 4.313 campioni di alimenti di origine vegetale e animale (compresi i prodotti derivati da apicoltura di provenienza italiana ed estera): solo il 54,8% del totale risulta senza residui di pesticidi, contro il 63% dell’anno precedente. Il pesticida maggiormente presente è l’Acetamiprid, seguito da Boscalid, Fluidoxonil, Azoxystrobina, Tubeconazolo e Fluopyram.
La categoria ortofrutticola più colpita è, ancora una volta, la frutta, con oltre il 70,3% dei campioni analizzati che presenta uno o più residui. Spiccano i casi dell’uva da tavola, con l’88,3% di campioni che presentano almeno un pesticida (contro l’85,7% dello scorso anno) e le pere: in questo caso, la percentuale sale addirittura al 91,6% e 22 diverse categorie di fitofarmaci rilevate. Per quanto attiene la verdura, invece, il 65,5% dei campioni presi in esame risulta essere senza residui. I peperoni risultano essere i più colpiti, con 38 categorie di fitofarmaci diverse, compreso l’Imidacloprid che è stato revocato dal mercato nel 2020; seguono i pomodori, con il 55% di campioni con almeno un pesticida.

Dall’analisi dei dati rilevati – ha dichiarato Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente – emerge chiaramente la necessità di intraprendere la strada dell’agroecologia con ancora più determinazione e mettendo in atto quanto stabilito dalle direttive europee Farm to fork e Biodiversity 2030”. Gentili ha ricordato inoltre l’approvazione della legge sul bio, da considerare un “importante passo in avanti” ma che impone di passare “dalla teoria alla pratica” affinché quel traguardo non risulti “solo una bandierina ma un patrimonio per l’intero settore”.

Servono dunque “meccanismi incentivanti, a partire dalla messa a disposizione delle risorse; occorre inoltre che vengano applicate in maniera stringente le norme, stando alla larga da eventuali ipotesi di deroghe all’utilizzo di specifici fitofarmaci, come purtroppo sta avvenendo con il Glisofato”. A proposito di quest’ultimo, si tratta dell’erbicida più presente nei campioni dei prodotti trasformati, il 41,4% contiene uno o più residui. In questa categoria di prodotti rientra per esempio il miele: nel 67,5% dei casi non sono stati riscontrati residui. Tra i campioni contaminati si segnala la presenza di due neonicotinoidi: il Thiacloprid (revocato dal mercato essendo stato classificato come interferente endocrino) e l’Acetamiprid ancora permesso ma i cui effetti causano pesanti ripercussioni sulla salute delle api. Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, ha ricordato la richiesta dell’Unione Europa di raggiungere un taglio dell’uso del 62% dei pesticidi entro il 2030. “Il nuovo governo – ha precisato – prosegua nel solco tracciato e permetta davvero, come previsto anche dalla nuova nomenclatura del Ministero, al made in Italy sano e pulito di divenire apripista del cambiamento. Quanto stabilito fino a ora da Pac e Psn non ha permesso di raggiungere pienamente questo obiettivo: Serve pertanto un’accelerazione, soprattutto in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. I dati sul biologico fanno ben capire come la mancata transizione possa influire negativamente anche sulle buone pratiche: serve andare nella direzione contraria, verso una piena rivoluzione green dal campo alla tavola, a partire dall’approvazione del nuovo Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari. L’ultima stesura risale al 2014, la scadenza al 2019. Dunque è urgente risolvere anche questo nodo“, ha concluso Zampetti.

rifiuti

In Italia 3,5 reati ambientali ogni ora: la denuncia di Legambiente

Nel 2021 i reati contro l’ambiente non scendono sotto il muro dei 30 mila illeciti (accertati 30.590), registrando una media di quasi 84 reati al giorno, circa 3,5 ogni ora. Un dato preoccupante e che continua a restare alto, nonostante la leggera flessione del -12,3% rispetto ai dati del 2020, mentre crescono gli arresti toccando quota 368, +11,9% rispetto al 2020. Sono questi i primi numeri che emergono dalla presentazione odierna del Rapporto Ecomafia 2022, realizzato da Legambiente con il sostegno di Novamont ed edito da Edizioni Ambiente.
A livello regionale, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia sono le quattro regioni – a tradizionale presenza mafiosa – che subiscono il maggiore impatto di ecocriminalità e corruzione. Qui infatti si concentra il 43,8% dei reati accertati dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto, il 33,2% degli illeciti amministrativi e il 51,3% delle inchieste per corruzione ambientale sul totale nazionale. Il maggior numero di illeciti ambientali si registra, per quanto riguarda le regioni del Nord, ancora in Lombardia: 1.821 reati, pari al 6% del totale nazionale e 33 arresti. Crescono i reati accertati in Liguria (1.228), che scala di cinque posizioni la triste classifica e si aggiudica il nono posto.
A livello provinciale, invece, il maggior numero di illeciti ambientali commessi nel 2021 si registra a Roma: 1.196, più della precedente capolista Napoli (1.058); il capoluogo campano viene superato anche dalla città di Cosenza, dove l’anno scorso sono stati accertati 1.060 illeciti ambientali. Le forze dell’ordine hanno applicato per 878 volte i delitti contro l’ambiente (legge 68/2015), ponendo sotto sequestro 292 beni per un valore complessivo di oltre 227 milioni di euro. Il delitto in assoluto più contestato è quello di inquinamento ambientale, con 445 procedimenti penali, ma il maggior numero di ordinanze di custodia cautelare è scattato per l’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, con 497 provvedimenti.

“Il quadro che emerge dalla lettura del nostro Rapporto Ecomafia 2022 – ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – continua a essere preoccupante. È fondamentale non abbassare la guardia nei confronti degli ecocriminali, ora più che mai visto che sono stati assegnati i primi finanziamenti dei bandi del Pnrr, molti altri ne verranno aggiudicati nel prossimo futuro, e presto si apriranno i tanti cantieri dell’agognata transizione ecologica. In tutto ciò il sistema di prevenzione e repressione dei reati descritti in questo Rapporto non è stato rafforzato come si sarebbe dovuto fare“.
La presentazione del Rapporto – che l’associazione ambientalista ha realizzato con il sostegno di Novamont e che è edito da Edizioni Ambiente – è stata anche l’occasione per presentare dieci proposte di modifica normativa “per rendere più efficace l’azione dello Stato, a partire dall’approvazione delle riforme che mancano all’appello e su cui il Governo Meloni deve dare delle risposte concrete, anche in vista della prossima direttiva europea sui crimini ambientali”. Tra queste, l’approvazione anche in questa legislatura della costituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati (la cosiddetta Commissione ecomafia); l’inserimento dei delitti previsti dal titolo VI-bis del Codice Penale e il delitto di incendio boschivo (423 bis) tra quelli per cui non scatta la tagliola dell’improcedibilità; l’approvazione del ddl contro le agromafie; l’introduzione nel codice penale i delitti contro gli animali e l’emanazione dei decreti attuativi della legge 132/2016 che ha istituito il Sistema nazionale per la protezione per l’ambiente.
“In Europa – ha spiegato Enrico Fontana, responsabile Ufficio raccolta fondi e osservatorio nazionale Ambiente e Legalità – si discute di una nuova direttiva sui crimini ambientali, per inasprire le sanzioni e rendere efficace l’attività di prevenzione e repressione. L’Italia, al riguardo, ha maturato importanti competenze, a partire dalle inchieste sui traffici illegali di rifiuti ma sconta ancora ritardi per quanto riguarda, in particolare, la lotta all’abusivismo edilizio. I reati nel ciclo del cemento – ha proseguito – sono una vera e propria piaga su cui è necessario continuare a puntare i riflettori, sia per scongiurare nuove sconsiderate ipotesi di sanatorie sia per rilanciare, finalmente, una stagione di demolizioni. In particolare, a nostro avviso è fondamentale approvare un emendamento di modifica dell’articolo 10 bis della legge 120/2020 (semplificazioni in materia di demolizione di opere abusive) per affidare ai prefetti, in caso di inerzia dei Comuni, la responsabilità degli abbattimenti oggetto di ordinanze precedenti all’approvazione della norma, fugando così ogni margine di dubbio circa la sua applicazione”, ha concluso Enrico Fontana.