La sostenibilità dei trasporti marittimi: il 12 ottobre l’evento a Roma

‘Sostenibilità dei trasporti marittimi: il futuro dei porti e delle flotte navali’. E’ uno dei temi che verranno affrontati in uno dei panel dell’evento ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’, organizzato da Withub con la direzione editoriale di GEA, Eunews e Fondazione Art. 49, che si terrà all’Esperienza Europa David Sassoli di Roma il prossimo 12 ottobre.

Il trasporto marittimo sarà, appunto uno dei focus, come uno dei veicoli per la sostenibilità del settore. Il sistema portuale è il fulcro delle attività legate all’economia del mare del nostro Paese, uno degli snodi fondamentali dei commerci nazionali e internazionali, delle merci e della circolazione delle persone. Il trasporto marittimo rappresenta però anche una quota importante e crescente delle emissioni di gas a effetto serra prodotte nel nostro Paese e i porti, spesso inseriti in contesti densamente abitati, devono fronteggiare delle criticità in termini di accettazione da parte della cittadinanza che vive nelle aree su cui essi insistono. In particolare, i temi di maggiore conflitto riguardano l’inquinamento prodotto dalle navi ferme in banchina, il rumore, l’inquinamento e le vibrazioni prodotti dalle attività nell’area portuale e dalla movimentazione delle merci.

Secondo il rapporto ‘Porti verdi: la rotta per uno sviluppo sostenibile’, realizzato da Legambiente e Enel X, il trasporto marittimo rappresenta una quota importante e crescente di emissioni di gas a effetto serra. Le emissioni associate a questo settore sono stimate in 940 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, pari a circa il 2,5% delle emissioni globali di gas serra. Tali emissioni rischiano di aumentare in modo significativo se non saranno messe in atto rapidamente delle misure di mitigazione. Infatti, secondo uno studio dell’IMO, mantenendo invariata la situazione attuale, le emissioni del trasporto marittimo potrebbero aumentare tra il 50% e il 250% entro il 2050 e compromettere gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Inoltre, secondo i dati pubblicati dall’Agenzia Europea per l’Ambiente nel 2019, se si considerano le emissioni provenienti dall’intero settore dei trasporti, l’industria del trasporto marittimo è quella che ha le emissioni più elevate di particolato e ossidi di zolfo, oltre che una delle principali fonti di ossidi di azoto in Europa.

Secondo Legambiente e Enel X, per innescare un processo virtuoso, ci sono una serie di azioni a breve e medio termine da intraprendere. Fra gli interventi di breve termine c’è la finalizzazione del processo di definizione di una tariffa elettrica dedicata al cold ironing (l’insieme delle tecnologie per mezzo delle quali è possibile fornire energia alle imbarcazioni durante la sosta in porto, tramite una connessione elettrica con la terraferma, consentendo l’azzeramento di inquinamento e emissioni da parte delle imbarcazioni in porto); l’introduzione di schemi di finanziamento o cofinanziamento pubblico per accelerare la transizione del sistema portuale italiano verso la sostenibilità; l’identificazione di interventi prioritari sul sistema portuale per avviare il processo di elettrificazione. A medio termine, invece, è necessario promuovere la progressiva elettrificazione dei consumi portuali con fonti rinnovabili, sviluppare una roadmap nazionale che preveda l’elettrificazione per l’intero sistema portuale e sviluppare le infrastrutture ferroviarie nei porti e le interconnessioni con la rete al fine di favorire il trasporto elettrico e su ferro per lunghe e medie distanze.

Messina - Assarmatori

Messina: “Bene Piano Mattei, ok la transizione ma devono aiutarci”

Gli armatori sono pronti a impegnarsi a raggiungere una maggiore sostenibilità del settore. Ma serve uno sforzo anche da parte dell’industria di terra per quanto riguarda soprattutto la produzione, lo stoccaggio e la disponibilità dei carburanti alternativi. E’ quanto spiega a GEA Stefano Messina, presidente di Assarmatori, associazione che aderisce al sistema Conftrasporto.

Oggi l’Economia del Mare sembra essere tornata al centro del dibattito politico. Quali sono le vostre esigenze, e le eventuali richieste, rispetto anche alle sfide nate nell’ultimo anno? Penso all’impennata dei costi energetici e dei prezzi delle materie prime…
“È vero, negli ultimi mesi il nostro settore ha ritrovato la sua centralità anche nel dibattito politico così come presso l’opinione pubblica. Credo sia merito di due fattori. Il primo è che sia durante la pandemia sia a seguito del conflitto russo-ucraino, tutti, anche i non addetti ai lavori, si sono resi conto di quanto il trasporto marittimo sia un asset strategico. Il secondo fattore è politico, ovvero la creazione di un Ministero ad hoc e del CIPOM, Comitato Interministeriale per le Politiche del Mare. Le nostre esigenze spaziano in vari settori, anche se la priorità è rappresentata da una guida certa nel percorso verso la decarbonizzazione attraverso politiche mirate e non ideologizzate”

 Voi come Assarmatori avete da poco presentato, in collaborazione con Eni e Confitarma, un documento per la decarbonizzare del settore marittimo. Quali nodi ancora da sciogliere, a livello nazionale ma anche, e soprattutto, comunitario?
“Quel documento è uno dei tanti sforzi che, a più livelli, stiamo esercitando proprio nell’ottica di una maggiore sostenibilità ambientale. I nodi da scogliere sono anzitutto di carattere regolatorio. Penso a esempio al Carbon Intensity Indicator dell’International Maritime Organization: una norma voluta per contribuire alla decarbonizzazione ma che, così come è stata pensata, produrrà effetti controproducenti. Per questo stiamo insistendo su più fronti affinché venga modificata”

Quali investimenti occorre realizzare per una transizione energetica?
“Gli armatori sono pronti a fare quanto necessario in tal senso, e del resto lo hanno sempre fatto. Sia chiaro però che qualsiasi sforzo da parte nostra da solo non è sufficiente e può agevolare il cambiamento nella misura del 30%. La parte restante è affidata all’industria di terra per quanto riguarda la produzione, lo stoccaggio e la disponibilità dei carburanti alternativi”.

 Il governo di Giorgia Meloni ha più volte ribadito di fare dell’Italia un hub energetico europeo, il cosiddetto ‘Piano Mattei’. Quale ruolo per gli armatori?
“Di primo piano, pensiamo all’importanza delle navi-rigassificatore. Siamo convinti sostenitori del ‘Piano Mattei’ e siamo i protagonisti nello scambio di beni e servizi, i fornitori del Paese e della sua industria. Un patrimonio di conoscenze e infrastrutture mobili che è a servizio del Paese”.

Tra le diverse problematiche che avete riscontrato negli ultimi anni c’è quella del flagging out.
“Un fenomeno da tenere sotto costante osservazione. Quando sarà finalmente introdotto nel nostro ordinamento quanto l’Europa ci chiede dal 2017 e cioè l’estensione dei benefici previsti dal nostro regime di aiuti anche alle attività esercitate su navi che battono bandiere europee sarà ulteriormente difficile per gli armatori italiani non ascoltare le sirene degli altri registri europei. E attenzione, perché la scelta non ricade su bandiere ‘di comodo’: non si tratta di agevolazioni fiscali ma anche e specialmente della semplificazione del nostro apparato burocratico per renderlo maggiormente competitivo”.

Quale e come sarà, se possibile una previsione, il futuro delle flotte navali in termini di ‘sostenibilità’?
“È molto difficile formulare una previsione. Gli armatori guardano con interesse a tutte le possibili soluzioni: da un combustibile di transizione quale il gas naturale liquefatto al metanolo, che sta diventando sempre più presente negli order book. Serve però uno sforzo decisivo da parte dell’industria di terra, appunto: ci dicano quale carburante utilizzare, quale è il migliore, il meno inquinante, e noi ci faremo trovare pronti”.

L’obiettivo del G7: creare 14 corridoi marittimi verdi nel prossimo decennio

All’ultimo G7 dei Trasporti che si è svolto a giugno in Giappone – incentrato sulla sostenibilità e l’accessibilità – uno dei tempi più ‘caldi’ è stato quello dei Green Shipping Corridors, ovvero dei corridoi marittimi verdi. Meglio ancora: il processo di decarbonizzazione delle rotte merci via mare. Come è noto, in questo settore il percorso di abbattimento della Co2 è stato avviato ma procede ancora con eccessiva lentezza se è vero che in Europa il trasporto ‘via nave’ produce una quantità di gas serra (circa 140 milioni di tonnellate) non più compatibile con gli standard che si sono dati a Bruxelles. Di qui l’esigenza di identificare rotte marittime sostenibili da affrontare con navi che abbiano emissioni zero a livello di anidride carbonica, ‘collegate’ a infrastrutture e a una logistica le più sostenibili possibile. Un salto in avanti nel tempo, un balzo verso una dimensione che non a tutti è nota e non a tutti conviene. Però è facile immaginare che indietro non si torni.

L’obiettivo stabilito dal G7 giapponese è di creare almeno 14 corridoi verdi entro la metà del decennio, un piano che il viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Edoardo Rixi, ha definito impegnativo ma non impossibile da realizzare. Il vero obiettivo, però, è a più lungo termine: arrivare a zero emissioni nette di gas serra da parte del traffico mercantile entro il 2050, con traguardi intermedi nel 2030 e nel 2040. E’ scontato che si renderanno necessari investimenti anche ingenti per mettere a terra questa transizione che viene ormai considerata “ineludibile” da tutti gli stakeholder.

Comunque, primi passi in questa direzione sono già stati compiuti. A marzo, ad esempio, i porti di Los Angeles, Tokyo e Yokohama hanno firmato una lettera di intenti per dare vita a un corridoio decarbonizzato. Si legge nel testo che “il ministero giapponese condividerà le competenze e le migliori pratiche per ridurre l’inquinamento legato ai porti con l’Ufficio del Governatore per lo Sviluppo Economico e le Imprese (GO-Biz), il California Air Resources Board e la California Energy Commission”.
Il primo accordo in questa direzione risale però al gennaio 2022 quando il porto di Los Angeles, il porto di Shanghai e C40 Cities hanno annunciato una partnership tra città, porti, compagnie di navigazione e una rete di proprietari di merci per creare il primo corridoio marittimo verde al mondo: il corridoio di spedizione verde Los Angeles-Shanghai

VIDEO I collegamenti fra i maggiori porti italiani e l’infrastruttura nazionale

Trieste, Genova, Gioia Tauro, Livorno, Cagliari. I 5 maggiori porti italiani per flusso merci movimentano insieme oltre 200 mila tonnellate di prodotti l’anno. Ma quanto è semplice il collegamento dei porti con l’infrastruttura nazionale? La ferrovia è in media la più vicina, dagli 0,1 km di distanza fra il porto di Cagliari e la stazione più prossima, fino ai 4 km nel caso del porto di Gioia Tauro. Considerando gli aeroporti, il più vicino è Genova (0,4 km) ma si può arrivare fino ai 37 o 70 km nel caso di Trieste e Gioia Tauro. Mentre Genova, Livorno e Gioia Tauro rimangono entro il raggio di 10 km dal casello autostradale più vicino.

Il Green Deal europeo chiede di trasferire su ferrovia una parte dei trasporti interni di merce che oggi avviene su strada, ma oggi in Italia oltre il 75% dei trasporti interni di merce avviene su gomma: il 36,8% considerando i percorsi sotto i 300 km, il 39,7% per i tragitti più lunghi.

Secondo i dati elaborati nel 2021 da Isfort, il trasporto ferroviario è più frequente nei Paesi di piccole dimensioni e con bassi volumi di traffico complessivi. Nel caso di realtà con maggiori scambi commerciali e con numerosi poli produttivi e di consumo – se si considera la percentuale di spostamenti in Europa (quota modale) – l’Italia è dietro la Germania, ma davanti a Francia e Regno Unito.

 

Decarbonizzare i trasporti marittimi costa 3 trilioni di dollari. Si punta a idrogeno

Tre trilioni di dollari. A tanto ammontano gli investimenti necessari per arrivare alla totale decarbonizzazione dei trasporti marittimi. I tempi per la transizione green del settore, anche se si stanno facendo “importanti sforzi”, possono essere “lunghi e sono necessari enormi investimenti”. E’ quanto emerge dal decimo rapporto annuale ‘Italian Maritime Economy’ a cura di Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo).

Il trasporto marittimo, infatti, produce il 2,19% di CO2. Un valore “che non sembra particolarmente elevato” se non fosse per tre elementi essenziali, che “hanno la capacità di condizionare il mercato e trasformarlo“: lo shipping a livello mondiale trasporta il 90% delle merci, è un settore capital intensive i cui investimenti di lungo periodo condizionano il futuro ed è fortemente concentrato, per cui le azioni dei big player hanno la possibilità di orientare i mercati. Nel medio termine, per gli analisti, si può prevedere una progressiva sostituzione del Gnl con il biometano, ammoniaca e, a lungo termine, con l’idrogeno “perché più sostenibili e dal minor impatto ambientale”.

E anche se “non è ancora definita la scelta del carburante alternativo del futuro”, il settore marittimo è sulla strada giusta. A luglio 2023 le navi in cantiere con carburante Gnl rappresentano il 39% del portafoglio ordini; quelle a metanolo il 5,4%, a Lpg il 2,1% e quelle ad altri carburanti alternativi (idrogeno, etano, biofuel, batterie), il 2,8%. Inoltre il 7,7% dell’orderbook riguarda navi ammonia ready (pronte cioè ad utilizzare l’ammoniaca non appena la tecnologia lo consentirà).

L’individuazione del carburante alternativo, spiega il rapporto, “è determinante anche per i porti che già stanno realizzando investimenti in infrastrutture che potranno consentire il bunkeraggio”. Diventa questo “un vantaggio strategico perché in tal modo i porti saranno in grado di attrarre nuovi traffici”.

Attualmente sono 169 i porti attivi per il bunkeraggio di Gnl e 95 le strutture in progetto. La spinta verso la transizione ecologica e l’utilizzo di fonti alternative, è l’analisi del rapporto, “contribuirà in futuro a ridurre la domanda di prodotti petroliferi a vantaggio di forme green”. Per il nostro Paese molte delle iniziative “devono tener conto dell’attività dei porti che possono diventare dei veri e propri hub energetici per lo stoccaggio e la produzione di Gnl, biocarburanti, idrogeno”.

Si stimano 5 anni per fare dell’Italia il ponte Mediterraneo del gas attraverso 7 rigassificatori in prossimità dei porti e 5 gasdotti da sud volti a far transitare circa 50 miliardi di metri cubi di Gnl e fino a 90 miliardi di gas (a pieno regime) per un totale di 140 miliardi. Ma c’è un altro strumento “essenziale” per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, che è, secondo il rapporto, “la digitalizzazione del settore“.

Il World Economic Forum ha stimato l’impatto nei prossimi 10 anni dell’applicazione della tecnologia digitale nell’industria logistica che si può quantificare nella creazione di 2 milioni di occupati e nella riduzione delle emissioni di carbonio pari a 10 milioni di tonnellate. Il mercato globale della digitalizzazione marittima è stato valutato in 157,4 miliardi di dollari nel 2021 e si prevede che raggiungerà i 423,4 miliardi di dollari entro il 2031, con una crescita del 10,7% dal 2022 al 2031. È questo lo strumento, spiegano gli esperti, “per ottimizzare i risparmi e migliorare tempi e qualità”.

Passi “necessari” per consentire il salto in ottica green di un settore, quello della Blue Economy italiana, che nel 2021 ha superato i 52,4 miliardi di euro, crescendo di oltre 10 miliardi in 10 anni. Un valore di una volta e mezzo quello dell’agricoltura e quasi l’80% dell’edilizia, con una base imprenditoriale di oltre 228 mila aziende e una occupazione di 914mila addetti.

Decarbonizzare il trasporto marittimo costerà 3 trilioni di dollari. Ma la strada è tracciata

Tre trilioni di dollari. A tanto ammontano gli investimenti necessari ad arrivare alla totale decarbonizzazione dei trasporti marittimi. I tempi per la transizione green del settore, anche se si stanno facendo “importanti sforzi”, possono essere “lunghi e sono necessari enormi investimenti”. E’ quanto emerge dal decimo rapporto annuale ‘Italian Maritime Economy’ a cura di Srm (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo). Il trasporto marittimo, infatti, produce il 2,19% di CO2. Un valore “che non sembra particolarmente elevato se non fosse per tre elementi essenziali, che hanno la capacità di condizionare il mercato e trasformarlo: lo shipping a livello mondiale trasporta il 90% delle merci, è un settore capital intensive i cui investimenti di lungo periodo condizionano il futuro ed è fortemente concentrato, per cui le azioni dei big player hanno la possibilità di orientare i mercati”.

I CARBURANTI DEL FUTURO. Nel medio termine, per gli analisti, si può prevedere una progressiva sostituzione del Gnl con il biometano, ammoniaca e, a lungo termine, l’idrogeno “perché più sostenibili e dal minor impatto ambientale”. E anche se “non è ancora definita la scelta del carburante alternativo del futuro”, il settore marittimo è sulla strada giusta.

A luglio 2023 le navi in ordine (in termini di GT) con carburante Gnl rappresentano il 39% del portafoglio ordini; quelle a metanolo il 5,4%; a Lpg il 2,1%; ad altri carburanti alternativi (idrogeno, etano, biofuel, batterie), il 2,8%. Inoltre il 7,7% dell’orderbook riguarda navi ammonia ready (pronte cioè ad utilizzare l’ammoniaca non appena la tecnologia lo consentirà). L’individuazione del carburante alternativo, spiega il rapporto, “è determinante anche per i porti che già stanno realizzando investimenti in infrastrutture che potranno consentire il bunkeraggio”. Diventa questo “un vantaggio strategico perché in tal modo i porti saranno in grado di attrarre nuovi traffici”. Attualmente sono 169 i porti attivi per il bunkeraggio di Ggn (e 95 le strutture in progetto).

IN CINQUE ANNI ITALIA HUB MEDITERRANEO DEL GAS. La spinta verso la transizione ecologica e l’utilizzo di fonti alternative, è l’analisi del rapporto, “contribuirà in futuro a ridurre la domanda di prodotti petroliferi a vantaggio di forme green”. Per il nostro paese molte delle iniziative “devono tener conto dell’attività dei porti che possono diventare dei veri e propri “hub energetici” per lo stoccaggio e/o produzione di Gnl, biocarburanti, idrogeno”.  Si stimano 5 anni per fare dell’Italia il ponte Mediterraneo del gas attraverso 7 rigassificatori in prossimità dei porti e 5 gasdotti da sud volti a far transitare circa 50 miliardi di metri cubi di GNL e fino a 90 miliardi di gas (a pieno regime) per un totale di 140 mld.

LA DIGITALIZZAZIONE DEL SETTORE. Ma c’è un altro strumento “essenziale” per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità, che è, secondo il rapporto, la digitalizzazione del settore“. Il World Economic Forum ha stimato l’impatto nei prossimi 10 anni dell’applicazione della tecnologia digitale nell’industria logistica che si può quantificare nella creazione di 2 milioni di occupati e nella riduzione delle emissioni di carbonio pari a 10 milioni di tonnellate. Il mercato globale della digitalizzazione marittima è stato valutato in 157,4 miliardi di dollari nel 2021 e si prevede che raggiungerà i 423,4 miliardi di dollari entro il 2031, con una crescita del 10,7% dal 2022 al 2031. È questo lo strumento, spiegano gli esperti, “per ottimizzare i risparmi e migliorare tempi e qualità”.

Draghi sente Putin: “Ho chiesto lo sblocco del grano ucraino. Spiragli per la pace? Nessuno”

Il presidente del Consiglio Mario Draghi prova a fare da ‘ponte’ fra Putin e Zelensky. Un ruolo difficile, che potrebbe portare a un nulla di fatto. Ma la gravità della crisi umanitaria lo spinge comunque a fare un tentativo. In primis, per sbloccare il grano che si trova nei depositi in Ucraina. Perché “la crisi alimentare che sta avvicinandosi, in alcuni Paesi dell’Africa è purtroppo già presente, avrà proporzioni gigantesche e conseguenze umanitarie terribili”. Draghi aspetta fine giornata per fare il punto della situazione, dopo avere sentito telefonicamente Putin nel pomeriggio, durante una conferenza stampa densa di argomenti: dagli esiti del Consiglio dei ministri sull’andamento del Pnrr, passando per l’incontro con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, fino, appunto, al colloquio con il presidente della Federazione russa.

E se per il presidente del Consiglio il tentativo di fare da intermediario era doveroso, proprio per la “gravità della crisi umanitaria che può toccare i più poveri”, è lui per primo a sapere di non avere “alcuna certezza che vada a buon fine”. Per ora, però, c’è un cauto ottimismo, visto che da Putin “c’è stata effettivamente una disponibilità a procedere” nella verifica della possibilità di un accordo tra Mosca e Kiev per lo sblocco dei porti ucraini in cui sono bloccate le navi con i carichi di grano pronti a partire verso il resto del mondo. Anche se il presidente russo non ha mancato di sottolineare che “la crisi alimentare è colpa delle sanzioni, perché la Russia non può esportare il grano”. Il prossimo passo sarà una telefonata di Draghi al presidente ucraino Zelensky, per vedere se c’è un’analoga disponibilità a procedere con il dialogo su questo tema.

Secondo Draghi, in ogni caso, la prima iniziativa esplorabile “è vedere se si può costruire una possibile collaborazione tra Russia e Ucraina sullo sblocco dei porti sul Mar Nero, dove sono depositati questi molti milioni di quintali di grano”. Insufficiente, per Putin, perché i fabbisogni sono molti di più. Ma per l’inquilino di Palazzo Chigi sarebbe già qualcosa: “Ho risposto di sbloccare almeno questo, altrimenti il rischio è che marcisca tutto questo deposito di grano. Per Putin sono bloccati perché minati dagli ucraini per impedire alle navi russe di attaccarli. La collaborazione deve essere quella, da un lato di sminare i porti, dall’altra garantire che non vengano attacchi durante lo sminamento. Non abbiamo parlato a lungo delle garanzie, perché non è ancora detto che le cose vadano avanti”.

La telefonata è stata anche l’occasione di parlare delle forniture di gas. Su questo fronte, Putin ha confermato la determinazione da parte di Mosca “a garantire l’approvvigionamento ininterrotto di gas naturale all’Italia, ai prezzi concordati nei contratti”. Se, quindi, su grano e sicurezza energetica sembrano aprirsi dei piccoli sprazzi di positività, sul fronte della pace l’impressione di Draghi è tranchant: “Ho visto spiragli? No, nessuno”.