Piano Mattei, in Cdm arriva il decreto sulla governance con cabina di regia e struttura di missione

di Dario Borriello

La partita entra nella fase caldissima. Domani, 3 novembre, alle ore 11, in Consiglio dei ministri arriverà il decreto legge che definisce la governance del Piano Mattei, il progetto su cui il governo, e la premier Giorgia Meloni, puntano per ampliare la cooperazione con l’Africa e fare dell’Italia l’hub energetico d’Europa, favorendo lo sviluppo delle popolazioni locali per frenare i flussi migratori dal sud del Mediterraneo. Gli obiettivi del Piano, infatti, sono quelli di costruire un “nuovo partenariato tra Italia e Stati del continente africano, volto a promuovere uno sviluppo comune, sostenibile e duraturo, nella dimensione politica, economica, sociale, culturale e di sicurezza“.

Sono diversi anche gli ambiti di intervento. Dalla cooperazione allo sviluppo alla promozione delle esportazioni e degli investimenti, l’istruzione e formazione professionale, la ricerca e innovazione, la salute, l’agricoltura e sicurezza alimentare, l’approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche, ma anche la tutela dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici, l’ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture, anche digitali, nonché la valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico anche nell’ambito delle fonti rinnovabili, il sostegno all’imprenditoria, in particolare a quella giovanile e femminile. Il governo, però, allo stesso tempo intende promuovere l’occupazione sul territorio africano, anche per prevenire e contrastare l’immigrazione irregolare.

Il Piano Mattei prevede, poi, “strategie territoriali riferite a specifiche aree del continente africano, anche differenziate a seconda dei settori di azione“, e avrà una durata quadriennale, con possibilità di rinnovo e aggiornamento “anche prima della scadenza“.

Per portare avanti il progetto sarà istituita una cabina di regia, guidata dal presidente del Consiglio e composta dal ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, con funzioni di vicepresidente, e dagli altri ministri, oltre al presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dal direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, dai presidenti dell’Ice-Agenzia italiana per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, di Cassa depositi e prestiti e Sace. Inoltre, ne faranno parte i rappresentanti di imprese a partecipazione pubblica, del sistema dell’università e della ricerca, della società civile e del terzo settore, rappresentanti di enti pubblici o privati, esperti nelle materie trattate, individuati con un Dpcm che sarà varato entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto.

Per assicurare “supporto al presidente del Consiglio dei ministri per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento dell’azione strategica del governo” sul Piano Mattei verrà istituita, sempre presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, anche una struttura di missione, alla quale è preposto un coordinatore, articolata in due uffici di livello dirigenziale generale, compreso quello del coordinatore, e in due uffici di livello dirigenziale non generale, il cui coordinatore sarà individuato tra gli appartenenti alla carriera diplomatica. Alla sdm è assegnato pure un contingente di esperti e avrà a disposizione risorse annue per 500mila euro.

Altro punto importante del decreto è la relazione annuale sullo stato di attuazione del Piano Mattei, che il governo dovrà trasmettere alle Camere (con l’ok della cabina di regia) entro il 30 giugno di ogni anno.

Pichetto alla Pre-Cop28: “Politiche climatiche e scelte energetiche sono facce della stessa medaglia”

La parola d’ordine è realismo. Alla pre-Cop28 di Abu Dhabi il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, porta la posizione italiana. Ribadendo che è un “dovere di tutti noi contribuire all’attuazione dell’Accordo di Parigi con la massima ambizione possibile, agendo con risolutezza entro il 2030 per ridurre le emissioni globali e procedere verso una traiettoria chiara di neutralità climatica”. Ma, allo stesso tempo, “un’azione ambiziosa per il clima è una azione equa, poiché riduce i rischi associati al riscaldamento globale, proteggendo i più vulnerabili dagli impatti peggiori”. Dunque, portare avanti la sostenibilità ambientale, ma anche quella economica e sociale. Sebbene, puntualizza Pichetto, “Tutti dobbiamo contribuire, e certamente in particolare quelli che attualmente emettono quote elevate di emissioni globali”.

Il responsabile del Mase esorta a sfruttare le occasioni che la scienza mette a disposizione dei governi e degli Stati, fornendo “soluzioni realizzabili per affrontare questa sfida globale”, anche se “la finestra di opportunità per agire per limitare gli effetti del cambiamento climatico – avverte – è molto stretta e non possiamo perdere altro tempo”.

Serve pragmatismo nelle scelte, quindi una delle basi di discussioni da cui l’Italia suggerisce di partire è quella di considerare politiche climatiche e scelte energetiche sul medesimo binario: “Sono facce di una stessa medaglia, non si può parlare delle prime senza affrontare il tema della riduzione della nostra dipendenza dai combustibili fossili e al contempo assicurare la sicurezza energetica”, sottolinea Pichetto. Che poi aggiunge: “In questo contesto, riteniamo che la Cop28, attraverso il Global stocktake, possa e debba dare indicazioni chiare verso percorsi realistici che portino ad obbiettivi tangibili”.

Tra questi cita “triplicare la capacità di energia rinnovabile globale e raddoppiare il tasso di efficienza energetica attuale, ridurre drasticamente le emissioni di metano, eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili e adottare misure di mitigazione ambiziose in tutti i settori economici”. Obiettivi che definisce “tutti alla nostra portata”. Per questo “è evidente che il successo della Cop28 sarà misurato anche se saremo in grado di definire e contestualizzare l’obbiettivo globale per l’adattamento”.

Ma Pichetto avvisa i partner internazionali anche su altri fattori da tenere bene a mente: “Il raggiungimento degli obiettivi a lungo termine dell’Accordo di Parigi richiede una trasformazione fondamentale di tutte le economie e un grande cambiamento nella struttura dell’economia globale, dei mercati finanziari e degli investimenti”. Ragion per cui, ammonisce, “dobbiamo lavorare insieme per rimuovere le barriere che ostacolano l’accessibilità e la sostenibilità dei Paesi vulnerabili e indebitati nell’attrarre finanziamenti per la transizione energetica e rafforzare la resilienza”.

Infine, altra parola d’ordine è sostenibilità. “La mitigazione e l’adattamento devono essere integrati in ogni decisione economica e finanziaria a livello nazionale e globale, oltre che nei bilanci nazionali”, ribadisce ancora Pichetto. Che conclude: “Solo in questo modo possiamo realmente coniugare la lotta al cambiamento climatico con le esigenze di sviluppo che i nostri cittadini ci richiedono”.

 

Photo credit: Mase

Eolico

Pichetto accelera su eolico offshore: Entro 2030 impianti per 1,4 Gw in Sicilia

La situazione esplosiva in Medio Oriente si riverbera, inevitabilmente, su tutta la comunità internazionale. Anche sull’Europa e, dunque, sull’Italia. L’energia è uno dei temi più caldi dall’inizio del 2022: quasi due anni vissuti letteralmente sulle ‘montagne russe’, sia per gli effetti su prezzi e stoccaggi, sia per la corsa alla diversificazione delle fonti. In questi mesi, infatti, è emersa con forza la necessità di non affidarsi solo alle fonti tradizionali, ma di guardare finalmente, e concretamente, anche alle rinnovabili. Anche per non rischiare di bucare gli obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030 e al 2050. Il governo, però, oltre alle conseguenze della guerra in Ucraina adesso deve fare i conti pure con le tensioni tra Israele e Palestina che coinvolgono una regione fondamentale per gli approvvigionamenti.

Altra ragione per accelerare altre forme di energia. Sulle Fera livello europeo si sta supportando e sviluppando la tecnologia innovativa degli impianti eolici galleggianti, sia su acque interne sia offshore” e “in Italia l’interesse verso tale tecnologia è molto forte“, assicura il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto. Che in audizione davanti alla commissione sull’Insularità, ricorda che “secondo le previsioni del gestore di rete, in Sicilia al 2030 saranno installati 1,4 giga di impianti di produzione di energia elettrica da eolico off-shore“.

Servono comunque le norme per favorire questo settore e il responsabile del Masaf ribadisce che il decreto sulle aree marine idonee a installare gli impianti sarà emesso a breve, anche se dalle opposizioni è soprattutto il M5S a chiedere che il ministro parli “solo quando avrà i provvedimenti in mano”, facendo riferimento anche al dl sulle Comunità energetiche rinnovabili. Il problema sull’eolico, però, è che “bisogna raccordarsi con gli altri Paesi, dal Nordafrica fino al Portogallo, per definire le aree di competenza – spiega Pichetto -. Servono porti attrezzati (occorrono almeno due anni) e navi attrezzate”, poi “per avere cavi adeguati ci vogliono da 2 a 4 anni. Poi bisogna costruire le piattaforme”, dunque “è un percorso per cui ci va qualche anno“.

In questo scenario non è fuori contesto nemmeno l’operazione per provare a ridurre le criticità sull’approvvigionamento di acqua potabile nelle isole minori, dove ancora oggi è “un bene limitato e le soluzioni per accedervi sono ad alto impatto ambientale“. Ecco perché il ministro rivela che è allo studio un progetto per un “dissalatore marino mobile“.
Tutti temi che saranno utili in vista della Cop28, in programma a Dubai tra la fine del prossimo mese di novembre e la metà di dicembre. Dell’appuntamento Pichetto ha parlato anche nella giornata conclusiva della Youth4Climate che si è svolta a Roma questa settimana. “Oggi è ancora più forte l’impegno dell’Italia a sostegno dei giovani nella lotta alla crisi climatica“, dice. Garantendo: “Andremo alla Cop28 per sostenere le soluzioni presentate e lì lanceremo il bando per i progetti del prossimo anno”.

Shell inizia costruzione del suo primo impianto fotovoltaico in Italia

Shell inizia la costruzione del suo primo impianto fotovoltaico in Italia e posa a Taranto il pannello numero uno del grande parco ‘Zamboni‘.
Il mega-impianto sorgerà su un’area industriale di Talsano, con una capacità di circa 20 MW, ma assicurerà, a partire dal 2024, una produzione annua di oltre 30 GWh: il consumo medio di circa 14mila famiglie in un anno.

La multinazionale britannica opera in Italia da oltre un secolo e con l’avvio del fotovoltaico “conferma la propria posizione di Energy Company integrata“, commenta Marco Marsili, Country Chair Shell Italia. La compagnia è infatti presente in tutti i settori energetici “sostenendo la transizione energetica del Paese e i processi di decarbonizzazione dei nostri clienti“, rivendica ricordando che “con orgoglio” continua a porre il Paese come “uno dei principali all’interno del Gruppo“.

Oltre 34mila i pannelli fotovoltaici bifacciali ad alta efficienza verranno installati nel parco, su un’area di 17,6 ettari: 14,6 ettari ospiteranno i panelli, la restante area di circa 3 ettari verrà piantumata. La conclusione dei lavori è prevista per marzo 2024, mentre l’entrata in esercizio dell’impianto è prevista nel corso del mese successivo.

Si dice “molto contento” di dare avvio all’opera Ivan Niosi, amministratore delegato Renewable Generation Shell Energy Italia. Nel corso degli ultimi anni, spiega, “abbiamo sviluppato 48 progetti in 11 regioni italiane, di cui 20 con iter autorizzativo concluso e gli altri in avanzato stadio di permitting; progetti che ci rendono oggi tra i principali solar developer del Paese con circa 2 gigawatt di capacità di produzione”.

Come parte del progetto, Shell Energy Italia ha siglato un accordo con Baker Hughes, azienda che si è assicurata per 8 anni l’acquisto di una quota di energia rinnovabile prodotta dall’impianto come parte integrante del suo piano di decarbonizzazione degli stabilimenti italiani. Il contratto è “una conferma concreta della nostra capacità di creare un filo diretto tra la nostra produzione e la richiesta di energia da fonti rinnovabili posizionandoci come operatore energetico integrato”, afferma Gianluca Formenti, amministratore delegato Shell Energy Italia.
Un “passo importante verso la decarbonizzazione, in Italia e nel mondo“, lo definisce Paolo Noccioni, Presidente Nuovo Pignone IET, Baker Hughes. Parte di un “più ampio percorso verso la sostenibilità che, in quanto azienda di tecnologia a servizio dell’energia e dell’industria, sosteniamo anche attraverso lo sviluppo di soluzioni efficienti e innovative per accompagnare la transizione energetica. Per raggiungere gli importanti obiettivi di sostenibilità che ci siamo dati, per noi prioritari e non negoziabili, crediamo nell’attivazione di collaborazioni virtuose come questa che vede insieme aziende, Istituzioni e territorio”, fa sapere.

La realizzazione dell’impianto Zamboni genererà diversi benefici sia di carattere occupazionale che ambientale, contribuendo alla rinaturalizzazione di un’area fino a oggi incolta e sostenendo la biodiversità locale. Come parte degli accordi presi con il Comune, Shell costruirà un impianto fotovoltaico su lastrico solare, con sistema di accumulo energetico, sul tetto di un immobile nella disponibilità del Comune per consentire l’uso di energia rinnovabile. Nei prossimi mesi 32 persone saranno impegnate nella realizzazione dell’impianto, a cui si aggiungeranno addetti per la manutenzione delle aree a verde e per la successiva gestione ordinaria.

eolico

I permessi frenano i progetti, ma sull’eolico l’Italia potrebbe puntare al podio globale

L’Italia è il terzo mercato a livello mondiale per potenziale di sviluppo dell’eolico offshore galleggiante e, in prospettiva, leader della filiera tecnologica in Europa. Questo il messaggio forte uscito dall’evento organizzato a Milano da Anie, la Federazione nazionale delle imprese elettrotecniche ed elettroniche, e da Elettricità Futura, la principale associazione nazionale della filiera industriale del settore elettrico.

Sono 76 i GW di rinnovabili da installare in Italia dal 2024 al 2030 per centrare gli obiettivi climatico-energetici fissati dall’Unione Europea. Considerando che circa 8 GW degli impianti esistenti dovranno essere sostituiti perché obsoleti, per raggiungere i 143 GW al 2030 sarà necessario realizzarne oltre 12 GW all’anno. Secondo dati Terna, a fine 2021 la potenza totale rinnovabile in Italia era pari a 58 Gw. Nel 2022 sono stati però installati solo 3 GW di rinnovabili in Italia, contro gli 11 in Germania, i 6 in Spagna e i 5 in Francia, numeri che danno evidenza della necessità di accelerare notevolmente il rilascio di nuove autorizzazioni nel nostro Paese. Stando all’Osservatorio Permitting di Anie, alla data del 30 giugno 2023 erano depositate presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica istanze di progetti di impianti a fonte rinnovabile per la Valutazione di Impatto Ambientale (Via) per complessivi 108 GW. Tuttavia, per il 2023, la stima dell’installato elaborata da Anie ed Elettricità Futura, in base a dati Terna, è di appena 6 GW di rinnovabili.

La domanda di turbine da parte degli sviluppatori è frenata dalla lentezza dei processi di approvazione dei nuovi progetti e da norme inadeguate in materia di licenze e permessi in generale in tutta Europa, nonostante l’adozione di nuovi obiettivi per l’energia pulita fissati dai governi, sottolinea Wind Europe, che rappresenta a livello continente i principali attori dell’energia del vento. Nel 2022, infatti, i Paesi europei hanno investito in nuovi parchi eolici l’importo più basso dal 2009 (17 miliardi di euro rispetto ai 41 miliardi di euro del 2021). Lo scorso dicembre il Consiglio della Ue ha approvato una proposta della Commissione europea volta a semplificare temporaneamente e di conseguenza ad accelerare la procedura di concessione delle autorizzazioni. La direttiva Ue aggiornata sulle energie rinnovabili include tali misure su base permanente, il che dovrebbe quindi facilitare il processo di autorizzazione quando la direttiva entrerà in vigore. In ogni caso si prevede che nei prossimi cinque anni in Europa verranno sviluppati meno progetti eolici offshore rispetto a quanto previsto in precedenza. Il Global Wind Energy Council ha infatti rivisto al ribasso le sue previsioni per la nuova capacità eolica offshore installata nel Vecchio Continente tra il 2023 e il 2027 da 40,8 GW nel rapporto dello scorso anno a 34,9 GW.

Non a caso i colossi europei produttori di turbine sono in crisi. Vestas ha registrato una perdita ante imposte di 130 milioni di euro nel secondo trimestre, Siemens Energy ha riportato una perdita netta di 2,9 miliardi a causa di problemi nel business delle turbine eoliche Siemens Gamesa, che è stato colpito da difetti tecnici e problemi di qualità in alcuni componenti delle turbine installate, tra cui pale del rotore e cuscinetti. Godono dunque i big cinesi, che controllano già il 55% del mercato mondiale. Secondo Wood Mackenzie stanno sfruttando la loro forte posizione finanziaria e l’enorme portata della loro catena di fornitura nazionale per sfidare le società occidentali, anche nei mercati emergenti.

Il cinese MingYang si sta preparando a diventare il nuovo leader di mercato, capitalizzando il portafoglio ordini di 6,5 GW e un portafoglio di prodotti esteso che copre turbine sia a bassa che ad alta velocità. SEwind perderà invece slancio – in base all’analisi di Wood Mackenzie – a causa dei margini ridotti e della forte concorrenza, in particolare da parte dei nuovi concorrenti offshore Windey, Crrc e Sany. La forte concorrenza all’interno della Cina sta a sua volta abbassando il prezzo medio delle turbine offshore da 10 MW e oltre in Cina del 19% nel primo semestre del 2023 rispetto allo stesso periodo del 2022. Da qui la perdita di redditività delle società europee.

Presto in cdm Dl Energia: Scorie, liberalizzazione mercato elettrico, eolico offshore

Il Mase lavora a un Decreto sull’energia che sarà pronto a giorni e andrà presto in consiglio dei ministri. Un provvedimento a largo spettro, che riguarderà temi “storici“, spiega il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, ma anche nodi recenti.

Prima tra tutte, l’annosa questione delle scorie nucleari, per la quale si prevede l’apertura ad auto-candidature da parte di diverse realtà che vorranno ospitare i depositi. “Il quadro è completamente cambiato rispetto a 40 anni fa, ora si può trovare una soluzione“, garantisce il ministro.

In queste ore, il ministero sta valutando la liberalizzazione del sistema del mercato elettrico, per dare respiro alle famiglie, “in un momento in cui non c’è certezza che il quadro geopolitico tenga, che quindi i prezzi possano essere previsti, perché l’energia per noi è ancora fortemente legata al gas, ci vuole cautela“, raccomanda Pichetto.

Si interviene poi sulle aree idonee per le rinnovabili, sull’eolico offshore, sulla possibilità di inserire delle grandi grandi piattaforme in mare aperto, fino a 50×50 chilometri, con valutazioni che, sostiene il ministro, “richiedono una scelta politica decisa da parte del governo”.

Altra partita è quella di una possibile proroga degli aiuti sulle bollette, in scadenza a settembre. Finirà in un provvedimento diverso, il “Decreto Economia”, riferisce: “Stiamo valutando come muoverci rispetto all’ultimo trimestre e rispetto alle condizioni di mercato. È possibile che ci siano, dipende però anche sempre dalla coperta”, afferma, lasciando intendere che lo spazio di manovra non sarà ampio.

Gli enti locali, intanto, attendono il decreto ministeriale attuativo per le comunità energetiche. Anche quello, sarà pronto a giorni, con alcune modifiche già concordate a luglio. Per informare i sindaci, Gse e Anci stanno preparando un vademecum. “L’obiettivo è dare informazioni ai comuni per inserire l’autoconsumo energetico nelle proprie prassi ma anche per colmare le asimmetrie informative tra amministrazioni e privati. Sulle comunità energetiche da tempo si è sviluppata un’aspettativa alta e la materia è complessa, per questo ci occupiamo di dare un contributo informativo ai sindaci”, chiarisce Carlo Maria Salvemini, sindaco di Lecce e delegato Anci all’energia.

C’è un’aspettativa enorme per i comuni e gli enti locali, ma anche per la Cei, che vuole investire in comunità energetiche, che consentono un grande risparmio”, conferma il presidente di Gse, Paolo Arrigoni. Ad oggi, sono state realizzate 85 configurazioni, di cui 64 di autoconsumo collettivo e 21 comunità energetiche rinnovabili. Nei prossimi 5 anni l’obiettivo stimato dal Mase è installare 7 Gw di rinnovabili. Con il prossimo decreto ministeriale ci sarà un ampliamento dell’attuale disciplina transitoria, sia sul perimetro territoriale, sia sulla platea (estesa a enti del terzo settore, di ricerca e religiosi), ma anche in termini di potenza del singolo impianto: si passa da 200 kW a un megawatt “I benefici sono evidenti, nel Paese c’è fermento, si attende la messa a terra di tutti gli strumenti, a partire dal decreto“, afferma Arrigoni. Gse dovrà gestire sia lo sportello per l’allocazione dei 2,2 miliardi previsti nel Pnrr per i comuni sotto i 5mila abitanti e che i calcoli per gli incentivi, il cui ammontare è da stabilire.

fotovoltaico

Anno da record per il fotovoltaico: nel 2022 +2,5 GW, miglior dato in 9 anni

Il 2022 è un anno ‘d’oro’ per il fotovoltaico in Italia. Quello con i valori, in termini di capacità degli impianti installati, più alti degli ultimi 9. Lo dicono i numeri contenuti National survey report of photovoltaic power applications in Italy, pubblicato sul sito del Gse, rilevando una “crescita significativa”, con quasi 2,5 GW di nuova capacità per un circa 210mila impianti. Non male davvero, ma potrebbe andare comunque meglio, per questo le attese sono spostate sulle semplificazioni amministrative previste dai decreti varati dal governo che “contribuiranno a risolvere i problemi di autorizzazione“. In particolare sono il Pniec e il decreto Cer, così come quello sull’agrivoltaico ad attrarre l’attenzione dell’analisi.

Per il momento il nostro Paese si gode il balzo in avanti già compiuto. Perché “la capacità totale commissionata alla fine del 2022 è di circa 25 GW“. La potenza nazionale pro capite lo scorso anno risulta di 415 Watt per abitante, con un aumento di circa 41 W rispetto al 2021. Anche la suddivisione territoriale svela importanti novità, perché il 30,9% degli impianti è installata in due regioni del nord, Veneto e Lombardia, con quest’ultima che raggiunge un record in termini di potenza installata (3,15 GW), superando per la prima volta supera la Puglia (3,05 GW). Il Nord si prende anche un altro primato, quello dei sistemi di accumulo: sui 155.176 sistemi di accumulo installati (il totale è 230.496), il 45% è concentrato in tre regioni del Settentrione. Per quanto riguarda l’autoconsumo, invece, il risultato è 6.227 GWh, ovvero il 22,5% della produzione fotovoltaica totale e il 49% di quella in regime di autoconsumo.

Se i numeri sono di sicuro positivi, le prospettive future risultano ancora più rosee. Perché, secondo le stime del National survey report of photovoltaic power applications in Italy 2022, “il mercato crescerà nei prossimi due anni” anche grazie all’avvio di programmi come quello lanciato da Enel Green Power, sta investendo in una linea di produzione di celle e moduli fotovoltaici con un obiettivo di capacità annua di 3 GW entro il 2024, nel suo stabilimento 3Sun di Catania, annunciando la produzione di moduli fotovoltaici in configurazione tandem prevista per la fine del 2025.
Ma è il mercato elettrico italiano a vivere un periodo di grandi cambiamenti, iniziati vent’anni fa ma che, complice anche la crisi scoppiata poco prima della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina e acuita proprio dal conflitto, sta facendo progressi significativi negli ultimi mesi. La totale liberalizzazione “è stata decisa solo nell’agosto 2017 e si prevede che sarà completata dopo il 2024, quando il sistema tariffario sarà eliminato anche nel settore domestico“, si legge nell’analisi. Sarà questa la grande sfida per un settore che sta cambiando pelle e che resta strategico per il sistema economico, produttivo e sociale.

Pnrr, ok a rimodulazione e RePower. Fuori dal Piano 16 miliardi

Una rimodulazione che prevede il definanziamento di alcuni progetti e lo spostamento dei fondi su misure che andranno a implementare il RePowerEu. Le modifiche al Pnrr approvate dalla cabina di regia ridisegnano il piano, spostando al di fuori del perimetro alcuni interventi su cui sono emerse criticità tali da impedire che possano essere realizzati entro la scadenza del 2026, tra cui quelli sul dissesto idrogeologico. Scelta che ha scatenato forti polemiche nelle opposizioni, nonostante il ministro Raffaele Fitto abbia annunciato, pubblicamente, che “non stiamo eliminando nulla“, perché saranno finanziati con altri fondi. Citando il caso degli asili nido, per i quali sono previsti 900 milioni di euro per indire un nuovo bando.

Entrando nel dettaglio, la proposta di definanziamento riguarda 9 misure per un totale di oltre 15,8 miliardi di euro. Tre di queste hanno come centrale di riferimento il ministero dell’Interno: “Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni” per 6 miliardi; “Investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale” per 3,3 miliardi; “Piani urbani integrati – progetti generali” per oltre 2,4 miliardi. Quattro interventi sono in capo al Mase: “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico” per oltre 1,2 miliardi; “Utilizzo dell’idrogeno in settori hard-to-abate” per 1 miliardo; “Promozione impianti innovativi (incluso offshore)” per 675 milioni; “Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano” per 110 milioni. Infine, due misure sono del dipartimento delle Politiche di coesione: “Aree interne – Potenziamento servizi e infrastrutture sociali di comunità” per oltre 724 milioni; “Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie” per 300 milioni.

Ci vuole davvero coraggio a eliminare dal Pnrr più della metà dei fondi destinati alla lotta al dissesto idrogeologico e tagliare progetti per le infrastrutture ferroviarie. È un insulto a un Paese sconvolto dagli eventi di questi giorni“, tuonano i capigruppo del Pd, Chiara Braga e Francesco Boccia. “Il governo dei ‘no’ cancella 15,9 mld per l’emergenza climatica“, commenta il co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli. Mentre il M5S chiede che le modifiche al Piano passino dal Parlamento prima di essere inviate in Europa. Per quanto riguarda, invece, il RePower, con la rimodulazione, sale complessivamente a 19 miliardi di euro. Il piano italiano è organizzato su tre misure di investimento (Reti dell’energia; Transizione verde ed efficientamento energetico; Filiere industriali strategiche) e sei riforme (Riduzione costi connessione alle reti del gas per la produzione di biometano; Power Purchasing Agreement (Ppa), contratti innovativi per garantire remunerazione stabile a chi investe nelle fonti rinnovabili; Green skills, settore privato, formazione delle risorse umane attualmente impiegate nell’industria tradizionale; Green skills, settore pubblico, formazione specialistica dei dipendenti della Pa; Road map, percorso per la razionalizzazione dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili; Testo unico circa la legislazione relativa alle autorizzazioni per le fonti rinnovabili).

Bruxelles, intanto, accoglie “con favore l’accordo raggiunto” oggi “nella cabina di regia italiana sul documento che delinea la revisione del Pnrr, compreso il nuovo capitolo RePowerEu“, dichiara a GEA un portavoce della Commissione europea. Un passaggio sottolineato anche dalla nota del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto: “Evidentemente anche in Ue è stato colto l’impegno del nostro governo per utilizzare al meglio tutte le risorse disponibili, evitando di creare condizioni che avrebbero reso impossibili gli investimenti entro giugno 2026“. Il ministero delle Imprese e del Made in Italy è soddisfatto per il via libera a quattro misure, evocate dalle parti sociali e produttive del Paese: Transizione 5.0, Nuova Sabatini green, Supporto alla transizione ecologica e alle filiere strategiche Net Zero. Per Adolfo Ursocosì rilanciamo investimenti e innovazione. Mettiamo il turbo alle nostre imprese. Questa è politica industriale“.

Non reagiscono con lo stesso entusiasmo, invece, gli enti locali. “Abbiamo appreso che, nell’ambito della rimodulazione dei finanziamenti, si propone di spostare sul programma RePowerEu 13 miliardi di euro di fondi Pnrr che erano stati assegnati ai Comuni“, sottolinea il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, che chiede all’esecutivo “garanzie immediate sul finanziamento di queste opere” per le quali “andranno trovate altre fonti di finanziamento“. Anche le Province chiedono rassicurazioni, oltre a un “pieno coinvolgimento” nella definizione del capitolo aggiuntivo dedicato all’energia.

Rinnovabili, decreto sulle Aree idonee in arrivo: l’obiettivo è 80 Gigawatt al 2030

Questione di giorni, non più di mesi. Il decreto legge che individua le Aree idonee ad accogliere gli impianti per aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili è pronto, ora mancano il passaggio in Conferenza unificata e in Cdm. La bozza, che GEA ha potuto visionare, conferma quanto ha sempre sostenuto il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, in questi mesi: l’obiettivo è raggiungere una potenza aggiuntiva di 80 Gigawatt entro il 2030. La tabella di ripartizione tra Regioni e Province autonome vede sul gradino più alto del podio la Sicilia, con un target progressivo che dovrà portare l’isola a 10.380 Megawatt entro i prossimi 7 anni. Alle sue spalle c’è la Lombardia con 8.687 MW e in terza posizione la Puglia con 7.284 MW.

A seguire ci sono i 6.255 MW al 2030 per l’Emilia-Romagna, 6.203 per la Sardegna, 5.763 MW per il Veneto, 4.921 MW per il Piemonte, 4.708 MW per il Lazio, 4.212 per la Toscana, 3.943 MW per la Campania, 3.128 MW per la Calabria, 2.313 MW per le Marche, 2.076 MW per la Basilicata, 2.067 MW per l’Abruzzo, 1.940 MW per il Friuli Venezia Giulia, 1.735 MW per l’Umbria, 1.191 MW per la Liguria, 995 MW per il Molise, 848 MW per la provincia di Trento, 804 MW per Bolzano e 549 per la Valle d’Aosta.

Dal momento in cui il decreto sarà operativo, Regioni e Province avranno 180 giorni di tempo per emanare leggi locali utili a individuare le superfici dove potranno sorgere gli impianti. Per chi non rispetterà le scadenze, sarà il Cdm a prendere le redini in mano, con il Mase che potrà proporre al presidente del Consiglio gli schemi di atti normativi di natura sostitutiva. Gli enti locali potranno anche concludere fra di loro accordi per il trasferimento statistico di determinate quantità di potenza, ma in caso di inadempienze, rispetto agli obiettivi minimi assegnati al 2030, ci saranno compensazioni economiche “finalizzate a realizzare interventi a favore dell’ambiente, del patrimonio culturale e del paesaggio, di valore equivalente al costo di realizzazione degli impianti“. Ci sarà l’Osservatorio nazionale, un “organismo permanente di consultazione e confronto tecnico sulle modalità di raggiungimento degli obiettivi regionali, nonché di supporto e di scambio di buone pratiche in particolare finalizzate all’individuazione delle superfici e delle Aree idonee e non idonee“.

Quanto ai criteri, le aree agricole classificate come Dop e Igp sono considerate idonee solo ai fini dell’installazione di impianti agrivoltaici. Inoltre, nel processo di individuazione delle superfici devono essere rispettati “i princìpi della minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale, sul paesaggio e sul potenziale produttivo agroalimentare, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilità dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo.

Tra le aree idonee rientrano i “siti dove sono già installati impianti della stessa fonte in cui vengono realizzati interventi di modifica, anche sostanziale” che “non comportino una variazione dell’area occupata superiore al 20%“, anche se questo limite “non si applica per gli impianti fotovoltaici“. Restando sempre sul punto, per “impianti fotovoltaici standard realizzati su suoli agricoli, una percentuale massima di utilizzo del suolo agricolo nella disponibilità del soggetto che realizza l’intervento, comunque non inferiore al 5% e non superiore al 10%“, Mentre “per impianti classificati come ‘agrivoltaici’ che rispettino le prescrizioni di esercizio previstela percentuale raddoppia al 20.

Per quanto concerne gli impianti eolici, i criteri assegnati a Regioni e Province autonome c’è quello di valutare le aree “con adeguata ventosità” tale da “garantire una producibilità maggiore di 2.250 ore equivalenti a 100 metri di altezza“. Ma vanno escluse le superfici “ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela, come i siti che rientrano “nel patrimonio Unesco, nella lista Fao Gihas e in quelli iscritti nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici“, sui quali, è possibile “introdurre fasce di rispetto di norma fino a 7 chilometri, purché le aree idonee complessivamente individuate sul territorio regionale o provinciale abbiano una superficie pari almeno all’80% di quella individuabile applicando i limiti di 3 chilometri e comunque pari almeno all’80% di quella individuabile considerando i criteri specifici di ventosità“. Una scelta che non piace all’Anev, l’Associazione nazionale energia del vento: “Ancora una volta sembra penalizzare il settore eolico, il provvedimento risulta poco soddisfacente“.

Il decreto, poi, stabilisce che le nuove leggi regionali o quelle varate dalle Province autonome per rispettare le nuove disposizioni sulle Aree idonee “prevalgono su ogni altro regolamento, programma, piano o normativa precedentemente approvato a livello regionale, provinciale o comunale, inclusi quelli in materia ambientale e paesaggistica“. Infine, i procedimenti avviati prima dell’entrata in vigore del dl Aree idonee vengono comunque portati a termine con le regole in vigore dal 2021.

L’Italia mette al minimo le centrali a carbone, primo passo verso lo spegnimento totale

L’Italia si avvia verso il phase out dal carbone. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha infatti firmato l’atto di indirizzo a Terna, all’Autorità di Regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) e al Gestore servizi energetici (Gse) per la rimodulazione della produzione di energia elettrica da carbone, olio combustibile, bioliquidi sostenibili e biomasse solide, invertendo quindi l’atto dello scorso 31 marzo, che aveva l’obiettivo di ottimizzare l’utilizzo dei combustibili diversi dal gas al fine di generare un risparmio di questa materia prima strategica si è ravvisata l’opportunità di rimodulare il piano di massimizzazione del carbone.

Ho firmato l’atto di indirizzo a Terna, coinvolgendo Arera, che prevede una riduzione al minimo delle centrali a carbone e anche la cessazione dell’utilizzo di olio combustibile“, annuncia il ministro, a margine dell’assemblea di Cida. Spiegando che “questo determina un passaggio verso il nuovo, verso una prospettiva, speriamo, di abbandono poi totale del carbone, naturalmente con gradualità“, continua Pichetto, specificando che “al momento vengono tenute al minimo per ragioni di sicurezza, perché il quadro internazionale è ancora tale che non sappiamo quale potrà essere il futuro sul fronte energetico.

Nel frattempo, però, “le politiche di diversificazione messe in atto dal Governo – aggiunge il ministro – ci hanno consentito di raggiungere in anticipo l’obiettivo di risparmiare 700 milioni di metri cubi di gas entro il 30 settembre del 2023. Gli stoccaggi riempiti all’82% già a fine giugno e la maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili – conclude Pichetto – ci hanno consentito di attivare queste nuove disposizioni che riescono a tenere insieme due dei grandi obiettivi: velocizzare la decarbonizzazione garantendo la sicurezza energetica del nostro Paese”.