comunità energetiche

Il Pnrr come stimolatore delle comunità energetiche

Considerato ormai la panacea di tutti i dilemmi italiani, il Pnrr potrà ovviamente dare una grande spinta anche alle comunità energetiche. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede infatti finanziamenti specifici “per favorire la diffusione delle modalità di autoproduzione e autoconsumo collettivo stabilite dalla normativa italiana, stanziando per le comunità energetiche rinnovabili e i sistemi di autoconsumo collettivo oltre 2 miliardi di euro”. Al di là delle intenzioni del governo e delle istituzioni europee, le comunità energetiche potrebbero davvero diventare il nucleo fondamentale per lo sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia. In pratica, l’energia a km zero. Come induce a pensare lo stesso termine, la comunità energetica è un’associazione di persone, imprese e istituzioni che decidono di unire le forze in un territorio ristretto per dotarsi di uno o più impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili.

La direttiva europea RED II (2018/2001/UE) definisce peraltro “l’autoconsumatore di energia rinnovabile” come un “cliente finale che produce energia elettrica rinnovabile per il proprio consumo e può immagazzinare o vendere energia elettrica rinnovabile autoprodotta”. L’Ue introduce quindi concetti che ai profani appaiono quasi sinonimi, come comunità, collettività, condivisione e collaborazione. Quello di autoconsumo, inoltre, si riferisce alla possibilità di consumare in loco, per i propri fabbisogni, l’energia prodotta da un impianto di produzione locale. Si tratta né più meno di una delle basi delle transizione ecologica. “Produrre, immagazzinare e consumare energia elettrica nello stesso sito prodotta da un impianto di generazione locale – spiega l’Enea nella sua guida alle comunità energetiche – permette al produttore/consumatore di contribuire attivamente alla transizione energetica e allo sviluppo sostenibile del Paese, favorendo l’efficienza energetica e promuovendo lo sviluppo delle fonti rinnovabili”.

I primi esperimenti sulle comunità energetiche risalgono agli inizi del 2000 e principalmente nel Nord Italia. Oggi, secondo l’ultimo report Comunità Rinnovabili a cura di Legambiente, se ne contano 35 già operative, sparpagliate in tutto il territorio nazionale: alcune tra i propri obiettivi hanno segnalato proprio l’autoconsumo di energia, altre la riduzione della spesa energetica, altre ancora la riduzione della povertà energetica mentre alcune si basano sulla combinazione di queste e altre finalità. Secondo il censimento Rse, invece, in Italia esistono una ventina di comunità energetiche rinnovabili (Cer). Poche, pochissime se si guarda all’estero. Dall’Orange Book ‘Le comunità energetiche in Italia’, curato da Rse e dalla Fondazione Utilitatis in collaborazione con Utilitalia, emerge infatti chiarissimo il gap infrastrutturale tra Italia e Paesi europei. Non solo quelli appartenenti al G7, per così dire i più “sviluppati”, ma anche rispetto a quelli meno all’avanguardia dal punto di vista energetico. La Spagna ne conta almeno 33, Polonia e Belgio 34, la Francia ben 70 e la Svezia addirittura 200. Vere e proprie superpotenze sono Regno Unito (431), Paesi Bassi (500) e Danimarca (700) senza contare la quota monstre che può vantare la Germania, con almeno 1750 comunità energetiche attive.

comunità energetiche

Ecco allora che le risorse derivanti dal Pnrr sarebbero indispensabili per colmare il divario con i partner continentali e spingere l’acceleratore sulla transizione green. Il Pnrr, nell’ambito del compito (M2C2 – Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile) prevede 2,2 miliardi di euro specificamente per “la promozione delle energie rinnovabili per le comunità energetiche e l’autoconsumo”. Finanziamenti utili a installare circa 2.000 MW di nuova capacità di generazione elettrica in configurazione distribuita da parte di comunità delle energie rinnovabili e auto-consumatori. Ipotizzando una produzione annua da fotovoltaico di 1.250 kWh per ogni kW, si produrrebbero così circa 2.500 GWh annui in grado di evitare l’emissione di 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.

Solare

Un ‘pannello solare sospeso’ per aiutare le famiglie in difficoltà

Un solo pannello solare da appartamento evita l’immissione in atmosfera di 145 chili di Co2 all’anno, la stessa quantità assorbita da circa 10 alberi. E non è più una tecnologia fuori portata. Un pannello è in grado di coprire i consumi di alcuni elettrodomestici, come la televisione, il frigorifero o il condizionatore, con un risparmio in bolletta fino al 25%.

Per informare i cittadini sulle potenzialità di questa tecnologia e aiutare le famiglie più bisognose, Legambiente insieme a Enel X lancia la campagna di raccolta fondi ‘#UnPannelloInPiù’, per contribuire all’acquisto di pannelli fotovoltaici da appartamento per famiglie in difficoltà economica e sociale. Una sorta di ‘caffè sospeso’, con un impatto molto più significativo.

Considerando solo le abitazioni che in Italia sono classificate come A2 (di tipo civile) e A3 (economico), parliamo di circa 23 milioni di balconi o superfici verticali che possono ospitare impianti di questo tipo. Se solo il 20% di questi appartamenti si dotasse di un pannello fotovoltaico sul proprio balcone o finestra, si eviterebbe l’immissione in atmosfera di oltre 600mila tonnellate di Co2 all’anno, pari a quella assorbita da una foresta di circa 35 milioni di alberi. Questo gesto equivarrebbe a installare 1.6 GW di nuova potenza fotovoltaica, più della metà dell’obiettivo del Green Deal fissato per il 2022 in Italia. Inoltre, contribuirebbe a risparmiare circa 225 milioni di metri cubi di gas importato dall’estero.

Vogliamo offrire una risposta concreta al caro bollette e alle disuguaglianze sociali“, spiega Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Negli ultimi mesi il tema dell’aumento delle bollette e il conflitto in corso tra Russia e Ucraina hanno generato molta preoccupazione soprattutto per le famiglie che non godono di un reddito elevato. Dare alle famiglie un contributo economico per pagare la bolletta sarebbe una soluzione risolutiva nel breve termine”.

La sostenibilità può essere davvero accessibile a tutti solo se ognuno di noi ha a disposizione gli strumenti per essere protagonista della transizione energetica“, osserva Andrea Scognamiglio, Responsabile Globale e-Home di Enel X. La Global business line di Enel ha donato i primi 50 pannelli ‘Plug&Play’.

L’iniziativa di crowdfunding sarà accompagnata da una campagna itinerante che da oggi al 27 giugno farà tappa in nove città italiane. Si partirà da Scampia, a Napoli, per poi toccare Brindisi (10 giugno), Palermo (13 giugno), Roma (15 giugno), Cagliari (18 giugno), Firenze (21 giugno), Torino (23 giugno), Milano (25 giugno), Bologna (27 giugno) con una serie di appuntamenti finalizzati a sensibilizzare cittadini e cittadine su tutti gli strumenti oggi esistenti per ridurre i costi in bolletta, tra cui il ruolo del solare fotovoltaico nella lotta contro la povertà energetica, ma anche risparmio ed efficienza, comunità energetiche, bonus sociali e sharing economy.

Energia, scintille tra ambientalisti e Cingolani sulle rinnovabili

L’ambiente è come sempre il terreno di scontro tra associazioni e istituzioni. Anche questa fase storica dell’Italia non fa eccezione. Ad accendere la miccia, stavolta, sono le rinnovabili: l’Italia è impegnata nella strategia di diversificazione del proprio mix energetico, abbandonando per sempre il gas russo per sostituirlo con nuovi accordi sottoscritti con diversi Paesi fornitori dell’Africa, ma nel piano c’è anche l’accelerazione verso le energie alternative. Solo che su tempi e modalità si innesca il corto circuito tra il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e i rappresentanti delle associazioni che si occupano di tutela ambientale. Il campo da gioco lo offre ‘Repubblica‘, con il palco del Festival ‘Green & Blue‘, che ospita in rapida sequenza prima il responsabile del Mite, poi Legambiente, Greenpeace, Wwf, Asvis, Kyoto Club, Italia Nostra, LifeGate, e Fondazione sviluppo sostenibile.

L’atmosfera si scalda praticamente subito, quando Cingolani, stimolato dal direttore di ‘Repubblica‘, Maurizio Molinari, offre una risposta ai cosiddetti ‘rinnovabilisti‘. Per il ministro “non sono un ostacolo”, ma “ci sono alcuni gruppi che prendono delle posizioni tecnicamente indifendibili”. Ad esempio, Cingolani cita l’ipotesi più recente “secondo la quale in 3 anni si potrebbero installare 60 gigawatt di potenza rinnovabile, prevalentemente solare ed eolico, peraltro, perché su altre forme gli stessi ‘rinnovabilisti’ dicono che ci vuole tempo”. L’esperto si ‘limita ad osservare’ che è possibile accelerare, “addirittura si voleva un commissario con pieni poteri che saltasse tutte le regole organizzative”, ma “la realtà è che non basta mettere un impianto”, soprattutto perché esistono delle aree del Paese dove c’è vento e sole e “lì si concentrano tutte le proposte di impianti”. Il problema è che “se ci sono, mettiamo caso, 10 proposte di impianti, se ne può accettare uno, poi lo spazio sarebbe occupato”, dunque non le altre nove no. Ecco perché, ragiona Cingolani, “è inutile fare la somma di tutte le proposte che ci sono in giro, bisogna anche essere realisti nei calcoli che si fanno”.

Questa non è l’unica ragione portata nella discussione dal responsabile del Mite. Che ricorda: “Solare ed eolico producono energia dalle 1.500 alle 2mila ore l’anno, e l’anno ne ha 8.600 in totale”. Quindi se viene prodotta energia per 2mila ore “non è detto che qualcuno la chieda, allora andrebbe accumulata, dunque avremmo bisogno di batterie”. Ergo, daresufficiente accumulo per gestire 60 gigawatt, che sono 80 di terawattora, richiede miliardi di euro per l’infrastruttura“. Ecco perché – questa è la stoccata del ministro – “non si può raccontare che si fa in tre anni, non è vero”.

La risposta degli ambientalisti non si fa attendere. “Cingolani non ha detto nulla di nuovo – rintuzza Stefano Ciafani (Legambiente) -. Dobbiamo fare la transizione ecologica bene e velocemente, ma il governo procede con velocità in tema di gas e rigassificatori, un po’ più lentamente sul fronte delle semplificazioni per le rinnovabili”. A rincarare la dose ci pensa Giuseppe Onufrio di Greenpeace: “La proposta di accelerare in 3 anni anziché 10 sulle rinnovabili viene dagli industriali. Inaccettabile che ci tacci di essere una di lobby rinnovabilisti. Cingolani è il ministro della ‘finzione ecologica’. Trovo assurdo quello che ha detto, su questo tema servirebbe un dibattito politico”. Si accoda al coro anche Pierluigi Stefanini (Asvis), che si dice “urtato da certe affermazioni del ministro. Lui è in grado di gestire la complessità: certo che ci sono difficoltà tecnologiche, ma ci sono anche le soluzioni. Ad esempio per un impianto a biometano servono sei anni per le autorizzazioni, si potrebbe partire dallo sveltire le pratiche”.

Non abbassa i toni nemmeno l’ex ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, responsabile della Fondazione sviluppo sostenibile: “Sulla sostenibilità e la Transizione ecologica scontiamo ritardi evidenti”. Ma soprattutto “in questo campo conta molto la visione”. Ronchi porta come esempio il ministro tedesco dello Sviluppo economico, Robert Habeck, secondo cui “nelle regioni avanzate del mondo la politica della transizione ecologica sarà quella che regolerà la competitività del futuro e noi vogliamo essere i più competitivi”. Quindi “le politiche climatiche avanzate guidano il futuro”, mentre “al ministro Cingolani e al governo italiano manca una visione del Green deal”.

Lo scontro non è di certo un ‘inedito’, ma nella situazione che vive in questi mesi l’Italia si avverte la necessità di trovare un punto di contatto con tutti gli attori della filiera ambientale. Per accorciare le distanze ci sarà tempo, forse. Nel frattempo la crepa c’è, ma le emergenze impongono di evitare il ‘ring’. Per il confronto ci sarà modo e luogo, una volta che l’Italia sarà avviata verso la sicurezza energetica.

Tabacco

Giornata senza tabacco, il fumo uccide anche il nostro Pianeta

Non bastano gli 8 milioni di morti ogni anno: il tabacco sta uccidendo anche il nostro Pianeta. Ogni anno l’industria del settore costa al mondo 84 milioni di tonnellate di Co2, una quantità paragonabile a quella di 3 milioni di voli transatlantici e causa il 5% della deforestazione della Terra. Per non parlare dell’inquinamento delle acque, dei terreni agricoli e delle nostre città. L’allarme arriva dall’Organizzazione mondiale della sanità in occasione della Giornata mondiale senza tabacco che si svolge oggi, 31 maggio, e che quest’anno mira proprio a sottolineare le conseguenze ambientali del fumo, dalla coltivazione alla produzione, dalla distribuzione fino ai rifiuti generati dall’industria e dai comportamenti dei fumatori.

L’impronta di carbonio del settore derivante dalla produzione, dalla lavorazione e dal trasporto del tabacco – si legge nel rapporto dell’OmsTobacco: poisoning our planet‘ – equivale a un quinto della Co2 prodotta ogni anno dall’industria delle compagnie aeree commerciali, contribuendo ulteriormente al riscaldamento globale. Il fumo di tabacco contiene tre dei principali gas serra, cioè Co2, metano e ossidi di azoto, oltre ad altri inquinanti atmosferici, e produce un maggiore inquinamento da particolato rispetto, ad esempio, agli scarichi diesel.

Le conseguenze del fumo si fanno sentire ogni anno di più anche sulle foreste, causandone la distruzione. Gli alberi abbattuti per far posto alla coltivazione di tabacco sono circa 600 milioni, un’area pari alla metà di Capo Verde. La ricerca ricorda che la maggior parte del tabacco viene coltivata nei paesi a reddito medio-basso, dove l’acqua e i terreni agricoli sono spesso necessari per produrre cibo, ma vengono utilizzati per coltivare piante di tabacco. Inoltre, la coltivazione intensiva richiede un uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti, che contribuiscono alla degradazione del suolo. Queste sostanze chimiche si riversano negli ambienti acquatici, contaminando laghi, fiumi e acqua potabile. Rispetto ad altre attività agricole come la coltivazione del mais e persino l’allevamento del bestiame – spiega l’Oms – la coltivazione del tabacco ha un impatto molto più distruttivo sugli ecosistemi poiché i terreni coltivati ​​con questo prodotto sono più inclini alla desertificazione.

Una sola sigaretta richiede l’uso di circa 3,7 litri di acqua, necessari per la coltivazione del tabacco, per la produzione, il trasporto e lo smaltimento. Ogni anno 22 miliardi di tonnellate di acqua vengono utilizzate per la produzione mondiale di tabacco: si tratta di una quantità paragonabile a 15 milioni di piscine olimpioniche. Il tabacco richiede fino a otto volte più acqua rispetto, ad esempio, a pomodori o patate. Per produrne un chilo si utilizzano 678 litri di acqua, cioè la quantità necessaria a soddisfare i bisogni annuali di una persona. Dal rapporto dell’Oms, inoltre, emerge come un solo mozzicone di sigaretta sia capace di inquinare fino a 100 litri di acqua.

Giornata senza tabacco, il fumo distrugge anche il Pianeta

I prodotti del tabacco – afferma Ruediger Krech, direttore della promozione della salute presso l’Organizzazione mondiale della sanità – sono tra quelli che generano più rifiuti sul pianeta: contengono oltre 7.000 sostanze chimiche tossiche che si riversano nel nostro ambiente quando vengono scartate. Tra queste almeno 70 sono cancerogene. Ogni anno circa 4,5 trilioni di filtri per sigarette inquinano i nostri oceani, fiumi, marciapiedi, parchi, suolo e spiagge“. E proprio i filtri, compresi quelli per le sigarette elettroniche contengono microplastiche e costituiscono la seconda forma più alta di inquinamento da plastica al mondo. Ogni anno vengono prodotte 680.388 tonnellate di rifiuti causate da mozziconi di sigaretta, 907.184 tonnellate dalla produzione di tabacco e circa 25 milioni di tonnellate dall’intero comparto. Secondo l’indagine Beach Litter di Legambiente, circa il 9% di tutti i rifiuti che inquinano le spiagge italiane è rappresentato proprio dai mozziconi di sigaretta.

rinnovabili

Crescono le comunità energetiche ma non decollano gli impianti

Crescono le Comunità Energetiche ma non decollano gli impianti da fonti rinnovabili, gli obiettivi climatici 2030 si allontanano e mancano opportunità di innovazione e di welfare strutturale per imprese e famiglie. È l’istantanea di un’Italia a due facce offerta dal Rapporto Comunità Rinnovabili di Legambiente, che dal 2006 racconta, anno per anno, non solo lo sviluppo dal basso delle diverse fonti rinnovabili in Italia, ma anche quanto di buono si muove nei territori.

Nel nostro Paese, secondo il dossier, sono presenti almeno 1,35 milioni di impianti da fonti rinnovabili, distribuiti in tutti i Comuni, per una potenza complessiva di 60,8 GW, di cui appena 1,35 GW installata nel 2021 tra idroelettrico, eolico e fotovoltaico. In termini di produzione, il contributo complessivo portato dalle fonti rinnovabili al sistema elettrico italiano è arrivato, nel 2021 a 115,7 TWh, facendo registrare un incremento di appena 1,58% rispetto al 2020. Un trend molto al di sotto di quelli che dovrebbero essere gli obiettivi annuali, causato dalla pandemia, ma anche e soprattutto dal sistema farraginoso di rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione dei progetti. Numeri in crescita, invece, per le nuove opportunità di autoproduzione e scambio di energia attraverso le Comunità Energetiche da fonti rinnovabili: 100 quelle complessivamente mappate da Legambiente in queste ultime 3 edizioni del Rapporto, tra realtà effettivamente operative (35), in progetto (41) o che muovono i primi passi verso la costituzione (24). Tutte raccolte nella Mappa presente sul sito comunirinnovabili.it e realizzata in collaborazione con Esri Italia e ActionGis. Tra queste 59 le nuove, censite tra giugno 2021 e maggio 2022, che vedono il coinvolgimento di centinaia di famiglie, decine di Comuni e imprese, di cui 39 sono Comunità Energetiche Rinnovabili e 20 Configurazioni di Autoconsumo Collettivo.

I numeri raccolti dalla nuova edizione del rapporto si confermano drammaticamente insufficienti per affrontare il caro bollette e l’emergenza climatica, per liberarci dalla dipendenza dall’estero e soprattutto rischiano di farci raggiungere l’obiettivo di 70 GW di nuovi impianti a fonti rinnovabili al 2030 tra 124 anni, se calcoliamo la media di installazione degli ultimi tre anni, pari a 0,56 GW“, denuncia Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente.

Il Governo italiano – propone – segua l’esempio del programma europeo RepowerEU, smetta di lavorare dando priorità alla diversificazione dei paesi da cui acquistare il gas fossile e climalterante; si concentri invece sulla semplificazione dell’iter autorizzativo e sulla certezza delle regole per consentire alle aziende del settore di investire 80 miliardi di euro e realizzare in 3 anni 60 GW di nuova potenza, come proposto da Elettricità Futura, in grado di sostituire il 70% del gas russo. È il momento di cambiare registro per risolvere l’incomprensibile ostracismo di uffici ministeriali, Regioni, Comuni, Sovrintendenze, comitati cittadini e di alcune sigle ambientaliste perché le famiglie, le imprese e il Pianeta non possono più attendere”.

Bene i numeri sulle Comunità energetiche. Sono 40 i Comuni 100% rinnovabili e 3.493 quelli 100% elettrici. Numeri importanti, che raccontano un potenziale di autoconsumo che potrebbe trasformare il nostro sistema energetico proprio a partire da queste realtà. Così come i numeri di diffusione delle singole tecnologie: 7.127 i Comuni con almeno un impianto solare termico, 7.855 i Comuni con impianti solari fotovoltaici in cui sono distribuiti 22,1 GW di potenza, 1.054 Comuni in cui è presente almeno un impianto eolico con 11,2 GW, 1.523 Comuni in cui è presente almeno un impianto idroelettrico, per complessivi 23 GW. E ancora 4.101 Comuni delle bioenergie e 942 Comuni della geotermia (tra alta e bassa entalpia). Rispetto ai Piccoli Comuni (sotto il 5mila abitanti), a cui il PNRR mette a disposizione 2,2 miliardi per la costituzione proprio delle CER, 38 i Piccoli Comuni 100% rinnovabili, 9 quelli che presentano i migliori risultati in termini di mix energetico; 2.271 i Piccoli comuni 100% elettrici, in grado di produrre più energia elettrica di quella consumata dalle famiglie residenti grazie ad una o più fonti pulite e 772 i piccoli comuni la cui produzione di energia da fonti rinnovabili varia tra il 50 e il 99%.

Questo è il momento per attuare la rivoluzione energetica di cui tutti parlano“, scandisce la responsabile Energia dell’associazione, Katiuscia Eroe. Per l’attivista, le condizioni per un cambio di passo ci sono tutte: “Le rinnovabili sono ormai mature, il prezzo delle diverse tecnologie è in continua riduzione, cosa che non si può certamente dire delle fonti fossili, sotto scacco delle logiche geopolitiche. Le imprese ci sono. E gli esempi di CER che presentiamo stanno dimostrando sempre di più il potenziale di questi importanti strumenti in termini di contrasto della povertà energetica, di senso di comunità, spopolamento, mobilità elettrica, consapevolezza, pace, lotta contro l’emergenza climatica. Il Governo acceleri subito sullo sblocco dei progetti ancora fermi al palo e sulla pubblicazione degli strumenti necessari per dare risposte alle decine di CER ancora in attesa delle norme, favorendone la diffusione“.

LE MAFIE DI IERI E DI OGGI A TRENT'ANNI DALLE STRAGI DI CAPACI E VIA D'AMELIO

Il legame che unisce Falcone, la Dia e gli attentati all’ambiente

30 anni fa la Strage di Capaci segnò in maniera profonda e sconvolgente la storia del nostro Paese: con il clamoroso attentato che uccise Falcone e la sua scorta, la mafia portò alla luce del sole la guerra allo Stato.

Cosa hanno a che fare questo evento e quella stagione drammatica, che un paio di mesi dopo portò all’uccisione di Paolo Borsellino, con l’ambiente e con Pianeta Natura? Molto, moltissimo. Anzi, questo trentennale è l’occasione per comprendere quanto siano urgenti e fondati gli appelli di scienziati e attivisti che da decenni implorano una pianificazione, una strategia politica ed economica sostenibile. Ma perché?

Proviamo a vederlo in maniera schematica e semplificata.

La DIA, Direzione Investigativa Antimafia, nacque nel 1991, un anno prima della strage di Capaci, proprio grazie a un’intuizione di Falcone. E la DIA da allora si occupa costantemente di traffico di rifiuti, di veleni nascosti, interrati, smaltiti in maniera illegale dalle grandi multinazionali del crimine organizzato, in generale di attentati all’ambiente. Perché i rifiuti hanno un valore enorme: basta vedere quanti animali si concentrino su una qualunque discarica: perché c’è cibo, ci sono risorse di ogni genere. Non a caso, secondo tutti gli organismi internazionali, le strategie future devono essere mirate allo sviluppo dell’economia circolare, ovvero alla realizzazione di processi industriali che prevedano sin dalla progettazione come utilizzare i materiali che compongono quel singolo oggetto alla fine del ciclo di vita in quella forma e per quell’uso.

Le materie prime hanno un valore enorme e un costo, umano e ambientale, da ridurre con il loro riutilizzo ciclico. Inoltre, proprio perché i rifiuti e i veleni impattano in maniera pesantissima sulla salute umana e in generale dell’ambiente, il loro smaltimento nelle dinamiche attuali ha costi enormi: denaro che fa gola a molti, peso economico che raramente viene conteggiato quando si valuta la convenienza di un certo prodotto rispetto ad altri più sostenibili.

Secondo il rapporto Ecomafie di Legambiente 2021, l’ultimo disponibile, nel 2020 i reati ambientali hanno toccato quota 34.867 (+0,6% rispetto al 2019), una media di 4 ogni ora, nonostante la flessione dei controlli effettuati (-17%). Sotto attacco anche boschi e fauna selvatica, fastidiosi intralci a guadagni rapidi ai danni della natura: 4.233 i reati relativi agli incendi boschivi (+8,1%); 8.193 quelli contro gli animali, poco meno di uno ogni ora.

Per quello che riguarda il ciclo dei rifiuti, reati in calo ma più arresti (+15,2. Le stime ufficiali dicono che in Italia il traffico illecito di rifiuti, ormai in gran parte indirizzato verso Paesi dell’Africa subsahariana e in generale verso i Paesi del Sud del Mondo, vale circa 20 miliardo di euro l’anno; circa 260 miliardi per i aesi che compongono l’intero quadro europeo.

L’esperienza maturata nei secoli, o almeno quella nei decenni in cui viviamo, ci fornisce gli elementi chiari e semplici per fare le scelte giuste: dobbiamo avere semplicemente l’intelligenza per farle.

Giornata mondiale della biodiversità

Giornata della biodiversità, Italia tra Paesi Ue con più specie tutelate

Legambiente, per la Giornata mondiale della biodiversità ricorda che nel 2022 si celebrano i 30 anni della Direttiva Habitat che, insieme al programma finanziario Life della Commissione Europea, ha garantito la messa in atto della rete Natura 2000, la più importante infrastruttura europea a tutela della natura. Esempi emblematici arrivano proprio dall’Italia, culla di diversi casi di successo che si sono distinti per aver migliorato e ripristinato lo stato di conservazione di diverse tipologie di habitat, specie animali e vegetali presenti nei siti della rete Natura 2000, in particolare attraverso l’implementazione di soluzioni efficaci che hanno prodotto un beneficio diretto sullo stato degli habitat e delle specie target.

LE SPECIE TUTELATE DA LIFE NATURA

Tra le specie al centro dei principali Life italiani di successo ci sono: il Grillaio (Falco naumanni) del Mediterraneo al centro del progetto Life Falkon, anfibi e farfalle – come l’Ululone appenninico, la Salamandrina di Savi, il Tritone crestato italiano, la Falena dell’edera e il Bombice del prugnolo tra le specie target del Life WetFLYAmphibia -, le orchidee spontanee (non coltivate) di Life orchids, i fiori appenninici come Giaggiolo della Marsica o la Scarpetta di Venere del progetto Floranet, ma anche il camoscio appenninico al centro di Life cornata incoronato tra i ‘Best Life’ nel 2015 dalla Commissione europea. E poi il lupo del progetto Life wolfnet per arrivare alla tartaruga marina Caretta caretta, la più diffusa tartaruga del Mediterraneo protagonista di Life Tartanet e Tartalife. Alcune di queste specie sono state salvate dall’estinzione, come ad esempio il Grillaio, il camoscio appenninico, alcune orchidee spontanee, mentre altre hanno visto un miglioramento del loro stato di conservazione come ad esempio il lupo, anche se rimane ancora a rischio a causa dei conflitti con gli allevatori e il bracconaggio.

Nel suo report annuale sulla biodiversità Legambiente riferisce che dal 1992 ad oggi grazie al Programma Life sono stati cofinanziati in Europa oltre 5.000 progetti che hanno mobilitato 12 miliardi di euro di investimenti di cui 5,6 miliardi di euro stanziati dalla Commissione europea a titolo di cofinanziamento. L’Italia ha raggiunto un primato, sia in termini di cofinanziamenti ottenuti sia di progetti finanziati. Tra il 1992 e il 2020, sono stati infatti finanziati più di 970 progetti determinando un investimento complessivo di oltre 1,7 miliardi di euro, di cui circa 850 milioni di euro stanziati dalla Commissione europea a titolo di cofinanziamento. Nel report Legambiente indica anche una serie di azioni da mettere in campo per accelerare la tutela della biodiversità e colmare i ritardi costati all’Italia anche una procedura di infrazione, aperta lo scorso giugno dalla Commissione europea, perché la rete nazionale dei siti Natura 2000 non copre adeguatamente i vari tipi di habitat e le specie che necessitano di protezione. Tra le azioni urgenti: dare gambe alla Rete Natura 2000 per potersi dire veramente realizzata, prevedere una maggiore tutela per la biodiversità marina (al centro di un approfondimento nel report insieme alle foreste), incrementare al 2030 le aree protette e le zone di tutela integrale e promuovere la gestione integrata della costa e rafforzare la tutela degli ecosistemi marini.

CRISI CLIMATICA E PERDITA DI BIODIVERSITÀ SONO COLLEGATE

La crisi climatica e quella legata alla perdita di biodiversità – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – sono strettamente collegate, così come lo sono anche le soluzioni. Così come la Commissione europea promuove e incentiva l’adozione di soluzioni basate sulla natura – Nbs – nature based solutions – per dare attuazione alle priorità̀ politiche dell’Ue, in particolare il Green deal europeo, la Strategia per la biodiversità̀ al 2030 e la Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, anche la nostra Agenda politica deve essere orientata su questa strada. Per raggiungere i target strategici nazionali ed europei su clima e biodiversità, servono azioni più̀ incisive, integrate ed efficaci affrontando le varie sfide a livello globale attraverso le soluzioni basate sulla natura come raccomanda l’Unione europea”.

La Direttiva Habitat – spiega Antonio Nicoletti, responsabile aree protette Legambiente – ha resistito molto bene alla prova del tempo e le sue disposizioni rimangono rilevanti oggi come 30 anni fa, ma il vero e proprio successo sarà, in larga misura, determinato dal modo in cui la rete Natura 2000, istituita grazie alla Direttiva e pilastro importante per la tutela dell’ambiente a cui dobbiamo tanto, verrà gestita e da quanto riuscirà ad integrarsi nelle più ampie politiche europee di sviluppo. Per questo ricopre una grande importanza il progetto Life SeaNet, iniziato pochi mesi fa, il quale ha come obiettivo proprio quello di migliorare la governance dei siti Natura 2000 a mare. I prossimi 10 anni saranno quindi cruciali per la biodiversità in Europa. La nuova Strategia Ue per la biodiversità al 2030 fornisce una rinnovata volontà politica di garantire il ripristino della natura attraverso la piena attuazione delle direttive Habitat e Uccelli e di rendere la rete Natura 2000 più resiliente dal punto di vista ecologico, più connessa e più coerente. Una sfida importate e un obiettivo da raggiungere al più presto visto che stiamo parlando della rete europea di aree protette dall’alto valore ambientale e paesaggistico”.

LE NUOVE SPECIE DA TUTELARE

Legambiente infine si è impegnata in nuovi progetti di tutela di specie animali e vegetali. Ad esempio la tutela dei delfini con Life delfi, di alcune specie di elasmobranchi (squali e razze) con Life elife o della starna italica al centro del progetto Life perdix. E infine la trota mediterranea in 6 aree pilota del territorio italiano con Life Streams (Sardegna, Maiella, Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna, Monti Sibillini, Pollino, Montemarcello-Magra-Vara) e alcune piante autoctone in via d’estinzione con Life Seedforce.

Ichnusa e Legambiente insieme per difendere la Sardegna

Oltre 10mila ettari distrutti, quasi 1.000 sfollati, danni a boschi e campagne e, negli occhi, ferite anche simboliche, come quelle dell’olivastro millenario di Cuglieri divorato dalle fiamme. Le immagini del rogo dell’oristanese sono solo l’ultimo episodio di un problema antico e particolarmente sentito in Sardegna: secondo una ricerca Doxa/Ichnusa, per 7 sardi su 10 incendi, alluvioni ed esondazioni sono le insidie maggiori alla conservazione dei tesori naturali della Sardegna. In risposta a questa forte sensibilità, arriva ‘Il Nostro Impegno’, iniziativa Ichnusa-Legambiente che si propone di dare il suo contributo per difendere e tutelare le bellezze naturali della Sardegna. E lo fa con un obiettivo ambizioso: riqualificare 6 aree dell’isola colpite da incendi e dissesto idrogeologico con la messa a dimora e la manutenzione di 10mila piante autoctone nei prossimi 3 anni.

Con questa operazione, il Birrificio Ichnusa di Assemini (Cagliari) porta per la prima volta in Sardegna Mosaico Verde, inserendo l’Isola nella mappa della più grande Campagna nazionale per la forestazione di aree urbane ed extraurbane e la tutela di boschi, ideata e promossa da AzzeroCO2 e Legambiente, che coinvolge aziende ed Enti pubblici con l’obiettivo di restituire valore al territorio e contrastare i cambiamenti climatici. ‘Il Nostro Impegno’ prevede il coinvolgimento dei Comuni locali, che cureranno, assieme al birrificio, la manutenzione a lungo termine delle aree riqualificate. I primi 2 territori interessati dal progetto verranno identificati entro l’estate. A novembre prenderà il via la prima operazione di messa a dimora delle piante.

SENSIBILIZZAZIONE

Ma l’obiettivo della campagna è più grande: sensibilizzare sull’importanza della riforestazione e del recupero di territori, a cominciare dai partner commerciali della Birra di Sardegna. Per questo, nei luoghi pubblici (bar, pub, ristoranti, trattorie, pizzerie dell’isola) verrà messa in commercio una bottiglia speciale di Ichnusa ‘Vuoto a buon rendere’ dedicata all’iniziativa, con etichette che presentano la campagna ‘Il Nostro Impegno’. Per dare ulteriore visibilità all’iniziativa, Ichnusa coinvolgerà i punti vendita della distribuzione sardi con materiali di comunicazione dedicati. E la campagna arriverà anche nella penisola per portare questo messaggio oltre la Sardegna.

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È quindi la condivisione il tratto principale de ‘Il Nostro Impegno’ e del sostegno del birrificio Ichnusa a Mosaico Verde. Lo conferma Luca Pisano, direttore vendite di Ichnusa: “L’anno scorso, a pochi giorni dai roghi che hanno devastato la nostra Isola, abbiamo donato un mezzo antincendio alla Protezione Civile, nella scia di un impegno concreto per lo sviluppo e la difesa delle ricchezze naturali e culturali della nostra Isola che ci contraddistingue da sempre. Ma sentivamo di dover andare oltre l’emergenza. Abbiamo così deciso di portare Mosaico Verde in Sardegna”.

Ogni albero piantato – sottolineano Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, e Annalisa Colombu, presidente di Legambiente Sardegna – è un gesto di speranza e di amore per il Pianeta e per le nuove generazioni e un’azione concreta per contribuire alla lotta alla crisi climatica. Siamo molto contenti di poter partecipare insieme ad AzzeroCO2 al progetto ‘Il Nostro Impegno’ al fianco di Ichnusa, che prevede in Sardegna una importante azione di rinaturalizzazione e ripristino in territori segnati dagli incendi negli ultimi anni. Un modo concreto anche per aiutare la biodiversità. Non è la prima volta che Legambiente si attiva nelle situazioni più critiche in cui c’è bisogno del supporto di tutti per azioni utili per il rilancio non solo ambientale dei territori”.

Siamo onorati di essere partner tecnici al fianco di Ichnusa in questo importante progetto di forestazione – spiega Alessandro Martella, Direttore Commerciale di AzzeroCO2 -. Procederemo all’individuazione delle aree più idonee e realizzeremo gli interventi selezionando specie autoctone e resistenti per consentire la nascita di boschi permanenti che possano crescere e prosperare nel tempo. L’iniziativa rientra nel progetto europeo ‘LIFE Terra’ che vede Legambiente come unico partner italiano e del quale noi siamo sostenitori”.

Gli ambientalisti al Governo: più rinnovabili per uscire dalla crisi

Dieci proposte al Governo Draghi per uscire dalla dipendenza dal gas, a partire da quello russo. Le hanno stilate Greenpeace Italia, Legambiente e WWF, spiegando che “l’esplosione della drammatica guerra in Ucraina e la preoccupazione di molte persone per l’aumento delle bollette impone di accelerare la transizione energetica del nostro Paese”. Si tratta, precisano, di “interventi normativi e autorizzativi da mettere in campo da qui ai prossimi mesi e che permetterebbero di ridurre i consumi di gas di 36 miliardi di metri cubi all’anno entro fine 2026, sviluppando l’eolico offshore e a terra, il fotovoltaico sui tetti, anche nei centri storici, e sulle aree compromesse (discariche, cave, etc), il moderno agrovoltaico che garantisce l’integrazione delle produzioni agricole con quella energetica, la produzione del biometano (sviluppata in un chiaro contesto di riduzione del numero complessivo di capi allevati e senza sottrazione di terreno alla produzione di cibo), gli accumuli, i pompaggi e l’ammodernamento delle reti”.

In particolare le tre associazioni, chiedono in primis di autorizzare, entro marzo 2023, nuovi impianti a fonti rinnovabili per 90 GW di nuova potenza installata, pari alla metà dei 180 GW in attesa di autorizzazione, da realizzare entro fine 2026; aggiornare entro giugno 2022 il PNIEC, valutando l’obiettivo di produzione del 100% di energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2035; fissare subito un tetto ai profitti delle aziende che estraggono e trasportano gas fossile o petrolio; attivare entro giugno 2022 il dibattito pubblico sugli impianti a fonti rinnovabili al di sopra dei 10 MW di potenza installata; sviluppare la produzione di biometano da FORSU, scarti agricoli, reflui zootecnici e fanghi di depurazione. E poi di escludere entro aprile 2022 l’autorizzazione paesaggistica per il fotovoltaico integrato sui tetti degli edifici non vincolati dei centri storici; rivedere entro dicembre 2022 i bonus edilizi, cancellando gli incentivi per la sostituzione delle caldaie a gas. Infine è importante anticipare al 2023 l’eliminazione dell’uso delle caldaie a gas nei nuovi edifici; istituire entro giugno 2022 un fondo di garanzia per la costituzione delle comunità energetiche; attivare entro maggio 2022 una strategia per efficienza e innovazione nei cicli produttivi e sulla mobilità sostenibile.

Il problema evidente del salasso per famiglie e aziende è urgente da affrontare, ma le soluzioni adottate o prospettate dal Governo – spiegano Greenpeace Italia, Legambiente e WWF Italia – sono anacronistiche e in controtendenza con l’urgente lotta alla crisi climatica: si va dall’aumento della produzione nazionale di gas fossile all’approvvigionamento di idrocarburi gassosi non provenienti dalla Russia, dalla possibile ripartenza di gruppi termoelettrici a carbone a quelli a olio combustibile, dal raddoppio di gasdotti operativi alla realizzazione di nuovi rigassificatori, fino ai nuovi finanziamenti alla ricerca del nucleare di quarta generazione”. “Il governo – aggiungono – per contenere gli aumenti in bolletta, ha pensato bene infine di tagliare gli extracosti relativi solo alla produzione di elettricità da fonti rinnovabili, senza interessare minimamente quelli vertiginosi delle aziende delle fonti fossili o in modo strutturale tutti gli oneri di sistema in bolletta. Il blackout nazionale del 2003 portò al varo in fretta e furia dell’infausto decreto sblocca centrali del governo Berlusconi che fece realizzare le centrali termoelettriche a gas che allora sostituirono quelle a carbone e olio; oggi la guerra in Ucraina dovrebbe portare l’Esecutivo Draghi a varare subito un ben più necessario e fausto decreto sblocca rinnovabili per sostituire gli impianti a gas con 90 GW di nuovi impianti a fonti rinnovabili da autorizzare entro 12 mesi e da realizzare nei prossimi 5 anni”.

Per le tre associazioni quelle prese fino ad oggi dall’esecutivo Draghi sono “decisioni che non entrano nel merito dell’unica soluzione efficace che ci può permettere di affrontare questo problema in modo strutturale e senza lasciare indietro nessuno: la riduzione dei consumi di gas. Un obiettivo che si può raggiungere intervenendo soprattutto sulle prime tre voci di consumo: domestico e terziario (33 miliardi di m3 nel 2021), la produzione di elettricità (26 miliardi di m3) e l’industria (14 miliardi di m3), su cui bisogna operare con un forte sviluppo delle fonti rinnovabili, concrete politiche di risparmio energetico ed efficienza energetica in edilizia, l’innovazione tecnologica nelle imprese”.
Pensare di riattivare gruppi termoelettrici a carbone o a olio combustibile è un’opzione irrilevante: se pure ripartissero 1.000 MW di potenza installata, aggiuntivi a quelli già in attività, con questi due combustibili fossili, ad esempio per 5mila ore all’anno, si potrebbero produrre 5 TWh all’anno che nei fatti permetterebbero di risparmiare solo 1 miliardo di m3 di gas fossile all’anno. Praticamente nulla al confronto del contributo strutturale e rispettoso degli obiettivi climatici e di lotta all’inquinamento atmosferico che garantirebbe lo sviluppo strutturale e convinto delle fonti rinnovabili, dell’efficienza energetica, del sistema di pompaggi e accumuli e della rete di trasmissione e distribuzione”, concludono le associazioni.