I più poveri pagheranno il prezzo più alto del cambiamento climatico

Le persone più povere sono quelle che subiranno i più gravi impatti economici dei cambiamenti climatici: a livello globale, per un aumento dell’1% di reddito, i costi dei danni climatici diminuiscono dello 0,4%. Un nuovo studio, condotto interamente da ricercatori del Cmcc, fornisce una visione approfondita sui danni economici causati dai cambiamenti climatici e le disuguaglianze nella distribuzione degli impatti tra e all’interno dei paesi. I risultati evidenziano la necessità di considerare le differenze di adattamento e le conseguenze distributive nelle politiche climatiche.

È ampiamente riconosciuto dalla comunità scientifica che il cambiamento climatico impatta società ed economie in tutto il mondo e che questi effetti negativi andranno incrementando man mano che il mondo continuerà a riscaldarsi. In uno dei primi studi del suo genere, la nuova del Cmcc ricerca quantifica come gli impatti del cambiamento climatico variano tra diversi gruppi di reddito all’interno dei paesi su scala globale.

Lo studio introduce un nuovo metodo per stimare l’elasticità del reddito degli impatti climatici, fornendo input cruciali per l’analisi delle politiche climatiche. Questa analisi è stata possibile combinando più modelli di impatto climatico con dati dettagliati sulla distribuzione del reddito, che insieme offrono una visione più completa delle potenziali disuguaglianze future.

Condotto interamente da un team di quattro ricercatori del Cmcc, lo studio rivela che secondo le previsioni gli individui più poveri all’interno dei paesi subiscono gli impatti economici più gravi del cambiamento climatico. “La nostra ricerca rivela che il cambiamento climatico non è solo una questione globale, ma anche profondamente locale. Abbiamo scoperto che all’interno di ogni paese, sono spesso i più poveri a essere i più vulnerabili agli impatti climatici. Questo sottolinea l’urgente necessità di politiche climatiche che non solo riducano le emissioni, ma affrontano anche queste potenziali disuguaglianze”, spiega Johannes Emmerling, senior scientist al Cmcc.

In particolare, abbiamo scoperto che il grande impatto sul Pil, confermato anche in altri studi recenti, ammonta ad una media di quasi zero per il 10% delle persone più ricche all’interno dei paesi. Questo avviene perché le famiglie più ricche hanno un maggior numero di alternative a disposizione in termini di assicurazione e adattamento”, aggiunge Emmerling.

A livello globale, lo studio mostra come per ogni aumento dell’1% del reddito, i danni climatici diminuiscono di circa lo 0,4% (cioè, un’elasticità dello 0,6), indicando che i danni ricadono in modo sproporzionato sui poveri. Inoltre, la vulnerabilità alle temperature crescenti diminuisce tra i gruppi di reddito all’interno dei Paesi e, entro il 2100, il cambiamento climatico potrebbe aumentare l’indice di Gini (una misura della disuguaglianza) fino a 6 punti in alcuni paesi, in particolare nell’Africa subsahariana e nel Medio Oriente.

È cruciale considerare i gap di adattamento e gli effetti distributivi quando si progettano strategie di adattamento e mitigazione climatica”, conclude Francesco Granella, co-autore dello studio e ricercatore postdoc al Cmcc.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Il rischio di povertà in Italia: Regioni del Sud ai primi posti

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, gli indicatori di povertà o esclusione sociale per regione. Secondo Istat, nel 2023, il 22,8% della popolazione era a rischio di povertà o esclusione sociale: valore in calo rispetto al 2022 (24,4%) a fronte di una riduzione della quota di popolazione a rischio di povertà, che si attesta al 18,9% (da 20,1% dell’anno precedente). Rispetto al 2022 si osserva un aumento delle condizioni di grave deprivazione (la quota era del 4,5%) in particolare al Centro e al Sud e nelle Isole. A livello regionale, si osserva una riduzione del rischio di povertà o esclusione sociale in particolare in Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, e Campania, dovuto alla diminuzione di tutti e tre gli indicatori (rischio di povertà, grave deprivazione e bassa intensità di lavoro). Inoltre, il rischio di povertà o esclusione sociale diminuisce in Lombardia con una riduzione marcata degli individui in famiglie a bassa intensità di lavoro ma con un aumento della grave deprivazione. In Calabria, invece, peggiorano i tre indicatori e aumenta soprattutto la grave deprivazione.

Record storico famiglie in povertà assoluta: cresce al Nord. Inflazione spinge spesa

Sono 5,7 milioni gli italiani in povertà assoluta nel 2023, pari all’8,5% delle famiglie residenti. Un aumento rispetto al 2022 (8,3%), toccando così il massimo storico. È quanto mette in evidenza l’Istat nelle sue stime preliminari che mettono in luce un peggioramento rispetto al 2022 della condizione delle famiglie che hanno come persona di riferimento un lavoratore dipendente: l’incidenza di povertà assoluta raggiunge il 9,1%, dall’8,3% del 2022, e riguarda oltre 944mila famiglie. A pesare sulle famiglie è anche l’inflazione che spinge la spesa: la spesa media delle famiglie è cresciuta da 2.519 a 2.728 euro mensili, con un aumento in valori correnti dell’8,3%.
In generale, secondo l’Istat, la presenza di figli minori continua a essere un fattore che espone maggiormente le famiglie al disagio nel 2023, e dunque l’incidenza di povertà assoluta si conferma più marcata per le famiglie con almeno un figlio minore (12%), mentre per quelle con anziani si attesta al 6,4%. I minori che appartengono a famiglie in povertà assoluta, nel 2023, sono pari a 1,3 milioni.

Nel Nord, dove le persone povere sono quasi 136mila in più rispetto al 2022, l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare è sostanzialmente stabile (8,0%), mentre si osserva una crescita dell’incidenza individuale (9,0%, dall’8,5% del 2022). Il Mezzogiorno mostra anch’esso valori stabili e più elevati delle altre ripartizioni (10,3%, dal 10,7 del 2022), anche a livello individuale (12,1%, dal 12,7% del 2022). Rispetto al 2022, le incidenze di povertà sono stabili tra i giovani di 18-34 anni (11,9%) e tra gli over65 (6,2%), che restano la fascia di popolazione a minore disagio economico.

In totale, secondo la Coldiretti sulla base dei dati del Fondo per l’aiuto europeo agli indigenti (Fead), sono 3,1 milioni le persone che in Italia sono costrette a chiedere aiuto per mangiare facendo ricorso alle mense per i poveri o ai pacchi alimentari. L’emergenza riguarda ben 630mila bambini sotto i 15 anni – rileva Coldiretti -, praticamente un quinto del totale degli assistiti, ai quali vanno aggiunti 356 mila anziani sopra i 65 anni.

Per Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori si tratta di “dati drammatici e vergognosi, non degni di un Paese civile”. “Un dato che dipende in primo luogo dal caro bollette e dall’inflazione che hanno fatto decollare i prezzi di beni necessari ed essenziali, dalla pasta all’olio, dal riso al latte, rincari contro i quali il Governo Meloni non solo non ha fatto nulla, inventandosi solo la sceneggiata del Trimestre Anti-inflazione, ma ha peggiorato le cose, togliendo gli sconti su luce, gas e carburanti sia alle famiglie che alle imprese”, spiega. Secondo il presidente del Codacons Carlo Rienzi “le misure attuate dal Governo per mitigare gli effetti dell’inflazione, a partire dal paniere salva-spesa, non hanno prodotto gli effetti sperati”. Per questo, i rincari “vanno contrastati con misure efficaci e strutturali e non con provvedimenti spot inadeguati a tutelare le tasche delle famiglie”, conclude Rienzi.

Per quanto riguarda la spesa delle famiglie, il dato cresce in termini correnti del 3,9% rispetto all’anno precedente. In termini reali invece si riduce dell’1,8% per effetto dell’inflazione (+5,9% la variazione su base annua dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo), senza particolari differenze tra le famiglie più o meno abbienti. L’aumento è stato più accentuato nel Mezzogiorno (+14,3%), dove la spesa è salita da 1.955 a 2.234 euro mensili, e nel Centro (+11,4%), dove è cresciuta da 2.651 a 2.953 euro mensili. Nel Nord, invece, l’incremento è stato del 4,5% (dai 2.837 euro mensili del 2014 ai 2.965 del 2023), ben al di sotto del dato nazionale. Al netto dell’inflazione, nel 2023, la spesa delle famiglie diminuisce in termini reali del 10,5% rispetto al 2014.