Africa, Craxi: Fare modo che Mediterraneo diventi una comunità di destino

“L’Italia, con un Mediterraneo instabile, dopo la Guerra Fredda aveva perso questo ruolo ed è ora ritornata a essere un paese di frontiera, la nostra frontiera è il Sud del mondo, credo che noi dobbiamo fare un grandissimo sforzo in Italia e in Europa per fare in modo che quel Mediterraneo diventi veramente una comunità di destino”. Lo ha detto a Gea Stefania Craxi, presidente della commissione Esteri del Senato, a margine dell’evento organizzato da Fondazione Articolo 49 ‘Nuove energie tra Europa e Africa’, che si è tenuto nella residenza dell’ambasciatore del Marocco in Italia, a Roma.

Africa, Craxi: Da Prima Repubblica ereditiamo immagine positiva di non invasività

“L’Italia eredità dalla prima Repubblica un’immagine positiva nel Mediterraneo di non invasività. Siamo un Paese Mediterraneo, tutto il nostro rapportarci col mondo è frutto della cultura Mediterranea e la posta in gioco è molto chiara: o un Mediterraneo pacifico, luogo di scambi, di incontro tra culture diverse oppure guerre, immigrazione incontrollata e caos”. Lo ha detto a Gea Stefania Craxi, presidente della commissione Esteri del Senato, a margine dell’evento organizzato da Fondazione Articolo 49 ‘Nuove energie tra Europa e Africa’, che si è tenuto nella residenza dell’ambasciatore del Marocco in Italia, a Roma.

Allarme Wwf per la Giornata Mondiale degli Oceani: “Mediterraneo sempre più bollente, record nel 2023”

Triste primato per il Mar Mediterraneo, ormai vero e proprio hotspot del cambiamento climatico, riscaldato sempre più rapidamente e sempre più salato. A causa dell’assorbimento del calore in eccesso provocato dal surriscaldamento globale, gli oceani stanno subendo un costante aumento della temperatura sin dagli anni ’70.  Nel periodo 2011-2020 la temperatura ha subito un aumento medio dello 0,88°C rispetto al periodo 1850-1900. Le proiezioni indicano che questa tendenza continuerà. Nell’aprile 2023, infatti, la temperatura media della superficie del mare ha raggiunto un nuovo record di 21,1°C. I segnali dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo, tangibili e impressionanti, sono descritti nel nuovo report del Wwf ‘Il respiro degli oceani’ lanciato in vista della Giornata Mondiale degli Oceani che si celebra l’8 giugno in tutto il mondo. Si apre così la fase della campagna Our Nature del Wwf in difesa degli oceani che vedrà la GenerAzioneMare attiva per tutta l’estate con volontari, ricercatori, velisti, pescatori, sub e apneisti impegnati nella difesa collettiva del nostro Capitale Blu con un fitto calendario di eventi che verrà lanciato nei prossimi giorni.

Il cambiamento climatico ha già avuto impatti significativi e, in alcuni casi, irreversibili sugli ecosistemi marini in tutta la sua estensione, generando conseguenze rilevanti su settori economici cruciali come la pesca e il turismo, oltre che sulla nostra salute e alimentazione. L’impatto più rilevante è però sul ruolo chiave che hanno gli oceani per la termoregolazione del clima globale (con il sistema  di correnti oceaniche, noto come ‘Nastro Trasportatore’ o ‘Circolazione Termoalina’ che trasporta le acque calde dalle regioni tropicali verso le latitudini più elevate, dove si raffreddano, affondano e ritornano verso i tropici in un ciclo continuo), la produzione di ossigeno (50% dell’ossigeno generato sul nostro Pianeta, in gran parte attribuibile al fitoplancton marino) e l’assorbimento di anidride carbonica (ogni anno circa un quarto dell’anidride carbonica che viene emessa, corrispondente ad almeno il 30% di tutte le emissioni di CO₂ generate dalle attività umane in tutto il mondo). Sotto il peso degli effetti del cambiamento climatico globale il ‘respiro’ degli oceani è sempre più in affanno: è necessaria un’azione urgente per abbattere ulteriori emissioni di gas serra e per aumentare la resilienza dell’ecosistema marino agli impatti del cambiamento climatico, proteggendo la biodiversità.

Nel report vengono descritte 6 case history che riguardano il Mare Nostrum: tropicalizzazione del Mediterraneo orientale, aumento delle specie aliene invasive, proliferazione di meduse, perdita delle praterie di Posidonia oceanica, scomparsa delle gorgonie, mortalità di massa della Pinna nobilis. Eppure, è proprio nella difesa della biodiversità la nostra salvezza contro gli effetti del cambiamento climatico: le specie marine a tutti i livelli della catena alimentare contribuiscono allo stoccaggio naturale a lungo termine del ‘carbonio blu’, trasferendolo dalla superficie alle profondità oceaniche e ai sedimenti. Questo concetto è noto come “Fish carbon”, che rappresenta le interazioni del carbonio tra tutti i vertebrati marini che contribuiscono al sequestro del carbonio negli oceani, tra cui tartarughe, uccelli marini, mammiferi come balene e delfini e pesci come squali, tonni e sardine.

Le praterie di Posidonia, oltre a fungere da habitat essenziale per numerose specie marine, sequestrano circa 5.7 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Si stima che le praterie di Posidonia abbiano immagazzinato tra l’11% e il 42% delle emissioni totali di CO2 dei Paesi mediterranei dall’epoca della Rivoluzione Industriale. Il fitoplancton, nonostante la sua dimensione microscopica, sintetizza sostanze organiche e genera ossigeno attraverso la fotosintesi, contribuendo a produrre oltre il 50% dell’ossigeno terrestre e a catturare circa 37 miliardi di tonnellate di CO2, pari al 40% di quella prodotta. Questo valore equivale a quello di quattro foreste amazzoniche. Ogni balena può immagazzinare circa 33 tonnellate di CO2, una cifra sorprendente se confrontata con la modesta capacità di stoccaggio di carbonio di un albero medio, che si attesta a meno di 50 kg all’anno. Le specie di squali che effettuano migrazioni verticali e orizzontali, come le verdesche (Prionace glauca) e le mante, svolgono un ruolo fondamentale nel trasporto di nutrienti e nel controllo della produzione primaria del fitoplancton. Grazie alle sue migrazioni orizzontali e verticali, anche il tonno rosso contribuisce a fertilizzare il mare con i propri scarti, aumentando la biomassa del fitoplancton e quindi il sequestro di carbonio e la produzione di ossigeno.

Il Wwf indica nel report diverse soluzioni concrete per contrastare gli impatti del cambiamento climatico, a cominciare dall’abbattimento delle emissioni climalteranti e dalla transizione energetica. È indispensabile, inoltre, proteggere il prezioso scrigno di biodiversità nonché scudo contro il cambiamento climatico che è il Mar Mediterraneo, prima fra tutte la protezione efficace del 30% del suo spazio marittimo entro il 2030. Questo richiede l’istituzione di una rete efficace e coerente di Amp (Aree Marine Protette) e altre misure di protezione spaziale, di cui il 10% deve essere strettamente protetto. Questa sfida è particolarmente impegnativa considerando che attualmente solo l’8,33% del Mediterraneo è protetto, e meno del 2% è protetto in modo veramente efficace, mentre la superficie totale delle aree a protezione integrale rappresenta solo lo 0,04% del Mediterraneo.

Inoltre, proteggere i corridoi ecologici vitali per la sopravvivenza di numerose specie migratorie come le balene, favorire lo sviluppo di una pesca più sostenibile, e pianificare l’utilizzo dello spazio marittimo rispettando l’ecosistema marino, sotto la guida della Direttiva Europea. L’Italia purtroppo è ancora in procedura di infrazione per non avere implementato un piano di gestione dello spazio marittimo. Inoltre, mentre l’Unione Europea si impegna nella decarbonizzazione, l’Italia ha concesso deroghe per l’estrazione petrolifera e deve ancora definire le aree adatte per lo sviluppo delle energie rinnovabili offshore, evidenziando una carenza di prospettiva a lungo termine sia per l’ambiente che per gli aspetti socioeconomici correlati.

Clima, l’aumento di CO2 e di metano minaccia il Mediterraneo

L’area del Mediterraneo è sempre più a rischio a causa del continuo aumento delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e di metano (CH4). È quanto emerge dal Report dell’Osservatorio Climatico ENEA ‘Madonie – Piano Battaglia’ che dal 2005 effettua misure settimanali della concentrazione dei due gas e di altri parametri climatici. I dati, che dimostrano la minaccia per il Mediterraneo, sono sovrapponibili a quelli rilevati dall’Osservatorio ENEA di Lampedusa e, su scala globale, da differenti istituzioni internazionali e sono stati presentati alla vigilia della Giornata Meteorologica Mondiale che ricorre domani, 23 marzo 2024, quest’anno dedicata al tema ‘In prima linea nell’azione per il clima’.

“La concentrazione atmosferica di CO2 a Madonie-Piano Battaglia è aumentata dal 2005 con un tasso di crescita di 2.16 ppm/anno a causa delle emissioni antropiche”, evidenzia Francesco Monteleone del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima. “Inoltre – aggiunge – si osserva una forte crescita anche per la concentrazione atmosferica di metano, e lo stesso trend si sta registrando, con una crescita accelerata negli ultimi 15 anni, anche su scala globale”.

L’alta quota, la posizione geografica, l’assenza di contaminazioni locali e l’accuratezza delle misure fanno dell’Osservatorio Climatico ENEA un sito di eccellenza per il monitoraggio e lo studio dei meccanismi legati al cambiamento climatico su scala regionale e globale. Per queste caratteristiche l’Osservatorio ha ottenuto il riconoscimento di stazione regionale, rappresentativo per tutta l’area del Mediterraneo centrale, nell’ambito del Global Atmosphere Watch (GAW), che è la rete mondiale per lo studio del clima globale dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO).

L’Osservatorio Climatico di Piano Battaglia dispone di vari strumenti di misura tra cui una stazione meteorologica e un sistema di campionamento dell’aria per determinare la concentrazione di CO2, metano e monossido di carbonio, i cui campioni vengono spediti e analizzati all’Osservatorio Climatico ENEA di Lampedusa. I dati messi a disposizione della rete mondiale del WMO sono utili alle amministrazioni locali per pianificare le azioni volte a una gestione sostenibile del territorio e a sensibilizzare la popolazione.

Mattarella a Cipro il 26 e 27 febbraio, energia e Mediterraneo al centro dell’agenda

Quella di Sergio Mattarella, il 26 e 27 febbraio prossimi, sarà la prima visita di un presidente della Repubblica a Cipro. Tanti i temi che accompagnano il viaggio del capo dello Stato nel Paese che celebra nel 2024 i vent’anni dall’ingresso nell’Unione europea, ma anche – soprattutto – il cinquantesimo anniversario dalla guerra che nel 1974 sconvolse gli equilibri dell’isola, di cui ancora oggi si vedono gli strascichi.

Il programma è intenso, con diversi appuntamenti in agenda, per una due giorni utile ad acquisire il punto di vista di un partner europeo nella situazione geopolitica complessa che si vive oggi, sia nel Mediterraneo orientale quanto in Medio Oriente con le tensioni tra Israele e Palestina. Sullo sfondo restano le questioni storicamente aperte, la divisione tra le due comunità che convivono, quella turco-cipriota e quella dei greci-ciprioti, e il difficile rapporto con la Turchia, reso ancora più complicato dagli scontri sull’utilizzo della Zona economica esclusiva e dei giacimenti di gas offshore che sono stati scoperti negli ultimi anni.

L’Italia può vantare una forte presenza economica sul territorio, soprattutto grazie all’impegno di Eni, che dal 2013 è presente con sette licenze esplorative, grazie alle quali sono state possibili importanti scoperte nelle acque al largo di Cipro. L’ultima, in termini temporali, nel 2022, tramite il pozzo Zeus-1 perforato nel Blocco 6 (operato da Eni Cyprus, che ha il 50%, con TotalEnergies come partner) a 162 chilometri al largo della costa e 2.300 metri di profondità d’acqua, che ha volumi di gas tra i 56 e gli 85 miliardi di metri cubi. Mentre lo scorso 15 febbraio è stato completato il pozzo Cronos-2, nello stesso blocco, che ha una capacità stimata di oltre 4,2 milioni di metri cubi al giorno.

Sul tavolo restano aperti anche i dossier sui collegamenti per il trasporto del gas o quelli sulle infrastrutture per la liquefazione. Temi che sono sempre stati di primaria importanza, che dall’invasione russa in Ucraina hanno assunto un carattere prioritario, non solo per assicurare gli approvvigionamenti ma per garantire la sicurezza energetica del Vecchio continente.

Cipro, dunque, può diventare un prezioso alleato, sebbene la situazione non sia particolarmente felice per effetto della doppia crisi: quella scatenata dall’invasione decisa da Mosca in Ucraina (nel Paese è forte la presenza di investimenti russi) e la ripresa del conflitto mediorientale. Nicosia, infatti, è attiva nel tentativo di creare un corridoio umanitario con Gaza.

Cipro è impegnata in un programma di riforme annunciate dal presidente, Nikos Christodoulides, tra le quali quella di riattivare un dialogo costruttivo con Ankara. Mattarella, accompagnato dal vice ministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, lo incontrerà al suo arrivo a Nicosia, lunedì 26 febbraio, al Palazzo Presidenziale. Il giorno successivo, martedì 27 febbraio, il capo dello Stato visiterà il Parlamento cipriota, accolto dalla presidente, Annita Demetriou. Nella mattinata Mattarella sarà anche nella buffer zone, la cosiddetta ‘linea verde‘, al quartier generale della forza Onu per il mantenimento della pace a Cipro, dove sarà ricevuto dal rappresentante speciale del segretario delle Nazioni Unite e capo della forza di peacekeeping a Cipro, Colin Steward, che nel contingente al suo comando può contare anche sulla presenza di quattro marescialli dell’Arma dei Carabinieri.

Mattarella, poi, sarà al Comitato per le persone scomparse, che si occupa di dare un nome e un’identità alle oltre duemila vittime della guerra tra le comunità turca e greca degli anni Settanta. Molto simbolica sarà anche la visita al vecchio aeroporto di Nicosia, che ha la caratteristica di essere rimasto esattamente come cinquant’anni fa, dopo il conflitto. A metà mattinata, poi, è previsto l’arrivo al porto di Limassol dove il presidente della Repubblica visiterà la fregata ‘Carlo Bergamini‘ della Marina Militare, accolto dal capo di stato maggiore, l’ammiraglio Enrico Credendino. Nel pomeriggio l’ultima tappa: Mattarella sarà infatti a Paphos, capoluogo del distretto di origine di Christodoulides, che lo accompagnerà al sito archeologico della Casa di Dioniso e dei mosaici romani.

Giornata del Mare, Meloni: “Rimettere al centro asset e farne vettore di sviluppo”

Iniziative su tutto il territorio nazionale per la Giornata nazionale del mare che si celebra l’11 aprile. A partire da Palazzo Chigi, la cui facciata viene illuminata di azzurro. “L’Italia è una nazione, allo stesso tempo, continentale e marittima. È nata nel, per e con il mare: la geografia ha plasmato la nostra civiltà e ci ha reso piattaforme naturali per la diffusione della cultura, i commerci e la logistica“, dichiara la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Purtroppo, però, l’Italia ha spesso dimenticato questa sua duplice identità, si è percepita come una ‘Patria senza mare’ e non è stata pienamente consapevole di quanto il mare possa essere una risorsa geostrategica, ambientale, culturale ed economica – aggiunge -. Rimettere al centro questo asset e farne un vettore di sviluppo e di ricchezza, da ogni punto di vista, è una priorità del governo“. Ecco che, secondo la premier, “da una maggiore consapevolezza e conoscenza di ciò che siamo e delle potenzialità che abbiamo può scaturire anche un rinnovato protagonismo nel presente e nel futuro“.

Secondo il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, “la centralità geografica dell’Italia nel Mediterraneo porta con sé grandi responsabilità e opportunità, sia sotto il profilo ambientale che energetico. Il ‘mare Nostrum’ abbraccia popoli e culture che possono trovare sempre più punti di incontro nella tutela marina, specialmente dopo lo storico accordo alla Cop15 sulla biodiversità di Montreal. L’Italia – conclude il ministro – è depositaria di un ‘know-how’ straordinario nella gestione delle Aree Marine Protette, che è giusto condividere rafforzando ogni giorno quella rete di tutela senza la quale ogni singolo intervento perderebbe di senso”.

In occasione della Giornata nazionale del mare, il Mase e il Centro Regionale di Attività per le Aree Specialmente Protette della Convenzione di Barcellona (Rac/Spa), nell’ambito della Convenzione di Barcellona sulla protezione del Mediterraneo, annunciano il prossimo lancio del “progetto per sviluppare e rafforzare un’efficace gestione delle Aree Specialmente Protette di Importanza Mediterranea (Aspim).  L’iniziativa, giunta alla seconda edizione, intende sviluppare e rafforzare la gestione delle Aspim, con programmi di gemellaggio tra le realtà italiane e quelle delle subregioni mediterranee: saranno condivise conoscenze, esperienze, capacità organizzative. Le Aspim italiane coinvolte in questa seconda edizione del progetto sono Miramare, Porto Cesareo e Penisola del Sinis – Isola di Mal di Ventre che saranno gemellate, rispettivamente, con Palm Island (Libano), El Hoceima (Marocco) e Zembra & Zembretta (Tunisia). L’appuntamento con il kick-off del progetto è il 27 aprile. Ad oggi, le Aspim riconosciute sono 39, appartenenti a 10 Paesi diversi: Albania, Algeria, Cipro, Francia, Italia, Libano, Marocco, Slovenia, Spagna e Tunisia. L’Italia guida la classifica del più alto numero di Aspim, che si caratterizzano per rilevanti attività di conservazione della diversità biologica, ecosistemi specifici o habitat di specie protette, particolari punti di interesse sul piano scientifico, estetico, culturale o educativo. La regìa delle attività di progetto e degli accordi bilaterali nell’ambito della Convenzione di Barcellona è gestita dalla Direzione generale Patrimonio Naturalistico e mare del Mase.

Da domenica tornano freddo e neve in montagna. Temperature in ribasso

Dopo settimane di temperature anomale e sopra la media, torna l’inverno. Da domenica aria più fredda e instabile potrebbe guadagnare terreno verso il Mediterraneo riportando condizioni meteo più tipiche della stagione.
Dopo qualche pioggia, Lorenzo Tedici, meteorologo del Meteo.it, conferma infatti che la rimonta dell’anticiclone avrà vita breve. Da domenica è probabile un cambio di stagione con nevicate non solo sulle Alpi ma anche sugli Appennini: una buona notizia per il comparto turistico sciistico delle regioni centro-meridionali.

La situazione sinottica del weekend vedrà il ritiro dell’Anticiclone delle Azzorre verso il proprio luogo di origine, quindi verso le Isole Azzorre in pieno Atlantico. Non proteggendo più il Mediterraneo, correnti polari marittime dal Mare del Nord potrebbero affondare il colpo verso Sud. Da domenica sono attese precipitazioni, nevose localmente anche a bassa quota a inizio della nuova settimana in Pianura Padana e a quote collinari sulla dorsale appenninica con temperature verso la media del periodo. Le temperature andranno verso la media del periodo, non sarà una bordata gelida artica, ma questo è già una notizia: rientrare nella media di gennaio dopo settimane di caldo anomalo ci ricorda che siamo nel mese più freddo dell’anno, insieme con febbraio.

Nell’attesa del cambio di stagione, ci aspettano ancora giornate con massime oltre i 15°C, che ricorderanno più l’autunno che l’inverno. Data la velocità di questa blanda perturbazione atlantica, il sole tornerà tra venerdì e sabato ma da domenica 15 gennaio potremo assistere a un generale cambiamento: sono attese precipitazioni prima su Liguria e Nord-Est e da lunedì anche lungo il versante tirrenico; da martedì infine il maltempo potrebbe colpire in modo diffuso gran parte dell’Italia con possibile neve a bassa quota in Piemonte.

pesci

Il Mediterraneo è il più invaso al mondo: 200 nuovi pesci

Con centinaia di specie esotiche, il Mar Mediterraneo viene oggi riconosciuto come la regione marina più invasa al mondo. Una ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Global Change Biology e coordinata dall’Istituto per le risorse biologiche e biotecnologie marine (Cnr-Irbim) di Ancona, ricostruisce questa storia per le specie ittiche introdotte a partire dal 1896. E la causa è – anche – il cambiamento climatico.

Lo studio dimostra come il fenomeno abbia avuto un’importante accelerazione a partire dagli anni ’90 e come le invasioni più recenti siano capaci delle più rapide e spettacolari espansioni geografiche”, spiega Ernesto Azzurro del Cnr-Irbim e coordinatore della ricerca. “Da oltre un secolo, ricercatori e ricercatrici di tutti i paesi mediterranei hanno documentato nella letteratura scientifica questo fenomeno, identificando oltre 200 nuove specie ittiche e segnalando le loro catture e la loro progressiva espansione. Grazie alla revisione di centinaia di questi articoli e alla georeferenziazione di migliaia di osservazioni, abbiamo potuto ricostruire la progressiva invasione nel Mediterraneo”. Questo processo ha cambiato per sempre la storia del nostro mare.

Sono due le porte di ingresso di questa colonizzazione: “Le specie del Mar Rosso, entrate dal canale di Suez (inaugurato nel 1869), sono le più rappresentate e problematiche. Ci sono, tuttavia, altri importanti vettori come il trasporto navale ed il rilascio da acquari. I ricercatori hanno considerato anche la provenienza atlantica tramite lo stretto di Gibilterra”, continua Azzurro.

Ma quali sono gli effetti ambientali e socio-economici di queste ‘migrazioni ittiche? “Alcune di queste specie costituiscono nuove risorse per la pesca, ben adattate a climi tropicali e già utilizzate nei settori più orientali del Mediterraneo”, spiega il ricercatore Cnr-Irbim. “Allo stesso tempo, molti ‘invasori’ provocano il deterioramento degli habitat naturali, riducendo drasticamente la biodiversità locale ed entrando in competizione con specie native, endemiche e più vulnerabili. Il ritmo della colonizzazione è così rapido da aver già cambiato l’identità faunistica del nostro mare; pertanto ricostruire la storia del fenomeno permette di capire meglio la trasformazione in atto e fornisce un esempio emblematico di globalizzazione biotica negli ambienti marini dell’intero pianeta”.

mare liguria

Allarme mari italiani: tra i più caldi al mondo, 29-30 gradi come Caraibi

Il sole picchia duro, anche sull’acqua. L’ondata di calore dell’estate 2022, infatti, consegna alle cronache nuovi record negativi: secondo l’analisi della redazione di ilmeteo.it, la temperatura dell’acqua dei mari italiani ha raggiunto i 29-30 gradi centigradi, come quella del clima dei Caraibi, con 10 gradi in più rispetto alle coste californiane. Il clima fuori controllo, con la continua estrema espansione dell’anticiclone nordafricano verso il Mediterraneo, ha causato un aumento della temperatura dell’acqua fino a valori bollenti, eccezionali. L’acqua è così calda che difficilmente troviamo refrigerio anche al largo, neppure immergendosi di qualche metro l’acqua sembra quella di qualche anno fa. E se quest’anno il periodo è eccezionale, con valori fino a 5-6 gradi oltre la norma, l’Agenzia europea dell’Ambiente certifica che stiamo assistendo ad un aumento della temperatura dei mari da più di un secolo: in particolare il Mar Mediterraneo, solo negli ultimi 20 anni, ha fatto registrare un aumento medio di oltre 0,5 gradi, un valore molto alto a dispetto di quello che sembra.

In questo scenario, quale posizione occupa l’Italia tra i mari più caldi del mondo? Acque tropicali leggermente più calde delle ‘nostre’, oltre i 30 gradi centigradi e fino a 32-33 gradi, attualmente si registrano nel Mar Rosso, nel Golfo Persico, nel Golfo del Bengala e nel Mar Cinese Meridionale. Altrove, in particolare sulle coste del Pacifico orientale i valori sono più bassi anche di 10 gradi rispetto ai mari italiani, anche a causa del fenomeno de La Niña. In buona sostanza l’Italia ha uno dei mari più caldi al mondo, in questo momento.

Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLmeteo.it, conferma che questa situazione anomala è legata alla ‘Pazza Calda Estate 2022’, iniziata in anticipo il 10 maggio e proseguita con valori termici eccezionali per quasi 3 mesi senza interruzione. Il calore del sole, l’assenza di perturbazioni o di temporali forti sul mare e l’assenza di venti freschi da Nord hanno bloccato il rimescolamento dell’acqua, non hanno permesso il raffreddamento superficiale del mare e, giorno dopo giorno, hanno fatto accumulare tanto calore: al momento, i bacini più caldi sono il Mar Ligure, il Mar Tirreno e il Canale di Sicilia con temperatura dell’acqua di 30 gradi. Tutto questo si traduce in un enorme stress per il mondo ittico, in stravolgimenti di cui non conosciamo le conseguenze, ma soprattutto di un pericolo reale: avremo temporali marittimi più forti appena arriverà una perturbazione. Il calore del mare infatti si trasformerà in energia per lo sviluppo di nubifragi e/o altri fenomeni violenti: ad essere pessimisti o catastrofisti (non ci piace esserlo, ma questa ricerca è pubblicata in vari articoli scientifici) con acque marine ad oltre 26,5 gradi è più probabile la formazione di Tlc, ovvero Tropical Like Cyclones, piccoli uragani anche sul Mar Mediterraneo.

Negli ultimi anni infatti, con l’aumento della temperatura dell’acqua del Mar Mediterraneo, si sono avuti a ripetizione Tlc, anche definiti Uragani Mediterranei o Medicane: 28 ottobre 2021, Apollo; 17 settembre 2020, Ianos (sulla Grecia), 11 novembre 2019, Detlef ad ovest della Sardegna, 28 settembre 2018, Zorbas a sud della Sicilia e così via con una frequenza che è aumentata sensibilmente a causa dei mari sempre più caldi. In sintesi, prendendola a ridere, è possibile fare una vacanza ai Caraibi senza prendere l’aereo: stesso mare ‘bollente’, simile probabilità (minore, ma in aumento) di trovare un uragano alla fine dell’estate.

Posidonia oceanica

Posidonia oceanica, il polmone blu del Mediterraneo

Un vero e proprio polmone blu all’interno del mare, oltre che un alleato fondamentale per contrastare l’erosione delle spiagge. È la Posidonia oceanica, pianta fanerogama sottomarina endemica nel Mediterraneo che svolge un ruolo centrale nel preservare la biodiversità dell’ecosistema marino. Si stima che le praterie di posidonia oggi occupino circa 20.000 miglia quadrate di superficie (il 3% del Mediterraneo), a una profondità massima che arriva generalmente fino a 35 metri. Un mondo che oggi è messo fortemente in pericolo da diversi fattori quali la pesca a strascico e il raschiamento delle ancore delle imbarcazioni, l’inquinamento dovuto agli sversamenti di sostanze nocive in mare, la crescente cementificazione delle coste, i cambiamenti climatici che modificano le correnti marine. Nonostante la Posidonia sia tutelata dalla Comunità Europea fin dal 1992 con una direttiva relativa alla “conservazione degli habitat naturali e semi-naturali e della flora e della fauna selvatiche” (recepita nell’ordinamento italiano nel 1997), Medsea stima che negli ultimi 50 anni quasi la metà delle praterie presenti nel Mediterraneo abbiano subito una riduzione di estensione.

RUOLO FONDAMENTALE

Tra le proprietà che rendono fondamentale la presenza della Posidonia oceanica c’è la capacità di produrre ossigeno: ogni metro quadro di superficie in buona salute può liberarne fino a 15 litri al giorno tramite il processo di fotosintesi. La stessa area riesce anche a catturare circa 65 grammi di carbonio l’anno, fornendo un contributo alla lotta contro l’effetto serra. Notevole è anche l’apporto in termini di biodiversità: circa un quinto delle specie del Mediterraneo hanno il loro habitat nei posidonieti. E un metro quadro di prateria può ospitare fino a 350 specie animali differenti.

Alla Posidonia sono legate anche le cosiddette banquettes, cioè gli accumuli sulle spiagge del materiale organico rilasciato in gran quantità dalle piante che vanno a formare vere e proprie dune alte anche diversi metri. Queste strutture vengono percepite come un fastidio dai bagnanti e dagli operatori turistici ma hanno una funzione chiave nel contrastare l’erosione dei litorali sabbiosi, visto che riescono a attenuare la forza del moto ondoso. Secondo quanto afferma Sea Forest Life, progetto comunitario per la conservazione delle praterie di Posidonia oceanica, ogni metro quadro di prateria che regredisce causa l’erosione di circa 15 metri di litorale sabbioso.

In generale, sempre Sea Forest Life ha calcolato che la scomparsa di un metro quadrato di posidonieto comporta una perdita economica che va da 39mila a 89mila euro l’anno, a causa della minor produzione di ossigeno e dell’erosione e ripascimento dei litorali.

RIFORESTAZIONE

Contrastare la scomparsa delle praterie di Posidonia oceanica è l’obiettivo di numerosi progetti di riforestazione marina avviati nell’ultimo periodo. Il già citato progetto europeo Sea Forest si propone di ripristinare gli habitat delle praterie di Posidonia nelle aree protette del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni (provincia di Salerno), del Parco Nazionale dell’Asinara e del Parco Nazionale dell’arcipelago di La Maddalena (provincia di Sassari). Parallelamente il progetto Life SEPOSSO (Supporting Environmental governance for the POSidonia oceanica Sustainable transplanting Operations), realizzato con il contributo della Commissione Europea, mira a migliorare la governance italiana dei trapianti di Posidonia oceanica. Tra le iniziative messe in campo c’è anche una campagna di sensibilizzazione nelle scuole attraverso incontri, lezioni, giochi e la pubblicazione di un kit didattico realizzato ad hoc.

Di recente a Golfo Aranci, nel nordest della Sardegna, sono state messe a dimora 2.500 piante acquatiche ripristinando circa 100 metri quadri di fondale verde grazie a un’iniziativa del Comune realizzata attraverso la startup italo-guatemalteca ‘zeroCO’ e la onlus Worldrise. L’associazione ambientalista Marevivo ha invece lanciato la campagna nazionale Replant, mirata a mettere in pratica sperimentazioni di piantumazione della Cymodocea nodosa, un’altra pianta fanerogama che svolge un’azione decisiva nel mantenimento dell’ecosistema marino nel Mediterraneo.

PNRR

La mappatura delle praterie di Posidonia e degli habitat di interesse comunitario rientra poi tra gli obiettivi del protocollo d’intesa tra il ministero della Transizione ecologica e l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) per l’attuazione dell’investimento M2C4-3.5 del Pnrr ‘Ripristino e tutela dei fondali e degli habitat marini’. Un progetto che vale circa 400 milioni di euro e che rientra nella Missione 2, ‘Rivoluzione verde e transizione ecologica’. Fondi che dovranno servire a tutelare i fondali e gli habitat marini del Mediterraneo sempre più esposti al degrado.