Pnrr, Italia risale. Corte conti: Nel 2024 centrati tutti gli obiettivi, migliora spesa

La Corte dei conti certifica l’accelerazione dell’Italia sul Pnrr nel 2024. La magistratura contabile, infatti, approva la relazione semestrale al Parlamento sullo stato dell’arte e mette in fila alcuni dei dati principali sul Piano di ripresa e resilienza. Primo tra tutti quello sui target. Secondo i magistrati contabili “risultano tutti conseguiti i 39 obiettivi europei in scadenza al primo semestre 2024, raggiungendo così un tasso di avanzamento del 43% nel percorso complessivo” che fanno registrare un incremento di 6 punti rispetto al semestre precedente. Così come arriva all’88% la percentuale sugli step procedurali nazionali con finalità di monitoraggio interno.

Migliora anche la spesa, che allo scorso 30 settembre supera i 57,7 miliardi, dunque il 30% delle risorse del Pnrr e circa il 66% di quelle programmate entro l’anno. “L’incremento registrato nel corso dei primi 9 mesi del 2024 è di 12,6 miliardi, il 30% di quanto previsto per l’anno nel cronoprogramma finanziario e circa il 60% delle stime più contenute del DPB di ottobre”, sottolinea la Corte dei conti. Mentre “la procedura di rendicontazione della spesa si trova ancora in uno stadio iniziale” con tempi medi richiesti per l’approvazione dei primi rendiconti da parte delle Amministrazioni centrali titolari delle relative misure, che finora si attestano a circa tre mesi, “in prevalenza dovuti alle verifiche di tipo formale (circa 73 giorni) e per la quota restante ai controlli sostanziali esercitati su base campionaria (oltre 19 giorni)”, spiegano ancora i magistrati contabili. Aggiungendo comunque che le tempistiche allo stato sono “coerenti con le esigenze, da un lato di assicurare il rispetto dei principi di legalità e regolarità della spesa, dall’altro di consentire una celere erogazione di liquidità ai soggetti attuatori per l’ulteriore avanzamento delle iniziative”.

Anche sulle riforme il bilancio è positivo, visto che al 30 giugno 2024 risulta completato il percorso degli obiettivi europei “per il 63% delle 72 misure di riforma (a fronte del dato del 6% degli investimenti)”. Ma la quota “salirà al 66% con il conseguimento degli ulteriori 17 obiettivi europei associati a riforme del II semestre 2024”. L’analisi della Corte spiega che questo progresso “riguarda il complesso delle missioni: tutte presentano una quota di riforme completate superiore al 45%”. Resta, invece, “più contenuto l’avanzamento finanziario delle 7 riforme con dotazione di fondi”: al 30 settembre 2024 “rispetto al totale delle risorse associate, la spesa sostenuta si attesta al 4% (circa 278 milioni su 6,9 miliardi). In 3 casi su 7 la spesa sostenuta è stata pari a zero, mentre nei restanti casi il dato si è attestato a valori inferiori al 31%”.

E’ “sostanzialmente in linea con il cronoprogramma aggiornato” pure l’avanzamento dei 13 investimenti ferroviari, “con il conseguimento dei due target previsti nel semestre in corso lo stato di avanzamento si collocherà al 39%”, sottolinea la magistratura contabile. Mettendo in luce che “un tasso di attuazione simile emerge anche sul piano della spesa” che al 30 settembre 2024 “era pari a poco meno di 8,9 miliardi, circa il 39% della dotazione complessiva”. Il documento è approfondito: circa il 77% dei progetti avviati sono in fase di esecuzione lavori, l’11% è in attesa delle autorizzazioni o della progettazione, l’8% è in fase di aggiudicazione e stipula del contratto e solo il 4% è arrivato al collaudo. “Guardando alla data prevista di chiusura delle diverse fasi, circa il 20% dei progetti appare mostrare ritardi – proseguono i magistrati contabili -. L’esigenza di contrastare il divario infrastrutturale si riflette nell’articolazione territoriale dei progetti che, per il 48,2%, riguardano le Regioni del Sud e le isole. Tuttavia, se si rivolge l’attenzione alla distribuzione per importi, cresce fortemente il peso dei progetti dislocati al Nord (circa la metà delle dimensioni finanziarie complessive)”.

Corposo il capitolo sull’efficientamento energetico degli edifici. La Corte dei conti cita i dati ancora parziali dell’Enea, secondo i quali “è possibile stimare che gli obiettivi della misura, in termini di risparmio energetico e di emissioni di Co2, siano stati ampiamente superati”. Il problema sta nell’analisi costi-benefici, perché “restituisce un tempo di ritorno dell’investimento del Superbonus abbastanza elevato (circa 35 anni), non coerente con l’orizzonte di vita utile degli interventi incentivati”. Stessa lettura considerando “un costo per lo Stato al netto delle maggiori entrate fiscali generate dalla misura (circa 24 anni). Dati – viene sottolineato – che fanno guardare con favore alla scelta del Governo di rivedere, in netta riduzione, la portata agevolativa della misura”. Resta, sullo sfondo dei numeri in miglioramento, un unico nodo ancora irrisolto: l‘ammodernamento delle infrastrutture energetiche, che ha risorse per 5,5 miliardi. “Risulta attivata la ripartizione per 53 progetti, che segnano un grado di avvicinamento ai target assegnati pari al 5,7%”, segnalano i magistrati contabili. Spiegando, però, che questo valore ancora basso è frutto “del cronoprogramma del Piano che prevede la chiusura della fase di selezione dei progetti entro il 2024, per poi concentrarne la fase esecutiva nel biennio 2025-26”.

Pnrr, Parlamento Ue: “Stati devono ancora raggiungere 86% obiettivi”

Qualcosa è stato fatto, progressi si sono registrati. Ma la partita della doppia transizione va chiusa, con successo, entro il 2026 e c’è ancora molto da fare. Il 2024 deve essere l’anno in cui i Piani nazionali per la ripresa (Pnrr) conoscono un’accelerazione nella loro attuazione. Un obiettivo che in Parlamento europeo si incastona in un documento di lavoro che intende rinnovare attenzione e pressioni sui governi nazionali, responsabili delle riforme che richiedono sostenibilità e digitalizzazione.

Dati aggiornati all’8 gennaio 2024, “gli Stati membri dell’Ue hanno raggiunto il 15% degli obiettivi nell’ambito del pilastro transizione verde e il 13% di quelli nell’ambito del pilastro trasformazione digitale”, rileva il documento. “Il fatto che gli Stati membri debbano ancora raggiungere l’86% degli obiettivi dei Piani nazionali per la ripresa legati alla doppia transizione significa che sarà importante che l’attuazione del programma per la ripresa riprenda slancio, ora che la revisione della maggior parte dei piani è stata completata”. L’anno che si è appena aperto deve dunque essere quello della svolta. Svolta ‘green’, svolta tecnologica, svolta politica nella capacità di utilizzare fondi e mettere a terra le riforme su carta concordate. Un impegno che riguarda soprattutto l’Italia, secondo beneficiario dopo la Spagna per mole di contributi Ue da NextGenerationEU, il programma di ripresa post pandemico da 750 miliardi di euro, e il suo Recovery Fund (672,5 miliardi) che finanzia i Pnrr.

Il pieno utilizzo di tali risorse è tanto più rilevante ora dato che si prevede che il Recovery Fund “sarà un fattore chiave di investimento pubblico nell’Ue in tempi di politica monetaria più restrittiva, spazio di bilancio limitato degli Stati membri e rinnovata applicazione delle norme di bilancio dell’Ue”, viene sottolineato. Nel ribadire questo aspetto non si fa che tracciare una volta di più l’identikit dell’Italia, Paese con il secondo livello più alto di debito/Pil nell’Ue dopo la Grecia, Paese chiamato a ridurre spesa e disavanzi, e alle prese con i problemi legati al maggior costo degli interessi sui titoli di debito derivati dall’aumento dei tassi della Bce. E’ dunque per il governo Meloni, più di altri, il richiamo contenuto nel documento di lavoro del Parlamento Ue. Una sfida.

Del resto attenzione e sforzi per la doppia transizione non sono minimi. Al contrario. Considerando che tutto andrà chiuso entro il 2026, “sullo sfondo dell’enorme fabbisogno di investimenti in questi settori politici strategici, il 2024 segna una fase cruciale nell’implementazione di NextGenerationEU”. Anche perché nel 2024 si torna alle regole del patto di stabilità. Che piacciano o meno (questa è un’altra storia), i vincoli alla spesa pubblica ridurranno ancora meno i margini di manovra. Anche per questo bisognerà darsi da fare sul piano delle riforme e della corretta spesa dei fondi Ue.

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