Il viaggio mortale della plastica: nella pancia di una tartaruga il dito di una strega di Halloween

(Photo credit: University of Exeter)

Un viaggio lunghissimo, partito chissà dove e finito nel peggiore dei modi. C’era anche il dito di una strega – parte di un travestimento di Halloween – tra le centinaia di oggetti di plastica trovati nelle viscere di una delle decine di tartarughe morte nel Mediterraneo e analizzate dagli scienziati.

Il team di ricerca, guidato dall’Università di Exeter e dalla Società per la protezione delle tartarughe di Cipro Nord (SPOT), ha esaminato 135 tartarughe marine spiaggiate o uccise come “bycatch” (catture accidentali) nelle reti da pesca al largo di Cipro settentrionale. Oltre il 40% delle tartarughe conteneva macroplastiche (pezzi più grandi di 5 mm), tra cui tappi di bottiglia e un dito di gomma da strega.

Per i ricercatori le tartarughe marine sono una potenziale specie “bioindicatrice” che potrebbe aiutare a comprendere la portata e l’impatto dell’inquinamento da plastica. “Il viaggio di quel giocattolo di Halloween – dal costume di un bambino all’interno di una tartaruga marina – è uno sguardo affascinante sul ciclo di vita della plastica”, spiega Emily Duncan, del Centre for Ecology and Conservation del Penryn Campus di Exeter, in Cornovaglia. “Queste tartarughe si nutrono di prede gelatinose come le meduse e di prede del fondo marino come i crostacei, ed è facile capire come questo oggetto possa assomigliare a una chela di granchio”.

Lo studio ha trovato un totale di 492 pezzi di macroplastica, di cui 67 all’interno di una sola tartaruga. Le tartarughe hanno mostrato una “forte selettività” verso alcuni tipi, colori e forme di plastica.

“Quella che abbiamo trovato era in gran parte simile a fogli (62%), trasparente (41%) o bianca (25%) e i polimeri più comuni identificati erano il polipropilene (37%) e il polietilene (35%)”, riferisce Duncan. È probabile, quindi, che le tartarughe ingeriscano le plastiche più simili ai loro alimenti.

Le tartarughe oggetto dello studio sono state trovate in un periodo di 10 anni (2012-22) e l’incidenza dell’ingestione di macroplastica non è aumentata nel corso di questo periodo, ma è rimasta stabile. Lo studio fornisce informazioni fondamentali sull’inquinamento da plastica nel Mediterraneo orientale, ma sono necessarie ulteriori ricerche.

Sono davvero biodegradabili? La vita delle cannucce nel mare è di 8-20 mesi

Le cannucce di plastica che finiscono negli ecosistemi marini rendono antiestetiche le spiagge e creano problemi a tartarughe e uccelli marini. Per questo motivo, le persone preferiscono sempre di più le alternative commercializzate come biodegradabili o compostabili. Ma i microrganismi marini riescono degradare le cannucce? Uno studio pubblicato su ACS Sustainable Chemistry & Engineering rivela che alcune cannucce commerciali in bioplastica o carta potrebbero disintegrarsi entro otto o 20 mesi negli oceani.

Per combattere l’inquinamento da plastica, alcune regioni degli Stati Uniti hanno limitato la presenza di polimeri tradizionali, come il polipropilene (PP), nelle cannucce. Queste politiche hanno fatto crescere il mercato degli articoli monouso in carta o bioplastica. Tuttavia, i materiali sostitutivi devono mantenere la loro funzionalità, in modo che non si sfaldino al primo sorso, ma si degradino se finiscono nel terreno, nell’acqua dolce o in quella salata. Sebbene la prossima generazione di bioplastiche potrà essere in grado di soddisfare entrambi i requisiti, si sa poco su quanto tempo i prodotti realizzati con questi materiali durino nell’oceano prima di degradarsi completamente rispetto ad altri materiali. Bryan James, Collin Ward e colleghi dell’American Chemical Society hanno quindi condotto esperimenti utilizzando acqua di mare per studiare la durata ambientale di diverse cannucce e trovare un modo per accelerare la degradazione delle bioplastiche di nuova generazione.

Il team ha scoperto che dopo 16 settimane le cannucce di carta hanno perso il 25-50% del loro peso iniziale. Secondo i ricercatori, questi prodotti dovrebbero disintegrarsi completamente negli oceani costieri entro 10 mesi per la carta, 15 mesi per il PHA (poliidrossialcanoati) e 20 mesi per il CDA.

Utilizzando le stesse condizioni sperimentali, i ricercatori hanno poi esaminato come la modifica della struttura del materiale CDA, da solido a schiuma, abbia influito sulla durata della bioplastica nell’ambiente. Hanno osservato che la schiuma CDA si rompeva almeno due volte più velocemente della versione solida e hanno stimato che una cannuccia fatta con il prototipo di schiuma si sarebbe disintegrata nell’acqua di mare in otto mesi – la durata più breve di qualsiasi altro materiale testato.

Giappone, iniziata la seconda fase di scarico delle acque di Fukushima

La seconda fase dello scarico in mare delle acque trattate dalla centrale nucleare giapponese di Fukushima è iniziata questa mattina.
Il Giappone ha iniziato a scaricare nell’Oceano Pacifico l’acqua utilizzata per raffreddare i nuclei dei tre reattori della centrale di Fukushima Daiichi, che si sono fusi dopo lo tsunami del 2011, il 24 agosto scorso.

Quest’acqua, che proviene anche dalle falde acquifere e dalla pioggia, è stata conservata a lungo in enormi serbatoi nel sito della centrale e trattata per liberarla dalle sostanze radioattive, ad eccezione del trizio che, secondo gli esperti, è pericoloso solo in dosi concentrate molto elevate.

La Tepco diluisce molto l’acqua triziata con acqua di mare prima di scaricarla nell’oceano, per garantire che il suo livello di radioattività non superi il limite di 1.500 Bq/L. Il limite è 40 volte inferiore allo standard giapponese per questo tipo di scarico in mare ed è anche quasi sette volte inferiore al limite fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l’acqua potabile (10.000 Bq/L). Lo scarico in mare è stato approvato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). Ma l’avvio del processo ha scatenato una crisi diplomatica tra il Giappone e la Cina, che alla fine di agosto ha sospeso tutte le importazioni di prodotti ittici giapponesi.

La Russia, le cui relazioni con il Giappone sono state messe a dura prova anche dalle sanzioni imposte da Tokyo contro Mosca dall’inizio della guerra in Ucraina, starebbe valutando di fare lo stesso. “Come per il primo rilascio, continueremo a monitorare i livelli di trizio. Continueremo a informare il pubblico in modo chiaro e comprensibile, sulla base di prove scientifiche”, ha dichiarato la scorsa settimana un funzionario della Tepco alla stampa.

Durante la prima fase, durata 17 giorni, sono stati scaricati in totale circa 7.800 m3 di acqua triziata. La Tepco ha pianificato altre tre operazioni simili fino alla fine di marzo 2024. In totale, il Giappone prevede di scaricare nell’Oceano Pacifico oltre 1,3 milioni di m3 di acqua triziata proveniente da Fukushima – l’equivalente di 540 piscine olimpioniche – ma in modo estremamente graduale, fino all’inizio del 2050, secondo il programma attuale.

Il Piano del Mare presentato a Trieste. Meloni: “Primo mattone di una strategia concreta”

Photo credit: profilo Twitter @Ambrosetti_

Riscoprire e valorizzare il mare come risorsa per l’intero Paese. E’ l’obiettivo della prima edizione del Forum ‘Risorsa Mare’ promosso dal ministro Musumeci e organizzato da The European House-Ambrosetti, in corso a Trieste. Un target condiviso dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dall’intero Governo che, spiega la premier intervenendo in video, “ha deciso di lavorare perché venisse finalmente riscoperta e valorizzata la dimensione marittima e la millenaria vocazione agli scambi commerciali della nostra Nazione, mettendo fine al paradosso assurdo a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, il paradosso di un’Italia che ha smarrito la propria identità”. Per questo motivo l’esecutivo ha affidato a un Comitato interministeriale il compito di redigere il Piano del Mare, che verrà presentato proprio in questi giorni a Trieste e che è il “primo mattone” di una “strategia concreta”.

Anche perché, sottolinea Meloni, gli obiettivi sono tanti e ambiziosi: “Penso all’obiettivo strategico di fare dell’Italia l’hub energetico dell’Europa, penso al contributo decisivo che il Mare può dare sul fronte della produzione di energia rinnovabile. Penso alla maggiore centralità che il nostro sistema portuale e logistico può e deve assumere nei traffici marittimi europei e internazionali, e alla necessità di sostenere la transizione energetica del trasporto marittimo“. E a questo si aggiunge “il lavoro che va fatto per rafforzare il primato italiano nella cantieristica e nell’industria armatoriale e la necessaria attenzione che dobbiamo mettere alle peculiarità di chi lavora nel settore marittimo. Senza dimenticare, ovviamente, alcuni asset nazionali che danno un contributo insostituibile al nostro prodotto interno lordo: il turismo, la pesca e l’acquacoltura”.

E se per la premier il mare è “identità, cultura e lavoro”, il ministro per la Protezione civile e le Politiche del Mare, Nello Musumeci, parla del Mediterraneo come “motore di crescita” per l’Italia e per le regioni del Mezzogiorno, oltre che di “cerniera fra il mondo orientale e occidentale”, come dimostra il Piano Mattei. Il Piano del Mare è un inizio, “ma non basta – chiude il ministro –, bisogna lavorare con grande impegno e passione”.

Nuotare con gli squali? Mette a rischio la loro ricerca di cibo e la capacità riproduttiva

(Photocredit: AFP)

E’ una delle attrazioni più amate dai turisti avventurosi, ma nuotare insieme ai grandi predatori marini rischia di mettere a repentaglio i loro modelli di comportamento. Secondo uno studio pubblicato su Scientific Reports questa forma di “intrattenimento” turistico può aumentare la probabilità che gli squali balena (Rhincodon typus) mostrino modelli di comportamento disturbati che assomigliano ai movimenti veloci e a zig-zag associati alla fuga dai predatori. I risultati suggeriscono anche che l’ecoturismo può avere un effetto significativo sul comportamento di foraggiamento e riproduttivo di questa specie.

L’ecoturismo con gli squali è un’industria multimilionaria, ma i potenziali impatti ecologici sono ancora poco conosciuti. Studi precedenti hanno dimostrato potenziali legami tra questo fenomeno e la diminuzione del numero di specie di squali incontrate in alcuni siti, ma gli studi sugli effetti dell’ecoturismo sul comportamento degli squali sono stati finora poco chiari.

Joel Gayford dell’Imperial College London e i suoi colleghi hanno analizzato 39 video aerei di squali balena nella baia di La Paz, in Messico, per valutare se il loro comportamento cambiasse in presenza di un nuotatore che imitava il comportamento degli ecoturisti rispetto agli squali che nuotavano liberamente. Gli autori hanno osservato un aumento dei modelli di comportamento disturbati in presenza di un nuotatore, che porterebbe gli squali a spendere più energia rispetto a quando nuotano in isolamento. Questo cambiamento potrebbe potenzialmente rendere più difficile per gli squali balena la ricerca di cibo e potrebbe anche influire sul successo riproduttivo.
I risultati suggeriscono che gli operatori del turismo ecologico con gli squali “dovrebbero essere incoraggiati a valutare lo stato comportamentale dei singoli” predatori “prima di permettere ai nuotatori di entrare in acqua e che la distanza minima regolamentata tra squali e turisti dovrebbe essere rivista”. Gli autori suggeriscono inoltre di condurre ulteriori studi sull’impatto ecologico dell’ecoturismo con gli squali per valutare adeguatamente le conseguenze del settore sulle diverse specie.

mare

Sempre più reati ambientali contro il mare: nel 2022 sono stati 20mila. Ciclo del cemento al primo posto

Cemento illegale, inquinamento e maladepurazione, pesca di frodo mettono sotto scacco il mare italiano e le aree costiere. Sono 19.530 i reati ambientali accertati nel 2022 lungo le coste italiane, con un +3,2% rispetto al 2021, mentre gli illeciti amministrativi, 44.444, sono cresciuti del 13,1%. È quanto emerge dal nuovo report Mare Monstrum 2023 di Legambiente che raccoglie dati e numeri del 2022 sul mare violato e minacciato dalle illegalità ambientali. Secondo il documento diminuiscono, anche se di poco (-4%), il numero delle persone denunciate e arrestate (19.658) e in maniera più significativa quello dei sequestri (3.590, con una riduzione del -43,3%). Sommando reati e illeciti amministrativi in Italia è stata accertata, grazie ad oltre un milione di controlli (esattamente 1.087.802, +31% rispetto al 2021) svolti dalle Capitanerie di porto e dalle forze dell’ordine, una media di 8,7 infrazioni per ogni km di costa (erano state 7,5 nel 2021), una ogni 115 metri.

Il rapporto ‘Mare Monstrum 2023′ è stato diffuso oggi, alla vigilia dell’anniversario della morte di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica brutalmente ucciso il 5 settembre 2010 per il suo impegno per la tutela del mare e delle coste del Cilento contro speculazioni e illegalità. Domani 5 settembre l’associazione ambientalista sarà ad Acciaroli per ricordare Vassallo con una giornata commemorativa organizzata insieme al comune di Pollica, l’Anci, Slow Food Italia, Libera e Federparchi. Seguirà anche la consegna del ‘Premio Angelo Vassallo il sindaco della bella politica’.

Tra i reati ambientali accertati lungo le coste italiane, nel 2022 a farla da padrone è il ciclo illegale del cemento (dalle occupazioni di demanio marittimo alle cave illegali, dagli illeciti negli appalti per opere pubbliche fino all’abusivismo edilizio) che rappresenta da solo il 52,9% dei reati (10.337), seguito dai diversi fenomeni d’illegalità (dalla mala-depurazione allo smaltimento dei rifiuti) che Legambiente classifica con la voce “mare inquinato” con 4.730 illeciti penali e dalla pesca di frodo, con 3.839 reati. Infine, ammontano a 624 le violazioni del Codice della navigazione relative alla nautica da diporto, anche in aree protette, un dato in netta crescita rispetto ai 210 del 2021 (+197,1%), con 286 persone denunciate/ arrestate e 329 sequestri. Le diverse filiere delle illegalità ambientali hanno anche un forte impatto economico: il valore dei sequestri e delle sanzioni amministrative è stato nel 2022 di oltre 486 milioni di euro (in calo del -22,3% rispetto al 2021).

“Tredici anni fa veniva ucciso Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica da sempre impegnato contro illegalità e speculazioni e che Legambiente ha conosciuto e premiato consegnandoli le cinque vele. Il suo sia un esempio a cui guardare, perché per combattere le illegalità è importante che anche le realtà territoriali facciano la loro parte insieme alle istituzioni”, dice Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Allo stesso tempo – aggiunge – è fondamentale accelerare il passo sulle attività di controllo e quegli interventi normativi non più rimandabili: dalle demolizioni affidate ai Prefetti delle case abusive agli investimenti sui depuratori fino alla lotta alla pesca illegale”.

Italia avrà Piano del Mare: 16 linee guida per rilanciare asset strategico

Il Piano di rilancio dell’economia del Mare è pronto. Da mesi ci lavora il ministro Nello Musumeci, che ora può portare il testo in Consiglio dei ministri, frutto di un costante contatto con tutti gli attori della filiera. Il provvedimento, secondo quanto si apprende, è molto articolato e si basa su 16 direttrici principali, che fungono da leva per uno degli asset più strategici per il nostro Paese.

Entrando nel dettaglio, il primo dei punti riguarda gli Spazi marittimi e fa una differenziazione dagli obiettivi strategici dei Piani di gestione dello spazio marittimo, che puntano principalmente a promuovere la crescita sostenibile delle economie marittime, indicano la distribuzione spazio-temporale degli usi. Il testo del governo, invece, chiarisce gli indirizzi utili e le azioni generali per raggiungere quegli obiettivi. La base di partenza è la strategia di governance elaborata dall’Ue per far fronte alla sempre più consistente esigenza di sfruttamento di risorse marine, oltre che di produzione energetica, di trasporto, preservando gli ecosistemi e l’ambiente.

In quest’ottica si sviluppa anche la seconda direttrice, secondo cui le linee marittime sono considerate di interesse strategico nazionale e costituiscono “infrastrutture” su cui si innestano interessi primari dello Stato. Dunque, il trasporto marittimo viene inserito in un sistema che dovrà tenere conto della transizione energetica e del suo impatto sul costo del trasporto delle merci e delle persone, in raccordo con i sistemi di trasporto europei ed internazionali.

Altro punto cruciale è quello relativo ai porti, avendo l’Italia una centralità geografica rispetto alle rotte marittime sia Est, quanto Ovest. Da qui nasce l’esigenza di sfruttare meglio le aree retro-portuali a servizio di attività manifatturiere, favorendo il reshoring. Per centrare gli obiettivi, però, servono “adeguati strumenti pianificatori”, oltre a procedimenti per l’aggiornamento, come il Documento di pianificazione strategica di sistema, ma anche con un Piano regolatore portuale. Inoltre, occorrono procedure decisionali e realizzative delle opere portuali o in ambito retro-portuale e procedure di valutazione ambientale e di attuazione dei dragaggi.

Corposo anche il capitolo riservato all’energia. Il governo vuole trasformare l’Italia nell’hub europeo di approvvigionamento, con il Piano Mattei annunciato dalla premier, Giorgia Meloni, che dovrebbe essere presentato nei dettagli il prossimo autunno. In questo scenario, dunque, l’energia proveniente dal Mare può assumere un’importanza strategica, con la produzione da fonti rinnovabili. Per riuscirci sarà decisivo predisporre interventi infrastrutturali, logistici e procedurali specifici. Restando in tema, anche la transizione energetica è alla base del Piano del Mare, con l’utilizzo di carburanti alternativi a quelli prodotti da fonti fossili. Il testo del ministro Musumeci ipotizza una progressiva opera di sostituzione delle navi esistenti con naviglio di nuova generazione.

Per quanto riguarda la pesca sostenibile, in linea con le linee guida europee, il Piano si pone come obiettivo il phasing-out di tutti gli attrezzi di cattura mobile che agiscono sui fondali, oltre alla predisposizione di una banca dati che aiuti a definire i possibili utilizzi della risorsa Mare. Per sviluppare l’acquacoltura, invece, vengono individuati alcuni criteri cardine, come l’accelerazione del processo di definizione delle zone allocate, la tutela delle zone umide costiere, investimenti sulla qualità dei prodotti freschi, la revisione delle concessioni demaniali, la sovrapposizione delle attività in Mare come la produzione di energia e gli impianti di acquacoltura; e anche in questo caso una banca dati pesca e acquacoltura.

In questo senso, un’altra linea guida mira a valorizzare la protezione e la salvaguardia degli ecosistemi marini, nell’ambito di un dinamico sistema economico che deve vedere l’attiva partecipazione delle imprese. Inoltre, il Piano del Mare sostiene l’istituzione di un Polo nazionale della Subacquea, che possa aggregare istituzioni, mondo accademico, industriale e ricerca. Inoltre, c’è una proposta per istituire, entro il 2024, un’Autorità nazionale per il controllo delle attività subacquee.

Altro capitolo è quello delle isole minori, per le quali la proposta è implementare i fondi esistenti, incrementare la produzione di energia rinnovabile locale, predisporre un programma di interventi per l’efficientamento energetico, programmi di mobilità marittima sostenibile e sviluppo dell’economia circolare locale. Allo stesso tempo va data importanza ai ‘Turisti del Mare’.
Nel Piano c’è grande attenzione agli impatti dei cambiamenti climatici, con soluzioni diversificate nei principali settori dove potrebbero risultare determinanti per la crescita sostenibile, come il sistema portuale-logistico, le città e gli insediamenti sul Mare, la biodiversità marina e l’erosione costiera. Senza dimenticare la Sicurezza, intesa sia come la ‘Safety’ (per navi e imbarcazioni) e ‘Security’ (azioni preventive e attività di contrasto ad atti illeciti via Mare). Serve un quadro aggiornato, da condividere a livello interforze, interagenzia e interministeriale, a beneficio di tutte le amministrazioni e nel rispetto delle loro diverse competenze. E il “naturale riferimento” è il Cipom (Comitato interministeriale per le politiche del Mare).
Il Piano, infine, dedica ampio spazio alla cantieristica, all’industria armatoriale e al lavoro marittimo. Per una “una rinnovata autonomia marittima strategica nazionale”.

La tabella di marcia Ue per trasporti navali più green: svolta per il 2024

Meno CO2, meno metano, meno protossido di azoto, e più alimentazione sostenibile. La nuova mobilità pulita dell’Ue per il mare è prevista per il 2024. Queste sono le scadenze fissate dalla commissione europea nella sua tabella di marcia per nuove regole in fatto di trasporti sull’acqua. Tre gli ambiti di intervento. Il primo riguarda l’anidride carbonica. La Commissione si prepara ad adottare diversi atti delegati e di esecuzione entro la fine del 2023 al fine di consentire l’inclusione tempestiva del settore del trasporto marittimo nel sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (Ets) a partire dal 1° gennaio 2024.

Per quanto riguarda metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), altri gas a effetto serra a cui l’Ue intende mettere freno e tetti di emissione, la Commissione europea adotterà atti delegati per tenerne conto e includerli nel sistema di contabilizzazione entro l’1 ottobre 2023. Queste almeno le intenzione, secondo quanto dichiarato da Frans Timmermans, il vicepresidente esecutivo responsabile per il Green Deal, rispondendo a un’interrogazione parlamentare in materia.

All’abbattimento dei gas clima-alteranti prodotti dalle flotte passeggeri e merci, si aggiunge anche misure per trazione pulita delle imbarcazioni. Il 23 marzo di quest’anno è stato raggiunto l’accordo sulla cosiddetta ‘FuelEU Maritime’, la proposta di regolamento per introdurre motori di nuova generazione alimentati da combustibili ‘green’. L’obiettivo è far sì che l’intensità di gas a effetto serra dei combustibili utilizzati dal settore marittimo diminuisca gradualmente nel tempo, dal 2% nel 2025 fino all’80% entro il 2050. In tal senso “la Commissione si sta preparando all’attuazione del regolamento FuelEU Maritime”, assicura ancora il commissario responsabile per il Green Deal. L’obiettivo del collegio è “pubblicare gli atti delegati e di esecuzione pertinenti nel 2024”. Le elezioni europee, con il rinnovo del Parlamento e l’insediamento del nuovo collegio dei commissari, non dovrebbero dunque incidere sulla tabella di marcia per una mobilità marittima sostenibile.

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Decarbonizzare i trasporti marittimi costa 3 trilioni di dollari. Si punta a idrogeno

Tre trilioni di dollari. A tanto ammontano gli investimenti necessari per arrivare alla totale decarbonizzazione dei trasporti marittimi. I tempi per la transizione green del settore, anche se si stanno facendo “importanti sforzi”, possono essere “lunghi e sono necessari enormi investimenti”. E’ quanto emerge dal decimo rapporto annuale ‘Italian Maritime Economy’ a cura di Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo).

Il trasporto marittimo, infatti, produce il 2,19% di CO2. Un valore “che non sembra particolarmente elevato” se non fosse per tre elementi essenziali, che “hanno la capacità di condizionare il mercato e trasformarlo“: lo shipping a livello mondiale trasporta il 90% delle merci, è un settore capital intensive i cui investimenti di lungo periodo condizionano il futuro ed è fortemente concentrato, per cui le azioni dei big player hanno la possibilità di orientare i mercati. Nel medio termine, per gli analisti, si può prevedere una progressiva sostituzione del Gnl con il biometano, ammoniaca e, a lungo termine, con l’idrogeno “perché più sostenibili e dal minor impatto ambientale”.

E anche se “non è ancora definita la scelta del carburante alternativo del futuro”, il settore marittimo è sulla strada giusta. A luglio 2023 le navi in cantiere con carburante Gnl rappresentano il 39% del portafoglio ordini; quelle a metanolo il 5,4%, a Lpg il 2,1% e quelle ad altri carburanti alternativi (idrogeno, etano, biofuel, batterie), il 2,8%. Inoltre il 7,7% dell’orderbook riguarda navi ammonia ready (pronte cioè ad utilizzare l’ammoniaca non appena la tecnologia lo consentirà).

L’individuazione del carburante alternativo, spiega il rapporto, “è determinante anche per i porti che già stanno realizzando investimenti in infrastrutture che potranno consentire il bunkeraggio”. Diventa questo “un vantaggio strategico perché in tal modo i porti saranno in grado di attrarre nuovi traffici”.

Attualmente sono 169 i porti attivi per il bunkeraggio di Gnl e 95 le strutture in progetto. La spinta verso la transizione ecologica e l’utilizzo di fonti alternative, è l’analisi del rapporto, “contribuirà in futuro a ridurre la domanda di prodotti petroliferi a vantaggio di forme green”. Per il nostro Paese molte delle iniziative “devono tener conto dell’attività dei porti che possono diventare dei veri e propri hub energetici per lo stoccaggio e la produzione di Gnl, biocarburanti, idrogeno”.

Si stimano 5 anni per fare dell’Italia il ponte Mediterraneo del gas attraverso 7 rigassificatori in prossimità dei porti e 5 gasdotti da sud volti a far transitare circa 50 miliardi di metri cubi di Gnl e fino a 90 miliardi di gas (a pieno regime) per un totale di 140 miliardi. Ma c’è un altro strumento “essenziale” per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, che è, secondo il rapporto, “la digitalizzazione del settore“.

Il World Economic Forum ha stimato l’impatto nei prossimi 10 anni dell’applicazione della tecnologia digitale nell’industria logistica che si può quantificare nella creazione di 2 milioni di occupati e nella riduzione delle emissioni di carbonio pari a 10 milioni di tonnellate. Il mercato globale della digitalizzazione marittima è stato valutato in 157,4 miliardi di dollari nel 2021 e si prevede che raggiungerà i 423,4 miliardi di dollari entro il 2031, con una crescita del 10,7% dal 2022 al 2031. È questo lo strumento, spiegano gli esperti, “per ottimizzare i risparmi e migliorare tempi e qualità”.

Passi “necessari” per consentire il salto in ottica green di un settore, quello della Blue Economy italiana, che nel 2021 ha superato i 52,4 miliardi di euro, crescendo di oltre 10 miliardi in 10 anni. Un valore di una volta e mezzo quello dell’agricoltura e quasi l’80% dell’edilizia, con una base imprenditoriale di oltre 228 mila aziende e una occupazione di 914mila addetti.

Allarme del Wwf: a rischio metà delle specie di squali nel Mediterraneo

(Photocredit: Wwf Italia)

Oltre la metà delle specie di squali presenti nel Mediterraneo sono a rischio: si tratta della percentuale più alta rispetto al resto degli oceani. A lanciare l’allarme è il Wwf in occasione della Giornata mondiale degli squali che si svolge il 14 luglio. L’organizzazione lancia, quindi, un appello a tutti i Paesi del bacino affinché “mettano in atto le misure vincolanti emanate dalla Commissione Generale della Fao per la pesca nel Mediterraneo e dalla Cites, recentemente adottate e che potrebbero migliorare la gestione della pesca e del commercio di squali e razze “e aiutare il recupero delle 42 specie appartenenti a questo gruppo e ancora minacciate.

Ma quale è il ruolo degli squali nel Mediterraneo? Con le temperature del mare in salita, spiega il Wwf, popolazioni sane di squali e razze svolgono anche un ruolo ‘insospettabile’ e importante nel mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici, aumentando con la loro presenza e attività il sequestro del carbonio e supportando la biodiversità marina.

Si stima, spiega Giulia Prato, responsabile Mare del Wwf Italia, “che la cattura degli squali impedisca di ‘stoccare’ negli oceani fino a 5 milioni di tonnellate di carbonio. Popolazioni sane di squali e razze possono quindi contribuire, come accade anche per le grandi balene, al fondamentale ciclo del carbonio ‘blu’ del nostro oceano e contribuire a mitigare l’impatto del cambiamento climatico”.

E se da un lato il Wwf plaude alle recenti misure volte a garantire una pesca più sostenibile di squali e razze nel Mediterraneo e a proibire presto la pesca ricreativa di 39 specie, dall’altro mette in guardia rispetto alla loro efficacia, che potrebbe essere pericolosamente compromessa dalla lenta attuazione a livello nazionale. Alcune specie a rischio critico di estinzione come la Vaccarella, l’Aquila di mare e la Rinottera, infatti, rimangono ancora prive di protezione in Mediterraneo e di misure di gestione. “Ritardare le azioni di gestione – spiega l’organizzazione – mette in costante rischio le specie minacciate di squali e razze e compromette la sostenibilità a lungo termine delle attività di pesca e dell’intero ecosistema marino”.

Il Wwf chiede, quindi, alle istituzioni italiane di sviluppare un Piano d’Azione Nazionale (Npoa) per la salvaguardia e gestione di squali e razze, attraverso l’istituzione di un tavolo interministeriale di coordinamento e in consultazione con gli esperti della comunità scientifica, i pescatori e le organizzazioni della società civile. Un piano di questo tipo, infatti, “permetterebbe di rispondere agli impegni presi in modo armonico, migliorando la raccolta dati a livello nazionale, prevedendo misure di mitigazione e gestione delle catture accidentali sulla base delle migliori conoscenze scientifiche e di protezione degli habitat essenziali e delle specie a rischio”.

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