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Clima, calano emissioni di CO2 in Cina: è la prima volta dopo la pandemia

Per la prima volta dalla fine della pandemia di Covid-19 e dalla conseguente ripresa economica, le emissioni di CO2 sono diminuite in Cina. Il calo di marzo è dovuto all’aumento della capacità di energia rinnovabile, che ha coperto la quasi totalità della crescita della domanda di elettricità in questo periodo, e anche al crollo dell’edilizia.
Se la capacità di energia rinnovabile continuerà a crescere a livelli record, le emissioni della Cina potrebbero raggiungere il picco nel 2023, secondo un’analisi di Lauri Myllyvirta del Centre for Energy and Clean Air Research (CREA).

In uno studio pubblicato sul sito specializzato Carbon Brief, il ricercatore indica che le emissioni di anidride carbonica della Cina sono diminuite del 3% nel marzo 2024 rispetto all’anno precedente. Nel primo trimestre, le emissioni sono ancora superiori a quelle dell’anno precedente, ma questo si spiega con una base di confronto ancora molto bassa nei mesi di gennaio e febbraio 2023, a seguito dell’abolizione delle restrizioni Covid-19 nel dicembre 2022. Marzo è “il primo mese a dare una chiara indicazione dell’andamento delle emissioni dopo il rimbalzo post-Covid”, secondo lo studio pubblicato martedì. È anche in linea con le proiezioni dello scorso anno e suggerisce alcune tendenze chiave.

Le emissioni del settore elettrico si sono stabilizzate grazie all’aumento della produzione di energia solare ed eolica, mentre la produzione di acciaio è diminuita dell’8% e quella di cemento del 22% rispetto all’anno precedente, riflettendo un rallentamento del settore edilizio che si prevede continuerà.

La crescente adozione di veicoli elettrici in Cina – il 10% delle auto in circolazione secondo i dati dei fornitori – continua a pesare sulla domanda di petrolio.

Sebbene la domanda di elettricità sia aumentata, in particolare a causa dell’acquisto di condizionatori d’aria, quasi il 90% di quella aggiuntiva a marzo è stata soddisfatta da fonti di energia rinnovabili, sottolinea Lauri Myllyvirta.

Nonostante la crescita della capacità, l’energia eolica e solare rappresentano ancora solo il 15% della produzione di elettricità in Cina e le autorità stanno lavorando per integrare maggiormente queste fonti nella rete.

La traiettoria delle emissioni in Cina rimane tuttavia incerta, con gli esperti che non riescono a stabilire se l’installazione di capacità di energia rinnovabile aumenterà o rallenterà in futuro. Secondo lo studio, inoltre, gli obiettivi governativi di crescita economica suggeriscono che Pechino potrebbe ancora registrare un aumento delle emissioni.

La Cina continua a investire nel carbone e, sebbene la crescita della capacità di carbone sia leggermente rallentata nel primo trimestre di quest’anno, un numero significativo di centrali elettriche è ancora in costruzione.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Dal Mar Rosso la crisi commerciale più grave dopo il Covid

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento dei transiti settimanali di navi commerciali nel Mar Rosso. Secondo l’analisi di Sea-Intelligence “le interruzioni delle spedizioni dovute agli attacchi dei ribelli Houthi nel Mar Rosso sono già più dannose rispetto alla pandemia”. Il Ceo di Sea-Intelligence, Alan Murphy, conferma che “il calo della capacità delle navi è il secondo più grande degli ultimi anni” e “l’unico evento con un impatto maggiore rispetto alla crisi del Mar Rosso fu dovuto al caso della ‘Ever Given’, la portacontainer rimasta bloccata nel Canale di Suez per sei giorni nel marzo 2021”.
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L’Europa verso l’Unione della Salute: i pilastri della strategia

Approccio comune di risposta alle emergenze sanitarie, più potere al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e all’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e rafforzamento della capacità di difesa dell’Unione Europea dalle minacce trans-frontaliere. Tre pilastri normativi e una nuova agenzia europea di risposta alle crisi sanitarie: è su queste basi che la Commissione europea sta rafforzando le competenze in materia sanitaria per dare vita a una nuova Unione della Salute, con l’obiettivo di creare un sistema comune di reazione alle crisi e più poteri all’Ue in materia di sanità. Da quando la pandemia da Covid-19 ha colpito l’Europa, Bruxelles ha avviato una profonda riflessione sulla necessità di rafforzare il ruolo dell’Ue in alcune materie in cui ha scarse o poche competenze rispetto agli Stati membri, come la salute.

In attesa di una più ampia riforma dei trattati dell’Ue (su cui i governi sono divisi), Bruxelles ha lanciato la strategia per l’Unione della Salute, e conta queste tre novità legislative importanti: il rafforzamento del mandato dell’EMA, quello dell’ECDC di Stoccolma per conferirgli più margine di manovra per raccogliere dati da parte degli Stati ed emettere raccomandazioni e una nuova proposta di legge per far fronte in maniera unitaria alle minacce sanitarie transfrontaliere. I tre pilastri normativi sono stati suggellati a settembre 2021 dalla nascita della nuova HERA, l’Autorità europea per la preparazione e la risposta alle emergenze sanitarie, la novità più importante nella riflessione di Bruxelles sulla sanità. HERA è il nucleo centrale della riflessione un’agenzia interna alla Commissione Europea, non sarà “indipendente” come l’EMA o l’ECDC che invece sono autorità indipendenti e meno “controllabili” da Bruxelles. Ha una cabina di regia e un comitato per le crisi (crisis board), in cui vengono coinvolti direttamente gli Stati membri, la presidente della Commissione europea e quattro commissari e a cui è stato invitato a partecipare anche un “osservatore” da parte del Parlamento europeo in qualità di autorità di bilancio (insieme al Consiglio).

L’autorità è tra attività di prevenzione (dove l’Ue ha dimostrato di essere molto carente) e risposta rapida. Una prima fase di “preparazione” ordinaria e quotidiana a eventuali crisi e minacce sanitarie, che si articola in un lavoro di routine a contatto con altre agenzie sanitarie nazionali e dell’Ue, l’industria e i partner internazionali, con valutazioni delle minacce e raccolta di informazioni, modelli per prevedere un focolaio, ricerca. Di fronte a un’emergenza sanitaria e minacce per la salute pubblica, invece, attraverso il comitato di crisi, HERA potrà passare rapidamente alle operazioni di emergenza, con un rapido processo decisionale e l’attivazione di misure di emergenza: potrà sbloccare nuovi finanziamenti di emergenza e lancerà azioni di monitoraggio, ma svolgerà anche il ruolo di centro di acquisto unico per lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di medicinali, vaccini, o altro materiale sanitario, che nella prima fase di pandemia scarseggiavano.

Balconi - Francia

‘Diritto al sole’ diventa obbligatorio: case solo con balconi a Rennes

Saranno stati la pandemia, l’isolamento sanitario, l’aumento dello smart working e il bisogno di una vita domestica più sostenibile, ma sta di fatto che l’area metropolitana di Rennes ha preso una decisione decisamente controcorrente. D’ora in avanti tutte le case di nuova costruzione dovranno avere un balcone o un terrazzo di almeno 4 metri quadri. Questo vincolo non si limita agli edifici privati: anche le residenze per studenti, anziani o ostelli per giovani lavoratori devono offrire uno spazio esterno, in questo caso fissato fissato a 3 metri quadri. Il cambiamento degli stili di vita dopo la pandemia, come spiega Laurence Besserve, vicepresidente di Rennes Metropole, è stato determinante nella scelta.

Ma c’è un altro motivo per cui i rappresentanti eletti della metropoli bretone (460.000 abitanti e 43 comuni) hanno deciso di fare il grande passo: le previsioni demografiche. “La popolazione invecchia: resteremo a casa il più a lungo possibile, quindi ci sarà bisogno di spazi interni ed esterni. Conosciamo tutti i benefici dello stare all’aperto“, spiega Besserve, che è anche sindaco di Betton, una cittadina in rapida espansione alle porte di Rennes. Tutta l’area, così come quella di molte altre città occidentali, devono rispondere a una forte impennata demografica, con una previsione di 533.000 abitanti entro il 2035 e la necessità di creare 65.000 nuovi alloggi.

Con la legge Clima e resilienza del 2021 in Francia e la prospettiva di net zero entro il 2050, “sempre più persone vivranno in forme urbane collettive e questo bisogno di spazio all’aperto sta diventando vitale“, sostiene Besserve. La decisione piace molto al mercato immobiliare. “L’esigenza di avere spazi esterni è stata espressa molto dai clienti negli ultimi tempi“, spiega Guillaume Loyer, del gruppo Giboire. Ovviamente questo nuovo standard porterà “necessariamente” un aumento dei prezzi e questo potrebbe rappresentare un problema.

Il sociologo Jean Viard, che da tempo sostiene il “diritto al sole“, accoglie con favore questa iniziativa in una zona “che è sempre stata all’avanguardia in termini di politiche di pianificazione regionale con il concetto di città arcipelago“. “Tutti vogliono poter mangiare al sole, avere una pianta e possibilmente un animale“, ha osservato l’autore di ‘La sacralità del tempo libero’, sottolineando che “molti anziani non escono mai di casa” e purtroppo non hanno più alcun legame con l’aria esterna.

Operatori della montagna: “Inizio stagione a livelli pre-Covid, pesa caro-energia”

Un inizio stagione da tutto esaurito con abbondanti nevicate e flussi turistici che ricordano il 2019. Ma i rincari, il costo dell’energia e la mancanza di personale pesano sul mondo della montagna, che spera di riprendersi dai due anni di pandemia. Un aiuto, in questo senso, è arrivato dal governo che ha inserito in manovra il fondo per la sicurezza degli impianti: si tratta di 200 milioni di euro fino al 2026 destinati soprattutto agli interventi manutentivi ma anche a investimenti legati all’efficientamento energetico e all’innovazione. “Una cifra mai vista che ci permette di guardare con un po’ più di ottimismo al 2023”, commenta Valeria Ghezzi, presidente dell’Anef, l’associazione nazionale esercenti funiviari che rappresenta il 90 percento del mercato, oltre a 1.500 impianti in tutto il Paese su Alpi e Appennini. Nei mesi scorsi gli operatori del settore avevano chiesto di essere inseriti tra le aziende energivore per affrontare il caro-energia e l’inflazione: un riconoscimento che non è arrivato nel dl aiuti quater ma in qualche modo compensato dall’istituzione del fondo pe impianti di risalita.
Nel frattempo, la stagione invernale è ufficialmente partita mercoledì 7 dicembre su tutto l’arco alpino con un grande afflusso di sciatori e turisti. “C’è stata una grande presenza in tutte le località – continua Ghezzi – giovedì, complice anche il bel tempo, sembrava di essere tornati ai livelli del 2019, con tutto esaurito e con le montagne imbiancate dalla neve dei giorni precedenti. Speriamo davvero che si possa continuare così ma tireremo le prime somme dopo le vacanze di Natale”.
Dolomiti Superski ha registrato un record storico per l’8 dicembre con 1,5 milioni di passaggi e 102.000 skipass venduti. Un numero mai raggiunto prima per la festività dell’Immacolata, nonostante l’aumento dei prezzi dovuti quest’anno al caro energia. Nell’ultima settimana il numero di skipass venduti supera del 2% quello dell’anno scorso.
Al momento, la neve caduta ha aiutato per un quarto, il resto è artificiale, quindi ‘sparata’ dagli impianti. “Si è parlato molto dell’aumento del prezzo degli skipass – spiegano dall’Anef – ma vogliamo ribadire che la filiera sta facendo i conti con il caro energia, con l’aumento dei costi dell’acciaio e del carburante, con l’impennata degli oneri di gestione per garantire la sicurezza degli sciatori. I prezzi degli skipass sono aumentati, in ragione dell’inflazione, ma solo una minima parte dei maggiori costi sostenuti dalle aziende verrà trasferito sui clienti. I ritocchi, infatti, non coprono neppure la singola voce degli aumenti energetici: in caso contrario avremmo dovuto aumentare le tariffe del 30%, mentre i rincari si situano tra il 5 e il 12%”.
Dopo un’ottima partenza lo sguardo è ora rivolto alle vacanze di Natale: la settimana dopo Capodanno sembra già essere presa d’assalto mentre ancora incerta resta quella a ridosso di Natale. “Abbiamo ancora margine, molto dipenderà anche dal meteo”, conclude Ghezzi.

Vaiolo scimmie

Crescono le ‘zoonosi’ e aumenta il rischio di nuove pandemie

Sars, Mers, Ebola, influenza aviaria, Zika, Covid-19, Hiv, vaiolo delle scimmie… Favorite dal nostro stile di vita, le zoonosi, ovvero le malattie trasmesse all’uomo dagli animali, si sono moltiplicate negli ultimi anni, facendo temere l’insorgere di nuove pandemie. “L’interfaccia tra uomini e animali è diventata piuttosto instabile“, ha allarmato qualche giorno fa il dottor Mike Ryan, responsabile delle emergenze dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). “I fattori di insorgenza e amplificazione delle malattie sono aumentati“, ha affermato. “Lo abbiamo appena visto con il vaiolo delle scimmie, ma non solo“, ha sottolineato.

Il vaiolo delle scimmie, causato da un virus trasmesso all’uomo da animali infetti – di solito roditori – è l’ultimo esempio della moltiplicazione di queste zoonosi. Si tratta di malattie infettive che gli animali vertebrati possono trasmettere all’uomo. Alcuni di loro finiscono addirittura per diventare specificamente umani, come Covid-19. Secondo l’Organizzazione mondiale per la salute animale, circa il 60% delle malattie emergenti è di origine zoonotica. Sono comparsi migliaia di anni fa, da quando l’uomo ha intensificato le interazioni con gli animali addomesticandoli, e la loro frequenza è aumentata notevolmente negli ultimi venti o trent’anni. La causa è “l’intensificazione degli spostamenti, che permette loro di diffondersi più rapidamente e in modo incontrollato“, ha dichiarato Marc Eloit, responsabile del Pathogen Discovery Laboratory dell’Istituto Pasteur.

Occupando aree sempre più vaste del pianeta, l’uomo contribuisce anche a sconvolgere l’ecosistema e a favorire la trasmissione di virus. L’intensificazione dell’allevamento in fabbrica aumenta il rischio di diffusione di agenti patogeni tra gli animali. Il commercio di animali selvatici aumenta anche l’esposizione umana ai microbi che possono trasportare. La deforestazione aumenta il rischio di contatto tra fauna selvatica, animali domestici e popolazioni umane. “Quando disboschiamo, riduciamo la biodiversità; perdiamo gli animali che regolano naturalmente i virus, il che consente loro di diffondersi più facilmente“, ha dichiarato Benjamin Roche, biologo dell’Institut de recherche pour le développement (Ird) e specialista in zoonosi.

Il cambiamento climatico spingerà anche molti animali a fuggire dai loro ecosistemi per raggiungere aree più abitabili, avverte uno studio pubblicato su Nature alla fine di aprile. Man mano che le specie si mescolano, si trasmetteranno reciprocamente più virus, favorendo la comparsa di nuove malattie potenzialmente trasmissibili all’uomo. “Abbiamo bisogno di migliorare la sorveglianza sia negli animali urbani che in quelli selvatici, in modo da poter identificare quando un agente patogeno si è trasferito da una specie all’altra“, ha dichiarato Gregory Albery, specialista di salute ambientale presso la Georgetown University negli Stati Uniti e coautore dello studio. “E se l’ospite ricevente è urbano o in prossimità di esseri umani, dovremmo essere particolarmente preoccupati“, ha aggiunto.

Lo studio delinea una futura ‘rete’ di virus che passano da una specie all’altra e che crescono con il riscaldamento del pianeta. “Ora disponiamo di mezzi di indagine facili e rapidi che ci permettono di reagire rapidamente in caso di comparsa di nuovi virus“, ha rassicurato Marc Eloit, dell’Istituto Pasteur. “Siamo anche in grado di sviluppare vaccini molto rapidamente“, come abbiamo visto con Covid-19. Ma “potrebbe emergere tutta una serie di nuove malattie potenzialmente pericolose. Dovremo essere pronti“, ha avvertito Eric Fèvre, professore specializzato in malattie infettive veterinarie presso l’Università di Liverpool e l’International Livestock Research Institute (Kenya). Ciò significa “concentrarsi sulla salute delle popolazioni negli ambienti più remoti e studiare meglio l’ecologia di queste aree naturali per capire come interagiscono le diverse specie“.