Auto, produzione Gb torna indietro di 76 anni. In Francia -75mila posti entro il 2035

Battuta d’arresto storica per l’industria automobilistica britannica. Secondo gli ultimi dati pubblicati oggi dalla Society of Motor Manufacturers and Traders (Smmt), l’associazione nazionale dell’automotive, la produzione di auto e veicoli commerciali nel Regno Unito è diminuita per il quinto mese consecutivo a maggio, con un calo del 32,8% a 49.810 unità.

Escludendo il 2020, con i lockdown delle fabbriche dovuti al Covid, a maggio si è registrato il risultato mensile più basso dal 1949. Da inizio anno, la produzione totale è in calo del 12,9% rispetto al 2024, attestandosi a 348.226 unità, il livello più basso dal 1953. A maggio la produzione è diminuita per il quinto mese consecutivo, con un calo del 32,8% a 49.810 unità. Il solo settore auto (dunque esclusi veicoli commerciali) è diminuito del 31,5%, principalmente a causa dei continui cambi di modello, delle ristrutturazioni aziendali e dell’impatto dei dazi statunitensi, con 47.723 unità uscite dagli stabilimenti. Anche la produzione di veicoli commerciali ha subito un forte calo, del 53,6%, attestandosi a 2.087 unità, poiché la chiusura di uno degli stabilimenti di veicoli commerciali del Regno Unito continua a influire nel confronto con l’anno scorso.

La produzione di auto destinate all’esportazione è diminuita del -27,8%, sebbene un calo del -42,1% della produzione per il mercato interno più piccolo abbia comportato una maggiore quota di produzione destinata alle esportazioni, fino al 78,5%. Le spedizioni verso l’Ue e gli Stati Uniti, i due mercati più grandi del Regno Unito, sono diminuite rispettivamente del -22,5% e del -55,4%, con la quota di esportazioni degli Stati Uniti in calo dal 18,2% all’11,3%. Secondo la Smmt, ciò è dovuto principalmente all’imposizione da parte dell’amministrazione statunitense di dazi supplementari del 25% a partire da marzo, che hanno depresso immediatamente la domanda, costringendo molti produttori a interrompere le spedizioni. “Tuttavia, con l’accordo commerciale negoziato dal governo che dovrebbe entrare in vigore entro la fine di giugno, si spera che questo dovrebbe essere un ostacolo di breve durata”, spiega una nota dell’associazione dell’industria auto.

Sono stati registrati cali anche nelle esportazioni verso Cina e Turchia, rispettivamente dell’11,5% e del -51%. Anche i volumi di esportazione di furgoni, autobus, pullman, taxi e camion sono diminuiti a maggio, con un calo del 71,7% su base annua. L’Ue è rimasta in modo schiacciante il principale cliente del settore, rappresentando il 94,7% delle esportazioni, sebbene i volumi siano diminuiti del 72,1%. Di conseguenza, la quota di esportazione della produzione complessiva di veicoli commerciali è scesa dal 67,9% al 41,4%, con il mercato interno ora la destinazione principale della produzione di veicoli commerciali del Regno Unito. In generale, l’industria automotive europea sembra procedere con il proverbiale freno a mano. Gli ultimi dati dalla Spagna, diffusi dall’Anfac, parlavano di un -11,7% della produzione a maggio e un calo delle esportazioni del 17% proprio per la “scarsa domanda dai mercati europei”. Esclusa l’Italia, con i dati su maggio attesi nei prossimi giorni, a maggio l’unica economia che vantava numeri positivi era quella tedesca: 363.600 unità prodotte a maggio, ovvero +19% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente e +4% da inizio 2025 (1,8 milioni di auto) con 283.700 auto esportate, +9% rispetto al 2024. Nubi si addensano anche sopra gli stabilimenti francesi. Il settore automobilistico potrebbe infatti perdere circa 75.000 posti di lavoro nei prossimi 10 anni, pari a una perdita di oltre il 22% della forza lavoro, ad un tasso medio annuo del 2,5%. Ciò rappresenta una perdita lorda prevista di circa 114.000 posti di lavoro entro il 2035 a partire dal 2020, con una riduzione della forza lavoro di quasi un terzo, da circa 375.000 posti di lavoro nell’industria nel 2019 a circa 260.000 entro il 2035. Le perdite nette in 10 anni sono distribuite all’interno di tutti i segmenti dell’automotive: -20.300 posti di lavoro tra i produttori, -19.140 tra i produttori di apparecchiature, -16.230 tra i fornitori. Secondo uno studio commissionato all’istituto Xerfi dalla Pfa, l’associazione francese dell’automotive, le perdite di posti di lavoro “verrebbero compensate nella migliore delle ipotesi dalla creazione di circa 19.000 posti di lavoro nel settore delle batterie e dell’idrogeno”, il che rappresenterebbe una perdita netta di quasi 56.000 posti di lavoro entro 10 anni.

Dazi, case automobilistiche americane deluse da accordo Londra-Washington

L’Associazione dei costruttori automobilistici americani (AAPC), che rappresenta i tre gruppi storici Ford, General Motors e Stellantis (Chrysler, Jeep, ecc.), ha espresso la propria delusione per l’accordo commerciale annunciato ieri tra Londra e Washington.

L’industria automobilistica americana è strettamente legata al Canada e al Messico, cosa che non avviene tra gli Stati Uniti e il Regno Unito”, osserva Matt Blunt, presidente dell’AAPC, in un comunicato. “Siamo delusi che l’amministrazione abbia dato la priorità al Regno Unito piuttosto che ai partner”, ovvero il Canada e il Messico con cui Washington ha un accordo di libero scambio (ACEUM), ha proseguito.

L’ACEUM, concluso nel 2018 da Donald Trump durante il suo primo mandato presidenziale, è in vigore dal luglio 2020. Ieri Londra e Washington hanno presentato un accordo commerciale definito “storico”. Consente al Regno Unito di sfuggire alla maggior parte dei dazi americani sulle automobili e apre maggiormente il mercato britannico ai prodotti agricoli americani.

Le esportazioni britanniche erano state prese di mira dall’offensiva protezionistica di Donald Trump (+25% su acciaio, alluminio e automobili, +10% sul resto dei prodotti), come gli altri paesi (ad eccezione della Cina, soggetta a tasse più pesanti). I dazi doganali sulle automobili britanniche sono stati “immediatamente” ridotti, passando dal 27,5% – somma del dazio aggiuntivo del 25% e dei dazi doganali precedenti – al 10% per una quota annuale di 100.000 automobili. Secondo Downing Street, ciò corrisponde “quasi” al numero di veicoli esportati nel 2024 dal Regno Unito agli Stati Uniti. “In virtù di questo accordo, sarà ora meno costoso importare un veicolo britannico contenente pochissimi componenti americani rispetto a un veicolo fabbricato in Canada o in Messico nell’ambito del CUSMA con metà dei pezzi di ricambio americani”, afferma Blunt. Questa situazione “danneggerà le case automobilistiche americane, i fornitori e i dipendenti dell’industria automobilistica”, sottolinea, auspicando che questo “accesso preferenziale a scapito dei veicoli nordamericani non costituisca un precedente per i negoziati con i concorrenti asiatici ed europei”.

Incendio all’aeroporto di Heathrow, oltre 1300 voli cancellati. Danni per oltre 60 mln

Un enorme incendio in una vicina centrale elettrica ha scatenato quello che gli addetti ai lavori già hanno chiamato “un incubo per l’aviazione civile”: la chiusura per quasi tutta la giornata di venerdì 21 marzo dell’aeroporto londinese di Heathrow, il più grande d’Europa e il quinto del mondo per passeggeri. La causa? Un rogo che si è scatenato la scorsa notte nella centrale elettrica di Hayes, alla periferia occidentale della capitale britannica. La chiusura dello scalo fino alla serata, in cui sono ripresi i primi voli, ha scatenato il caos nei trasporti di tutto il mondo, e non solo nei cieli inglesi.

“Ci auguriamo di poter riprendere le operazioni a pieno regime domani”, ha affermato un portavoce, aggiungendo che i primi voli di questa sera saranno “voli di rimpatrio” per “i passeggeri che sono stati dirottati verso altri aeroporti europei”. Anche la British Airways ha annunciato in una nota di aver ricevuto l’autorizzazione a operare otto voli a lungo raggio a partire dalle 20 di questa sera, tra cui quelli diretti a Singapore e in Sudafrica.

Heathrow, uno degli aeroporti più trafficati al mondo, che serve 80 paesi, è rimasto chiuso dopo un’interruzione di corrente causata da un incendio scoppiato nella notte tra giovedì e venerdì presso la stazione di trasformazione di Hayes, un sobborgo nella zona ovest di Londra che serve l’aeroporto. Le cause dello spaventoso incendio, che ha lasciato altre 16mila abitazioni senza luce, non sono ancora chiare. I vigili del fuoco di Londra sono riusciti a spegnere le fiamme dopo diverse ore.

Oggi sarebbero dovuti atterrare o decollare circa 1.350 aerei, con una capienza di circa 290mila passeggeri, e la chiusura ha innescato una reazione a catena nel traffico aereo mondiale, con molti voli cancellati o dirottati. L’unità antiterrorismo della polizia di Londra è stata coinvolta per indagare sull’incidente, data la sua ubicazione e il suo “impatto sulle infrastrutture nazionali critiche”. Ma ha affermato di non aver visto alcun segno di un atto intenzionale in queste prime fasi dell’inchiesta. I disagi sono stati evidenti sin dalle prime ore del mattino. Diversi voli intercontinentali appena partiti con destinazione Heathrow sono tornati alla base, molti altri già in arrivo sono stati dirottati in altri aeroporti della capitale come Gatwick e Stansted, ma hanno questi capacità decisamente ridotta rispetto al massimo scalo londinese. Oppure, sono stati costretti ad atterrare addirittura in altri Paesi, come Irlanda, Francia o Germania. Tutti le altre centinaia di voli saranno molto probabilmente cancellati, causando notevoli disagi per almeno 250mila passeggeri in tutto il mondo.

Nel primo pomeriggio, il gestore della rete elettrica National Grid ha annunciato di aver implementato una “soluzione provvisoria” per ripristinare “la capacità di alimentare le aree dell’aeroporto di Heathrow collegate” all’infrastruttura danneggiata. Dal canto suo, l’ente gestore dell’aeroporto, Heathrow Airport Holdings, ha segnalato una “significativa interruzione di corrente” nella notte tra giovedì e venerdì e ha annunciato la chiusura dell’aeroporto “fino a mezzanotte”. Il gruppo ha affermato che si aspetta “gravi disagi” al traffico anche nei prossimi giorni.

L’aeroporto è dotato di diverse fonti di energia elettrica per la sua alimentazione, nonché di generatori di emergenza. Ma, secondo il gestore, questi sistemi non sono progettati per garantire il pieno funzionamento dell’infrastruttura. Questo incidente dimostra quanto “Heathrow sia estremamente vulnerabile e dobbiamo quindi imparare da esso”, ha sottolineato il Segretario all’Energia Ed Miliband. “Ci si chiede come sia potuto accadere questo incidente e quali misure debbano essere adottate per impedire che i disordini diffusi a cui abbiamo assistito si ripetano”, ha affermato un portavoce del Primo Ministro Keir Starmer. “Come è possibile che un’infrastruttura strategica (…) dipenda totalmente da un’unica fonte di energia elettrica, senza alternative? Se così fosse, come sembra, si tratterebbe di un chiaro fallimento organizzativo da parte dell’aeroporto“, ha denunciato su X il direttore generale dell’International Air Transport Association (IATA), Willie Walsh, ex capo della compagnia aerea British Airways.

Il costo della chiusura di Heathrow per l’aeroporto e le compagnie aeree “supererà sicuramente i 50 milioni di sterline (59 milioni di euro)”, secondo le stime del consulente aeronautico Philip Butterworth-Hayes. L’aeroporto di Gatwick, a sud di Londra, ha accettato voli dirottati, creando ulteriori difficoltà per chi effettua coincidenze. Costruito nel 1946, Heathrow è il più grande dei cinque aeroporti che servono la capitale britannica. A gennaio ha ricevuto il via libera del governo per costruire una terza pista entro il 2035.

La fine di un’era: il Regno Unito chiude la sua ultima centrale a carbone

Ha chiuso lunedì ufficialmente l’ultima centrale elettrica a carbone del Regno Unito, segnando la prima volta che un Paese del G7 smette di usare il carbone per generare elettricità. La chiusura dell’impianto, inaugurato nel 1967, è un passo simbolico nell’ambizione di Londra di decarbonizzare completamente l’elettricità entro il 2030, per poi raggiungere la neutralità di carbonio entro il 2050. Il Regno Unito diventa così il primo Paese del G7 a fare a meno del combustibile: l’Italia si è posta come obiettivo il 2025, la Francia il 2027, il Canada il 2030 e la Germania il 2038. Giappone e Stati Uniti non hanno una data precisa. Questa chiusura “segna la fine di un’epoca” ma inaugura anche “una nuova era” che incoraggerà la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore energetico, promette il governo britannico in un comunicato stampa, che quest’estate ha lanciato un piano energetico verde.

La centrale, situata a Ratcliffe-on-Soar, tra Derby e Nottingham, nel cuore dell’Inghilterra, sarà completamente smantellata “entro la fine del decennio”, secondo la società energetica tedesca Uniper, sua proprietaria, prima della creazione di un “cluster energetico e tecnologico a zero emissioni” sul sito. Il carbone ha contribuito in modo determinante alla crescita economica del Regno Unito dal XIX secolo fino agli anni Novanta. Negli anni ’80, questa forma di energia estremamente inquinante rappresentava ancora quasi il 70% dell’elettricità del Regno Unito. Prima di un calo spettacolare: 38% nel 2013, 5% nel 2018 e 1% l’anno scorso. Per liberarsene, i britannici hanno compensato con il gas naturale, un combustibile fossile presentato come meno inquinante e che nel 2023 sarà utilizzato per produrre un terzo dell’elettricità. Un quarto proviene dall’energia eolica, una percentuale significativa. L’energia nucleare rappresenta circa il 13%.

Questo cambiamento si spiega in particolare con una politica proattiva, con normative severe a partire dagli anni ’90 a causa dell’inquinamento, e con la fine dell’economia manifatturiera, che ha ridotto l’importanza del carbone. “Il posto del carbone è ormai nei libri di storia”, afferma Tony Bosworth dell’ONG Friends of the Earth. “La priorità è ora quella di abbandonare il gas sviluppando il più rapidamente possibile l’enorme potenziale di energia rinnovabile del Regno Unito”. “La Gran Bretagna ha dato un esempio da seguire per il resto del mondo”, ha dichiarato Doug Parr di Greenpeace UK.

Come parte del suo piano per l’energia verde, Londra intende creare una società pubblica, la Great British Energy, con sede ad Aberdeen, nella Scozia orientale, per investire in turbine eoliche galleggianti, energia dalle maree ed energia nucleare. Nella stessa ottica, il governo britannico ha recentemente nazionalizzato per 630 milioni di sterline (746 milioni di euro) l’ESO, l’operatore della rete elettrica britannica responsabile della regolazione dell’equilibrio tra domanda e offerta di elettricità, al fine di collegare in modo più efficace i “progetti di nuova generazione” sostenibili.

Le otto ciminiere grigie della centrale di Ratcliffe-on-Soar, che dà lavoro a 350 persone, fumavano ormai solo a intermittenza, soprattutto quando il tempo era caldo o freddo. In grado di fornire elettricità a due milioni di case, la centrale ha ricevuto un ultimo carico di carbone all’inizio dell’estate – 1.650 tonnellate – sufficiente ad alimentare 500.000 case per otto ore. La prima centrale elettrica a carbone del mondo, creata da Thomas Edison, è stata inaugurata nel cuore di Londra nel 1882.

Regno Unito, nave Victory consumata dagli insetti: restauro da 53 mln

E’ sopravvissuta ai cannoni di Napoleone a Trafalgar, a una bomba della Seconda guerra mondiale e ai piani di smantellamento. Ma ora la Victory – la più famosa nave da guerra britannica – deve affrontare un nuovo pericolo mortale: gli insetti che stanno attaccando la sua struttura. Il vascello, costruito nel 1759, è un emblema del patrimonio marittimo britannico. L’ammiraglio Nelson morì a bordo durante la battaglia di Trafalgar nel 1805: la sua statua si trova ancora in cima alla colonna di 51 metri eretta in sua memoria a Trafalgar Square, nel centro di Londra.

Ogni anno, circa 350.000 persone si recano a Portsmouth, nel sud dell’Inghilterra, per visitare questa nave, che è in bacino di carenaggio dal 1922. Attualmente sottoposta a un restauro da 45 milioni di sterline (53 milioni di euro), che è considerato il secondo più grande progetto di restauro in Europa dopo quello della Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, devastata da un incendio.

I lavori si sono resi necessari dopo che si è scoperto che la putrefazione si era estesa a gran parte della struttura in legno. L’acqua piovana siè infiltrata e i temuti insetti hanno trovato cibo di cui nutrirsi. Senza un intervento urgente, Victory continuerebbe a deteriorarsi, portando a un “cedimento strutturale catastrofico”, spiega Simon Williams, responsabile del progetto di conservazione.

Falegnami specializzati stanno lavorando per sostituire alcune parti del telaio, che sarà poi ricoperto da un nuovo strato esterno a tenuta stagna. I responsabili del progetto stanno collaborando con gli esperti dell’Università di Southampton per assicurarsi che vengano utilizzati materiali moderni per garantire la massima longevità. Una volta completato il lavoro attualmente in corso sulla sezione centrale della nave, i carpentieri ripeteranno il processo a prua e a poppa. Il prossimo passo sarà quello degli alberi, un processo graduale che garantirà ai visitatori di continuare ad essere accolti.

La Victory è stata ampiamente ristrutturata l’ultima volta nel 1814. I lavori si svolsero anche dopo la campagna ‘Save the Victory’, condotta dalla Nautical Research Society, nel 1922. Sei anni dopo, la nave divenne un museo e i visitatori continuano ad affluire qui per scoprire la vita quotidiana di un marinaio nel XVIII secolo.

I lavori in corso dovrebbero essere completati nel 2032 o 2033 e dovrebbero consentire alla nave di sopravvivere all’aria aperta per almeno altri 50 anni, se non 100.

Regno Unito, trionfo dei laburisti: Keir Starmer nuovo primo ministro

I laburisti riconquistano il Regno Unito. Dopo 14 anni di governo dei Conservatori, dunque, al numero 10 di Downing Street ci sarà Keir Starmer, ex avvocato per i diritti umani, 61 anni, che oggi, venerdì 5 luglio, sarà nominato da Re Carlo III per formare un governo. E’ un leader moderato di centro-sinistra, dunque in controtendenza nell’area europea e occidentale, dove il vento spira verso destra, sia in Francia, con il Rassemblement national che spera di conquistare il governo, sia negli Stati Uniti, con il repubblicano Donald Trump in vantaggio nei sondaggi sul presidente democrat, Joe Biden.

Rishi Sunak ha riconosciuto la sconfitta del suo schieramento, annunciando di aver chiamato Starmer per congratularsi e assumendosi la responsabilità di un fallimento che appare già storico. Per i conservatori quello che si profila, in attesa che i dati ufficiali siano definitivi, è il peggior risultato dall’inizio del XX secolo, con 136 deputati eletti rispetto ai 365 di cinque anni fa, quando alle urne il candidato fu Boris Johnson. Altro dato che emerge dalle urne, i centristi liberaldemocratici torneranno a essere la terza forza del Regno Unito con 66 deputati, secondo le proiezioni. Inoltre, il partito anti-immigrazione e anti-sistema Reform UK entrerà in Parlamento con quattro seggi. Il suo leader e esponente della destra dura, Nigel Farage, diventerà deputato dopo il suo ottavo tentativo.

Una volta nominato primo ministro, Starmer si tufferà molto rapidamente nel profondo della diplomazia in diversi incontri internazionali, con una politica estera che dovrebbe differire poco da quella dei conservatori. La prossima settimana, il nuovo leader laburista si recherà a Washington per il vertice del 75esimo anniversario della Nato, prima di ospitare una riunione della Comunità politica europea a Blenheim Palace, nel sud dell’Inghilterra, il 18 luglio. David Lammy, probabile capo della diplomazia, ha già presentato la sua dottrina di “realismo progressivo”, il cui principale cambiamento sarà il riscaldamento delle relazioni con l’Unione europea. Tra le sfide che attendono il nuovo primo ministro anche quelle sul cambiamento climatico e l’economia, con i rapporti con la Cina da mettere a punto, ma anche (soprattutto) le scelte sul sostegno all’Ucraina nella guerra di aggressione scatenata dalla Russia e il conflitto in Medio Oriente tra Israele e Palestina. Senza dimenticare che il capitolo Brexit è ancora caldo in Uk, anche se i primi rumors fanno capire che per questo ci sarà tempo.

Sui canali inglesi le chiatte elettriche stanno sostituendo quelle a diesel

I canali attraversano l’Inghilterra dalla fine del XVIII secolo e si dice che Birmingham abbia più canali di Venezia. In questi paesaggi pittoreschi, stanno comparendo nuove imbarcazioni: le chiatte elettriche, molto più ecologiche di quelle alimentate a diesel. Navigando sul canale Staffordshire & Worcestershire, nell’Inghilterra centrale, l’imbarcazione di Neil Cocksedge sembra a prima vista come tutte le altre. Ma ha una caratteristica speciale: la discrezione. “Quello che la gente nota della barca elettrica è che è molto più silenziosa“, dice con orgoglio all’AFP. Ha chiamato la sua barca ‘Eau de Folles’, dal nome di un ristorante di Tolosa, nel sud-ovest della Francia, ora chiuso, dove ha chiesto alla moglie di sposarlo diversi decenni fa. Le batterie che alimentano il motore e gli elettrodomestici di bordo (forno, frigorifero e bollitore) sono ricaricati da pannelli solari sul tetto, da punti di ricarica lungo il canale e da un generatore alimentato a carburante. Il consumo di gasolio è quattro volte inferiore a quello delle imbarcazioni tradizionali. Neil Cocksedge, dirigente dell’industria siderurgica in pensione, è uno dei pionieri della transizione verso chiatte ecologiche, dopo oltre un secolo di barche a diesel. “Volevamo essere il più ecologici possibile“, spiega il settuagenario, che ha acquistato la sua imbarcazione da diporto su misura nel maggio 2022. Al momento ci sono poche barche elettriche, ma la loro popolarità sta aumentando.

Lo sviluppo dei canali in Gran Bretagna risale alla fine del XVIII secolo. Venivano utilizzati per il trasporto di merci, contribuendo alla rivoluzione industriale. Nel secolo successivo sono stati soppiantati dalle ferrovie. Ma l’Inghilterra e il Galles hanno ancora più di 3.200 chilometri di canali e fiumi navigabili. La regione di Birmingham è l’epicentro di questa rete di canali. Molti di essi non sono larghi più di un metro. Per questo motivo queste chiatte sono conosciute come ‘barche strette’. Navigando attraverso la campagna idilliaca e le aree urbane, hanno goduto di una rinascita di interesse negli ultimi decenni. Ma i fumi del diesel che emettono sono dannosi in un momento in cui il Regno Unito sta cercando di decarbonizzare i trasporti. Le imbarcazioni sono generalmente alimentate da “vecchi motori agricoli modernizzati“, spiega Cocksenge.

Ma il governo vuole che dal prossimo anno tutte queste imbarcazioni siano in grado di spiegare come possono essere convertite per raggiungere l’obiettivo di emissioni zero del Paese per il 2050. Per incoraggiare l’uso di motori elettrici, il Canal & River Trust (CRT), l’organizzazione che si occupa delle vie d’acqua del Paese, offre ai proprietari di imbarcazioni ‘verdi’ uno sconto del 25% sulla licenza annuale obbligatoria. Attualmente la CRT concede in licenza circa 35.000 imbarcazioni in Inghilterra e Galles, ma solo l’1% di esse beneficia dello sconto, il che dimostra quanti progressi debbano essere compiuti.

Ortomarine, l’azienda nata nel 2015 che ha costruito la barca di Neil Cocksedge, ha deciso tre anni fa di concentrarsi esclusivamente sulle chiatte elettriche. Produce fino a sei imbarcazioni all’anno e ha un portafoglio ordini completo fino al 2027, spiega Caroline Badger, direttore finanziario, dalla piccola officina dell’azienda in un ex sito militare a sud-ovest di Birmingham. Le sue barche costano almeno 150.000 sterline (176.000 euro), circa 25.000 sterline in più rispetto a molte barche a motore diesel. Queste barche strette sono “ideali” per la propulsione elettrica, dice, perché hanno spazio sufficiente per i pannelli solari e navigano lentamente. I blogger che postano immagini della vita sui canali hanno contribuito notevolmente all’interesse per le barche elettriche, in particolare dopo la pandemia, quando alcune persone hanno abbandonato i loro appartamenti in città a favore di queste barche, dice Caroline Badger. “C’è interesse da tutto il mondo“, spiega, riferendosi a clienti provenienti da Australia, Sudafrica e Nord America. Ma il potenziale non è necessariamente lo stesso: “In nessun altro luogo ci sono tanti canali come nel Regno Unito (…) che attraversano alcuni dei paesaggi più belli del mondo“.

Nissan investe oltre 1mld sterline in 2 nuove auto elettriche nel Regno Unito

Photo credit: AFP

 

La giapponese Nissan investe fino a 1,12 miliardi di sterline (1,29 miliardi di euro) per costruire due nuovi modelli di auto elettriche nello stabilimento di Sunderland, nel Regno Unito, mentre l’investimento totale salirà a 2 miliardi di sterline con il progetto di una nuova fabbrica di batterie.

L’ultimo investimento di Nissan include fino a 1,12 miliardi di sterline per le sue attività nel Regno Unito e una più ampia catena di fornitura per la ricerca e lo sviluppo e la produzione dei due nuovi modelli“, annuncia la casa automobilistica in un comunicato.

L’investimento di Nissan è un enorme voto di fiducia nell’industria automobilistica del Regno Unito, che già contribuisce per 71 miliardi di sterline all’anno alla nostra economia“, commenta il primo ministro britannico, Rishi Sunak. “Con le versioni elettriche dei nostri principali modelli europei in arrivo, ci stiamo dirigendo verso una nuova era per Nissan“, spiega l’amministratore delegato del gruppo, Makoto Uchida, in una dichiarazione all’AFP.

Il produttore giapponese sta progettando versioni elettriche dei suoi modelli Qashqai e Juke, e sta anche pianificando una nuova generazione della sua Leaf, un’auto elettrica uscita circa dieci anni fa e già prodotta a Sunderland. Il gruppo aveva già investito molto nel Paese e “i piani di Nissan per le future versioni elettriche della Qashqai, della Juke e per la sostituzione della Leaf consentiranno un investimento fino a 3 miliardi di sterline nel Regno Unito“, dichiara il gruppo con sede a Yokohama. Secondo Nissan, il governo britannico “ha fornito un finanziamento di 15 milioni di sterline per un progetto di collaborazione da 30 milioni di sterline guidato da Nissan” a Cranfield, nel Bedfordshire. In occasione della dichiarazione di bilancio autunnale di mercoledì, il cancelliere britannico Jeremy Hunt ha stanziato 4,5 miliardi di sterline in aiuti per i settori industriali strategici, tra cui l’industria automobilistica. Il Regno Unito vuole consolidare la propria posizione nella corsa globale all’elettrificazione dell’industria automobilistica, nel bel mezzo della transizione energetica.

Greenpeace contro premier britannico Sunak: la sua casa coperta di tessuti ‘nero petrolio

Photo credit: Profilo Twitter Greenpeace UK

Giovedì gli attivisti di Greenpeace hanno ricoperto una casa di proprietà del Primo ministro britannico Rishi Sunak, nel nord dell’Inghilterra, con teli nero petrolio per protestare contro la frenesia” del governo conservatore nel promettere nuove licenze per petrolio e gas. Una foto pubblicata sui social network di Greenpeace mostra l’imponente casa coperta da teli neri con quattro persone sul tetto. Greenpeace spiega che il tessuto “nero petrolio” serve a “evidenziare le pericolose conseguenze di una nuova frenesia di trivellazione“.

Lunedì il primo ministro Rishi Sunak, in vacanza con la famiglia in California, ha promesso “centinaia” di nuove licenze per l’esplorazione e la produzione di petrolio e gas nel Mare del Nord. Lungi dal considerarla una contraddizione, Sunak ha affermato che lo sfruttamento di queste risorse fossili britanniche aiuterebbe il Paese nel suo percorso verso la neutralità delle emissioni di carbonio, promessa per il 2050. L’annuncio ha provocato un tumulto nel Regno Unito ed è stato universalmente criticato dai gruppi ambientalisti.

Abbiamo un disperato bisogno che il nostro Primo Ministro sia un leader del clima, non un piromane“, ha dichiarato Philip Evans di Greenpeace UK. “In un momento in cui gli incendi boschivi e le inondazioni distruggono case e vite in tutto il mondo, il signor Sunak è impegnato in una massiccia espansione delle trivellazioni di petrolio e gas“, ha aggiunto, denunciando il “cinismo senza precedenti” del Primo ministro. “Non ci scusiamo per aver adottato il giusto approccio alla nostra sicurezza energetica, utilizzando le risorse che abbiamo in casa per non dipendere mai da aggressori come (Vladimir) Putin per la nostra energia“, ha dichiarato una fonte di Downing Street.

Prezzi energia in forte calo, governo britannico pronto a stop tassa su extra profitti

L’articolo 5 del decreto Bollette, divenuto legge a fine maggio, ridetermina la base imponibile per il calcolo del contributo di solidarietà temporaneo per il 2023 per i soggetti che operano nei settori dell’energia elettrica, del gas naturale o dei prodotti petroliferi. Stiamo parlando della famosa tassa sugli extra-profitti introdotta dal governo Draghi, modificata poi da quello Meloni, che non era riuscita a generare gli incassi stabiliti, tra l’opposizione delle società coinvolte e presunti vizi nella scrittura dei testi che si sono succeduti per tutto il 2022. Ora con l’articolo 5 del decreto Bollette le imposte si alleggeriscono di 400 milioni, rispetto a 2,5 miliardi stimati. Ma “quando saranno eseguiti i versamenti” sugli extraprofitti ci saranno “sorprese positive di maggior gettito da mettere a disposizione delle famiglie più vulnerabili“, aveva detto il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti in question time al Senato. “Nella prossima manovra di bilancio, oggetto della sessione autunnale di programmazione, saranno attentamente valutati e considerati i dati più aggiornati di inflazione e tassi di interesse, auspicando che con l’estate cessino gli aumenti e ragionevolmente questo dovrebbe accadere, al fine di tutelare l’andamento del potere di acquisto delle famiglie“, aveva sottolineato Giorgetti.

In effetti i prezzi sono in caduta libera rispetto al 2022. L’anno scorso la media del Pun, il prezzo di riferimento dell’elettricità, è stata di 304 euro/Mwh, mentre da inizio mese siamo addirittura a 87,5. Stesso discorso per il gas, che dai picchi a oltre 300 euro per megawattora di agosto scorso adesso viaggia attorno ai 26 euro. Un crollo che, se farà scendere i prezzi a livelli normali per un periodo prolungato, porterà addirittura alla sospensione dell’imposta sui guadagni inaspettati delle imprese petrolifere e del gas, ha annunciato il governo inglese. Lo stop ridurrebbe l’aliquota d’imposta complessiva sulle imprese energetiche dal 75% al ​​40%. Il maxi prelievo era stato introdotto, come nel resto d’Europa, per aiutare a finanziare un programma per ridurre le bollette energetiche per le famiglie e le imprese. I profitti delle società energetiche sono aumentati vertiginosamente di recente, inizialmente a causa dell’aumento della domanda dopo l’abolizione delle restrizioni dovute al Covid, e poi perché l’invasione russa dell’Ucraina ha fatto aumentare i prezzi dell’energia. Ma ora i prezzi del petrolio e del gas sono scesi dai loro massimi.

In una nota stampa riportata dalla Bbc il Tesoro ha affermato che l’imposta sugli extra profitti rimarrà fino a marzo 2028, ma l’aliquota fiscale diminuirà se i prezzi medi del petrolio e del gas scenderanno al di sotto di un livello prestabilito per due periodi di tre mesi consecutivi. Il livello è stato fissato a 71,40 dollari al barile per il petrolio e a 0,54 sterline per unità termale di gas. Ora il Brent è scambiato a 75 dollari, mentre i prezzi del gas a circa 0,62 sterline.

Le aziende energetiche da tempo avevano sollecitato il governo a ridurre la tassa sui guadagni, avvertendo che avrebbe portato a un taglio degli investimenti. Ad aprile, il più grande produttore di petrolio e gas del Regno Unito, Harbour, sostenne che avrebbe perso 350 posti di lavoro a terra nel Regno Unito per il prelievo sugli extraprofitti, ricorda la Bbce e la francese TotalEnergies aveva annunciato un taglio di un quarto del suo investimento previsto nel Mare del Nord per il 2023, pari a 100 milioni di sterline. Il Tesoro britannico ha per questo spiegato che la sua decisione rispecchiato queste preoccupazioni.