Nube metano Nord Stream

Da Nord Stream nube metano su Europa. L’esperto: Contributo a cambiamento climatico

Non solo problemi di approvvigionamento energetico, ma anche ambientali. Le esplosioni e la fuga di gas nei gasdotti Nord Stream hanno infatti creato una “grande nuvola di metano” su Norvegia e Svezia che si teme possa arrivare anche sull’Italia. A dare la notizia sono stati i media dei due Paesi. Secondo i calcoli di Stephen Matthew Platt, scienziato del clima presso l’istituto norvegese di ricerca sull’aria Nilu, si tratta di circa 40.000 tonnellate di metano rilasciate dal sospetto sabotaggio: il doppio delle emissioni annue di metano nazionali norvegesi dell’industria petrolifera e del gas. “Sono livelli record, non abbiamo mai visto niente di simile prima in Norvegia e Svezia”, ha riferito Platt, sottolineando tuttavia che l’elevata concentrazione di metano non rappresenta un grave pericolo per le persone. L’allarme è immediatamente scattato in Italia, anche se, secondo l’esperto del Cnr e amministratore del consorzio Lamma Bernardo Gozzini, contattato da GEA, “non è sicuro che la nube di metano arriverà in Italia”, visto che, secondo una ricostruzione fatta al computer, “avrebbe avuto una traiettoria divisa in due parti, una è andata verso le isole Svalbard, l’altra verso la Gran Bretagna e la Francia”. In ogni caso, se anche arrivasse, sarebbe molto diluita” sull’Italia. Il rischio non sarebbe immediato, ma l’incremento di metano nell’atmosfera contribuisce all’effetto serra. Questo, appunto, il problema anche secondo Alessandro Di Menno, ricercatore Ispra, che spiega a GEA come “il metano è un gas serra, non un inquinante atmosferico tradizionale. Non ha un effetto diretto sulla salute umana, come ad esempio il monossido di carbonio. Ma è nella nube c’è una quantità di gas serra potente, molto più climalterante della Co2“. “E’ una cosa nuova, gli effetti non li vedremo nell’immediato, diciamo che è un altro bel contributo sul cambiamento climatico, è come aver emesso una grande, grandissima, quantità di Co2 tutta in una volta – precisa -. La nube ad ogni modo si disperderà, arriverà in forma molto diluita“.

Intanto, al netto dell’aspetto ambientale e climatico, continua il rimpallo di accuse sul presunto sabotaggio a Nord Stream che ha causato la perdita. Secondo un rapporto ufficiale presentato da Svezia e Danimarca alle Nazioni Unite, a causare le quattro perdite nel Mar Baltico sarebbero state esplosioni sottomarine equivalenti a “centinaia di chilogrammi” di TNT. “La magnitudo delle esplosioni è stata misurata rispettivamente a 2.3 e 2.1 della scala Richter, il che probabilmente equivale a una carica esplosiva di centinaia di chili“, hanno dichiarato i due Paesi scandinavi in una comunicazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che si riunirà venerdì a New York su richiesta della Russia. “Tutte le informazioni disponibili indicano che queste esplosioni sono il risultato di un atto deliberato“, hanno scritto Svezia e Danimarca nella loro lettera al segretario generale delll’Onu, senza nominare alcun Paese responsabile. Mosca, da parte sua, prima ha rivolto tramite il capo del Servizio di intelligence estero della Federazione Russa, Sergei Naryshkin, le sue attenzioni su una “impronta occidentale nell’organizzazione e nell’attuazione di questo atto terroristico”, poi lo stesso presidente Vladimir Putin ha accusato gli “anglosassoni” che “organizzando esplosioni sui gasdotti internazionali hanno di fatto iniziato a distruggere le infrastrutture energetiche europee“. Immediata la risposta del segretario di Stato americano Antony Blinken che giudica le accuse una “oltraggiosa disinformazione”, mentre il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg conferma che l’Alleanza continua a sostenere “gli sforzi di investigazione per capire chi è dietro a questi attacchi”.

Photo credits: ICOS Integrated Carbon Observation System

La Norvegia si candida a ‘cimitero’ della CO2 europea

Sulle coste ghiacciate del Mare del Nord, un ‘cimitero’ in costruzione sta suscitando le speranze degli esperti di clima: presto il sito ospiterà una piccola parte della CO2 emessa dall’industria europea, evitando così che finisca nell’atmosfera. Considerata a lungo una soluzione tecnicamente complicata e costosa di utilità marginale, la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) è ora in voga in un pianeta che sta lottando per ridurre le proprie emissioni nonostante l’emergenza climatica.

Nella città di Øygarden, su un’isola vicino a Bergen (Norvegia occidentale), un terminale attualmente in costruzione riceverà tra qualche anno tonnellate di CO2 liquefatta, che verrà trasportata dal Vecchio Continente via nave dopo essere stata catturata alla fine delle ciminiere delle fabbriche. Da lì, il carbonio sarà iniettato tramite una conduttura in cavità geologiche a 2.600 metri di profondità. L’ambizione è che rimanga lì a tempo indeterminato.

Si tratta della “prima infrastruttura di trasporto e stoccaggio ad accesso libero al mondo, che consente a qualsiasi emettitore che abbia catturato le proprie emissioni di CO2 di prenderle in carico, trasportarle e stoccarle in modo permanente e in totale sicurezza“, sottolinea il direttore del progetto Sverre Overå. In quanto maggior produttore di idrocarburi dell’Europa occidentale, si ritiene che la Norvegia abbia anche il maggior potenziale di stoccaggio di CO2 del continente, in particolare nei suoi giacimenti petroliferi esauriti.

ACCORDI COMMERCIALI

Il terminal Øygarden fa parte del piano ‘Langskip’, il nome norvegese delle navi vichinghe. Oslo ha finanziato l’80% dell’infrastruttura mettendo sul piatto 1,7 miliardi di euro per sviluppare la CCS nel Paese. Due siti nella regione di Oslo, un cementificio e un impianto di termovalorizzazione, dovrebbero infine inviarvi la loro CO2. Ma la particolarità del progetto sta nel suo aspetto commerciale, in quanto offre anche agli industriali stranieri la possibilità di inviare la propria anidride carbonica. A tal fine, i giganti dell’energia Equinor, TotalEnergies e Shell hanno creato una partnership, denominata Northern Lights, che sarà il primo servizio di trasporto e stoccaggio transfrontaliero di CO2 al mondo quando entrerà in funzione nel 2024. Negli ultimi giorni sono state raggiunte due importanti pietre miliari per la CCS in Norvegia. Lunedì scorso, i partner dell’aurora boreale hanno annunciato un primo accordo commerciale transfrontaliero che prevede il trasporto e il sequestro di 800.000 tonnellate di CO2 catturate nell’impianto olandese del produttore di fertilizzanti Yara, a partire dal 2025, tramite speciali imbarcazioni. Il giorno successivo, Equinor ha presentato un progetto con la tedesca Wintershall Dea per la costruzione di un gasdotto di 900 chilometri per il trasporto di CO2 dalla Germania alla Norvegia per lo stoccaggio. Un progetto simile con il Belgio è già in cantiere.

NESSUNA SOLUZIONE MIRACOLOSA

Tuttavia, la CCS non è una soluzione miracolosa al riscaldamento globale. Nella sua prima fase, Northern Lights sarà in grado di trattare 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, una capacità che sarà poi aumentata a 5-6 milioni di tonnellate. A titolo di confronto, l’Unione Europea ha emesso 3,7 miliardi di tonnellate di gas serra nel 2020, secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente. Ma sia il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) che l’Agenzia internazionale dell’energia ritengono che questo strumento sia necessario per contenere l’aumento della temperatura. Gli ambientalisti non sono unanimi nel sostenere la tecnologia. Alcuni temono che venga utilizzato come motivo per prolungare lo sfruttamento dei combustibili fossili, che distolga investimenti preziosi dalle energie rinnovabili o che si verifichino perdite. “Siamo sempre stati contrari alla CCS, ma la mancanza di azioni sulla crisi climatica rende sempre più difficile mantenere questa posizione“, afferma Halvard Raavand, rappresentante di Greenpeace Norvegia. “Il denaro pubblico sarebbe meglio investito in soluzioni che sappiamo essere efficaci e che potrebbero anche ridurre le bollette per le persone normali, come l’isolamento delle case o i pannelli solari“, spiega.

mare nord norvegia

Co2 stoccata a 2600 m sotto al mare: via progetto Northern Lights

Al largo di Øygarden, nel Mare del Nord norvegese, a 2.600 metri sotto il fondale, dall’inizio del 2025 verranno sepolte 800mila tonnellate di CO2 all’anno. Compresse e liquefatte nei Paesi Bassi, saranno poi trasportate trasportate nel sito Northern Lights. Si tratta di un progetto norvegese di stoccaggio di CO2 di proprietà alla pari di TotalEnergies, Equinor e Shell, che ha annunciato un primo accordo commerciale che costituisce “un passo importante nella decarbonizzazione dell’industria pesante in Europa“. La cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica (CO2) è uno dei modi per ridurre il rilascio di questo gas serra nell’atmosfera.

La joint venture ha firmato il primo accordo con il produttore norvegese di fertilizzanti minerali Yara “per il trasporto e il sequestro della CO2 catturata presso il sito Yara Sluiskil, un impianto di ammoniaca e fertilizzanti nei Paesi Bassi“. Il contratto rappresenta “un passo importante nella decarbonizzazione dell’industria pesante in Europa, aprendo il mercato del trasporto e dello stoccaggio transfrontaliero di CO2“, ha riassunto Northern Lights nella sua dichiarazione.

Dall’inizio del 2025, 800.000 tonnellate di CO2 all’anno saranno catturate, compresse e liquefatte nei Paesi Bassi, quindi trasportate al sito Northern Lights, dove saranno sepolte in modo permanente in strati geologici a circa 2.600 metri sotto il fondale marino, al largo di Øygarden, nel Mare del Nord norvegese“, ha dichiarato TotalEnergies in un comunicato separato.

In occasione di un incontro con la stampa, il ministro norvegese dell’Energia Terje Aasland ha salutato questo “passo importante” e un grande “giorno per la storia e per il futuro“, mentre Anders Opedal, amministratore delegato di Equinor, lo ha definito “una dimostrazione che le ambizioni climatiche possono essere trasformate in azioni reali“. “Dimostreremo che la CCS (Cattura e sequestro del carbonio, ndr) è uno strumento per l’ambizione climatica dell’Europa“, ha dichiarato Børre Jacobsen, direttore di Northern Lights. Sottolineando inoltre che Yara, con questo primo contratto, “riempirà la capacità disponibile del nostro sito Northern Lights Phase 1“.

Mentre gli impianti della prima fase del progetto dovrebbero stoccare fino a 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, Equinor ha affermato che Northern Lights si sta preparando per una seconda fase che “aumenterà la sua capacità totale fino a 5-6 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Lo scorso dicembre, il governo norvegese ha accettato di finanziare l’80% dei 6,9 miliardi di corone (650 milioni di euro) necessari per la prima fase di costruzione.

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La Norvegia sta salvando l’Europa sul gas. E non solo

La Norvegia sta salvando l’Europa. Il 27% degli approvvigionamenti di metano arrivano infatti dallo Stato nordico. Oslo è diventato il principale fornitore dell’Europa, dopo il crollo di pompaggio di gas da parte della Russia. I numeri diffusi martedì dall’Indipendent Commodity Intelligence Services (Icis) sono significativi. In sintesi, la fornitura di gas naturale nel Vecchio continente a luglio è arrivata solo per il 10% dai tubi di Gazprom, con 3,7 miliardi di metri cubi consegnati. Un altro 5% viene sempre da Mosca, il Gnl di Yamal. Il gas liquefatto statunitense ha coperto il 13% della fornitura, mentre i gasdotti norvegesi sono stati i fornitori numeri uno, appunto con il 27%.

La Norvegia, ricordiamolo, è il terzo esportatore mondiale di gas naturale dopo Russia e Qatar, inoltre ha una capacità per sostenere una produzione significativa di idrocarburi offshore per altri 50 anni. L’avevano capito alla Ue già nel 2014, anche all’epoca alle prese con la guerra in Ucraina-Crimea, quando l’allora commissario europeo per l’Energia, Guenther Oettinger, aveva suggerito che la Norvegia avrebbe potuto svolgere un ruolo fondamentale nel rafforzare le forniture energetiche dell’Unione. Ahinoi quell’intuizione non è stata esplorata a dovere. Fino allo scorso 23 giugno.

Un mese fa infatti il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans, il commissario all’Energia Kadri Simson e l’attuale ministro norvegese del petrolio e dell’energia, Terje Aasland, si sono impegnati a “rafforzare ulteriormente la stretta cooperazione tra l’UE e la Norvegia nel campo dell’energia, non tanto e non solo per il conflitto ucraino ma per le sfide sempre più gravi poste dal cambiamento climatico. In effetti Oslo non è solo gas o petrolio.

Bruxelles è molto desiderosa di rafforzare i vari partenariati a basse emissioni di carbonio dell’Ue con la Norvegia, che è ampiamente considerata un leader mondiale nello sviluppo di energia rinnovabile offshore e di idrogeno, soprattutto in virtù degli obiettivi ambiziosi inseriti nel piano RePowerEU pubblicato a maggio, dalla cattura del carbonio allo stoccaggio. Il target sarebbe quello di aumentare di dieci volte la capacità di produzione di elettrolizzatori e 10 milioni di tonnellate di energia rinnovabile a idrogeno entro il 2030. E Nel Hydrogen, con sede a Oslo, sta già lavorando al processo di selezione del sito per nuovi impianti di produzione in Europa. Senza dimenticare che, sul fronte rinnovabili, il Paese nordico da pochi mesi ha aperto all’eolico off-shore, pianificando 30 GW al 2040.

La ‘fortuna’ europea è che la Norvegia, benché fuori dall’Unione, è integrata nel mercato energetico europeo attraverso il cosiddetto accordo SEE, lo Spazio economico europeo che riunisce gli Stati membri della Ue e i tre dell’EFTA, ovvero Islanda, Liechtenstein e appunto Norvegia. Infine, particolare non di poco conto in un contesto di guerra come quello attuale, l’attuale segretario della Nato è il norvegese Jens Stoltenberg.

(Photo credits: Carina Johansen / NTB Scanpix / AFP)