In Francia arriva il cinema sostenibile: si ricicla tutto, anche la pipì

Struttura in legno, isolamento in paglia, wc a secco, proiettori a basso consumo, un regalo di Natale al pianeta. Ha aperto nei pressi di Troyes (Aube), in Francia, il primo cinema totalmente sostenibile e autosufficiente dal punto di vista energetico. Nella sala dalle pareti viola, i primi visitatori scrutano lo spazio. Qui scoppietta un camino davanti a comode poltrone a fiori. Lì, uno spettatore seduto nella sala ‘tisaneria’ sfoglia il programma, sotto un lampadario di cristallo scovato su Leboncoin. “Benvenuti a Utopia Pont-Sainte-Marie“, spiega la regista Anne Faucon durante l’inaugurazione. “Niente cibo durante il film – avverte – ma non esitate ad arrostire delle castagne” prima della proiezione. Questo cinema è il più recente della rete Utopia, che comprende sette sale organizzate in cooperative.

Lo “spirito Utopia” è “un modello a misura d’uomo, amichevole, che evita di illuminare e riscaldare il vuoto, naturalmente più durevole” dei multiplex, spiega Faucon, figlia dei fondatori della rete. “Ma questa volta, volevamo andare molto oltre“. In questo cinema da 300 posti e quattro sale – di cui una riservata alla didattica – “solo il basamento è in cemento“, racconta indicando la “struttura in legno” e “l’efficiente coibentazione in paglia compressa“.

Il riscaldamento arriva da una stufa a pellet a biomassa e decine di pannelli solari sul tetto consentiranno di “essere autosufficienti dal punto di vista energetico“, assicura. Oltre le “accoglienti” sale di proiezione con pareti rivestite di velluto, un’innovazione attira i curiosi: i bagni asciutti. In una sala interrata la materia solida viene compostata per “almeno due anni“, e l’urina immagazzinata per essere utilizzata come fertilizzante, consentendo un “enorme risparmio idrico“.

L’apertura, spiega Faucon, ha richiesto quattro anni di “corsa ad ostacoli“. Nel 2018, Anna Zajac, consigliera comunale, ha contattato Utopia per suggerire di stabilirsi nell’Aube, un dipartimento con poche sale cinematografiche. Il municipio, però, non ha sostenuto il progetto. “Con il nostro collettivo di sostegno – dice la fondatrice – abbiamo attirato l’attenzione della stampa, fino a quando si è fatto avanti il sindaco di Pont-Sainte-Marie“, una città vicina.

Sedotto da un progetto che considera “esemplare“, il sindaco Pascal Landreat ha offerto a Utopia “un deserto militare, nel cuore di un nuovo eco-distretto“, in questa cittadina “già impegnata in un approccio ecologico“, pioniera in particolare nella raccolta dei rifiuti a cavallo. Aiutata da un project manager, “pochi funzionari e poche altre mani“, Faucon ha raddoppiato i suoi sforzi, per “dimostrare che un altro cinema è possibile“. Dei 2,6 milioni di euro necessari ha ottenuto 300.000 euro da fondi europei, 200.000 dal consiglio dipartimentale, 100.000 dal CNC e 100.000 dal crowdfunding. Integrati da capitale proprio e “più di un milione di prestiti“. Il team alla fine avrà cinque dipendenti, tre dei quali sono già stati assunti.

I consigli di Legambiente per un Natale 2022 ecosostenibile

È iniziato il conto alla rovescia per il Natale e, di conseguenza, la corsa ai regali. Ma come fare per vivere un 25 diccembre ecosostenibile? I suggerimenti arrivano da Legambiente che ha stilato una serie di consigli e accorgimenti che contribuiscono a dare alle festività un‘impronta più eco-friendly, dagli addobbi alla tavola, dal cibo alla scelta dei doni. Per quest’ultimo punto l’associazione propone le sue confezioni di prodotti coltivati nei terreni confiscati alle mafie, il cui ricavato va a sostegno delle attività di salvaguardia delle specie a rischio e minacciate nelle aree di Legambiente Natura, oppure di adottare una tartaruga marina o di donare per salvare le api regine. Di seguito, invece, il decalogo per un Natale ecofriendly.

Addobbi. Scegliere quelli sostenibili: illuminazioni a led per adornare l’albero e la casa e decorazioni ‘di recupero’ riutilizzando tappi di sughero, legno, cartoncini, tessuti e oggetti di uso comune da trasformare in segnaposto, ghirlande e centrotavola 100% green.

La tavola. Scegliere prodotti a filiera corta provenienti dalla propria regione: si potrà risparmiare, riscoprire cibi tradizionali e, al contempo, sostenere piccole realtà imprenditoriali del territorio
Abbigliamento. Se si desidera regalare capi d’abbigliamento o accessori, scegliere prodotti sostenibili o il ‘pre-loved’, un’espressione internazionale che fa riferimento a oggetti che sono già appartenuti a qualcuno che li ha scelti e amati prima di noi. Usati, quindi, ma che meritano una seconda possibilità di impiego.

Tecnologia. Sì, ma rigenerata. Sono sempre più le opportunità di acquisto di regali hi-tech usati ma ricondizionati: costano meno e con la garanzia della stessa durata di oggetti nuovi.

Alimentazione. Che sia vegetale e a zero sprechi: spesso l’abbondanza accompagna la tavola delle feste. Recuperare gli avanzi dei pasti e utilizzarli come ingredienti per nuove ricette.

No all’usa e getta. Per allestire la tavola frugare nei pensili e nei cassetti di casa: troverete sicuramente complementi d’arredo e stoviglie sottoutilizzate che potranno dare una svolta vintage alle feste. Non avete piatti e bicchieri coordinati? Niente paura: mescolare stili diversi, sposando la filosofia del Mix&match, è di tendenza.

Doni fai da te. Recuperate vecchi barattoli e, dopo averli opportunamente sanificati, riempiteli di ingredienti utili a realizzare biscotti e dolci, corredando il dono di un biglietto con la ricetta per cucinarli, o riutilizzateli per contenere piccole piante grasse, adatte anche a chi non ha il pollice verde.

Regali di troppo. Avete ricevuto regali poco graditi? Organizzate una tombola di riuso.

Esperienze green. Regalate un’esperienza green. Un viaggio sostenibile o per un’iniziativa in natura, magari a pochi chilometri da casa tua: dal corso per il riconoscimento delle erbe spontanee, al weekend fuori porta, passando per laboratori di cucina organizzati da agriturismi e associazioni del territorio, è pieno di iniziative che potrebbero fare al caso vostro.

Regalarsi del tempo. Per quello che è tra i momenti più attesi, e a volte stressanti, dell’anno, perché non concedersi un momento di auto-gratificazione? Un libro, una passeggiata o una piccola coccola potranno rendere ancora più belle le feste che stanno per arrivare.

carta

La lotta per il risparmio energetico passa anche dagli imballaggi di carta

Mi piace molto il caffè fatto con le macchine a capsule che uno si mette dentro casa. Ho la mia personale, sono l’unico in famiglia ad usarla, e me la sono messa in camera da letto, così quando mi sveglio la mattina ho subito il mio caffè, a letto.

Però questo vizio, questa coccola che mi faccio, potrebbe essere giunta alla fine, perché mi sta montando un grande disagio verso i produttori di queste capsule, che, per lo più, le presentano in vendita come piccoli gioielli, separate le une dalle altre, usando imballaggi di carta pesante, con i quali si potrebbe fare quasi un manifestino di un film. E che invece viene immediatamente buttato nel sacco giallo, quello del riciclo. Cosa che è giusto fare, ma produrre la carta costa, trasportare i rifiuti costa, riciclare costa, e tutto questo consuma energia ed inquina. Alti produttori, devo dire per onestà, usano solo dei tubi essenziali, con le capsule infilate dentro e via. Ma sono anche le più costose, e quindi io personalmente ne limito l’acquisto.

In Europa, già prima della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, era partito il Green Deal, il programma di sviluppo sostenibile della nostra economia, e tra le tante cose è previsto un provvedimento legislativo proprio sugli imballaggi. La proposta della Commissione europea è calendarizzata per il 30 novembre prossimo, dopo un periodo di preparazione di oltre due anni, che ha compreso anche una consultazione pubblica.

Questa proposta sugli imballaggi fa parte del più ampio quadro della lotta contro la plastica monouso, e a quanto pare dovrebbe riguardare anche quelli di carta. In fondo, le mie capsule potrebbero benissimo essere vendute anche sciolte, ad esempio, ed ognuno si potrebbe portare un suo sacchetto riutilizzabile e prenderne quante ne vuole. E questo vale per tanti prodotti, come le bustine per il tè, tanti prodotti ortofrutticoli, il parmigiano e molti prodotti di altro tipo, come un sellino per la bici, una camicia di lusso, i profumi…

Ecco speriamo che questa direttiva imponga fra qualche anno (spero pochi) una sostanziosa riduzione degli imballaggi, anche di carta. Anche questo è risparmio energetico, anche questo riduce la nostra necessità di importare fonti di energia.

Spero anche che questa volta la politica, e le imprese del settore, non facciano finta di cadere dal pero quando la normativa entrerà in vigore, come fu per gli imballaggi di plastica, e la plastica monouso, il cui bando era stato introdotto circa tre anni prima della sua entrata in vigore. Ma per racimolare qualche consenso qualche politico urlò al ‘colpo di mano’ dell’Ue, fingendo di non sapere che tutti i partiti avevano votato le nuove regole.

In Canada start up sviluppa riciclo chimico dei vasetti di yogurt

A 40 chilometri da Montreal, la start-up canadese Pyrowave ha sviluppato un processo innovativo per riciclare chimicamente la plastica utilizzando le microonde, rendendo il polistirene come nuovo. Funziona così: i piccoli vasi vengono sminuzzati, quindi fusi in un olio marrone, purificato in un reattore elettrico. Appare quindi un liquido trasparente: lo stirene, che può essere utilizzato per produrre nuovi vasetti di yogurt.

Perché anche se vengono presentati come riciclabili al 100%, i vasetti di yogurt non diventano quasi mai di nuovo vasetti di yogurt. Il riciclaggio meccanico – la tecnica più diffusa al mondo, basata su una macinazione molto fine – non consente di ottenere un materiale adatto al contatto con gli alimenti, allo stesso livello di qualità e igiene. In Europa, i (rari) rifiuti di polistirene riciclato vengono trasformati in prodotti a minor valore aggiunto: vasi da fiori o mobili da giardino, soprattutto in Spagna e Germania. Il polistirene espanso delle vaschette per alimenti viene riciclato per l’isolamento degli edifici. In Francia, secondo il Ministero della Transizione Ecologica, meno del 4% di tutto il polistirene viene riciclato. Il resto viene sotterrato o bruciato, compresi i vasetti di yogurt.

Eppure la petrolchimica continua a produrre plastica vergine su scala massiccia, minacciando l’ambiente e la biodiversità fino al fondo dell’oceano o alla cima della montagna, ha avvertito di recente l’ONU. Mentre il tasso di riciclaggio globale dei rifiuti di plastica è solo del 9%, la produzione di rifiuti di plastica potrebbe quasi triplicare entro il 2060 rispetto al 2019, avverte l’OCSE.

Di fronte a questa emergenza e all’esplosione degli imballaggi monouso legati alle consegne e ai pasti a domicilio, l’industria petrolifera e chimica sta promuovendo il riciclaggio dei prodotti chimici a ‘ciclo circolare’. Questa è esattamente la promessa di Pyrowave. La sua tecnologia basata sulla pirolisipermette di restituire ai rifiuti plastici, in particolare al polistirene, un prodotto identico al 99,8% allo stirene monomero originale” derivato dal petrolio, ha spiegato all’AFP Virginie Bussières, vicepresidente della start-up. Il prodotto ottenuto dal processo raggiunge lo stesso livello di contatto con gli alimenti del prodotto vergine. In una colonna di distillazione, le catene polimeriche vengono spezzate per tornare alla molecola di base, il monomero, grazie a un reattore di depolimerizzazione e a un campo di microonde.

Il processo è “in fase di sviluppo da circa dieci anni“, afferma la signora Bussières. E ha raggiunto la fase commerciale con un impianto autorizzato in Europa e una “espansione in Asia“. Lo stabilimento europeo avrà sede in Francia, uno dei principali paesi consumatori di yogurt al mondo. “Stiamo parlando del 2024“, secondo la signora Bussières, e “sarà la vetrina europea del riciclaggio del polistirene in Europa“. Michelin, il produttore di pneumatici, sarà responsabile di questa industrializzazione. “Lavoriamo con Pyrowave già da tre anni“, ha confermato Christophe Durand, responsabile dello sviluppo dei materiali sostenibili di Michelin, intervistato da AFP in Francia. “A lungo termine, l’idea è di poter restituire lo stirene al settore del polistirene, cioè di chiudere il cerchio e tornare a imballaggi come i vasetti di yogurt, ma anche di mettere una parte dei depositi nei pneumatici“, ha detto.

Michelin, che ha acquisito una partecipazione di minoranza in Pyrowave nel 2020, prevede di aumentare significativamente i volumi di plastica riciclata nei suoi pneumatici per raggiungere i suoi obiettivi di neutralità di carbonio. L’unico inconveniente è che il Consiglio Nazionale dell’Imballaggio (CNE), che riunisce tutti i produttori di imballaggi in Francia, ha chiesto ai suoi membri, in una nota emessa il 25 luglio, di non comunicare le “dichiarazioni ambientali” relative alle plastiche prodotte da queste nuove tecnologie di riciclaggio (tramite pirolisi o gassificazione). Questo perché questi metodi di produzione non sono considerati come riciclaggio in Europa, dove prevale quello meccanico. Il CNE ritiene che sia quindi necessario attendere il parere della Commissione Europea, che dovrebbe rivedere due direttive sui rifiuti e sugli imballaggi entro la fine del 2022.

Il riciclaggio chimico è stato anche criticato dalle ONG per il rilascio di sostanze inquinanti nell’atmosfera e per aver esercitato pressioni per una riduzione dei volumi di produzione di plastica vergine come priorità. Ciononostante, si stanno accumulando progetti industriali di ‘riciclo chimico’. Secondo l’Ufficio Europeo dei Brevetti, l’Europa e gli Stati Uniti rappresentano il 60% dei brevetti mondiali in questo campo. Solo in Francia sono allo studio altri due progetti di ritrattamento del polistirene. Una è sostenuta da Ineos Styrosolution e Trinseo, con un impianto previsto a Wingles (Pas-de-Calais), l’altra da TotalEnergies. In Europa c’è un potenziale preciso: i due maggiori consumatori di vasetti di yogurt al mondo sono i Paesi Bassi e la Francia. Solo in Francia si vendono più di 8 miliardi di vasi all’anno.

tubo

Arriva il primo tubo da giardino al mondo carbon neutral. Ed è italiano

La transizione ecologica passa anche dalle piccole cose. Come un tubo da giardino. Si chiama Fitt Force ed è il primo accessorio di questo genere al mondo totalmente carbon neutral, realizzato applicando i principi fondamentali dell’ecodesign, ovvero riduzione, riutilizzo, riciclo. È prodotto con un innovativo elastomero termoplastico (TPV), che permette di utilizzare il 50% in meno di materie prime e di ridurre del 43% le emissioni di CO2 rispetto alla produzione dei tradizionali tubi in Pvc. Ha un volume del 70% inferiore ai tubi da giardino presenti sul mercato ed è senza polivinilcloruro e plastificanti. L’idea, nata dall’azienda Fitt guidata dal ceo Alessandro Mezzalira – con sede centrale a Sondrigo (Vicenza) e siti produttivi in tutta Europa – è l’espressione concreta di un nuovo modello di sviluppo aziendale che, in questo caso, ha portato il gruppo, lo scorso anno, a diventare società benefit. Ma cosa significa? “Abbiamo cambiato lo statuto aziendale – dice a GEA Sarah Colpo, Group Brand Manager e Sustainability Officer – e ora, oltre agli obiettivi di profitto, vogliamo avere un impatto positivo sull’ambiente e sulla società. E’ cambiato completamente il modo di fare business ed è cambiata la nostra vision”. Già, la visione che, nel caso di Fitt “è altissima: rendere il mondo un posto migliore. E’ un percorso iniziato nel 2019 – dice Colpo – inserendo la sostenibilità” tra i capisaldi che guidano il modello di sviluppo. Si va dalla costituzione di “un comitato interno trasversale, che si riunisce ogni 15 giorni”, all’attenzione altissima verso “il benessere dei dipendenti”, che si traduce, ad esempio con 3 giorni alla settimana di smart working (la cui sperimentazione era iniziata prima della pandemia). Ma non solo. “Supportiamo le realtà del territorio – dice la manager – e in modo particolare attività che riguardano le donne, i giovani e le persone con disabilità”. L’azienda collabora, ad esempio, con la Fondazione Città della Speranza di Padova e con l’associazione Women for freedom, oltre a organizzare progetti educativi rivolti alle scuole medie, nelle quali “facciamo lezioni di sostenibilità”. E, ancora, grazie alla partnership con alcuni stakeholder, sono stati avviati progetti in diverse parti del mondo. A Dakar, in Senegal, Fitt ha contribuito alla realizzazione di una piscina sociale per 2mila bambini in grande povertà.

Il tubo da giardino – che è stato lanciato in Francia grazie a un accordo con Leroy Merlin e in Italia è disponibile online – è stata una sperimentazione, ma il successo ha spinto l’azienda a proseguire lungo questa strada. L’obiettivo, dice Colpo, “è raggiungere la carbon neutrality per tutti gli stabilimenti italiani al 2025 e per tutti gli stabilimenti del gruppo entro il 2030”. Intanto, però, la linea è già stata tracciata. “Dal 1° luglio 2021, in tutti gli stabilimenti italiani il 100% di energia elettrica acquistata è infatti ricavata da fonti rinnovabili– racconta la manager di Fitt – e vogliamo raggiungere l’indipendenza energetica grazie al fotovoltaico”. Necessità, spiega, che “è stata accelerata dalla crisi geopolitica attuale”. Inoltre, per quanto riguarda l’utilizzo di materia prima seconda, ogni anno Fitt impiega più di 8.000 tonnellate di granulo di Pvc rigenerato, il 30% del quale proviene da processi di trasformazione sviluppati internamente – con il riuso totale dei propri scarti di produzione – e il restante 70% deriva da scarti di altri mercati, come l’automotive e l’edilizia. 

In attesa di azzerare la propria impronta di carbonio, il gruppo compensa le proprie emissioni di Co2 con l’acquisto di crediti certificati. Nel caso del tubo da giardino, la compensazione è avvenuta attraverso con carbon credit certificati da Gold Standard, generati dal progetto Water is Life che porta acqua potabile, sicura e pulita alle famiglie che vivono nel villaggio di Betsingilo, una delle zone più povere di tutto il Madagascar. Ogni FITT Force carbon neutral compensa 8 kg di CO2 e porta 10 litri di acqua potabile in Madagascar. Dal 2023 e fino al 2025 saranno presentati altri due prodotti carbon neutral in Europa e due negli Stati Uniti

Da pneumatici fuori uso ad accessori d’alta moda: in via Veneto il défilé circolare

Sono lontani i ruggenti anni ’60 della Dolce Vita, quando Via Veneto non si trovava solo al centro di Roma, era metaforicamente al centro del mondo. Per un giorno però la storica via degli hotel di lusso e dell’Harry’s Bar è tornata vetrina di un nuovo modo di intendere l’alta moda.

Una serata in cui tessuti di alto pregio, con tagli sartoriali e design innovativi, sono stati abbinati a manufatti in gomma riciclata da pneumatici fuori uso, in una dimensione distopica e onirica, per raccontare attraverso l’arte l’importanza sempre più urgente della tutela dell’ambiente.

Roma è di Moda‘, spettacolo-evento curato da Stefano Dominella, diretto da Guillermo Mariotto e coordinato da Zètema, il 28 luglio ha raccontato l’alto artigianato Made in Italy attraverso la moda ecosostenibile.

E’ Ecopneus, in Italia, il principale operatore della gestione dei Pneumatici Fuori Uso. Li trasforma in elementi ornamentali in gomma riciclata che impreziosiscono le creazioni di stilisti sensibili alla sostenibilità e che grazie a processi di upcycling e recycling hanno dato una seconda vita a tessuti e a materiali di scarto.

Le potenzialità della gomma riciclata sono “infinite“, per il Direttore Generale di Ecopneus Federico Dossena: “Il materiale è al tempo stesso versatile, elastico, resistente, con molteplici possibilità di personalizzazione. Noi ci rivolgiamo a un pubblico tradizionalmente industriale, promuoviamo la gomma nelle sue applicazioni tecniche e pratiche. Qui l’obiettivo che ci siamo posti è di portare un messaggio di sostenibilità’ ed economia circolare per ispirare ogni ambito delle attività produttive. E l’arte rappresenta senza dubbio un volano importante, un settore apparentemente lontano dal nostro ma con cui condividiamo una visione comune, l’impegno ad essere sempre più sostenibile”. Rendendo tangibile e reale un contenuto di grande attualità, gli abiti contribuiscono alla mission di Ecopneus di informare e sensibilizzare a una “cultura del riciclo”, unica strada possibile per il futuro.

Un connubio artistico e una collaborazione che pone l’attenzione sulla sostenibilità attraverso un linguaggio universale, la moda. Sono “abiti-messaggio”, creazioni che, grazie a inserti in materiale riciclato da Pfu, diventano un manifesto ambientalista.

La gomma riciclata si declina in  settori anche molto diversi tra loro: dai prodotti per l’edilizia come gli isolanti acustici e antivibranti, allo sport, con playground per parco giochi, campi da calcio, pavimentazioni sportive polivalenti e prodotti per il benessere animale. C’è anche il settore delle strade e infrastrutture dove accanto agli asfalti “modificati” silenziosi e duraturi, si possono produrre piste ciclabili, arredi urbani ed elementi per sicurezza stradale. Poi ci sono i prodotti di design, l’oggettistica e anche nuovi compound realizzati unendo gomma riciclata e materiali termoplastici.

Ogni anno Ecopneus gestisce raccolta, trattamento e recupero di mediamente circa 200mila tonnellate di PFU, trasformate in gomma riciclata per applicazioni nello sport, nelle infrastrutture, il benessere animale, l’arredo, l’energia. In 10 anni di attività è stata evitata l’immissione in atmosfera di oltre 3,36 milioni di tonnellate di CO2, risparmiati materiali per 3,3 milioni di tonnellate ed evitato il consumo di circa 15,5 milioni di m3 di acqua.

plastica

Aumenta riciclo plastica: +67% fatturato per le imprese

Un fatturato annuo di circa un miliardo, con un + 67% rispetto al 2021 per le imprese. Dopo il calo nel 2020, dovuto soprattutto al Covid, il settore torna a macinare numeri positivi. È il quadro rappresentato nel rapporto di Assorimap, l’Associazione Nazionale Riciclatori e Rigeneratori di materie plastiche, realizzato da Plastic Consult, presentato a Roma presso Palazzo Rospigliosi, in cui si fotografa lo stato di salute dell’industria italiana del riciclo meccanico delle materie plastiche nel 2021.

Dal rapporto emerge come la crescita del valore dei riciclati prodotti (fatturato settoriale) sia dovuta non soltanto a un aumento dei volumi di prodotti riciclati, ma anche all’incremento, estremamente elevato, dei prezzi di vendita, legato all’impennata delle materie prime a cui si sono aggiunti, nella parte terminale dell’anno, gli aumenti dei costi energetici. I volumi totali nazionali in output dei riciclatori meccanici si sono attestati lo scorso anno a circa 800mila tonnellate, con un tasso di crescita del 17% rispetto al 2020.

È necessario promuovere una maggiore circolarità della materia, aumentando i tassi di riciclo. Obiettivi che, come Assorimap, auspichiamo vengano perseguiti tramite specifiche iniziative in grado di agevolare le produzioni ecosostenibili di beni e imballaggi e, soprattutto, a partire da un maggiore sviluppo impiantistico. Basti pensare che secondo il Regolamento europeo sulla Tassonomia Verde”, commenta Walter Regis, presidente di Assorimap.

plastica

Nell’attività di riciclo delle materie plastiche sono attive, nel complesso, oltre 350 aziende, inclusi raccoglitori e selezionatori di rifiuti e scarti industriali. Dal calcolo sono escluse le società di raccolta rifiuti urbani. I produttori di materie prime seconde sono circa 200, comprendendo la lavorazione degli scarti industriali e le aziende che producono macinati, così come i trasformatori di plastiche integrati a monte nel processo del riciclo. È nel Nord Ovest, in particolare in Lombardia, che si concentra la maggior parte degli impianti di riciclo meccanico censiti (oltre il 40% del totale). Segue il Nord Est con poco più del 25%, mentre, nel Sud e nelle isole, la percentuale si attesta al 20% e solo al 10% nel Centro Italia. Le fonti per il riciclo post-consumo sono nel complesso concentrate nella filiera degli imballaggi, in particolare quelli da raccolta urbana rifiuti, che hanno rappresentato lo scorso anno poco meno del 70% del totale.

La maggior parte dei riciclati prodotti (30% del totale) è il PE flessibile (il polietilene utilizzato principalmente per gli imballaggi flessibili) seguito dal PET (bottiglie e vaschette) e dal PE rigido (flaconi), entrambi intorno al 20%. Le quote minoritarie sono relative al polipropilene, ai misti poliolefinici e agli altri polimeri. Le principali applicazioni delle materie prime seconde sono diversificate, pur se concentrate in due principali settori di sbocco: imballaggi rigidi e articoli casalinghi/per giardinaggio, entrambi al di sopra del 30% di quota. Segue il comparto edilizia e costruzioni a poco più del 15% che, lo scorso anno, ha registrato il migliore tasso di crescita in termini di volumi. Nel segmento si rileva la fortissima crescita del polipropilene riciclato, oltre il +50% sul 2020.

Bisogna porre il recupero delle materie – dice Regis – al centro della transizione ecologica e rifuggire da visioni massimaliste che invocano un mondo plastic free nell’immediato. Il riciclo della plastica rappresenta un’eccellenza italiana e un patrimonio industriale che occorre tutelare certamente più di quanto sia avvenuto con il Pnrr che non ha valorizzato tutte le potenzialità del settore”.

rifiuti smartphone

Gli smartphone inquinano quanto Paesi Bassi e Venezuela

Immaginiamo di riunire assieme tutti i 4,5 miliardi di smartphone presenti nel mondo e di misurarne in un anno l’impronta nociva sull’ambiente. Il risultato? Circa 146 milioni di tonnellate di CO2 (o CO2e, emissioni equivalenti), un quantitativo simile a quello generato da stati come i Paesi Bassi o il Venezuela. I numeri forniti da Deloitte nelle sue TMT Predictions 2022 fanno ben capire quanto operazioni all’apparenza innocue, come acquistare o utilizzare un telefonino (o un altro device elettronico), possano avere ripercussioni sull’ambiente.

Secondo il rapporto Digital Green Evolution di Deloitte, le emissioni sono collegate soprattutto alle prime fasi del ciclo di vita di uno smartphone. Ben l’83% del totale è collegato alla produzione, al trasporto e al primo anno di utilizzo. Solo l’11% delle emissioni riguarda l’utilizzo a partire dal secondo anno di vita, mentre risulta residuale l’impatto delle attività di ripristino di smartphone esistenti (4%) e i processi di fine-vita, riciclo incluso (1%). Questo scenario rende evidente che la strada maestra per ridurre l’impronta ambientale degli smartphone è quella di incidere sulla produzione, favorendo soprattutto l’utilizzo di materiali riciclati che limitino le attività di estrazione delle terre rare, particolarmente inquinanti. Fondamentale anche allungare il ciclo di vita dei prodotti, rendendo maggiormente vantaggiosa la riparazione rispetto alla sostituzione del dispositivi. E in tal senso potrà giocare un ruolo chiave l’eventuale estensione del diritto alla riparazione che attualmente non include gli smartphone e altri device quali tablet e pc portatili.

Diritto riparazione

Anche i consumatori però possono fare la loro parte, adottando comportamenti maggiormente consapevoli. Oggi la vita media degli smartphone è stimata tra i 2 e i 5 anni, ma la tendenza sembra essere quella di ritardare sempre più la sostituzione del device. Secondo Deloitte, nel 2016 due italiani su tre dichiaravano di aver acquistato nell’ultimo anno e mezzo uno smartphone, mentre nel 2021 questa quota si è abbassata a poco meno della metà. Trend simili sono stati rilevati anche in Paesi come Germania, Regno Unito, Austria e Belgio.

Questa tendenza è senza dubbio positiva per l’ambiente, anche se pare essere più legata a motivazioni di stampo economico che a un’effettiva coscienza green dei consumatori in fatto di smartphone. Sempre secondo la ricerca di Deloitte, solo il 14% di chi acquista uno smartphone considera la durata attesa del dispositivo come una caratteristica importante nella scelta del modello. Si bada molto più a caratteristiche tecniche come la durata della batteria (49%), la velocità del processore (32%), la qualità della fotocamera (27%) e la capacità della memoria (27%), piuttosto che al semplice richiamo del brand (24%). Inoltre, appena il 2% presta attenzione all’eventuale impiego di materiali riciclati. Stesse dinamiche anche per chi utilizza uno smartphone usato o ricondizionato, cioè appena il 7% dei partecipanti all’indagine Deloitte. Tra questi, solo il 9% afferma di aver compiuto questa scelta per la volontà di essere rispettosi dell’ambiente: la spinta principale invece arriva dalla maggior economicità rispetto a un cellulare nuovo e dalla possibilità di ‘ereditare’ il device da parenti o amici (41% per entrambe le motivazioni).

rifiuti elettronica

Cresce l’impatto dei rifiuti elettronici: riciclato solo il 17%

La tecnologia risolve la vita, ma non è esente da controindicazioni; e nello specifico la produzione di rifiuti (Raee, acronimo per rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche). Il fenomeno dell’E-waste è preso in seria considerazione anche dall’Unione europea dal momento che le case produttrici di apparecchi elettronici ed elettrodomestici corrono sempre più veloci e immettono sul mercato con sempre più frequenza nuovi modelli più performanti e aggiornati. Non produrre rifiuti è impossibile, la soluzione rimane il riciclo che però resta ancora troppo limitato.

Secondo il Global E-waste monitor nel 2020, a livello mondiale, sono state prodotte 53,6 milioni di tonnellate di Raee con un incremento del 21% rispetto al 2018. Di questa massa di vecchie lavatrici, pc, frigoriferi, cellulari o semplici cavi, solo il 17,4% è stato riciclato. Il 38% dei rifiuti totali è prodotto da tre sole nazioni: Cina (10,1 milioni di tonnellate), Usa (6,9 milioni) e India (3,2). Il più alto tasso di recupero di materiale spetta invece all’Europa, che ricicla il 42% dei suoi rifiuti elettronici; segue l’Asia con l’11,7%, mentre America e Oceania si assestano intorno al 9%. Ma cosa succede a quell’82,6% di Raee che non viene recuperato? Il destino di questa massa di materiale è incerto, non si sa dove venga smaltita. Nei Paesi ad alto reddito, in genere, sono presenti impianti per il riciclaggio dei rifiuti: infatti, l’8% dei rifiuti è conferito in discarica o avviato a incenerimento, soprattutto i piccoli pezzi. In altri casi, invece, questi prodotti vengono resi nuovamente funzionanti e riusati. Spesso accade che vengano spediti in Paesi meno ricchi dove sono destinati al mercato dell’usato, anche se non sempre le esportazione sono legali.

Nell’analisi del Global E-waste monitor viene evidenziato anche il fatto che i rifiuti elettronici contengono al loro interno sostanze nocive per l’ambiente e per l’uomo, come ad esempio il mercurio, e che 98 milioni di tonnellate di equivalenti di anidride carbonica sono stati rilasciati nell’atmosfera a causa del riciclaggio non conforme di frigoriferi e condizionatori d’aria, contribuendo al riscaldamento climatico. Oltre a un danno ambientale, il mancato recupero dei materiali rappresenta anche uno spreco economico, dal momento che vengono dispersi, abbandonati o bruciati preziosi materiali come oro, argento e rame che compongono, ad esempio, ‘l’anima’ degli smartphone.

Venendo alla situazione italiana, il 14° rapporto annuale del centro di coordinamento Raee ha registrato un incremento del 5,3% di raccolta di rifiuti nel 2021 rispetto all’anno precedente. In numeri assoluti significa 385.258 tonnellate di Raee che non sono finite in discarica. La raccolta pro capite si assesta intorno a 6,4 kg per abitante, in crescita del 5,5% rispetto all’anno prima. Prima di entrare nel dettaglio delle tipologie raccolte, è bene chiarire come vengono definiti i rifiuti, in base alla sigla R da 1 a 5. R1 sono gli apparecchi refrigeranti, come frigoriferi condizionatori; gli R2 sono i grandi bianchi, vale a dire lavatrici, lavastoviglie, microonde etc; gli R3 sono tv e monitor dei pc; R4 sono le lampade, gli aspirapolvere, i frullatori, i pc, le stampanti, i cellulari etc; infine gli R5 sono le sorgenti luminose come lampadine e neon.

Nel 2021 in Italia sono stati effettuati 18.000 ritiri sull’intero territorio pari a 598 missioni al giorno, l’8,5% in più rispetto al 2020. Un incremento significativo legato soprattutto all’aumento di richieste di ritiro dei vecchi televisori (R3) a seguito dell’introduzione del Bonus TV: sono infatti quasi 7mila in più rispetto all’anno precedente. Gli R3 hanno infatti fatto la parte del leone, rappresentando quasi i due terzi del totale delle tonnellate raccolte. Seguono a distanza i grandi bianchi (R2) che si attestano a +3,1%. Cresce anche la raccolta delle sorgenti luminose (R5), che raggiungono le 2.713 tonnellate (+2,9%) e quella degli apparecchi di freddo e clima (R1) che arrivano a pesare 99.595 tonnellate in forza di un incremento del 2,7%. In calo invece i piccoli elettrodomestici e l’elettronica di consumo (R4) che a seguito di una contrazione dell’1,4% si ferma a 77.308 tonnellate, mettendo così fine al trend di crescita avviato negli ultimi anni.

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L’usato che fa bene al Pianeta: nel 2021 risparmiate 5,6 tnl di Co2

Fare del bene al Pianeta acquistando di seconda mano? Non solo è possibile, ma i risultati sembrano essere molto incoraggianti. Nel 2021 sul sito Subito.it sono stati venduti quasi 24 milioni di oggetti che hanno portato a un risparmio di 5,6 tonnellate di Co2, un dato che corrisponde all’azzeramento dell’impronta ambientale di 770mila italiani (si stima, infatti, che un italiano produca 7,3 tonnellate di anidride carbonica in un anno). Sono state così risparmiate 2,2 milioni di tonnellate di acciaio, pari a 27.623 km di binari, 202mila tonnellate di alluminio, che corrispondono a oltre 13,5 miliardi di lattine e ancora 319mila tonnellate di plastica, che è come aver risparmiato la produzione di 128 miliardi di iconici mattoncini gioco da costruzioni. Sono alcuni dati emersi dallo studio ‘Second Hand Effect 2021‘ commissionato a IVL – Istituto di Ricerca Ambientale Svedese, che ha quantificato l’impatto ambientale, in termini di risparmio di emissioni di CO2 e di materie prime, della compravendita su Subito.

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Il concetto alla base dello studio è chiaro. L’usato fa bene al pianeta: per ogni oggetto rivenduto vengono evitati i costi ambientali del suo smaltimento in discarica, per ogni oggetto acquistato viene evitata la produzione del corrispettivo nuovo. “Comprare e vendere usato, dall’auto a uno smartphone o a un capo di abbigliamento, non solo consente di risparmiare soldi, ma anche e soprattutto ci permette di dare il nostro contributo concreto e misurabile alla lotta al cambiamento climatico, uno degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2030 delle Nazioni Unite”, commenta Giuseppe Pasceri, Ceo di Subito.

Lo studio Second Hand Effect ha esplorato le categorie che hanno il maggiore impatto positivo. Quella dei motori si conferma la più impattante, con un risparmio di 4.823.793 tonnellate di Co2 nel 2021. A seguire, ‘Casa e persona‘ con 563.589 tonnellate di Co2 risparmiate. In terza posizione l’elettronica, che ha permesso un risparmio di 180.279 tonnellate di Co2 e infine Sport e Hobby, con 41.190 tonnellate.

Entrando nel dettaglio degli oggetti con un impatto ambientale più significativo si trovano le auto con 2.800 kg di Co2 risparmiati, ma anche moto (265 kg) e il monopattino elettrico che, comprato usato, consente un risparmio di ben 92 kg. E, ancora, un pc usato fa risparmiare 270kg di Co2, un televisore 168 kg e uno smartphone 47 kg. Buono anche il risparmio dovuto all’acquisto di una bicicletta usata (99kg Co2) o anche semplicemente a una felpa (10 kg) e, perché no, di un libro (2 kg).

L’economia dell’usato ha un impatto anche sulle materie prime, la cui estrazione, produzione e utilizzo viene evitata grazie all’usato. Nel 2021, grazie alla compravendita su Subito, si sono risparmiate 2,2 milioni di tonnellate di acciaio, pari a 27.623km di binari, cioè oltre 3 volte la Transiberiana. Ma anche 202mila tonnellate di alluminio.

Il rapporto analizza infine le regioni più virtuose nel risparmio di emissioni Co2. Rimangono invariate rispetto al 2020 le prime posizioni: in testa c’è la Campania che ha risparmiato 896.635 tonnellate di Co2, seguita dalla Lombardia con 756.877 tonnellate e, al terzo posto, dal Lazio, con 584.880. Proseguendo nella top 5 delle regioni italiane per risparmio di Co2 mantengono le medesime posizioni il Veneto, con un totale di 509.531 tonnellate e la Sicilia con 463.447.