Infrastrutture, il governo punta sul sistema ferroviario. Rixi: “13,5 miliardi di investimenti fino al 2032”

Si parte dal Pnrr, ma l’obiettivo è più ampio. A indicare la strada che il governo intende percorrere è il vice ministro delle Infrastrutture, Edoardo Rixi, partecipando alla presentazione del nuovo Frecciarossa1000 di Trenitalia (Gruppo Fs), alla fiera biennale della tecnologia per i trasporti ‘InnoTrans’, che si tiene a Berlino. L’esecutivo “ha deciso di investire ulteriori risorse” rispetto al Piano nazionale di ripresa e resilienza “sia dirette, sia dei fondi Fsc, sostanzialmente triplicando gli investimenti in ferrovie fino a 13,5 miliardi annui, con una coda che arriverà fino al 2032”.

Rixi dice chiaramente che tra le punte di diamante del piano c’è il settore ferroviario. Tant’è che si sofferma a parlare del Terzo Valico, opera a cui, tra l’altro, tiene particolarmente da ligure. “La deadline è al 2026 e non la sposteremo, perché la pressione va mantenuta, come in tutte le cose”, garantisce. Ripercorre le criticità, spiegando che “sono state trovate pressioni geologiche tra le più forti a livello mondiale, ma abbiamo sviluppato una tecnologia per poterle affrontare in pochi mesi: stiamo andando avanti con le lavorazioni”.

In questo senso, c’è grande continuità con gli obiettivi che si pongono le diverse realtà del Gruppo Fs. Con il nuovo Frecciarossa1000 presentato a Berlino, ad esempio, Trenitalia vuole dare una nuova accelerazione al mercato non solo italiano ma europeo. Si tratta di un investimento da oltre 1,3 miliardi per 46 treni: 36 della prima commessa da consegnare entro il 2028, più un’opzione con Hitachi per la realizzazione di altri 10 convogli se la risposta sul campo dovesse andare nella giusta direzione. Le novità più interessanti sono la più elevata capacità tecnologica, il risparmio energetico tra il 10 e il 15% e la forte sostenibilità con il 97% di materiali riciclabili.

Un treno col quale l’azienda vuole consolidare il suo ruolo nel panorama europeo. “È stato progettato già dall’inizio per andare in tutta Europa – dice l’amministratore delegato e dg di Trenitalia, Luigi Corradi -. Fondamentalmente, nei sette paesi più importanti dal punto di vista ferroviario e, possibilmente, sempre avendo la possibilità di collegare l’Italia con l’Europa”. Perché l’obiettivo è puntato in alto: “Noi guardiamo in continuazione la parte estera per valutare se ci sono opportunità per espandere la nostra attività”, spiega Corradi. “Soprattutto la parte Alta velocità, che è quella in cui possiamo creare valore aggiunto rispetto a quello che circola in Europa, in particolare. Stiamo guardando se è possibile portare questo treno in altri Paesi”, ma “quando usciamo dall’Europa la situazione è più difficile”.

Per uno sviluppo completo serve anche la rete. Infatti, Rfi ha “triplicato il volume degli investimenti” con “l’ambizione di mantenere questo valore andando finalmente ad attuare un grandissimo piano di trasformazione delle infrastrutture e delle tecnologie dell’infrastruttura”, afferma l’ad e direttore generale di Rete ferroviaria italiana, Gianpiero Strisciuglio. Che da Berlino assicura: l’Alta Velocità Salerno-Reggio Calabria andrà avanti, per lotti. La deadline per la realizzazione? “Sicuramente arriveremo puntuali all’appuntamento col il Ponte sullo Stretto di Messina, nel 2032”, afferma il manager.

Di investimenti, nella capitale tedesca, parla anche l’amministratrice delegata di Mercitalia Logistics, Sabrina De Filippis, a margine della presentazione delle prime locomotive da manovra Dual Shunter 2000 del Polo Logistica del Gruppo Fs. Le cifre sono importanti, come gli obiettivi che si pone, perché “abbiamo un piano molto articolato di circa 3 miliardi nell’arco temporale di 5-7 anni, che è in corso di implementazione. Di questi, l’80% è destinato al rinnovo di locomotive e carri, prevalentemente di ultimissima generazione”. Perché il futuro non aspetta.

Entro l’anno la riforma dei porti: verso un’agenzia nazionale

Entro l’anno sarà presentata la riforma dei porti, infrastrutture fondamentali per l’Italia da dove passa il 39% dell’import-export per un valore di 377 miliardi. Un interscambio via nave che ha mostrato una ripresa solida nel 2022, con un + 38%, 10 punti percentuali in più rispetto alla performance dell’interscambio nel suo complesso, come fa sapere l’ultimo report di Intesa Sanpaolo e Assoporti.
Per anticipare le linee guide della riforma, il viceministro ai Trasporti, Edoardo Rixi, ha sempre sottolineato che sarà messo “al centro l’interesse di ogni singolo scalo, nel rispetto delle rispettive vocazioni specialistiche e territoriali. Inoltre, abbiamo chiesto uno screening per tutti gli interventi che riguardano il Fondo complementare per permettere una immediata riprogrammazione dei fondi in modo che si possano utilizzare tutte le risorse Pnrr dedicate al settore marittimo“. Il testo che arriverà per dicembre, come ha più volte spiegato il ministro Matteo Salvini, sarà inserito in una apposita legge delega. E, tecnicamente, la riforma dovrebbe prendere il buono del cosiddetto modello spagnolo. “Con il suo Puertos del Estado abbinato a una autonomia locale di alcuni porti” è la rotta che il governo intende seguire, ha spiegato Rixi a Shippingitaly.it, sottolineando però come alla base di questo processo di rinnovamento serva “una visione nazionale”, con “lo Stato che deve mantenere il controllo pubblico sugli scali portuali”.

In Italia il ruolo e la funzione rappresentata da Puertos del Estado iberico – ipotizza Shippingitaliy.it – “potrebbe essere assunta da Assoporti (se ne saranno ampliate risorse e competenze) e non sarebbe troppo diversa dalla missione pianificatoria e di coordinamento svolta in ambito aeroportuale da Enac (ente nazionale per l’aviazione civile)”. Attualmente le autorità di sistema portuale sono enti pubblici di personalità giuridica che – come spiega il sito del Mit – hanno, “tra gli scopi istituzionali, la gestione e l’organizzazione di beni e servizi nel rispettivo ambito portuale”. Nel 2016 l’allora ministro Graziano Delrio riordinò le Autorità portuali ridisegnando il sistema di governance. Di fatto i 58 porti di rilievo nazionale sono coordinati da 15 Autorità di sistema portuale, cui viene affidato un ruolo strategico di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema dei porti della propria area, con le Regioni che possono chiedere l’inserimento nelle Autorità di Sistema di ulteriori porti di rilevanza regionale. Per garantire la coerenza con la strategia nazionale si prevede l’istituzione di una Conferenza nazionale di coordinamento delle authority, però manca una vera e propria agenzia capace – come punta la riforma – a decidere una strategia nazionale basata sugli interessi del Paese.

Di fatto ogni ente è indipendente nella gestione e nella fissazione dei canoni. Una mole di dati che paradossalmente non è nelle disponibilità del ministero dei Trasporti, proprio perché ogni authority è autonoma, creando magari contrapposizioni o addirittura arrivando a farsi concorrenza. Nelle intenzioni del governo c’è comunque – come diceva Rixi – la tutela delle “vocazioni specialistiche e territoriali”, in vista anche di una possibile aumento dell’autonomia delle regioni, che potranno avere eventualmente un ruolo maggiore nella governance del porto. “Stato forte, struttura del ministero forte e solida e visione politica che ha in mano il ministero delle infrastrutture e del Trasporti”, chiede Stefano Messina, presidente di Assarmatori. La nascita di una agenzia nazionale permetterebbe anche di integrare le altre infrastrutture necessarie per il transito di merci nelle terraferma, decidendo investimenti mirati ed evitando doppioni costosi.

A proposito di costi. Per i porti è previsto un cospicuo capitolo del Pnrr. La cabina di regia ieri ha varato le modifiche al Piano nazionale di ripresa e resilienza e le proposte per il capitolo aggiuntivo del RePowerEu dedicato alla transizione energetica. La revisione prevede lo spostamento di alcuni progetti, che andranno rifinanziati con fondi differenti da quelli previsti dal Pnrr e una ricalibrazione degli obiettivi, fra questi 400 milioni dovrebbero andare ai porti con l’obiettivo è il potenziamento dell’elettrificazione delle banchine portuali per la riduzione delle emissioni delle navi nella fase di stazionamento in porto (cold ironing). Risorse che si aggiungono ai 9,2 miliardi previsti che andranno andranno a finanziare interventi in 47 porti di 14 regioni diverse e di competenza di 16 differenti Autorità di sistema portuale. Metà dei fondi va ai porti del Mezzogiorno, il 37,7% a quelli del Nord e il restante 15,4% a quelli del Centro Italia. Saranno finanziate opere per la “resilienza delle infrastrutture ai cambiamenti climatici” e per l’efficientamento energetico delle banchine, ma anche misure per il dragaggio e la realizzazione di nuovi moli. Tutti interventi che, secondo la riforma, dovranno essere coordinati per sfruttare le previsioni del trasporto marittimo mondiale, segnalato in crescita in termini di tonnellaggio: +1,6% per il 2023 e +2,8% per il 2024. Oil & Gas sono le commodities che incontreranno le prospettive più favorevoli, spinte dalla necessità di trasporto conseguenti alla guerra in corso. In particolare le stime per l’area del Mediterraneo sono di +3,5% per la movimentazione media annua dei container nei prossimi 5 anni contro il 2,8% del mondo.

Rixi: “Ponte sullo Stretto? Lo faremo, è più facile dell’AV Salerno-Reggio”

Non ha dubbi, Edoardo Rixi. Il Ponte sullo Stretto di farà: “Da parte nostra usciremo con un decreto nelle prossime settimane che individuerà il percorso per la realizzazione”, dice nell’intervista a GEA. Ma c’è un ma. “Il problema vero è che ci deve credere tutto il Paese, non basta che ci creda solo un ministro”, che nello specifico è Matteo Salvini, il tenutario del Mit. “Noi italiani abbiamo realizzato i viadotti, i ponti, le dighe più importanti a livello mondiale. Per il Ponte sullo Stretto ci deve credere il governo, ci devono credere le imprese, ci deve credere il tessuto industriale”.

Per l’uomo che è stato uno degli artefici della nascita del ponte San Giorgio a Genova, la costruzione del ponte sullo Stretto non è complicata: “I tempi per la costruzione del Ponte sullo Stretto saranno relativamente brevi, soprattutto se faremo rivivere quell’opera che si era fermata nel 2012 a cantieri aperti”. Una considerazione che si porta dietro pensieri aciduli: “Questo è uno dei Paesi più folli del mondo, dove si ferma un’opera simbolica di rilancio di un sistema industriale e produttivo a livello italiano, ma direi a livello europeo”. Adesso, però, pare davvero che non si possa più fare a meno di collegare la Sicilia al resto d’Italia: “Il ponte è decisivo perché porta di nuovo la centralità del Mediterraneo: all’Italia serve moltissimo, ma serve anche all’Europa”, spiega. “L’Europa che guarda sempre a Nord e che ha la testa a Nord rischia di marginalizzare i Paesi mediterranei, abbandonati a se stessi”.

Due anni per l’inizio dei lavori, altri tre o quattro per fare in maniera che il ponte sia percorribile. La teoria di Rixi è basata sulla praticità: “Evidentemente è molto più facile costruire il Ponte sullo Stretto che l’alta velocità Salerno-Reggio Calabria, dove abbiamo da affrontare tratti montagnosi e da fare opere in galleria assolutamente importanti”. Poi sulle proteste degli ambientalisti la riflessione è molto asciutta: “Definirli ambientalisti secondo me significa dar loro troppa importanza. Ci sono delle persone che vivono per il non fare, come c’è chi vive per non lavorare. C’è chi vive dicendo che difende l’ambiente, invece l’ambiente lo distrugge. Perché il Ponte sullo Stretto sarebbe una delle opere ambientalmente più rispettose, Ma è chiaro che esiste il fronte del no, cioè il fronte di chi magari, anche a volte a ragione, teme cantieri infiniti”.

Il Ponte collegherà la Sicilia all’Europa. E proprio l’Europa (“attenta alla forma ma non alla sostanza”) inquieta Rixi. L’ultima controversia è quella relativa alla norma che dal 2035 vieterà la produzione di auto a motore endotermico: “Una cosa è certa: puntare esclusivamente sull’elettrico è un errore. E non lo dice un Paese. Lo dicono i dati a livello mondiale. Paesi evoluti come gli Stati Uniti hanno spesso dei black out anche in grandi città… Che nel sistema italiano vorrebbe dire la parcellizzazione in caso di elettrificazione totale di tutto il sistema logistico nazionale che per l’88% va su gomma”. L’auspicio del viceministro è che si trovi una soluzione di compromesso con Bruxelles: “E’ ovvio che ci sarà in futuro un mix. Ci saranno sicuramente motori, anche termici, con caratteristiche molto migliorate dal punto di vista di qualità delle emissioni. Ci sarà l’idrogeno, ci sarà una compagine elettrica, soprattutto sulle brevi medie percorrenze“. E, aggiunge, “ci saranno probabilmente anche il biometano e i biocarburanti. Questi sono tutti elementi che insieme creeranno la mobilità del futuro”.

Rixi: Ponte sullo Stretto è un’opera necessaria, attesa da territorio e operatori economici

Il governo Meloni vuole mordere il freno per rilanciare la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. Il vicepremier, Matteo Salvini, ha rivelato che già nella legge di Bilancio per il 2023, che dovrebbe approdare lunedì prossimo in Cdm, ci sarà il primo “atto concreto” con la riattivazione della società che aveva l’incarico di eseguire l’opera, ma da nove anni si trova in liquidazione. GEA ha parlato del progetto con il vice ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Edoardo Rixi, che sta lavorando al fianco del ministro per far decollare il dossier.

Vice ministro, il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina è strategico per il trasporto di persone e merci, non solo su gomma ma anche su ferro. Qual è l’obiettivo che vi ponete anche sull’alta velocità al Sud: è la volta buona?
“Il Pnrr destina alla ‘cura del ferro’ ingenti risorse per il potenziamento delle infrastrutture, anche per un’ulteriore decarbonizzazione dei trasporti, e per migliorare i collegamenti longitudinali e trasversali tra i territori del Paese non sempre agevoli per caratteristiche morfologiche. Penso agli attraversamenti appenninici, alle dorsali in direzione della costa, ma anche e soprattutto all’insularità con riguardo al collegamento tra le sponde calabresi e siciliane. A ciò si aggiungono le risorse di Rfi per il miglioramento dell’infrastruttura in termini di velocizzazione e digitalizzazione. Il Ponte sullo Stretto costituisce un tratto fondamentale dello ‘scheletro’ rappresentato dal corridoio scandinavo-mediterraneo della rete Ten-T che, nella sua percorrenza ferroviaria, salda due linee fondamentali: la progettata alta velocità Salerno–Reggio Calabria e l’alta capacità della linea Palermo-Messina-Catania. Al completamento oltre il 2026 dell’alta velocità Salerno-Reggio Calabria, la percorrenza Roma-Reggio Calabria sarà di 4 ore con un guadagno di almeno 1 ora e mezza rispetto alle corse giornaliere (peraltro ridotte) dei treni più veloci. L’alta capacità Palermo-Catania permetterà un collegamento in sole 2 ore con un guadagno di un’ora rispetto ai tempi ferroviari attuali, e quindi con perfetta sostituibilità, pure temporale, con l’omologa tratta stradale. In questo momento favorevole tra opportunità del Pnrr e impegno di Rfi, l’anello di congiunzione ideale sarebbe proprio il Ponte sullo Stretto. E’ un’opera necessaria, attesa dal territorio e dagli operatori economici”.

Proprio oggi il governatore Occhiuto ha definito il Ponte lo strumento per fare del Mezzogiorno “l’hub dell’Europa sul Mediterraneo”, anche sull’energia. E’ d’accordo?
“La penisola nella sua interezza è un hub che dall’Europa continentale si protende verso il Mediterraneo. In tale quadro il Mezzogiorno d’Italia, per prossimità, è parte maggiormente vocata a rivestire una centralità che va rivalutata. Il Ponte è uno strumento che favorisce la coesione. Il Mezzogiorno ha tutte le carte in regola per contribuire al rilancio del Paese. Ricordo che quel fascio di traffico mercantile marittimo, il più voluminoso di Europa, sviluppato sin dal porto di Amburgo per poi raggiungere Suez via Gibilterra, lambisce la Sardegna e soprattutto la Sicilia. Inoltre, molte misure finanziarie e agevolative sono state storicamente ideate per soddisfare una vocazione che finalmente trova attuazione nel potenziamento infrastrutturale progettato grazie alle risorse del Pnrr, dei fondi Fsc e suscettibile di attrarre quindi investitori in base alle opportunità offerte dalle Zes. L’Italia meridionale è pure protagonista nella riscrittura della geo-politica indotta dal conflitto russo-ucraino. Sono state potenziate e lo saranno ulteriormente, dal versante Sud, le forniture di gas con l’Algeria e si spera di implementarle con la Libia. E’ inoltre oggetto di potenziamento la fornitura dall’Azerbaigian attraverso la Tap sulla direttrice di sud-est”.

Quali segnali state ricevendo dall’Europa per il co-finanziamento del progetto?
“Le notizie acquisite da Pat Cox, attuale coordinatore del corridoio scandinavo-mediterraneo Ten-T, nel corso del suo intervento lo scorso ottobre in Commissione trasporti Ue, confermano che si potrebbe ottenere un co-finanziamento comunitario al 50 per cento qualora diventasse una priorità del Governo italiano. Questo nonostante il fatto che non sia presente a oggi negli allegati di quelli prioritari oggetto di finanziamento. Insomma un’ottima notizia per i territori interessati dall’opera, che godrebbero dell’opportunità della creazione di oltre 100mila posti di lavoro a partire dalla cantierizzazione”.